Germania – Contratti di distribuzione, Franchising e indennità di fine rapporto

24 Febbraio 2020

  • Germania
  • Distribuzione

Riassunto: In Germania, al termine di un contratto di distribuzione, gli intermediari di una rete di distribuzione (in particolare, i distributori/franchisee) possono chiedere un’indennità al proprio produttore/fornitore, se si configura una fattispecie analoga a quella dell’agente commerciale. Tali condizioni sussistono se l’intermediario è integrato nella rete commerciale del fornitore ed è obbligato a trasferire il proprio portafoglio clienti al fornitore, cioè a trasmettere i dati dei propri clienti in modo che il fornitore possa immediatamente e senza ulteriori indugi sfruttare i vantaggi del portafoglio clienti al termine del contratto. Una recente decisione giudiziaria mira ora ad estendere il diritto all’indennità del distributore a casi in cui il fornitore abbia in qualche modo beneficiato del rapporto commerciale con il distributore, anche nel caso in cui il distributore non abbia fornito i dati dei clienti al fornitore. Questo articolo illustra tale novità e fornisce suggerimenti su come superare le incertezze emerse a seguito di questa nuova decisione.


Un tribunale tedesco ha recentemente ampliato il diritto del distributore all’indennità di fine rapporto: i fornitori potrebbero dover pagare l’indennità ai propri distributori autorizzati anche nel caso in cui questi ultimi non fossero obbligati a trasferire la propria clientela al fornitore. Al contrario, potrebbe essere sufficiente il conseguimento di un qualsiasi avviamento – inteso come vantaggi sostanziali che, a seguito della cessazione del rapporto, il fornitore possa derivare dalla relazione commerciale con il distributore, indipendentemente da che cosa le parti abbiano stipulato nell’accordo di distribuzione.

Questa decisione potrebbe influire su tutti i tipi di business in cui i prodotti siano venduti tramite distributori (e franchisee, vedi sotto) – in particolare, quindi, sul commercio al dettaglio (soprattutto per quanto riguarda prodotti di elettronica, cosmetica, gioielleria e talvolta anche moda), sul settore automobilistico e sul commercio all’ingrosso. I distributori sono imprenditori autonomi e indipendenti i quali vendono e promuovono i prodotti

  • stabilmente ed in nome proprio (differentemente dagli agenti commerciali),
  • per proprio conto (differentemente dagli agenti commissionari),
  • perciò sopportando il rischio ed i cui margini di profitto – per contro – sono piuttosto alti.

Nel diritto tedesco i distributori sono meno protetti rispetto agli agenti commerciali. Tuttavia, anche i distributori e gli agenti commissionari (vedi qui) hanno diritto ad ottenere un’indennità alla cessazione del contratto, qualora sussistano due prerequisiti:

  • il distributore o agente commissionario sia integrato nella rete di vendita del concedente/fornitore (più di un semplice rivenditore) e
  • sia obbligato (contrattualmente o di fatto) ad inoltrare al fornitore i dati della clientela durante o al termine dell’esecuzione del contratto (Corte Federale tedesca, decisione del 26 novembre 1997, R.G. n. VIII ZR 283/96).

Ora, il Tribunale Regionale di Norimberga-Fürth ha stabilito che il secondo prerequisito sussiste già se il distributore ha procurato un avviamento al concedente:

l’unico fattore decisivo, ai fini di un’applicazione analogica, è se il convenuto (il concedente) ha tratto beneficio dalla relazione commerciale con l’attore (distributore). …

… il concedente deve corrispondere un’indennità se ha un “avviamento”, ossia una giustificata aspettativa di profitto dalle relazioni commerciali con la clientela procurata dal distributore.

(cfr. decisione del 27 novembre 2018, R.G. n. 2 HK O 10103/12).

Al fine di giustificare tale estensiva applicazione, il tribunale ha fatto riferimento in via astratta alle conclusioni dell’avvocato generale della Corte UE nel caso Marchon/Karaszkiewicz, rese il 10 settembre 2015. Tale caso, tuttavia, non concerneva distributori, bensì il diritto all’indennità dell’agente commerciale, in particolare il concetto di “nuovi clienti” ai sensi della Direttiva 86/653/EEC sugli agenti commerciali.

Nel presente caso, secondo il tribunale, è sufficiente che il fornitore abbia sul proprio computer i dati sui clienti procurati dal distributore e possa fare liberamente uso degli stessi. Altre ipotesi in cui potrebbe sorgere il diritto del distributore all’indennità, persino a prescindere dai dati concreti sulla clientela, sarebbero casi in cui il fornitore rilevi il negozio dal distributore e i clienti conseguentemente continuino a visitare proprio quel negozio anche dopo che il distributore lo ha lasciato.

Consigli pratici:

1. La decisione rende l’inquadramento giuridico dei distributori / franchisee meno chiaro. L’interpretazione estensiva del tribunale, tuttavia, deve essere vista alla luce della giurisprudenza della Corte Federale: ancora nel 2015, la Corte ha negato il diritto all’indennità ad un distributore, contestando la mancanza del secondo requisito, in quanto il distributore non era obbligato a trasferire i dati sulla clientela (decisione del 5 febbraio 2015, R.G. n. VII ZR 315/13, facendo seguito alla propria precedente decisione nel caso Toyota del 17 aprile 1996, R.G. n. VIII ZR 5/95). Inoltre, la Corte Federale ha negato ai franchisee il diritto all’indennità qualora il franchising abbia ad oggetto un business anonimo di massa e la clientela continui ad essere clientela regolare soltanto in via di fatto (decisione del 5 febbraio 2015, R.G. n. VII ZR 109/13 nel caso della catena di panetterie “Kamps”). Resta da vedere come si evolverà questa giurisprudenza.

2. In ogni caso, prima di entrare nel mercato tedesco, i fornitori devono valutare se intendano assumersi il rischio di dover pagare un’indennità alla cessazione del contratto.

3. Lo stesso vale per i franchisor: i franchisee saranno probabilmente in grado di far valere il diritto ad un’indennità sulla base dell’applicazione analogica della normativa sull’agenzia commerciale. Fino ad ora, la Corte Federale ha negato il diritto all’indennità del franchisee caso per caso, lasciando così aperta la questione se i franchisee possano in via generale far valere un tale diritto (cfr. ad esempio la decisione del 23 luglio 1997, R.G. n. VIII ZR 134/96 nella causa sui negozi Benetton). Nondimeno, i tribunali tedeschi potrebbero probabilmente riconoscere il diritto all’indennità nel caso del franchising distributivo (in cui il franchisee compra i prodotti dal franchisor), qualora la situazione sia simile alla distribuzione e all’agenzia commerciale. Questo potrebbe essere il caso in cui il franchisee sia stato incaricato di distribuire i prodotti del franchisor e solo il franchisor abbia, al termine del contratto, diritto ad accedere ai nuovi clienti acquisiti dal franchisee durante il contratto (cfr. Corte Federale tedesca, decisione del 29 aprile 2010, R.G. n. I ZR 3/09, Joop). Nessun diritto all’indennità, tuttavia, può essere fatto valere se

  • il franchise ha ad oggetto un business anonimo di massa e i clienti continuano ad essere regolari soltanto di fatto (decisione del 5 febbraio 2015, nella causa sulla catena di panetterie “Kamps”) o
  • nei franchising di produzione (contratti di imbottigliamento, ecc.), in cui il franchisor o titolare della licenza non opera nello stesso identico settore dei prodotti distribuiti dal franchisee / licenziatario (decisione del 29 aprile 2010, R.G. n. I ZR 3/09, Joop).

4. Nel diritto tedesco, il diritto all’indennità dei distributori – o, potenzialmente, dei franchisee – può ancora essere escluso:

  • scegliendo di applicare al contratto un altro diritto sostanziale che non preveda un’indennità;
  • obbligando il fornitore a bloccare, non usare e, se necessario, cancellare i dati della clientela alla cessazione del contratto (Corte Federale tedesca, decisione del 5 febbraio 2015, R.G. n. VII ZR 315/13: “fatte salve le disposizioni riportate all’articolo [●] sotto, il fornitore deve bloccare i dati forniti dal distributore dopo che sarà terminata la partecipazione del distributore al servizio clienti, deve cessare di utilizzarli e, su richiesta del distributore, deve cancellarli.”). Sebbene tale disposizione contrattuale sembri essere diventata irrilevante alla luce della decisione del Tribunale di Norimberga sopraccitata, il Tribunale non ha fornito alcun argomento sul perché la consolidata giurisprudenza della Corte Federale non debba trovare più applicazione;
  • pattuendo espressamente l’esclusione del diritto all’indennità, il che, tuttavia, potrebbe funzionare solo qualora (i) il distributore operi al di fuori dello SEE e (ii) non sussista una norma locale inderogabile che preveda tale indennità (si veda l’articolo qui).

5. Inoltre, se il fornitore accetta deliberatamente di pagare l’indennità in cambio di un solido portafoglio clienti con una quantità di dati potenzialmente utilizzabili in modo significativo (in conformità con il Regolamento UE sulla Protezione Generale dei dati), può pattuire con il distributore il pagamento di “quote d’ingresso” (“entry fees”), al fine di mitigare il peso della propria obbligazione. Il pagamento di tali quote d’ingresso o oneri contrattuali potrebbe essere posticipato fino alla cessazione del contratto e successivamente compensato con il diritto all’indennità del distributore.

6. L’indennità di fine rapporto del distributore viene calcolata sulla base del margine di guadagno conseguito con nuovi clienti apportati dal distributore o con clienti già esistenti con cui il distributore abbia sensibilmente sviluppato gli affari. Il calcolo esatto può essere estremamente complesso ed i tribunali tedeschi applicano differenti metodi. In totale, l’indennità non può superare la media dei margini annualmente conseguiti dall’agente con tali clienti negli ultimi anni.

The legal form of a GmbH (limited liability company) is very popular in Germany and is also one of the most frequently chosen forms of market entry for foreign investors. Its establishment is relatively simple and quick, the GmbH offers shareholders the desired limitation of liability and enjoys a high reputation in business relations, both in Germany and abroad. The statutory minimum share capital of 25,000 euros documents a certain seriousness and is intended to protect creditors.

However, the opening of a German bank account to which the shareholders are to pay their capital contributions is usually a factual problem when setting up a GmbH; the capital stock must be provided before the company is registered in the German commercial register. On the one hand, it is not uncommon for German financial institutions to refuse to open accounts to foreign shareholders per se. On the other hand, it is almost standard today that the opening of a bank account for a new company in which foreign shareholders are to hold shares can take several weeks for various internal bank reasons. In practice, this means that the entry of the company in the commercial register can be suspended for several weeks or even months. Valuable time is lost, especially if you are about to start a project in Germany and everything is already prepared.

Do you have to accept this unnecessary delay? No, not at all.

There is a much faster and more acceptable way.

A bank account is not required for the establishment of a GmbH. The German corporate law does not provide for this either. In practice, however, it has become common to open an account directly when a company is established. Of course, this only makes sense if the account is opened quickly and immediately. If, however, it is foreseeable in advance that there might be problems opening an account with a German bank, a different procedure is recommended.

The managing director of the newly established GmbH (he is usually already appointed during the notarial establishment of the company) has to assure in the registration of the new company to the commercial register that the capital contributions are in the free and unrestricted disposal of the management. The law does not stipulate that this can only take place if the payment is made to a bank account of the GmbH. It is also possible and permissible for the managing director to opens a company cash box (cash register) in which the shareholders hand over the capital contributions in cash and the managing director notes the payment in the cash book. A copy of the cash book or a confirmation of the managing director can be handed over to the notary as proof of the payment, who then also forwards this copy to the commercial register.

In the incorporation practice and experience of the author, this procedure has so far been accepted by the commercial registers without objection. All GmbHs founded in this way were successfully registered.

The author of this post is Dominik Wagner.

Al fine di creare un sistema di franchise (affiliazione commerciale) omogeneo dove tutti i franchisee devono adempiere ai medesimi requisiti, i franchisors (affilianti) usano di solito formulari standard di contratti di franchise, ossia contratti preformulati, redatti e forniti dal franchisor a un numero multiplo di franchisees (affiliati).

