Germania – Distribuzione commerciale e rivenditori non autorizzati

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I produttori di marca e i concessionari di licenze sul marchio (detti anche “licenziatari”) hanno spesso un interesse a proibire l’uso del loro marchio da parte di rivenditori non autorizzati, cioè operanti sul mercato “grigio”. Recentemente un tribunale tedesco ha autorizzato un concessionario di un marchio a proibire a un rivenditore non autorizzato la distribuzione di tali beni sul mercato grigio sia online che offline. Ciò in quanto tale distribuzione minaccia di danneggiare la reputazione del marchio registrato.

Produttore di beni di lusso vieta la rivendita online e offline da parte di un rivenditore non autorizzato

Oggetto della questione è se il licenziatario del marchio, sulla base dei propri diritti sul marchio, possa proibire la vendita di prodotti di lusso da parte di rivenditori non autorizzati. Nel caso di specie, il licenziatario è l’affiliato tedesco di un produttore giapponese di prodotti cosmetici di lusso. Esso distribuisce i prodotti, di alta qualità e dal valore molto alto, tramite un sistema di distribuzione selettiva. Il rivenditore non autorizzato è un rivenditore che agisce al di fuori del sistema di distribuzione selettiva. Esso vende prodotti alimentari, beni per la casa, apparecchi elettronici, tessuti, scarpe e, oltre a ciò, anche prodotti cosmetici nella propria piattaforma online e nei propri negozi fisici. Il licenziatario del marchio chiede che al rivenditore non autorizzato sia proibito di distribuire, sia online che offline, prodotti cosmetici i quali rechino il marchio stesso.

Condizioni e motivi per la proibizione del mercato “grigio” delle vendite

La Corte d’Appello di Düsseldorf ha confermato l’ingiunzione originariamente concessa dal Tribunale, sostenendo che una pretesa a un rimedio monitorio sussiste ai sensi del Regolamento sul marchio dell’Unione europea 2017/1001 (Art. 9 co. 2 lett. a). Il rivenditore non autorizzato non potrebbe invocare il principio di esaurimento (art. 15 del Regolamento sul marchio dell’Unione europea), anche qualora il prodotto sia stato posto sul mercato in presenza di / con il consenso del licenziatario (decisione del 6 marzo 2018, caso n. I-20 U 113/17).

Invece, sussisteva una ragione legittima per una pretesa alla proibizione sulla base del Regolamento sul marchio dell’Unione europea (art. 15 co. 2) – con la conseguenza che i diritti sul marchio del licenziatario non erano esauriti. Tale diritto alla proibizione sussiste aldilà degli esempi legislativi della “modificazione” o dell’ “alterazione” dei beni, se l’uso del marchio rischia di danneggiare la reputazione che tali beni godono (cfr. Corte di Giustizia UE, caso C-337/95, “Dior/Evora”). In particolare, i rivenditori non dovrebbero danneggiare l’immagine di lusso di marchi aventi carattere lussuoso e di prestigio tramite i loro messaggi pubblicitari. Comunque, il proprietario del marchio potrebbe proibire l’uso del marchio soltanto se tale uso da parte del rivenditore “danneggia in modo sostanziale” la reputazione del marchio o, come la Corte d’Appello sembra altresì considerare, se “vi è il rischio di un danno alla reputazione” (punto 29 e ss.). Tale danno alla reputazione potrebbe essere causato, per esempio, dall’uso di un canale di distribuzione non conforme al sistema di distribuzione. Ciò sarebbe confermato altresì dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sulla distribuzione e antitrust nei casi L’Oréal (caso C-31/80), Copad/Dior (caso C-59/08), Pierre Fabre (caso C-439/09) e – più recentemente – Coty Germany (caso C-230/16; vedi qui l’articolo precedente sulle restrizioni alle vendite online): in base a tali decisioni, i produttori di lusso possono proibire ai loro distributori la vendita su piattaforme di terze parti ai fine di mantenere l’immagine di lusso dei beni in questione. Il criterio del “danno all’immagine di lusso” dovrebbe, secondo la Corte d’Appello, essere interpretato in modo uniforme nel diritto dei marchi e nel diritto antitrust sulla distribuzione.

