La Distribuzione del Vino in Italia

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Italia: il paese del vino

Con le sue 6 miliardi di bottiglie l’anno, l’Italia è il più grande produttore al mondo (2° stato per fatturato alle spalle della Francia) e il vino, oltre ad essere una voce economica di assoluta rilevanza, è anche un fenomeno culturale. Basti pensare che in Italia ci sono 310.000 viticoltori e 45.000 aziende imbottigliatrici e vengono consumate all’incirca 340.000 bottiglie all’ora.

Il mercato italiano, quindi, è un mercato estremamente concorrenziale, nel quale la produzione interna svolge un ruolo dominante sui prodotti di fascia media e bassa, aventi un rapporto qualità-prezzo difficilmente eguagliabile da prodotti di importazione.

Vi sono, invece, tre fattori che – se sfruttati correttamente – possono giocare a favore dei produttori stranieri di vini di fascia medio-alta: innanzitutto (i) il consumo medio di vino pro capite è tra i più elevati al mondo (circa 35 lt a testa), e ciò spinge il consumatore, mediamente molto consapevole, a variare molto le sue scelte. Ciò ha portato (ii) all’apertura di diversi negozi specializzati (sia online che offline), nei quali sono spesso presenti vini stranieri di qualità, per i quali il consumatore è disponibile a spendere cifre tutto sommato elevate. Da ultimo (iii) in Italia sono presenti molte fiere ed eventi di settore (dal Vinitaly fino alle piccole rassegne di paese) nei quali si può far conoscere il proprio vino a operatori del settore e distributori già strutturati sul mercato.

Insomma: non un mercato facile, ma un mercato che offre diverse possibilità per chi ha una strategia di distribuzione chiara e un prodotto di qualità.

Marchio Italiano o Europeo?

Mentre i produttori italiani devono prestare particolare attenzione alla contraffazione quando si affacciano su mercati stranieri, sul mercato italiano interno si tratta di un fenomeno piuttosto trascurabile. Nonostante ciò, la registrazione del marchio resta un passo fondamentale per proteggere i propri segni distintivi, soprattutto in caso di contestazioni o conflitti con altri soggetti. Non registrando il marchio, infatti, si rischia di vanificare gli investimenti promozionali fatti, poiché imprese concorrenti potrebbero dotarsi di un marchio simile, confondendo i consumatori e danneggiando la reputazione del marchio.

Come visto in precedenza nella scheda sull’Unione Europea, quando si registra un marchio in uno degli Stati Membri è opportuno innanzitutto chiedersi se non sia meglio registrare un marchio Europeo, che, con un’unica domanda, garantisce una tutela in tutti gli Stati Membri, a fronte di costi tutto sommato non eccessivi e tempistiche molto rapide.

È consigliabile procedere alla registrazione nazionale in Italia solo se si pianifichi di operare unicamente nel mercato italiano o se in un altro Stato membro sia già stato registrato un marchio molto simile, che possa portare al rigetto della domanda Europea. La domanda di registrazione di marchio italiano si deposita presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) del Ministero dello Sviluppo Economico. La registrazione dura 10 anni (rinnovabile – di 10 anni in 10 anni – a tempo indeterminato) e costa all’incirca 150,00 €, oltre a 34,00 € per ogni altra classe aggiuntiva e altri 50,00 € in caso di presentazione della domanda da parte di un mandatario.

Siccome le tempistiche per la registrazione sono piuttosto lunghe (fino a 18 mesi), è bene fare delle ricerche di anteriorità approfondite prima di depositare la domanda, al fine di verificare che non esistano registrazioni precedenti di marchi identici o molto simili.

Prima di entrare sul mercato, oltre alla registrazione del marchio, è consigliabile registrare il proprio nome a dominio, al fine di evitare che terzi si approprino del nome a dominio (cd. cybersquat-ting) e impediscano al titolare di utilizzarlo.


Etichettatura e classificazione: normativa UE con poche particolarità

L’etichettatura dei vini commercializzati sul mercato italiano è disciplinata dalla normativa Europea, già vista nella scheda apposita, che in Italia è stata recepita ed applicata da specifiche disposizioni di legge (il D.M 13/08/2012 è sicuramente il più importante), che riguardano principalmente: la dimensione e il formato dei caratteri da utilizzare sulle etichette; le modalità di abbreviazione della ragione sociale dell’imbottigliatore, produttore, venditore ed importatore; l’utilizzo dei nomi dei vitigni con riferimenti a specifici DOP/IGP; le menzioni tradizionali, e altri aspetti di dettaglio.

Regime doganale per l’import ed export del vino

L’Italia è parte dell’Unione Doganale Europea, pertanto le procedure di import da paesi extra-UE seguono le regole UE, mentre i vini provenienti da altri stati UE (o già sdoganati in altri stati UE) sono liberi di entrare nel mercato italiano senza ulteriori controlli doganali.