In Germania, tali contratti di franchise devono essere conformi alle leggi tedesche, particolarmente severe, in materia di contratti redatti tramite moduli o formulari standard (anche nei rapporti B2B). Come regola generale, i contratti redatti su formulari standard devono essere equilibrati, al fine di essere validi. Viceversa, essi sono nulli se svantaggiano in modo irragionevole il franchisee, ed in particolare se:

  • non sono compatibili con princìpi essenziali di diritto, oppure
  • restringono diritti od obblighi essenziali derivanti dalla natura del contratto di franchise in misura tale che lo scopo contrattuale risulta minacciato.

Lo stesso vale per prontuari, guide, handbooks o altri manuali: ai sensi del diritto tedesco, essi sono tutti da qualificarsi come contratti redatti tramite formulari standard (paragrafo 305 co. 1 del Codice Civile Tedesco [“BGB”]).

Inoltre, i contratti di franchise non possono restringere in modo eccessivo la libertà economica del franchisee. Il rischio più grave – come recentemente confermato dalla Corte Federale – è che l’intero contratto di franchise sia nullo!

Un contratto di franchise è nullo ed inefficace nella sua interezza, a causa di una violazione del paragrafo 138 BGB, qualora la libertà economica del franchisee sia eccessivamente diminuita a causa di un alto numero di disposizioni che avvantaggino il franchisor in modo unilaterale e svantaggino il franchisee, per cui al franchisee non sia garantita un’indennità nemmeno minimamente appropriata (…). Ciò richiede una valutazione generale dell’accordo contrattuale e delle circostanze che hanno portato alla conclusione del contratto. Indizi di un imbavagliamento immorale del franchisee possono consistere in una disposizione che preveda il rilascio di una procura all’incasso a favore del franchisor, dando quindi la possibilità a quest’ultimo di reindirizzare su sé stesso i pagamenti, così come disposizioni contrattuali le quali restringano la libertà economica del franchisee oltre quanto sia normalmente dovuto in un tale sistema distributivo.”

(decisione dell’11.10.2018, fasc. n. VII ZR 298/17, numero a margine 17 [traduzione propria] – riguardante un contratto di licenza per agenti immobiliari).

Indicazioni pratiche:

  1. Tale nuova decisione della Corte Federale è in linea con le decisioni, piuttosto restrittive e favore del franchisee, adottate dalla Corte già in passato (ad es. la decisione della Corte Federale su una catena di fast food del 12.11.1986, fasc. n. VIII ZR 279/85, numero a margine 10).
  2. Al fine di minimizzare i rischi di invalidità, i franchisors devono idealmente osservare dei requisiti di legge riguardanti contratti redatti su formulari standard, nonché le decisioni giudiziarie in materia di contratti di franchise. In base all’ultima decisione, di cui sopra, particolare attenzione deve essere esercitata qualora il contratto di franchise preveda una procura all’incasso in favore del franchisor. Una via d’uscita potrebbe essere la scelta di un altro diritto applicabile, nel caso in cui il franchisor abbia la propria sede al di fuori della Germania (cfr. Art. 3 Regolamento Roma I).
  3. Per una guida sulle campagne promozionali e sui prezzi dei frachisors e sulla loro conformità al diritto della concorrenza, consulta l’articolo “Franchising – Le promozioni a prezzi bassi possono costare care!

Distribuzione digitale – Quale strategia?

L’importanza della distribuzione via internet è aumentata nel corso degli anni, così come le restrizioni poste all’interno di contratti di distribuzione. Soprattutto i produttori di marchi rinomati mirano tanto a trarre vantaggio dalle opportunità del mercato digitale, quanto a preservare l’immagine dei loro prodotti. Conseguentemente, è frequente l’imposizione di diversi tipi di restrizioni sui  distributori, come emerge dal seguente grafico (fonte: Commissione Europea,  Relazione finale sull’indagine settoriale sul commercio elettronico, 10.05.2017):

restrizioni distributori - legalmondo

Tali misure compaiono nella distribuzione selettiva, in quella esclusiva, nel franchising e nella distribuzione aperta. Alcune misure perseguono interessi legittimi, come quello di assicurare una distribuzione di alta qualità, mentre altre misure possono concretizzarsi in restrizioni anticoncorrenziali del territorio e del prezzo di rivendita. Mentre le restrizioni nel business online sono cresciute, la loro regolamentazione segue a rilento: la Corte di giustizia UE ha posto una prima pietra miliare nel 2011 con la sua decisione “Pierre Fabre” sul divieto generale di vendite su internet e, nel 2018, ne ha posta un’altra con la famosa pronuncia “Coty Germany” – entrambe riguardanti  la distribuzione di prodotti (cosmetici) di lusso. Risultato:

Un fornitore di prodotti di lusso può vietare ai suoi distributori autorizzati di vendere

i prodotti su una piattaforma Internet terza” (Comunicato stampa n. 132/17 del 6 dicembre 2017).

O, più brevemente l’Alta Corte Regionale di Francoforte nel 2018:

Prodotti di lusso giustificano divieti di vendita online”.

(Comunicato stampa n. 30/2018 del 12 luglio 2018, in applicazione dei principi guida della suprema corte europea sui divieti di vendite online).

Per domande a cui sono state date risposte, altre ne sono sorte: solo il produttore di prodotti di lusso può proibire vendite online ai propri distributori? E se sì, che cos’è lusso? L’autorità per la concorrenza tedesca, il Bundeskartellamt, nella sua prima reazione dichiarava che la sentenza Coty dovrebbe applicarsi esclusivamente a prodotti originariamente di lusso:

Produttori di marca non hanno ancora carte blanche su #divieti di piattaforme. Primo giudizio: “Limitato impatto sulla nostra attività” (Twitter, 6 dicembre 2017).

La Commissione Europea ha preso posizione in senso opposto, stabilendo che l’argomento della Corte nella decisione Coty dovrebbe applicarsi anche alla distribuzione di altri prodotti, senza aver riguardo al loro carattere di lusso:

Le argomentazioni apportate dalla Corte sono valide indipendentemente dalla categoria di prodotto coinvolta (ossia beni di lusso nel caso di specie) e sono ugualmente applicabili a prodotti non di lusso. Che un divieto di usare piattaforme abbia l’obiettivo di restringere il territorio nel quale, o i consumatori a cui il distributore può vendere i prodotti, o se limita le vendite passive del distributore, non può logicamente dipendere dalla natura del prodotto coinvolto.” (Competition Policy Brief, aprile 2018)

Più di un anno dopo la decisione Coty, le norme non sono ancora al 100% chiare: tra i tribunali tedeschi, l’Alta Corte Regionale di Amburgo ha autorizzato il divieto di effettuare vendite su piattaforme terze anche con riguardo a prodotti non di lusso, i quali siano di alta qualità (decisione del 22 marzo 2018, fascicolo n. 3 U 250/16) – nella fattispecie, con riguardo a un sistema di distribuzione selettiva per integratori alimentari e cosmetici.

se i beni venduti sono di alta qualità e la distribuzione è combinata a una consulenza al consumatore e servizi di assistenza paralleli, con lo scopo, tra gli altri, di illustrare al consumatore un prodotto finito e nel suo complesso sofisticato, di alta qualità e dal prezzo alto e di costruire o mantenere una specifica immagine del prodotto” (testo tradotto dalla versione originale in tedesco).

Di recente, il Bundeskartellamt tedesco ha preso nuovamente posizione, riaffermando la propria prima posizione:

“Le dichiarazioni della Corte di Giustizia UE, a tal riguardo, sono limitate a prodotti di lusso e non possono essere facilmente trasferite ad altri prodotti di marca (di alta qualità).” (Wettbewerbsbeschränkungen im Internetvertrieb nach Coty und Asics – wie geht es weiter?, 02.10.2018).

I fornitori i quali vogliano agire in modo prudente  dovrebbero utlizzare ricorrere con cautela  a divieti di usare piattaforme al di fuori della distribuzione selettiva di prodotti di lusso. Per uno sguardo generale sulla prassi corrente con clausole contrattuali modello, vedi Rohrßen, Vertriebsvorgaben im E-Commerce 2018: Praxisübersicht und Folgen des “Coty”-Urteils des EuGH, in: GRUR-Prax 2018, 39-41 (in tedesco).

La distribuzione diretta

In alternativa, o in aggiunta, alle restrizioni in capo ai distributori i produttori si affidano spesso alla distribuzione diretta, vuoi per conto proprio con i propri dipendenti, vuoi attraverso agenti commerciali o tramite commissionari. Ciò significa che il rischio della distribuzione cade soltanto in capo al produttore e ciò comporta un grande vantaggio: i fornitori sono fondamentalmente svincolati dalle restrizioni del diritto antitrust e possono persino stabilire il prezzo di rivendita. Questo ha portato ad un aumento della distribuzione diretta in tutte le categorie di prodotti, compreso anche il settore automobilistico.

I franchisor (affilianti) possono condurre campagne pubblicitarie a prezzi bassi. Tali campagne, tuttavia, possono costare care, se le stesse hanno un effetto anticoncorrenziale, in particolare se, di fatto, forzano il franchisee (affiliato) a offrire i prodotti ai prezzi più bassi.

Un esempio interessante è quello della campagna sui prezzi per “l’hamburger della settimana”, oggetto della decisone del Tribunale regionale di Monaco di Baviera del  26 ottobre 2018 (fascicolo n. 37 O 10335/15).

Il caso

In aggiunta all’obbligazione di pagare royalties in cambio dell’uso dei sistemi di franchising e dei suoi marchi commerciali (5%), gli accordi di franchising obbligavano  i franchisee a pagare un compenso per la pubblicità parametrato sull’andamento delle vendite. Il franchisor usava i compensi pagati per la pubblicità dai franchisee, tra le altre cose, per pubblicizzare prodotti presenti sul menù dei franchisee a prezzi bassi, ad esempio con lo slogan “King of the Month”.

Grazie alla partecipazione alle campagne pubblicitarie con relativi prezzi bassi, le vendite dei franchisee aumentavano e con esse anche le royalties che dovevano pagare al franchisor.

Dopo un po’ di tempo, però, i franchisee realizzarono che tale campagna pubblicitaria causava loro un danno economico, perché i prodotti offerti a un prezzo basso cannibalizzavano la vendita dei prodotti offerti a prezzo normale (“effetto di cannibalizzazione”). Di qui la decisione di non partecipare alla campagna e chiedere una riduzione appropriata del compenso pubblicitario da pagare e di agire in giudizio al fine di far bloccare l’applicazione del compenso per la pubblicità in relazione alla campagna pubblicitaria contestata.

Il Tribunale Regionale accoglieva entrambe le domande con la motivazione che  le campagne pubblicitarie avevano un effetto restrittivo della concorrenza, ossia della facoltà per il franchisor di stabilire propri prezzi di vendita, in contrasto con il paragrafo 1 e 2 (2) della Legge tedesca sulle restrizioni della concorrenza e art. 2 (1), art. 4 a) del Regolamento Europeo di Esenzione per categoria in base agli accordi verticali. In sostanza,  il franchisor determinava, secondo la Corte, il prezzo di rivendita tramite l’effetto vincolante di fatto della campagna pubblicitaria.

La decisione è in linea con la precedenza giurisprudenza, in particolare con le decisioni della Corte Federale tedesca su campagne su prezzi minimi di franchisor nei settori di

  • Noleggio di autoveicoli (“Sixt ./. Budget”, 02.02.1999, fasc. n. KZR 11/97, par. 30),
  • Cibo per animali (“Fressnapf”, 04.02.2016, fasc. n. I ZR 194/14, para. 14), e
  • Occhiali nell’ambito di un sistema di distribuzione duale dove il franchisor vendeva i prodotti tramite le proprie filiali nonché tramite franchisee, senza far distinzione tra operazioni di filiale e di franchisee (“Apollo Optik”, 20.05.2003, fasc. n. KZR 27/02, para. 37).