Nel presente caso di distribuzione di prodotti cosmetici di lusso, la Corte ha visto un rischio di danno all’immagine di lusso del prodotto nel caso sia di vendita su piattaforma online (punto 32 e ss.), che attraverso negozio al dettaglio (punto 38 e ss.): in essi la presentazione del prodotto finirebbe per declassare i marchi di lusso a marchi normali – perciò differendo fortemente dai criteri di vendita restrittivi imposti ai rivenditori autorizzati – in quanto il rivenditore non autorizzato offre anche e soprattutto beni per l’uso quotidiano, includenti articoli a basso prezzo, presentanti in modo semplice, in stile “offerta speciale”, senza particolari esaltazioni, in modo indiscriminato e senza offrire alcun servizio di consulenza.

Consigli pratici

  1. I produttori di beni di lusso possono proibire a rivenditori non autorizzati di vendere i loro prodotti di marca attraverso canali di distribuzione contrari al sistema di distribuzione, solo se vi è il rischio di un danno alla loro reputazione. Al fine di affermare l’esistenza di un tale rischio è d’aiuto avere – o stabilire – chiare ed elaborate linee guida sulla vendita e sui criteri di distribuzione nei confronti dei distributori autorizzati, le quali sottolineino chiaramente l’immagine di lusso dei marchi e dei beni nonché il loro carattere di prestigio.
  2. Resta da vedere se la decisione darà luogo a una prassi decisoria più ampia e uniforme all’interno dell’UE (la libera circolazione di beni dev’essere tenuta in conto, vedi Corte Federale Tedesca nel caso “Klacid Pro”, punto 24). In ogni caso, la decisione è in linea con la prassi decisoria sugli accordi di distribuzione selettiva e auspica comprensibilmente una interpretazione uniforme del diritto dei marchi e del diritto antitrust sulla distribuzione – come già fatto dall’Avvocato Generale nel caso Coty riguardante divieti di usare piattaforme di terze parti (punto 71 e ss. delle sue Conclusioni).
  3. Resta inoltre da vedere se a produttori di marca anche al di fuori del segmento del lusso verrà concesso un rimedio monitorio contro rivenditori non autorizzati. Per quanto riguarda i rivenditori autorizzati, si può sostenere che non solo produttori di lusso, ma anche produttori di marca in generale possono proibire la vendita tramite piattaforme di terze parti (vedi il precedente articolo sulle restrizioni alle vendite online). In ogni caso, la prassi decisoria sulle vendite online sta divenendo sempre più chiara, vedi, per esempio, il precedente articolo sui motori di ricerca sui prezzi, qui.
  4. Protezione del marchio all’interno dell’Europa: quando vendono i prodotti all’interno dello Spazio Economico Europeo (= UE più Liechtenstein, Islanda e Norvegia), i produttori di marca e i licenziatari di marchi registrati possono proteggere i loro marchi registrati tramite un doppio sistema: (i) un unico marchio protetto lungo tutto lo Spazio economico europeo e (ii) singoli marchi registrati in ogni paese, in modo da coprire tutti gli stati membri UE. Registrare un marchio UE conferisce al proprietario i diritti esclusivi sullo stesso, e lo autorizza in particolare di proibire:
  • l’apposizione del segno sui prodotti o sul loro imballaggio;
  • l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;
  • l’importazione o l’esportazione dei prodotti sotto la copertura del segno;
  • l’uso del segno come nome commerciale o denominazione sociale o come parte di essi;
  • l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità;
  • l’uso del segno nella pubblicità comparativa in una maniera contraria alla direttiva 2006/114/CE (art. 9 co. 3 del Regolamento sul marchio dell’Unione europea).

Tali diritti, tuttavia sono esauriti (non possono più essere esercitati) con riguardo a beni recanti il marchio registrato che siano stati immessi nello Spazio economico europeo con il senso del proprietario (cosiddetto principio di esaurimento). Eccezione: un proprietario potrebbe ancora proibire l’ulteriore commercializzazione dei beni in presenza di ragioni legittime. Tali ragioni sussistono, in particolare, laddove lo stato dei beni sia mutato o manomesso dopo che gli stessi sono stati immessi sul mercato, o laddove la vendita di beni recanti il marchio registrato rischi di danneggiare la reputazione, come nel presente caso tedesco.

Benedikt Rohrssen
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