Per l’esportazione del vino extra-UE occorre vincolare i beni destinati ad uscire dal territorio unionale allo specifico regime mediante presentazione della dichiarazione doganale di esportazione, accompagnata dai documenti commerciali e dalle eventuali licenze, autorizzazioni o titoli qualora obbligatoriamente richiesti per l’esportazione di quel tipo di prodotto vitivinicolo.


Tassazione del vino e delle società vinicole in Italia

Le società italiane sono assoggettate all’imposta sul reddito delle società (IRES), nonché all’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Le imposte sono dovute per periodi di imposta (esercizio sociale), a ciascuno dei quali corrisponde, generalmente, una obbligazione tributaria autonoma.

L’IRES è commisurata al reddito complessivo netto con l’aliquota del 24%. L’aliquota IRAP può variare da regione a regione ed è generalmente pari al 3,9%.

Accise: In Italia il vino non è sottoposto ad accise, a differenza di altre bevande alcoliche come la birra.

Imposta sul Valore Aggiunto (IVA): in Italia è al 22%. Qualora i prodotti siano consumati all’interno di un bar o ristorante, è prevista l’applicazione dell’aliquota ridotta del 10% (in linea con la somministrazione del cibo all’interno di queste strutture).

I limiti alla pubblicità

È possibile promuovere il vino attraverso messaggi pubblicitari, ma Il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale prevede alcuni limiti alle modalità promozionali, volti a favorire l’affermazione di modelli di consumo degli alcolici ispirati a misura, correttezza e responsabilità. In particolare la comunicazione commerciale non deve:

  • incoraggiare un uso eccessivo e incontrollato;
  • rappresentare situazioni di attaccamento morboso al prodotto e, in generale, di dipendenza dall’alcol o indurre a ritenere che il ricorso all’alcol possa risolvere problemi personali o aumentare l’efficienza fisica e sessuale o che il mancato consumo comporti una condizione di inferiorità fisica, psicologica o sociale;
  • rivolgersi o fare riferimento, anche indiretto, ai minori, e rappresentare questi ultimi o soggetti che appaiano evidentemente tali intenti al consumo di alcol;
  • associare la guida di veicoli con l’uso di bevande alcoliche;
  • rappresentare come valori negativi la sobrietà e l’astensione dal consumo di alcolici;
  • utilizzare come tema principale l’elevato grado alcolico di una bevanda.


In Italia, inoltre, vige il divieto assoluto di somministrazione e vendita di alcolici ai minori di 18 anni. I negozi, inoltre, hanno dei limiti di orari di vendita e somministrazione di alcolici: dalle 3 alle 6 per pubblici esercizi e circoli privati; dalle 24 alle 7 per distributori automatici e negozi; dalle 2 alle 6 per le aree di servizio sulle strade (dalle 22 alle 6 per i superalcolici).

Contratti per la distribuzione del vino

La distribuzione del vino e degli alcolici avviene principalmente attraverso contratti di distribuzione e di agenzia, due contratti che si inseriscono all’interno della stessa grande famiglia (la distribuzione commerciale dei prodotti), ma che presentano differenze molto marcate.

Come in quasi tutti gli stati europei, anche in Italia il contratto di distribuzione è un contratto atipico, senza una specifica disciplina legislativa e, pertanto, disciplinato ricorrendo a norme dettate per fattispecie similari, come la vendita e la somministrazione. Per questo motivo è fondamentale negoziare e redigere il contratto in modo completo, bilanciando correttamente gli interessi delle due parti e regolamentando i molteplici aspetti del rapporto.

Oltre alle considerazioni in materia di limiti all’operato dei distributori e rivendita dei prodotti su internet, per i quali rimandiamo alla scheda UE di questa Guida, suggeriamo di tenere in considerazione anche i seguenti temi al momento della negoziazione e della redazione di un contratto di distribuzione in Italia:

  • avere ben chiaro il modello di business che si vuole costituire e, di conseguenza, definire chiaramente gli aspetti fondamentali dell’accordo (territorio, durata dell’accordo, listino prodotti);
  • tenere presente che la legislazione UE vigente in materia di concorrenza vieta diverse clausole (fissazione del prezzo di rivendita da parte del produttore, divieto di rivendita online, divieto di rivendita a consumatori provenienti da altri stati) che contengono limitazioni alla libertà del distributore di rivendere i prodotti, ritenute lesive per la concorrenza da parte dell’UE;
  • anche in Italia l’e-commerce sta conquistando una fetta importante del mercato: è bene avere ben chiaro come strutturare la vendita online dei prodotti e disciplinarla di conseguenza (ad esempio riservando al produttore la vendita su certi canali di e-commerce);
  • in Italia ci sono diversi eventi fieristici e rassegne a tema vino: nel contratto sarà opportuno definire bene chi sosterrà le spese per l’attività promozionale e a quali eventi il distributore sarà tenuto a presenziare.
  • diritto applicabile e giurisdizione in materia. Per i produttori la legge italiana è una buona scelta, perché tende a favorire il venditore e non si segnalano (a differenza di altri stati come Spagna, Portogallo e Germania) casi giurisprudenziali che riconoscano un’indennità di fine rapporto in favore del distributore. Le sentenze dei tribunali di uno stato membro della UE trovano riconoscimento ed esecuzione automatica in Italia e negli altri Stati membri in forza del Regolamento UE 1215/2012. L’arbitrato resta una valida alternativa, soprattutto in contratti di valore elevato e quando vi sia esigenza di riservatezza sull’eventuale contenzioso: l’Italia è membro della Convenzione di New York del 1958 e i lodi arbitrali stranieri trovano immediato e rapido riconoscimento.

Contratti di agenzia per la promozione della vendita del vino

L’Italia ha recepito all’interno del codice civile (artt. 1742 ss.) la direttiva CE 86/653, che disciplina le relazioni fra gli agenti di commercio ed i preponenti. Se per la disciplina di quest’ultima si rimanda a quanto visto nella Scheda sull’UE di questa Guida, al quale aggiungiamo alcuni consigli pratici per la redazione del contratto di agenzia e la gestione del rapporto tra preponente e agente:

  • una peculiarità tutta italiana è costituita dagli Accordi Economici Collettivi (“AEC”) stipulati tra le organizzazioni sindacali delle due parti (agenti e preponenti), che contengono disposizioni che vanno ad integrare la disciplina europea e codicistica. Questi accordi trovano applicazione quando: (i) agente e preponente aderiscono alle associazioni sindacali stipulanti o (ii) gli AEC sono espressamente o tacitamente richiamati nel contratto. Nella redazione del contratto bisognerà valutare con estrema attenzione se richiamare gli AEC o meno, tenendo in considerazione – preferibilmente grazie a un parere di un legale esperto in materia – vantaggi e svantaggi della scelta (gli AEC disciplinano in maniera uniforme una serie di aspetti del rapporto di agenzia, come: spese promozionali, calcolo provvigioni, variazioni del territorio, patto di non concorrenza, malattia, infortuni, gravidanza, durata preavviso, indennità di fine rapporto, ecc.);
  • gli agenti italiani o stranieri che operano in Italia per conto di preponenti italiani o stranieri sono tenuti ad iscriversi alla fondazione Enasarco, ente previdenziale di categoria che si occupa della gestione delle posizioni contributive degli agenti ed eroga i trattamenti pensionistici ed assistenziali. L’Enasarco svolge anche azioni di vigilanza, volte a verificare l’osservanza degli obblighi contributivi e la corretta qualificazione dei rapporti di agenzia;
  • esistono figure contrattuali affini all’agenzia commerciale, come i contratti di procacciamento di affari o i contratti di mediazione, che rischiano, in presenza di determinati fattori (es: obblighi promozionali, stabilità del rapporto, vincoli nei confronti del preponente, clausole di esclusiva, patti di non concorrenza, determinazione del territorio), di essere riqualificate come rapporti di agenzia. Ove questo accada, i rapporti verranno sottoposti a posteriori a tutti gli obblighi inderogabili previsti per il contratto di agenzia, tra cui il versamento dei contributi previdenziali dell’Enasarco e il pagamento dell’indennità di fine rapporto;
  • scelta della giurisdizione. Quando l'agente è una persona fisica (o una società di persone in cui l'attività personale dell'agente risulti prevalente) domiciliata in Italia, non si può derogare alla competenza del tribunale del luogo ove ha il proprio domicilio l'agente-persona fisica. In casi simili, inoltre, sarà competente il giudice del lavoro del luogo dove l’agente ha il suo domicilio. Al contrario, per gli agenti costituiti sotto forma societaria, si applicheranno le norme ordinarie in materia di giurisdizione e competenza;
  • scelta della legge applicabile. In un contratto internazionale di agenzia il diritto italiano è applicabile quando viene esplicitamente scelto dalle parti o, in mancanza di scelta, quando l’agente ha il suo domicilio abituale in Italia. È opportuno però segnalare che, nel caso di controversia in Italia avente ad oggetto un contratto di agenzia sottoposto a legge straniera, i giudici saranno comunque tenuti ad applicare le norme italiane di applicazione necessaria, ossia quelle cd. “internazionalmente imperative”, tra cui vi rientrano le disposizioni previste in materia di indennità di fine rapporto.

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