Indicazioni pratiche

Le Obbligazioni che sono essenziali per far funzionare il sistema di franchise non restringono la competizione nell’ambito degli scopi delle norme UE sull’antitrust (in modo simile alla “dottrina delle restrizioni accessorie” presente nel diritto USA). In particolare, le seguenti restrizioni costituiscono i componenti tipicamente indispensabili per un accordo franchise applicabile:

  • Restrizioni del trasferimento di know-how;
  • Obbligazioni di non concorrenza (durante e dopo la scadenza dell’accordo), che proibiscano al franchisee di aprire un negozio di natura uguale o simile in una zona in cui potrebbe entrare in concorrenza con altri membri della rete di franchising;
  • Obbligazioni del franchisee di non trasferire il proprio negozio senza previa approvazione del franchisor.

(cfr. Corte di Giustizia UE, 28.01.1986, caso “Pronuptia, fasc. n. 161/84 par. 16 e 17).

I sistemi di franchise non sono esentati, di per sé, da divieti di restrizione di concorrenza. Perciò, si deve prestare attenzione nel conformarsi alle norme antitrust UE al fine di evitare pesanti sanzioni e assicurare l’esecuzione dell’accordo di franchising.

Il divieto di fissazione di prezzo (o imposizione del prezzo di rivendita) si applica alla relazione tra il franchisor e il franchisee se il franchisee sopporta il rischio economico della propria impresa. Al fine di evitare che una tale campagna pubblicitaria con prezzi di rivendita raccomandati costituisca una fissazione del prezzo contraria alla concorrenza, occorre valutare approfonditamente il caso concreto. Ciò che consente di escludere  un effetto vincolante in via di fatto è:

  • L’aggiunta di una nota chiarificatrice: “Solo a ristoranti partecipanti a… . Fino ad esaurimento scorte.
  • Assicurare che tale nota sia chiaramente visibile, per es. aggiungendo un asterisco “*” al prezzo.
  • Evitare ogni misura che possa essere interpretata come pressione o incentivo per il franchisee e che trasformerebbe il prezzo raccomandato in un prezzo fisso (per es. perché un altro prezzo porterebbe a conseguenze negative).

Tali campagne pubblicitarie possono funzionare – come mostra una decisione di una Corte UK del 2009 (BBC, caso Burger King, dove i franchisee avevano contestato al franchisor che “ una promozione dell’impresa richiedeva all’affiliato di vendere un doppio cheeseburger per $1 per un costo di produzione di $1.10”. La Corte in quel caso aveva ritenuto legittima la campagna, sulla base degli elementi sopra indicati, I franchisor possono persino imporre il prezzo di rivendita, ma occorre che tali campagne siano preparate con grande attenzione.

Per un quadro d’insieme sul mantenimento di prezzi di rivendita, rimando al precedente articolo su Legalmondo Contratti di distribuzione e fissazione del prezzo minimo di rivendita.

Il mantenimento di prezzi di rivendita può costare caro. Nel 2018, la Commissione Europea ha emesso multe dell’ammontare di circa 111 milioni di euro contro quattro produttori di elettrodomestici di consumo – Asus, Denon & Marantz, Philips e Pioneer – per aver fissato prezzi online di vendita fissi (cfr. Il comunicato stampa del 24 luglio 2018).

Prodotti di lusso giustificano divieti di distribuire su piattaforme terze” recita il Comunicato stampa n. 30/2018 della Corte d’Appello di Francoforte del 12.07.2018.

Dopo la sentenza Coty della CGUE, a lungo attesa (vedi l’articolo di dicembre 2017 https://www.legalmondo.com/it/2017/12/corte-di-giustizia-ue-ammette-la-restrizione-alle-vendite-online-sentenza-coty/), la Corte d’Appello di Francoforte sul Meno ha applicato le indicazioni della CGUE, (i) ribadendo la possibilità di limitare la rivendita attraverso piattaforme terze. Nel corso di questo post, inoltre, vedremo anche la (ii) recente pronuncia della Corte d’Appello di Amburgo, che ha esteso il principio della sentenza Coty anche ad altre merci dal valore qualitativo elevato, ma al di fuori del segmento del lusso. In conclusione, poi, (iii) alcuni suggerimenti pratici.

Prodotti di lusso giustificano i divieti di usare piattaforme

Ai sensi della sentenza della Corte d’Appello di Francoforte, Coty può inibire al distributore la distribuzione tramite piattaforme di terzi. Nel contratto di distribuzione selettiva adottato da Coty, ogni rivenditore era libero di instaurare cooperazioni pubblicitarie con piattaforme terze, nelle quali i clienti vengono indirizzati al negozio internet del rivenditore. Il divieto di distribuzione su market-place, sarebbe invece ammissibile già sulla base del Regolamento sulle esenzioni per categorie di accordi verticali, in quanto non rappresenterebbe una restrizione fondamentale. Il divieto di distribuzione potrebbe essere esentato persino dal divieto di cartelli nell’ambito di una distribuzione selettiva; nel presente caso sarebbe soltanto dubbio se il divieto di qualsiasi “cooperazione di vendita con una piattaforma terza riconoscibile esternamente da altri e senza riguardo alla sua concreta strutturazione stia in rapporto ragionevole con il fine perseguito” (testo tradotto dall’originale in tedesco), sia quindi proporzionato o incida sull’attività concorrenziale del rivenditore. La Corte ha lasciato aperta questa questione.

Anche altri merci di alto valore giustificano i divieti di usare piattaforme

Il caso deciso dalla Corte d’Appello di Amburgo (Decisione del 22.03.2018, fasc. n. 3 U 250/16) concerne un sistema di distribuzione selettiva qualitativo per integratori alimentari e cosmetici, il quale avviene tramite Network Marketing così come via Internet. Le linee guida distributive contengono, tra le altre cose, concrete indicazioni sulla pagina internet del rivenditore, possibilità di prendere direttamente contatto con i clienti in base al “principio della vendita di merci fatta su persona” (in quanto il sistema distributivo mira a vendere il prodotto tagliato sulle esigenze personali dei clienti nell’ambito di una consulenza personalizzata) così come della qualità dell’informazione e della rappresentazione del prodotto. Espressamente vietata sarebbe “la distribuzione … tramite eBay e altre piattaforme commerciali internet paragonabili”, in quanto esse non sarebbero conformi ai requisiti qualitativi, in ogni caso non “in base allo stato attuale” (testo tradotto dall’originale in tedesco).

Il Tribunale di prima istanza ha ritenuto ammissibile il divieto di far uso di piattaforme (Tribunale di Amburgo, sentenza del 04.11.2016, fasc. n. 315 O 396/15) – cosa che la Corte d’Appello di Amburgo ha ora confermato. Ciò in quanto, secondo la Corte d’Appello, sistemi di distribuzione selettiva qualitativi sarebbero ammissibili non solo per beni di lusso e tecnicamente dal valore alto, bensì anche per (ulteriori) merci di alto valore qualitativo, “qualora le merci distribuite siano di alta qualità e la distribuzione sia indirizzata a prestazioni accompagnatorie di consulenza e assistenza per il cliente, con cui tra l’altro si persegue il fine di spiegare al cliente un prodotto finale il quale nel complesso sia sofisticato, qualitativamente di alto valore e dal prezzo elevato e di costruire o conservare una particolare immagine del prodotto” (testo tradotto dall’originale in tedesco).

Nell’ambito di un tale sistema di distribuzione selettiva per la distribuzione di integratori alimentari e cosmetici potrebbe quindi essere ammissibile “tramite corrispondenti linee guida d’impresa, vietare al partner distributivo la distribuzione di tali merci su determinate piattaforme di vendita online, al fine di preservare l’immagine di prodotto e la prassi di una consulenza legata al cliente in grado di contribuire a creare tale immagine, così come al fine di evitare pratiche commerciali di singoli partner distributivi lesive dell’immagine del prodotto e dell’immagine, le quali siano state accertate nel passato e conseguentemente perseguite” (testo tradotto dall’originale in tedesco).

Una particolarità qui: non si trattava di “puri prodotti di prestigio“ – inoltre la Corte d’Appello non si era limitata all’accertamento che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile ai sensi dell’art. 2 Regolamento sulle esenzioni per categorie di accordi verticali e pratiche concordate, ma la Corte ha declinato in modo preciso e passo-passo i c.d. criteri Metro. 

Conclusioni

  1. Internet resta un motore di crescita per beni di consumo, come anche i dati di mercato della associazione commercianti della Germania confermano: “Online-Handel bleibt Wachstumstreiber“.
  2. Al tempo stesso, proprio i produttori di marca vogliono una crescita regolata ai sensi delle regole del loro sistema di distribuzione e secondo le loro indicazioni. Di ciò fanno parte, proprio per prodotti di lusso e tecnicamente sofisticati così come ulteriori prodotti richiedenti una consulenza intensiva, indicazioni stringenti sulla pubblicazione della marca e sulla pubblicità (indicazioni su clausole applicabili a negozi fisici, divieti di piazze di mercato) e sui servizi da fornire (ad es. chat e/o numero telefonico con indicazioni sulla disponibilità).
  3. I produttori dovrebbero verificare se i loro divieti di usare piattaforme siano conformi ai requisiti della CGUE oppure se essi possono instaurare divieti di usare piattaforme – nella distribuzione selettiva, esclusiva, di franchising e in quella aperta.
  4. Chi vuole correre minori rischi possibili, dovrebbe, al di fuori della distribuzione selettiva di merci di lusso, essere ancora prudente con divieti di usare piattaforme – ciò in quanto anche l’Ufficio Federale dei Cartelli ha come prima reazione dichiarato che la sentenza Coty vale solo per prodotti originariamente di lusso: #Produttori di marca non hanno, ora come prima, nessuna carta bianca per #divieti di piattaforme. Prima valutazione: Ripercussioni limitate sulla nostra prassi” (BKartA su Twitter, 6.12.2017). In senso contrario si è ora posizionata la Commissione Europea: nella sua “Competition Policy Brief” di Aprile 2018 („EU competition rules and marketplace bans: Where do we stand after the Coty judgment?“) la Commissione – alquanto tra parentesi – tiene fermo il fatto che l’argomentazione adottata dalla CGUE nel caso Coty vale anche indipendentemente dal carattere di lusso dei prodotti distribuiti:

Gli argomenti prodotti dalla Corte sono validi indipendentemente dalla categoria di prodotti coinvolti (ossia, nel caso di specie, beni di lusso) e sono applicabili egualmente a prodotti non di lusso. Se un divieto di usare piattaforme ha l’obiettivo di restringere il territorio in cui il prodotto può essere venduto o i consumatori a cui il distributore può vendere i prodotti o se limita le vendite passive del distributore, ciò non può logicamente dipendere dalla natura del prodotto coinvolto.” (traduzione dal testo originale in inglese)

Effettivamente la Corte di Giustizia UE nella sentenza ha definito “merci di lusso” in modo ampio: come merci la cui qualità “non poggia solo sulle sue caratteristiche materiali”, bensì su valori immateriali – cosa che per quanto riguarda merci di marca generalmente risulta vero (cfr. sentenza Coty della Corte di Giustizia UE del 06.12.2017, n. 25 così come, per quanto riguarda “merci di qualità”, le Conclusioni finali del 26.07.2017 dell’Avvocato Generale presso l’UE, n. 92). Inoltre la Corte di Giustizia UE richiede soltanto che le merci siano comprate “anche” per il loro carattere di prestigio, non “soltanto” o “soprattutto” per quello. Tutto ciò gioca a favore dei produttori di marca, che pare possano assumere divieti di utilizzo di piattaforme nei loro contratti di distribuzione – quantomeno entro una quota di mercato fino a un massimo del 30%.

  1. Chi non ha alcun timore di affrontare rivenditori e autorità dei cartelli, può erigere divieti di utilizzo di piattaforme assolutamente anche al di fuori della distribuzione selettiva di merci di lusso – o puntare in modo ancora più forte su prodotti Premium o di lusso – come ad esempio nel caso della catena di profumi Douglas (cfr. Süddeutsche Zeitung dell’08.03.2018, pag. 15: “Attiva e non convenzionale, Tina Müller termina gli sconti presso Douglas e punta sul lusso”(traduzione dal testo originale in tedesco)).
  2. Per assicurare una qualità uniforme della distribuzione si possono inserire delle indicazioni qualitative stringenti, soprattutto rispetto alla distribuzione online. La lista delle possibili indicazioni qualitative è molto ampia. Tra questi, si riportano alcune “Best Practice” piuttosto frequenti:

– Il posizionamento come rivenditore (piattaforma, assortimento, comunicazione)

– la configurazione della pagina internet (qualità, l’impressione, ecc.)

– il contenuto e l’offerta di prodotto della pagina internet,

– la esecuzione delle compravendite online,

– la consulenza e il servizio clienti così come

– la pubblicità.

  1. Essenziale è inoltre che i produttori non possono vietare completamente il commercio internet ai rivenditori e le indicazioni distributive non possono nemmeno avvicinarsi a un tale completo divieto – come ora vedono i tribunali nel caso del divieto di usare strumenti di ricerca dei prezzi da parte di Asics, vedi a tal riguardo l’articolo dell’aprile 2018 (https://www.legalmondo.com/it/2018/04/germania-divieto-strumenti-di-comparazione-prezzi-e-pubblicita-su-piattaforme-terze/).
  2. Ulteriori dettagli sono presenti nelle riviste giuridiche in lingua tedesca:

– Rohrßen, Vertriebsvorgaben im E-Commerce 2018: Praxisüberblick und Folgen des „Coty“-Urteils des EuGH, in: GRUR-Prax 2018, 39-41

– Rohrßen, Internetvertrieb von Markenartikeln: Zulässigkeit von Plattform-verboten nach dem EuGH-Urteil Coty, in: DB 2018, 300-306

– Rohrßen, Internetvertrieb: „Nicht Ideal(o)“ – Kombination aus Preissuchmaschinen-Verbot und Logo-Klausel, in: ZVertriebsR 2018, 120-123

– Rohrßen, Internetvertrieb nach Coty – Von Markenware, Beauty und Luxus: Plattformverbote, Preisvergleichsmaschinen und Geoblocking, in: ZVertriebsR 2018, 277-285.

Il 1° gennaio 2019 entra in vigore la nuova legge tedesca sugli imballaggi (“Verpackungsgesetz”, abbreviata qui come “GPA” [German Packaging Act]), che sostituisce il regolamento tedesco sugli imballaggi del 1998 (“GPR” [German Packaging Regulation]). Il nuovo GPA obbliga un maggior numero di produttori e distributori – compresi i rivenditori on-line – a registrarsi e partecipare ad un sistema di smaltimento e riciclaggio.

La novità più importante: senza registrazione, è vietato ai produttori e rivenditori vendere in Germania gli imballaggi – e quindi i prodotti in essi contenuti –, anche attraverso il commercio elettronico (articolo 9 comma 5). Le autorità possono infliggere ammende fino a EUR 200.000,00 (articolo 34 comma 1 e 2) ai produttori e ai rivenditori, compresi gli importatori, che non rispettano questa legge. In aggiunta, i concorrenti e le associazioni dei consumatori possono fare istanza affinché i produttori e rivenditori cessino qualunque attività di vendita (come deciso dal Tribunale Regionale Superiore di Hamm al 17.10.2006, causa n. 4 U 92/06, per un caso di non adempimento del  precedente RPA). Le autorità possono inoltre confiscare il profitto ricavato dalle vendite non conformi (articolo 10 della legge sulla concorrenza sleale) alla normativa.

Gli imballaggi che devono essere registrati e partecipare al sistema di smaltimento del nuovo GPA sono quelli per la vendita (o imballaggi primari – “Verkaufsverpackungen“) e gli imballaggi multipli (o imballaggi secondari – “Umverpackungen”) a due condizioni:

  1. contengono dei prodotti, e
  2. tipicamente finiscono, dopo essere stati utilizzati, come rifiuti presso (i) un consumatore finale privato o (ii) luoghi equivalenti di produzione di rifiuti (“gleichgestellte Anfallstellen“), in particolare:
  • ristoranti
  • alberghi,
  • mense,
  • amministrazioni,
  • ospedali,
  • istituzioni educative, caritatevoli o militari,
  • stazioni di servizio, ecc. – indipendentemente dalla quantità dei rifiuti prodotti,
    • piccole imprese artigiane e agricole – se i rifiuti di imballaggio prodotti sono raccolti in contenitori separati per la carta e il cartone, nonché imballaggi di plastica, metallici e compositi non superiori a 1.100 litri ciascuno e soggetti a smaltimento secondo il metodo tradizionale (invece di un tasso analogo a quello commerciale).

Questi obblighi valgono generalmente anche per i rivenditori online, poiché il nuovo GPA stabilisce esplicitamente che la nuova normativa si applica anche agli imballaggi per il trasporto: i rivenditori online, se i loro imballaggi soddisfano le condizioni di cui sopra, devono registrare i loro imballaggi e partecipare al sistema di smaltimento e riciclaggio. Ciò vale anche per i cosiddetti imballaggi secondari, nei quali i prodotti imballati vengono ulteriormente imballati. La Zentrale Stelle fornirà indicazioni su come interpretare l’AAP sotto forma di una linea guida e di un catalogo (che elenca, nella sua ultima bozza del 2018, 36 gruppi di prodotti per 417 prodotti) – che, nonostante sia stato annunciato per l’autunno 2018, non è ancora stato pubblicato (cfr. le ultime informazioni sul processo di consultazione).

Consigli pratici

  1. I produttori e tutti gli altri operatori economici che commercializzano in Germania dei prodotti confezionati devono rispettare la nuova legge, anche se hanno sede all’estero, se vendono in Germania. Il termine “produttore” è piuttosto ampio e comprende anche gli importatori e i distributori che mettono in circolazione per la prima volta gli imballaggi (articolo 3 comma 12 GPA).
  2. I produttori e i rivenditori non devono immettere nel mercato imballaggi che non sono registrati o non lo sono correttamente, pur essendo soggetti a registrazione. Il mancato rispetto delle norme può comportare gravi conseguenze, tra cui multe, richieste di risarcimento danni e confisca dei profitti.
  3. La nuova legge tedesca sugli imballaggi si applica dal 1° gennaio 2019, ad è in attuazione della Direttiva 94/62/CE (come il precedente regolamento tedesco sugli imballaggi). Il nuovo GPA mira ad aumentare ulteriormente gli standard ecologici e le condizioni specifiche per una concorrenza ben funzionante tra le imprese che partecipano al sistema duale per lo smaltimento e il riciclaggio dei rifiuti e per un comportamento equo tra tutte le parti sul mercato (sviluppando così gli obiettivi del precedente GPR).
  4. Non esiste nessun periodo di transizione. La registrazione, se non precedentemente prevista dal GPR, deve avvenire al più tardi entro il 01.01.2019. I produttori, gli importatori e i rivenditori, come tutti gli altri operatori economici interessati, possono facilmente registrarsi online: https://lucid.verpackungsregister.org/
  5. Alla luce delle definizioni di cui sopra, le eccezioni che non richiedono la registrazione sono, ad esempio, le seguenti:
  • gli imballaggi per l’esportazione che non finiranno come rifiuti in Germania;
  • gli imballaggi commerciali di grandi dimensioni che finiscono come rifiuti nel settore industriale, vale a dire non presso consumatori finali privati o in luoghi equivalenti di produzione di rifiuti;
  • gli imballaggi destinati a facilitare il trasporto, ma che di solito non vengono trasferiti al consumatore finale;
  • imballaggi riutilizzabili e imballaggi per la vendita di prodotti contenenti sostanze inquinanti.
  1. I produttori e i dettaglianti devono rispettare diverse altre leggi sugli imballaggi e la loro etichettatura se vendono i prodotti all’interno dell’Unione europea (cfr. la panoramica della Commissione europea qui).

On 1 January, the new Packaging Act (“Verpackungsgesetz”) will replace the existing Packaging Ordinance (“Verpackungsverordnung”). Non-compliance with the new rules may have very unpleasant consequences.

For those who sell packaged goods to end consumers in Germany it is high noon: they have to adapt to the new packaging law, which comes into force on January 1, 2019.

The main objective of the new law is that in the future all concerned parties will have to take responsibility and bear the costs of disposing their packaging. The legislator also wants to achieve the increase of the recycling rate of paper, plastic, metal or glass packaging, and to use as many readily recyclable materials as possible. Therefore, the fee that producers or distributors must pay for disposal will in future not only depend on the quantity and material type, but also more on the recyclability of the packaging.

Who is affected by this law?

Manufacturers, online dealers and distributors of packaged goods of all kinds.

Affected are all so-called initial distributors of packaging, which typically end up at the private end consumer. These can be manufacturers, online dealers and distributors of packaged goods of all kinds, whether food, electrical appliances or furniture.

All of them, if they place packaging on the market for the first time, must register with one of the dual systems already today and, depending on the quantity and material of the packaging waste, pay a participation fee to the German take-back system.

It is new from next year on that they additionally have to register with the Central Agency Packaging Register and specify the amount of waste.

This information will be publicly available. By doing so, the legislator wants to create transparency and ensure that all those who place “packaging” on the market fulfill their obligations.

Also new is that the fees, which so far have been simply calculated according to quantity and type of material, should in future also depend on how well a material can be recycled.

For example: Cardboard boxes, which usually consist of two-thirds of waste paper, are easily recyclable, as are aluminium cans, which can be reused to 100 percent. By contrast, the notorious coffee-to-go cups are not recyclable because they consist of a quasi-inseparable composite material.

How exactly the gradations will look is not yet certain, as the dual systems still work on the implementation.

Further innovations for beverage manufacturers and distributors

The law contains several other changes that are particularly important for beverage manufacturers and distributors. The compulsory deposit for disposable containers will be extended to include a few types of beverages that were previously exempted, such as carbonated fruit and vegetable nectars. A new duty has been introduced for retailers, who must point out “with clearly visible signs” on disposable and reusable beverage packaging.As from 1st of January 2019 companies must also file the so-called Declaration of Compliance (“Vollstaendigkeitserklaerung”) with the Central Agency Packaging Register and not anymore with the respective local Chamber of Industry and Commerce.

What is the Declaration of Compliance?

A Declaration of Compliance is a verification concerning the volumes of sales packaging placed into the market by a manufacturer / distributor within one calendar year.

The filing of the Declaration of Compliance, however, only affects larger manufacturers, since the de minimis limits are set quite high in this respect. For paper, cardboard or carton it is about 80 tons per year.

Pre-registration is already possible as from September 2018. It is important to note, however, that every company involved in the system must perform the registration and data reporting “personally”, meaning that this process may not be transferred to third parties.

The respective database run by the Central Agency Packaging Register is called LUCID. Manufacturers, online dealers or initial distributors who preregister with LUCID will receive a provisional registration number, which will be sent to the Dual system with which they can sign a contract. There are currently nine companies offering this. Manufacturers who preregister in 2018 will automatically receive a registration confirmation from the Central Agency Packaging Register at the beginning of 2019. The registration including the indication of quantities is free and can be done online.

The Central Agency Packaging Register is also responsible to monitor compliance with the regulations. However, at the end of the day, everyone can check the respective compliance as LUCID is a transparent register and open to everyone to search the register for specific manufacturers and brands.

The law explains why this can have quite unpleasant consequences:

In case the registration is omitted, there is automatically a ban on distribution of the packaging and there is a threat of fines to be imposed which may range up to 100.000 €! Due to the publicity of the register, agents not complying with the law may have to expect that their goods will be discontinued in the German trade.

Still unclear issues

The definition of packaging covered by this law is not quite clear. Transport packaging such as that used by a manufacturer for delivery to the dealer and disposed of there, for example, is not affected by the obligation to participate at the system and the new registration obligation. This packaging does not end up at the private end consumer. But what about wine boxes, for example? They are often only transport packaging, but some customers may take a whole box of their favorite wine with them. In addition, hotels and restaurants, such as those supplied by a retailer, are considered by law to be private end consumers.

The author of this post is Olga Dimopoulou

Benedikt Rohrssen

Practice areas

  • Agenzia
  • Distribuzione
  • e-commerce
  • Franchising
  • Investimenti

Scrivi a Germania – Contratti di distribuzione, Franchising e indennità di fine rapporto





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    Germany – How to set up a company – GmbH without opening a bank account

    10 Dicembre 2019

    • Germania
    • Diritto societario

    Riassunto: In Germania, al termine di un contratto di distribuzione, gli intermediari di una rete di distribuzione (in particolare, i distributori/franchisee) possono chiedere un’indennità al proprio produttore/fornitore, se si configura una fattispecie analoga a quella dell’agente commerciale. Tali condizioni sussistono se l’intermediario è integrato nella rete commerciale del fornitore ed è obbligato a trasferire il proprio portafoglio clienti al fornitore, cioè a trasmettere i dati dei propri clienti in modo che il fornitore possa immediatamente e senza ulteriori indugi sfruttare i vantaggi del portafoglio clienti al termine del contratto. Una recente decisione giudiziaria mira ora ad estendere il diritto all’indennità del distributore a casi in cui il fornitore abbia in qualche modo beneficiato del rapporto commerciale con il distributore, anche nel caso in cui il distributore non abbia fornito i dati dei clienti al fornitore. Questo articolo illustra tale novità e fornisce suggerimenti su come superare le incertezze emerse a seguito di questa nuova decisione.


    Un tribunale tedesco ha recentemente ampliato il diritto del distributore all’indennità di fine rapporto: i fornitori potrebbero dover pagare l’indennità ai propri distributori autorizzati anche nel caso in cui questi ultimi non fossero obbligati a trasferire la propria clientela al fornitore. Al contrario, potrebbe essere sufficiente il conseguimento di un qualsiasi avviamento – inteso come vantaggi sostanziali che, a seguito della cessazione del rapporto, il fornitore possa derivare dalla relazione commerciale con il distributore, indipendentemente da che cosa le parti abbiano stipulato nell’accordo di distribuzione.

    Questa decisione potrebbe influire su tutti i tipi di business in cui i prodotti siano venduti tramite distributori (e franchisee, vedi sotto) – in particolare, quindi, sul commercio al dettaglio (soprattutto per quanto riguarda prodotti di elettronica, cosmetica, gioielleria e talvolta anche moda), sul settore automobilistico e sul commercio all’ingrosso. I distributori sono imprenditori autonomi e indipendenti i quali vendono e promuovono i prodotti

    • stabilmente ed in nome proprio (differentemente dagli agenti commerciali),
    • per proprio conto (differentemente dagli agenti commissionari),
    • perciò sopportando il rischio ed i cui margini di profitto – per contro – sono piuttosto alti.

    Nel diritto tedesco i distributori sono meno protetti rispetto agli agenti commerciali. Tuttavia, anche i distributori e gli agenti commissionari (vedi qui) hanno diritto ad ottenere un’indennità alla cessazione del contratto, qualora sussistano due prerequisiti:

    • il distributore o agente commissionario sia integrato nella rete di vendita del concedente/fornitore (più di un semplice rivenditore) e
    • sia obbligato (contrattualmente o di fatto) ad inoltrare al fornitore i dati della clientela durante o al termine dell’esecuzione del contratto (Corte Federale tedesca, decisione del 26 novembre 1997, R.G. n. VIII ZR 283/96).

    Ora, il Tribunale Regionale di Norimberga-Fürth ha stabilito che il secondo prerequisito sussiste già se il distributore ha procurato un avviamento al concedente:

    l’unico fattore decisivo, ai fini di un’applicazione analogica, è se il convenuto (il concedente) ha tratto beneficio dalla relazione commerciale con l’attore (distributore). …

    … il concedente deve corrispondere un’indennità se ha un “avviamento”, ossia una giustificata aspettativa di profitto dalle relazioni commerciali con la clientela procurata dal distributore.

    (cfr. decisione del 27 novembre 2018, R.G. n. 2 HK O 10103/12).

    Al fine di giustificare tale estensiva applicazione, il tribunale ha fatto riferimento in via astratta alle conclusioni dell’avvocato generale della Corte UE nel caso Marchon/Karaszkiewicz, rese il 10 settembre 2015. Tale caso, tuttavia, non concerneva distributori, bensì il diritto all’indennità dell’agente commerciale, in particolare il concetto di “nuovi clienti” ai sensi della Direttiva 86/653/EEC sugli agenti commerciali.

    Nel presente caso, secondo il tribunale, è sufficiente che il fornitore abbia sul proprio computer i dati sui clienti procurati dal distributore e possa fare liberamente uso degli stessi. Altre ipotesi in cui potrebbe sorgere il diritto del distributore all’indennità, persino a prescindere dai dati concreti sulla clientela, sarebbero casi in cui il fornitore rilevi il negozio dal distributore e i clienti conseguentemente continuino a visitare proprio quel negozio anche dopo che il distributore lo ha lasciato.

    Consigli pratici:

    1. La decisione rende l’inquadramento giuridico dei distributori / franchisee meno chiaro. L’interpretazione estensiva del tribunale, tuttavia, deve essere vista alla luce della giurisprudenza della Corte Federale: ancora nel 2015, la Corte ha negato il diritto all’indennità ad un distributore, contestando la mancanza del secondo requisito, in quanto il distributore non era obbligato a trasferire i dati sulla clientela (decisione del 5 febbraio 2015, R.G. n. VII ZR 315/13, facendo seguito alla propria precedente decisione nel caso Toyota del 17 aprile 1996, R.G. n. VIII ZR 5/95). Inoltre, la Corte Federale ha negato ai franchisee il diritto all’indennità qualora il franchising abbia ad oggetto un business anonimo di massa e la clientela continui ad essere clientela regolare soltanto in via di fatto (decisione del 5 febbraio 2015, R.G. n. VII ZR 109/13 nel caso della catena di panetterie “Kamps”). Resta da vedere come si evolverà questa giurisprudenza.

    2. In ogni caso, prima di entrare nel mercato tedesco, i fornitori devono valutare se intendano assumersi il rischio di dover pagare un’indennità alla cessazione del contratto.

    3. Lo stesso vale per i franchisor: i franchisee saranno probabilmente in grado di far valere il diritto ad un’indennità sulla base dell’applicazione analogica della normativa sull’agenzia commerciale. Fino ad ora, la Corte Federale ha negato il diritto all’indennità del franchisee caso per caso, lasciando così aperta la questione se i franchisee possano in via generale far valere un tale diritto (cfr. ad esempio la decisione del 23 luglio 1997, R.G. n. VIII ZR 134/96 nella causa sui negozi Benetton). Nondimeno, i tribunali tedeschi potrebbero probabilmente riconoscere il diritto all’indennità nel caso del franchising distributivo (in cui il franchisee compra i prodotti dal franchisor), qualora la situazione sia simile alla distribuzione e all’agenzia commerciale. Questo potrebbe essere il caso in cui il franchisee sia stato incaricato di distribuire i prodotti del franchisor e solo il franchisor abbia, al termine del contratto, diritto ad accedere ai nuovi clienti acquisiti dal franchisee durante il contratto (cfr. Corte Federale tedesca, decisione del 29 aprile 2010, R.G. n. I ZR 3/09, Joop). Nessun diritto all’indennità, tuttavia, può essere fatto valere se

    • il franchise ha ad oggetto un business anonimo di massa e i clienti continuano ad essere regolari soltanto di fatto (decisione del 5 febbraio 2015, nella causa sulla catena di panetterie “Kamps”) o
    • nei franchising di produzione (contratti di imbottigliamento, ecc.), in cui il franchisor o titolare della licenza non opera nello stesso identico settore dei prodotti distribuiti dal franchisee / licenziatario (decisione del 29 aprile 2010, R.G. n. I ZR 3/09, Joop).

    4. Nel diritto tedesco, il diritto all’indennità dei distributori – o, potenzialmente, dei franchisee – può ancora essere escluso:

    • scegliendo di applicare al contratto un altro diritto sostanziale che non preveda un’indennità;
    • obbligando il fornitore a bloccare, non usare e, se necessario, cancellare i dati della clientela alla cessazione del contratto (Corte Federale tedesca, decisione del 5 febbraio 2015, R.G. n. VII ZR 315/13: “fatte salve le disposizioni riportate all’articolo [●] sotto, il fornitore deve bloccare i dati forniti dal distributore dopo che sarà terminata la partecipazione del distributore al servizio clienti, deve cessare di utilizzarli e, su richiesta del distributore, deve cancellarli.”). Sebbene tale disposizione contrattuale sembri essere diventata irrilevante alla luce della decisione del Tribunale di Norimberga sopraccitata, il Tribunale non ha fornito alcun argomento sul perché la consolidata giurisprudenza della Corte Federale non debba trovare più applicazione;
    • pattuendo espressamente l’esclusione del diritto all’indennità, il che, tuttavia, potrebbe funzionare solo qualora (i) il distributore operi al di fuori dello SEE e (ii) non sussista una norma locale inderogabile che preveda tale indennità (si veda l’articolo qui).

    5. Inoltre, se il fornitore accetta deliberatamente di pagare l’indennità in cambio di un solido portafoglio clienti con una quantità di dati potenzialmente utilizzabili in modo significativo (in conformità con il Regolamento UE sulla Protezione Generale dei dati), può pattuire con il distributore il pagamento di “quote d’ingresso” (“entry fees”), al fine di mitigare il peso della propria obbligazione. Il pagamento di tali quote d’ingresso o oneri contrattuali potrebbe essere posticipato fino alla cessazione del contratto e successivamente compensato con il diritto all’indennità del distributore.

    6. L’indennità di fine rapporto del distributore viene calcolata sulla base del margine di guadagno conseguito con nuovi clienti apportati dal distributore o con clienti già esistenti con cui il distributore abbia sensibilmente sviluppato gli affari. Il calcolo esatto può essere estremamente complesso ed i tribunali tedeschi applicano differenti metodi. In totale, l’indennità non può superare la media dei margini annualmente conseguiti dall’agente con tali clienti negli ultimi anni.

    The legal form of a GmbH (limited liability company) is very popular in Germany and is also one of the most frequently chosen forms of market entry for foreign investors. Its establishment is relatively simple and quick, the GmbH offers shareholders the desired limitation of liability and enjoys a high reputation in business relations, both in Germany and abroad. The statutory minimum share capital of 25,000 euros documents a certain seriousness and is intended to protect creditors.

    However, the opening of a German bank account to which the shareholders are to pay their capital contributions is usually a factual problem when setting up a GmbH; the capital stock must be provided before the company is registered in the German commercial register. On the one hand, it is not uncommon for German financial institutions to refuse to open accounts to foreign shareholders per se. On the other hand, it is almost standard today that the opening of a bank account for a new company in which foreign shareholders are to hold shares can take several weeks for various internal bank reasons. In practice, this means that the entry of the company in the commercial register can be suspended for several weeks or even months. Valuable time is lost, especially if you are about to start a project in Germany and everything is already prepared.

    Do you have to accept this unnecessary delay? No, not at all.

    There is a much faster and more acceptable way.

    A bank account is not required for the establishment of a GmbH. The German corporate law does not provide for this either. In practice, however, it has become common to open an account directly when a company is established. Of course, this only makes sense if the account is opened quickly and immediately. If, however, it is foreseeable in advance that there might be problems opening an account with a German bank, a different procedure is recommended.

    The managing director of the newly established GmbH (he is usually already appointed during the notarial establishment of the company) has to assure in the registration of the new company to the commercial register that the capital contributions are in the free and unrestricted disposal of the management. The law does not stipulate that this can only take place if the payment is made to a bank account of the GmbH. It is also possible and permissible for the managing director to opens a company cash box (cash register) in which the shareholders hand over the capital contributions in cash and the managing director notes the payment in the cash book. A copy of the cash book or a confirmation of the managing director can be handed over to the notary as proof of the payment, who then also forwards this copy to the commercial register.

    In the incorporation practice and experience of the author, this procedure has so far been accepted by the commercial registers without objection. All GmbHs founded in this way were successfully registered.

    The author of this post is Dominik Wagner.

    Al fine di creare un sistema di franchise (affiliazione commerciale) omogeneo dove tutti i franchisee devono adempiere ai medesimi requisiti, i franchisors (affilianti) usano di solito formulari standard di contratti di franchise, ossia contratti preformulati, redatti e forniti dal franchisor a un numero multiplo di franchisees (affiliati).

    In Germania, tali contratti di franchise devono essere conformi alle leggi tedesche, particolarmente severe, in materia di contratti redatti tramite moduli o formulari standard (anche nei rapporti B2B). Come regola generale, i contratti redatti su formulari standard devono essere equilibrati, al fine di essere validi. Viceversa, essi sono nulli se svantaggiano in modo irragionevole il franchisee, ed in particolare se:

    • non sono compatibili con princìpi essenziali di diritto, oppure
    • restringono diritti od obblighi essenziali derivanti dalla natura del contratto di franchise in misura tale che lo scopo contrattuale risulta minacciato.

    Lo stesso vale per prontuari, guide, handbooks o altri manuali: ai sensi del diritto tedesco, essi sono tutti da qualificarsi come contratti redatti tramite formulari standard (paragrafo 305 co. 1 del Codice Civile Tedesco [“BGB”]).

    Inoltre, i contratti di franchise non possono restringere in modo eccessivo la libertà economica del franchisee. Il rischio più grave – come recentemente confermato dalla Corte Federale – è che l’intero contratto di franchise sia nullo!

    Un contratto di franchise è nullo ed inefficace nella sua interezza, a causa di una violazione del paragrafo 138 BGB, qualora la libertà economica del franchisee sia eccessivamente diminuita a causa di un alto numero di disposizioni che avvantaggino il franchisor in modo unilaterale e svantaggino il franchisee, per cui al franchisee non sia garantita un’indennità nemmeno minimamente appropriata (…). Ciò richiede una valutazione generale dell’accordo contrattuale e delle circostanze che hanno portato alla conclusione del contratto. Indizi di un imbavagliamento immorale del franchisee possono consistere in una disposizione che preveda il rilascio di una procura all’incasso a favore del franchisor, dando quindi la possibilità a quest’ultimo di reindirizzare su sé stesso i pagamenti, così come disposizioni contrattuali le quali restringano la libertà economica del franchisee oltre quanto sia normalmente dovuto in un tale sistema distributivo.”

    (decisione dell’11.10.2018, fasc. n. VII ZR 298/17, numero a margine 17 [traduzione propria] – riguardante un contratto di licenza per agenti immobiliari).

    Indicazioni pratiche:

    1. Tale nuova decisione della Corte Federale è in linea con le decisioni, piuttosto restrittive e favore del franchisee, adottate dalla Corte già in passato (ad es. la decisione della Corte Federale su una catena di fast food del 12.11.1986, fasc. n. VIII ZR 279/85, numero a margine 10).
    2. Al fine di minimizzare i rischi di invalidità, i franchisors devono idealmente osservare dei requisiti di legge riguardanti contratti redatti su formulari standard, nonché le decisioni giudiziarie in materia di contratti di franchise. In base all’ultima decisione, di cui sopra, particolare attenzione deve essere esercitata qualora il contratto di franchise preveda una procura all’incasso in favore del franchisor. Una via d’uscita potrebbe essere la scelta di un altro diritto applicabile, nel caso in cui il franchisor abbia la propria sede al di fuori della Germania (cfr. Art. 3 Regolamento Roma I).
    3. Per una guida sulle campagne promozionali e sui prezzi dei frachisors e sulla loro conformità al diritto della concorrenza, consulta l’articolo “Franchising – Le promozioni a prezzi bassi possono costare care!

    Distribuzione digitale – Quale strategia?

    L’importanza della distribuzione via internet è aumentata nel corso degli anni, così come le restrizioni poste all’interno di contratti di distribuzione. Soprattutto i produttori di marchi rinomati mirano tanto a trarre vantaggio dalle opportunità del mercato digitale, quanto a preservare l’immagine dei loro prodotti. Conseguentemente, è frequente l’imposizione di diversi tipi di restrizioni sui  distributori, come emerge dal seguente grafico (fonte: Commissione Europea,  Relazione finale sull’indagine settoriale sul commercio elettronico, 10.05.2017):

    restrizioni distributori - legalmondo

    Tali misure compaiono nella distribuzione selettiva, in quella esclusiva, nel franchising e nella distribuzione aperta. Alcune misure perseguono interessi legittimi, come quello di assicurare una distribuzione di alta qualità, mentre altre misure possono concretizzarsi in restrizioni anticoncorrenziali del territorio e del prezzo di rivendita. Mentre le restrizioni nel business online sono cresciute, la loro regolamentazione segue a rilento: la Corte di giustizia UE ha posto una prima pietra miliare nel 2011 con la sua decisione “Pierre Fabre” sul divieto generale di vendite su internet e, nel 2018, ne ha posta un’altra con la famosa pronuncia “Coty Germany” – entrambe riguardanti  la distribuzione di prodotti (cosmetici) di lusso. Risultato:

    Un fornitore di prodotti di lusso può vietare ai suoi distributori autorizzati di vendere

    i prodotti su una piattaforma Internet terza” (Comunicato stampa n. 132/17 del 6 dicembre 2017).

    O, più brevemente l’Alta Corte Regionale di Francoforte nel 2018:

    Prodotti di lusso giustificano divieti di vendita online”.

    (Comunicato stampa n. 30/2018 del 12 luglio 2018, in applicazione dei principi guida della suprema corte europea sui divieti di vendite online).

    Per domande a cui sono state date risposte, altre ne sono sorte: solo il produttore di prodotti di lusso può proibire vendite online ai propri distributori? E se sì, che cos’è lusso? L’autorità per la concorrenza tedesca, il Bundeskartellamt, nella sua prima reazione dichiarava che la sentenza Coty dovrebbe applicarsi esclusivamente a prodotti originariamente di lusso:

    Produttori di marca non hanno ancora carte blanche su #divieti di piattaforme. Primo giudizio: “Limitato impatto sulla nostra attività” (Twitter, 6 dicembre 2017).

    La Commissione Europea ha preso posizione in senso opposto, stabilendo che l’argomento della Corte nella decisione Coty dovrebbe applicarsi anche alla distribuzione di altri prodotti, senza aver riguardo al loro carattere di lusso:

    Le argomentazioni apportate dalla Corte sono valide indipendentemente dalla categoria di prodotto coinvolta (ossia beni di lusso nel caso di specie) e sono ugualmente applicabili a prodotti non di lusso. Che un divieto di usare piattaforme abbia l’obiettivo di restringere il territorio nel quale, o i consumatori a cui il distributore può vendere i prodotti, o se limita le vendite passive del distributore, non può logicamente dipendere dalla natura del prodotto coinvolto.” (Competition Policy Brief, aprile 2018)

    Più di un anno dopo la decisione Coty, le norme non sono ancora al 100% chiare: tra i tribunali tedeschi, l’Alta Corte Regionale di Amburgo ha autorizzato il divieto di effettuare vendite su piattaforme terze anche con riguardo a prodotti non di lusso, i quali siano di alta qualità (decisione del 22 marzo 2018, fascicolo n. 3 U 250/16) – nella fattispecie, con riguardo a un sistema di distribuzione selettiva per integratori alimentari e cosmetici.

    se i beni venduti sono di alta qualità e la distribuzione è combinata a una consulenza al consumatore e servizi di assistenza paralleli, con lo scopo, tra gli altri, di illustrare al consumatore un prodotto finito e nel suo complesso sofisticato, di alta qualità e dal prezzo alto e di costruire o mantenere una specifica immagine del prodotto” (testo tradotto dalla versione originale in tedesco).

    Di recente, il Bundeskartellamt tedesco ha preso nuovamente posizione, riaffermando la propria prima posizione:

    “Le dichiarazioni della Corte di Giustizia UE, a tal riguardo, sono limitate a prodotti di lusso e non possono essere facilmente trasferite ad altri prodotti di marca (di alta qualità).” (Wettbewerbsbeschränkungen im Internetvertrieb nach Coty und Asics – wie geht es weiter?, 02.10.2018).

    I fornitori i quali vogliano agire in modo prudente  dovrebbero utlizzare ricorrere con cautela  a divieti di usare piattaforme al di fuori della distribuzione selettiva di prodotti di lusso. Per uno sguardo generale sulla prassi corrente con clausole contrattuali modello, vedi Rohrßen, Vertriebsvorgaben im E-Commerce 2018: Praxisübersicht und Folgen des “Coty”-Urteils des EuGH, in: GRUR-Prax 2018, 39-41 (in tedesco).

    La distribuzione diretta

    In alternativa, o in aggiunta, alle restrizioni in capo ai distributori i produttori si affidano spesso alla distribuzione diretta, vuoi per conto proprio con i propri dipendenti, vuoi attraverso agenti commerciali o tramite commissionari. Ciò significa che il rischio della distribuzione cade soltanto in capo al produttore e ciò comporta un grande vantaggio: i fornitori sono fondamentalmente svincolati dalle restrizioni del diritto antitrust e possono persino stabilire il prezzo di rivendita. Questo ha portato ad un aumento della distribuzione diretta in tutte le categorie di prodotti, compreso anche il settore automobilistico.

    I franchisor (affilianti) possono condurre campagne pubblicitarie a prezzi bassi. Tali campagne, tuttavia, possono costare care, se le stesse hanno un effetto anticoncorrenziale, in particolare se, di fatto, forzano il franchisee (affiliato) a offrire i prodotti ai prezzi più bassi.

    Un esempio interessante è quello della campagna sui prezzi per “l’hamburger della settimana”, oggetto della decisone del Tribunale regionale di Monaco di Baviera del  26 ottobre 2018 (fascicolo n. 37 O 10335/15).

    Il caso

    In aggiunta all’obbligazione di pagare royalties in cambio dell’uso dei sistemi di franchising e dei suoi marchi commerciali (5%), gli accordi di franchising obbligavano  i franchisee a pagare un compenso per la pubblicità parametrato sull’andamento delle vendite. Il franchisor usava i compensi pagati per la pubblicità dai franchisee, tra le altre cose, per pubblicizzare prodotti presenti sul menù dei franchisee a prezzi bassi, ad esempio con lo slogan “King of the Month”.

    Grazie alla partecipazione alle campagne pubblicitarie con relativi prezzi bassi, le vendite dei franchisee aumentavano e con esse anche le royalties che dovevano pagare al franchisor.

    Dopo un po’ di tempo, però, i franchisee realizzarono che tale campagna pubblicitaria causava loro un danno economico, perché i prodotti offerti a un prezzo basso cannibalizzavano la vendita dei prodotti offerti a prezzo normale (“effetto di cannibalizzazione”). Di qui la decisione di non partecipare alla campagna e chiedere una riduzione appropriata del compenso pubblicitario da pagare e di agire in giudizio al fine di far bloccare l’applicazione del compenso per la pubblicità in relazione alla campagna pubblicitaria contestata.

    Il Tribunale Regionale accoglieva entrambe le domande con la motivazione che  le campagne pubblicitarie avevano un effetto restrittivo della concorrenza, ossia della facoltà per il franchisor di stabilire propri prezzi di vendita, in contrasto con il paragrafo 1 e 2 (2) della Legge tedesca sulle restrizioni della concorrenza e art. 2 (1), art. 4 a) del Regolamento Europeo di Esenzione per categoria in base agli accordi verticali. In sostanza,  il franchisor determinava, secondo la Corte, il prezzo di rivendita tramite l’effetto vincolante di fatto della campagna pubblicitaria.

    La decisione è in linea con la precedenza giurisprudenza, in particolare con le decisioni della Corte Federale tedesca su campagne su prezzi minimi di franchisor nei settori di

    • Noleggio di autoveicoli (“Sixt ./. Budget”, 02.02.1999, fasc. n. KZR 11/97, par. 30),
    • Cibo per animali (“Fressnapf”, 04.02.2016, fasc. n. I ZR 194/14, para. 14), e
    • Occhiali nell’ambito di un sistema di distribuzione duale dove il franchisor vendeva i prodotti tramite le proprie filiali nonché tramite franchisee, senza far distinzione tra operazioni di filiale e di franchisee (“Apollo Optik”, 20.05.2003, fasc. n. KZR 27/02, para. 37).

    Indicazioni pratiche

    Le Obbligazioni che sono essenziali per far funzionare il sistema di franchise non restringono la competizione nell’ambito degli scopi delle norme UE sull’antitrust (in modo simile alla “dottrina delle restrizioni accessorie” presente nel diritto USA). In particolare, le seguenti restrizioni costituiscono i componenti tipicamente indispensabili per un accordo franchise applicabile:

    • Restrizioni del trasferimento di know-how;
    • Obbligazioni di non concorrenza (durante e dopo la scadenza dell’accordo), che proibiscano al franchisee di aprire un negozio di natura uguale o simile in una zona in cui potrebbe entrare in concorrenza con altri membri della rete di franchising;
    • Obbligazioni del franchisee di non trasferire il proprio negozio senza previa approvazione del franchisor.

    (cfr. Corte di Giustizia UE, 28.01.1986, caso “Pronuptia, fasc. n. 161/84 par. 16 e 17).

    I sistemi di franchise non sono esentati, di per sé, da divieti di restrizione di concorrenza. Perciò, si deve prestare attenzione nel conformarsi alle norme antitrust UE al fine di evitare pesanti sanzioni e assicurare l’esecuzione dell’accordo di franchising.

    Il divieto di fissazione di prezzo (o imposizione del prezzo di rivendita) si applica alla relazione tra il franchisor e il franchisee se il franchisee sopporta il rischio economico della propria impresa. Al fine di evitare che una tale campagna pubblicitaria con prezzi di rivendita raccomandati costituisca una fissazione del prezzo contraria alla concorrenza, occorre valutare approfonditamente il caso concreto. Ciò che consente di escludere  un effetto vincolante in via di fatto è:

    • L’aggiunta di una nota chiarificatrice: “Solo a ristoranti partecipanti a… . Fino ad esaurimento scorte.
    • Assicurare che tale nota sia chiaramente visibile, per es. aggiungendo un asterisco “*” al prezzo.
    • Evitare ogni misura che possa essere interpretata come pressione o incentivo per il franchisee e che trasformerebbe il prezzo raccomandato in un prezzo fisso (per es. perché un altro prezzo porterebbe a conseguenze negative).

    Tali campagne pubblicitarie possono funzionare – come mostra una decisione di una Corte UK del 2009 (BBC, caso Burger King, dove i franchisee avevano contestato al franchisor che “ una promozione dell’impresa richiedeva all’affiliato di vendere un doppio cheeseburger per $1 per un costo di produzione di $1.10”. La Corte in quel caso aveva ritenuto legittima la campagna, sulla base degli elementi sopra indicati, I franchisor possono persino imporre il prezzo di rivendita, ma occorre che tali campagne siano preparate con grande attenzione.

    Per un quadro d’insieme sul mantenimento di prezzi di rivendita, rimando al precedente articolo su Legalmondo Contratti di distribuzione e fissazione del prezzo minimo di rivendita.

    Il mantenimento di prezzi di rivendita può costare caro. Nel 2018, la Commissione Europea ha emesso multe dell’ammontare di circa 111 milioni di euro contro quattro produttori di elettrodomestici di consumo – Asus, Denon & Marantz, Philips e Pioneer – per aver fissato prezzi online di vendita fissi (cfr. Il comunicato stampa del 24 luglio 2018).

    Prodotti di lusso giustificano divieti di distribuire su piattaforme terze” recita il Comunicato stampa n. 30/2018 della Corte d’Appello di Francoforte del 12.07.2018.

    Dopo la sentenza Coty della CGUE, a lungo attesa (vedi l’articolo di dicembre 2017 https://www.legalmondo.com/it/2017/12/corte-di-giustizia-ue-ammette-la-restrizione-alle-vendite-online-sentenza-coty/), la Corte d’Appello di Francoforte sul Meno ha applicato le indicazioni della CGUE, (i) ribadendo la possibilità di limitare la rivendita attraverso piattaforme terze. Nel corso di questo post, inoltre, vedremo anche la (ii) recente pronuncia della Corte d’Appello di Amburgo, che ha esteso il principio della sentenza Coty anche ad altre merci dal valore qualitativo elevato, ma al di fuori del segmento del lusso. In conclusione, poi, (iii) alcuni suggerimenti pratici.

    Prodotti di lusso giustificano i divieti di usare piattaforme

    Ai sensi della sentenza della Corte d’Appello di Francoforte, Coty può inibire al distributore la distribuzione tramite piattaforme di terzi. Nel contratto di distribuzione selettiva adottato da Coty, ogni rivenditore era libero di instaurare cooperazioni pubblicitarie con piattaforme terze, nelle quali i clienti vengono indirizzati al negozio internet del rivenditore. Il divieto di distribuzione su market-place, sarebbe invece ammissibile già sulla base del Regolamento sulle esenzioni per categorie di accordi verticali, in quanto non rappresenterebbe una restrizione fondamentale. Il divieto di distribuzione potrebbe essere esentato persino dal divieto di cartelli nell’ambito di una distribuzione selettiva; nel presente caso sarebbe soltanto dubbio se il divieto di qualsiasi “cooperazione di vendita con una piattaforma terza riconoscibile esternamente da altri e senza riguardo alla sua concreta strutturazione stia in rapporto ragionevole con il fine perseguito” (testo tradotto dall’originale in tedesco), sia quindi proporzionato o incida sull’attività concorrenziale del rivenditore. La Corte ha lasciato aperta questa questione.

    Anche altri merci di alto valore giustificano i divieti di usare piattaforme

    Il caso deciso dalla Corte d’Appello di Amburgo (Decisione del 22.03.2018, fasc. n. 3 U 250/16) concerne un sistema di distribuzione selettiva qualitativo per integratori alimentari e cosmetici, il quale avviene tramite Network Marketing così come via Internet. Le linee guida distributive contengono, tra le altre cose, concrete indicazioni sulla pagina internet del rivenditore, possibilità di prendere direttamente contatto con i clienti in base al “principio della vendita di merci fatta su persona” (in quanto il sistema distributivo mira a vendere il prodotto tagliato sulle esigenze personali dei clienti nell’ambito di una consulenza personalizzata) così come della qualità dell’informazione e della rappresentazione del prodotto. Espressamente vietata sarebbe “la distribuzione … tramite eBay e altre piattaforme commerciali internet paragonabili”, in quanto esse non sarebbero conformi ai requisiti qualitativi, in ogni caso non “in base allo stato attuale” (testo tradotto dall’originale in tedesco).

    Il Tribunale di prima istanza ha ritenuto ammissibile il divieto di far uso di piattaforme (Tribunale di Amburgo, sentenza del 04.11.2016, fasc. n. 315 O 396/15) – cosa che la Corte d’Appello di Amburgo ha ora confermato. Ciò in quanto, secondo la Corte d’Appello, sistemi di distribuzione selettiva qualitativi sarebbero ammissibili non solo per beni di lusso e tecnicamente dal valore alto, bensì anche per (ulteriori) merci di alto valore qualitativo, “qualora le merci distribuite siano di alta qualità e la distribuzione sia indirizzata a prestazioni accompagnatorie di consulenza e assistenza per il cliente, con cui tra l’altro si persegue il fine di spiegare al cliente un prodotto finale il quale nel complesso sia sofisticato, qualitativamente di alto valore e dal prezzo elevato e di costruire o conservare una particolare immagine del prodotto” (testo tradotto dall’originale in tedesco).

    Nell’ambito di un tale sistema di distribuzione selettiva per la distribuzione di integratori alimentari e cosmetici potrebbe quindi essere ammissibile “tramite corrispondenti linee guida d’impresa, vietare al partner distributivo la distribuzione di tali merci su determinate piattaforme di vendita online, al fine di preservare l’immagine di prodotto e la prassi di una consulenza legata al cliente in grado di contribuire a creare tale immagine, così come al fine di evitare pratiche commerciali di singoli partner distributivi lesive dell’immagine del prodotto e dell’immagine, le quali siano state accertate nel passato e conseguentemente perseguite” (testo tradotto dall’originale in tedesco).

    Una particolarità qui: non si trattava di “puri prodotti di prestigio“ – inoltre la Corte d’Appello non si era limitata all’accertamento che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile ai sensi dell’art. 2 Regolamento sulle esenzioni per categorie di accordi verticali e pratiche concordate, ma la Corte ha declinato in modo preciso e passo-passo i c.d. criteri Metro. 

    Conclusioni

    1. Internet resta un motore di crescita per beni di consumo, come anche i dati di mercato della associazione commercianti della Germania confermano: “Online-Handel bleibt Wachstumstreiber“.
    2. Al tempo stesso, proprio i produttori di marca vogliono una crescita regolata ai sensi delle regole del loro sistema di distribuzione e secondo le loro indicazioni. Di ciò fanno parte, proprio per prodotti di lusso e tecnicamente sofisticati così come ulteriori prodotti richiedenti una consulenza intensiva, indicazioni stringenti sulla pubblicazione della marca e sulla pubblicità (indicazioni su clausole applicabili a negozi fisici, divieti di piazze di mercato) e sui servizi da fornire (ad es. chat e/o numero telefonico con indicazioni sulla disponibilità).
    3. I produttori dovrebbero verificare se i loro divieti di usare piattaforme siano conformi ai requisiti della CGUE oppure se essi possono instaurare divieti di usare piattaforme – nella distribuzione selettiva, esclusiva, di franchising e in quella aperta.
    4. Chi vuole correre minori rischi possibili, dovrebbe, al di fuori della distribuzione selettiva di merci di lusso, essere ancora prudente con divieti di usare piattaforme – ciò in quanto anche l’Ufficio Federale dei Cartelli ha come prima reazione dichiarato che la sentenza Coty vale solo per prodotti originariamente di lusso: #Produttori di marca non hanno, ora come prima, nessuna carta bianca per #divieti di piattaforme. Prima valutazione: Ripercussioni limitate sulla nostra prassi” (BKartA su Twitter, 6.12.2017). In senso contrario si è ora posizionata la Commissione Europea: nella sua “Competition Policy Brief” di Aprile 2018 („EU competition rules and marketplace bans: Where do we stand after the Coty judgment?“) la Commissione – alquanto tra parentesi – tiene fermo il fatto che l’argomentazione adottata dalla CGUE nel caso Coty vale anche indipendentemente dal carattere di lusso dei prodotti distribuiti:

    Gli argomenti prodotti dalla Corte sono validi indipendentemente dalla categoria di prodotti coinvolti (ossia, nel caso di specie, beni di lusso) e sono applicabili egualmente a prodotti non di lusso. Se un divieto di usare piattaforme ha l’obiettivo di restringere il territorio in cui il prodotto può essere venduto o i consumatori a cui il distributore può vendere i prodotti o se limita le vendite passive del distributore, ciò non può logicamente dipendere dalla natura del prodotto coinvolto.” (traduzione dal testo originale in inglese)

    Effettivamente la Corte di Giustizia UE nella sentenza ha definito “merci di lusso” in modo ampio: come merci la cui qualità “non poggia solo sulle sue caratteristiche materiali”, bensì su valori immateriali – cosa che per quanto riguarda merci di marca generalmente risulta vero (cfr. sentenza Coty della Corte di Giustizia UE del 06.12.2017, n. 25 così come, per quanto riguarda “merci di qualità”, le Conclusioni finali del 26.07.2017 dell’Avvocato Generale presso l’UE, n. 92). Inoltre la Corte di Giustizia UE richiede soltanto che le merci siano comprate “anche” per il loro carattere di prestigio, non “soltanto” o “soprattutto” per quello. Tutto ciò gioca a favore dei produttori di marca, che pare possano assumere divieti di utilizzo di piattaforme nei loro contratti di distribuzione – quantomeno entro una quota di mercato fino a un massimo del 30%.

    1. Chi non ha alcun timore di affrontare rivenditori e autorità dei cartelli, può erigere divieti di utilizzo di piattaforme assolutamente anche al di fuori della distribuzione selettiva di merci di lusso – o puntare in modo ancora più forte su prodotti Premium o di lusso – come ad esempio nel caso della catena di profumi Douglas (cfr. Süddeutsche Zeitung dell’08.03.2018, pag. 15: “Attiva e non convenzionale, Tina Müller termina gli sconti presso Douglas e punta sul lusso”(traduzione dal testo originale in tedesco)).
    2. Per assicurare una qualità uniforme della distribuzione si possono inserire delle indicazioni qualitative stringenti, soprattutto rispetto alla distribuzione online. La lista delle possibili indicazioni qualitative è molto ampia. Tra questi, si riportano alcune “Best Practice” piuttosto frequenti:

    – Il posizionamento come rivenditore (piattaforma, assortimento, comunicazione)

    – la configurazione della pagina internet (qualità, l’impressione, ecc.)

    – il contenuto e l’offerta di prodotto della pagina internet,

    – la esecuzione delle compravendite online,

    – la consulenza e il servizio clienti così come

    – la pubblicità.

    1. Essenziale è inoltre che i produttori non possono vietare completamente il commercio internet ai rivenditori e le indicazioni distributive non possono nemmeno avvicinarsi a un tale completo divieto – come ora vedono i tribunali nel caso del divieto di usare strumenti di ricerca dei prezzi da parte di Asics, vedi a tal riguardo l’articolo dell’aprile 2018 (https://www.legalmondo.com/it/2018/04/germania-divieto-strumenti-di-comparazione-prezzi-e-pubblicita-su-piattaforme-terze/).
    2. Ulteriori dettagli sono presenti nelle riviste giuridiche in lingua tedesca:

    – Rohrßen, Vertriebsvorgaben im E-Commerce 2018: Praxisüberblick und Folgen des „Coty“-Urteils des EuGH, in: GRUR-Prax 2018, 39-41

    – Rohrßen, Internetvertrieb von Markenartikeln: Zulässigkeit von Plattform-verboten nach dem EuGH-Urteil Coty, in: DB 2018, 300-306

    – Rohrßen, Internetvertrieb: „Nicht Ideal(o)“ – Kombination aus Preissuchmaschinen-Verbot und Logo-Klausel, in: ZVertriebsR 2018, 120-123

    – Rohrßen, Internetvertrieb nach Coty – Von Markenware, Beauty und Luxus: Plattformverbote, Preisvergleichsmaschinen und Geoblocking, in: ZVertriebsR 2018, 277-285.

    Il 1° gennaio 2019 entra in vigore la nuova legge tedesca sugli imballaggi (“Verpackungsgesetz”, abbreviata qui come “GPA” [German Packaging Act]), che sostituisce il regolamento tedesco sugli imballaggi del 1998 (“GPR” [German Packaging Regulation]). Il nuovo GPA obbliga un maggior numero di produttori e distributori – compresi i rivenditori on-line – a registrarsi e partecipare ad un sistema di smaltimento e riciclaggio.

    La novità più importante: senza registrazione, è vietato ai produttori e rivenditori vendere in Germania gli imballaggi – e quindi i prodotti in essi contenuti –, anche attraverso il commercio elettronico (articolo 9 comma 5). Le autorità possono infliggere ammende fino a EUR 200.000,00 (articolo 34 comma 1 e 2) ai produttori e ai rivenditori, compresi gli importatori, che non rispettano questa legge. In aggiunta, i concorrenti e le associazioni dei consumatori possono fare istanza affinché i produttori e rivenditori cessino qualunque attività di vendita (come deciso dal Tribunale Regionale Superiore di Hamm al 17.10.2006, causa n. 4 U 92/06, per un caso di non adempimento del  precedente RPA). Le autorità possono inoltre confiscare il profitto ricavato dalle vendite non conformi (articolo 10 della legge sulla concorrenza sleale) alla normativa.

    Gli imballaggi che devono essere registrati e partecipare al sistema di smaltimento del nuovo GPA sono quelli per la vendita (o imballaggi primari – “Verkaufsverpackungen“) e gli imballaggi multipli (o imballaggi secondari – “Umverpackungen”) a due condizioni:

    1. contengono dei prodotti, e
    2. tipicamente finiscono, dopo essere stati utilizzati, come rifiuti presso (i) un consumatore finale privato o (ii) luoghi equivalenti di produzione di rifiuti (“gleichgestellte Anfallstellen“), in particolare:
    • ristoranti
    • alberghi,
    • mense,
    • amministrazioni,
    • ospedali,
    • istituzioni educative, caritatevoli o militari,
    • stazioni di servizio, ecc. – indipendentemente dalla quantità dei rifiuti prodotti,
      • piccole imprese artigiane e agricole – se i rifiuti di imballaggio prodotti sono raccolti in contenitori separati per la carta e il cartone, nonché imballaggi di plastica, metallici e compositi non superiori a 1.100 litri ciascuno e soggetti a smaltimento secondo il metodo tradizionale (invece di un tasso analogo a quello commerciale).

    Questi obblighi valgono generalmente anche per i rivenditori online, poiché il nuovo GPA stabilisce esplicitamente che la nuova normativa si applica anche agli imballaggi per il trasporto: i rivenditori online, se i loro imballaggi soddisfano le condizioni di cui sopra, devono registrare i loro imballaggi e partecipare al sistema di smaltimento e riciclaggio. Ciò vale anche per i cosiddetti imballaggi secondari, nei quali i prodotti imballati vengono ulteriormente imballati. La Zentrale Stelle fornirà indicazioni su come interpretare l’AAP sotto forma di una linea guida e di un catalogo (che elenca, nella sua ultima bozza del 2018, 36 gruppi di prodotti per 417 prodotti) – che, nonostante sia stato annunciato per l’autunno 2018, non è ancora stato pubblicato (cfr. le ultime informazioni sul processo di consultazione).

    Consigli pratici

    1. I produttori e tutti gli altri operatori economici che commercializzano in Germania dei prodotti confezionati devono rispettare la nuova legge, anche se hanno sede all’estero, se vendono in Germania. Il termine “produttore” è piuttosto ampio e comprende anche gli importatori e i distributori che mettono in circolazione per la prima volta gli imballaggi (articolo 3 comma 12 GPA).
    2. I produttori e i rivenditori non devono immettere nel mercato imballaggi che non sono registrati o non lo sono correttamente, pur essendo soggetti a registrazione. Il mancato rispetto delle norme può comportare gravi conseguenze, tra cui multe, richieste di risarcimento danni e confisca dei profitti.
    3. La nuova legge tedesca sugli imballaggi si applica dal 1° gennaio 2019, ad è in attuazione della Direttiva 94/62/CE (come il precedente regolamento tedesco sugli imballaggi). Il nuovo GPA mira ad aumentare ulteriormente gli standard ecologici e le condizioni specifiche per una concorrenza ben funzionante tra le imprese che partecipano al sistema duale per lo smaltimento e il riciclaggio dei rifiuti e per un comportamento equo tra tutte le parti sul mercato (sviluppando così gli obiettivi del precedente GPR).
    4. Non esiste nessun periodo di transizione. La registrazione, se non precedentemente prevista dal GPR, deve avvenire al più tardi entro il 01.01.2019. I produttori, gli importatori e i rivenditori, come tutti gli altri operatori economici interessati, possono facilmente registrarsi online: https://lucid.verpackungsregister.org/
    5. Alla luce delle definizioni di cui sopra, le eccezioni che non richiedono la registrazione sono, ad esempio, le seguenti:
    • gli imballaggi per l’esportazione che non finiranno come rifiuti in Germania;
    • gli imballaggi commerciali di grandi dimensioni che finiscono come rifiuti nel settore industriale, vale a dire non presso consumatori finali privati o in luoghi equivalenti di produzione di rifiuti;
    • gli imballaggi destinati a facilitare il trasporto, ma che di solito non vengono trasferiti al consumatore finale;
    • imballaggi riutilizzabili e imballaggi per la vendita di prodotti contenenti sostanze inquinanti.
    1. I produttori e i dettaglianti devono rispettare diverse altre leggi sugli imballaggi e la loro etichettatura se vendono i prodotti all’interno dell’Unione europea (cfr. la panoramica della Commissione europea qui).

    On 1 January, the new Packaging Act (“Verpackungsgesetz”) will replace the existing Packaging Ordinance (“Verpackungsverordnung”). Non-compliance with the new rules may have very unpleasant consequences.

    For those who sell packaged goods to end consumers in Germany it is high noon: they have to adapt to the new packaging law, which comes into force on January 1, 2019.

    The main objective of the new law is that in the future all concerned parties will have to take responsibility and bear the costs of disposing their packaging. The legislator also wants to achieve the increase of the recycling rate of paper, plastic, metal or glass packaging, and to use as many readily recyclable materials as possible. Therefore, the fee that producers or distributors must pay for disposal will in future not only depend on the quantity and material type, but also more on the recyclability of the packaging.

    Who is affected by this law?

    Manufacturers, online dealers and distributors of packaged goods of all kinds.

    Affected are all so-called initial distributors of packaging, which typically end up at the private end consumer. These can be manufacturers, online dealers and distributors of packaged goods of all kinds, whether food, electrical appliances or furniture.

    All of them, if they place packaging on the market for the first time, must register with one of the dual systems already today and, depending on the quantity and material of the packaging waste, pay a participation fee to the German take-back system.

    It is new from next year on that they additionally have to register with the Central Agency Packaging Register and specify the amount of waste.

    This information will be publicly available. By doing so, the legislator wants to create transparency and ensure that all those who place “packaging” on the market fulfill their obligations.

    Also new is that the fees, which so far have been simply calculated according to quantity and type of material, should in future also depend on how well a material can be recycled.

    For example: Cardboard boxes, which usually consist of two-thirds of waste paper, are easily recyclable, as are aluminium cans, which can be reused to 100 percent. By contrast, the notorious coffee-to-go cups are not recyclable because they consist of a quasi-inseparable composite material.

    How exactly the gradations will look is not yet certain, as the dual systems still work on the implementation.

    Further innovations for beverage manufacturers and distributors

    The law contains several other changes that are particularly important for beverage manufacturers and distributors. The compulsory deposit for disposable containers will be extended to include a few types of beverages that were previously exempted, such as carbonated fruit and vegetable nectars. A new duty has been introduced for retailers, who must point out “with clearly visible signs” on disposable and reusable beverage packaging.As from 1st of January 2019 companies must also file the so-called Declaration of Compliance (“Vollstaendigkeitserklaerung”) with the Central Agency Packaging Register and not anymore with the respective local Chamber of Industry and Commerce.

    What is the Declaration of Compliance?

    A Declaration of Compliance is a verification concerning the volumes of sales packaging placed into the market by a manufacturer / distributor within one calendar year.

    The filing of the Declaration of Compliance, however, only affects larger manufacturers, since the de minimis limits are set quite high in this respect. For paper, cardboard or carton it is about 80 tons per year.

    Pre-registration is already possible as from September 2018. It is important to note, however, that every company involved in the system must perform the registration and data reporting “personally”, meaning that this process may not be transferred to third parties.

    The respective database run by the Central Agency Packaging Register is called LUCID. Manufacturers, online dealers or initial distributors who preregister with LUCID will receive a provisional registration number, which will be sent to the Dual system with which they can sign a contract. There are currently nine companies offering this. Manufacturers who preregister in 2018 will automatically receive a registration confirmation from the Central Agency Packaging Register at the beginning of 2019. The registration including the indication of quantities is free and can be done online.

    The Central Agency Packaging Register is also responsible to monitor compliance with the regulations. However, at the end of the day, everyone can check the respective compliance as LUCID is a transparent register and open to everyone to search the register for specific manufacturers and brands.

    The law explains why this can have quite unpleasant consequences:

    In case the registration is omitted, there is automatically a ban on distribution of the packaging and there is a threat of fines to be imposed which may range up to 100.000 €! Due to the publicity of the register, agents not complying with the law may have to expect that their goods will be discontinued in the German trade.

    Still unclear issues

    The definition of packaging covered by this law is not quite clear. Transport packaging such as that used by a manufacturer for delivery to the dealer and disposed of there, for example, is not affected by the obligation to participate at the system and the new registration obligation. This packaging does not end up at the private end consumer. But what about wine boxes, for example? They are often only transport packaging, but some customers may take a whole box of their favorite wine with them. In addition, hotels and restaurants, such as those supplied by a retailer, are considered by law to be private end consumers.

    The author of this post is Olga Dimopoulou