Germania – Divieto strumenti di comparazione prezzi e pubblicità su piattaforme terze

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Secondo l’indagine settoriale dell’Unione Europea sul commercio elettronico, più del 50% dei market online e il 36% dei rivenditori inoltra i propri prezzi a motori di ricerca dei prezzi come ad esempio Idealo.it, trovaprezzi.it o kelkoo.it. Il 10% dei rivenditori, per contro, sottostà a divieti di utilizzo di motori di ricerca dei prezzi (cfr. Relazione finale, pag. 11).

Tuttavia recentemente la Corte Federale Tedesca ha dichiarato illegittima l’imposizione di un divieto di utilizzo di motore di ricerca dei prezzi. Nel caso di specie, Asics proibiva generalmente ai rivenditori di utilizzare motori di ricerca dei prezzi per il commercio online con una clausola che prevedeva:

Oltre a ciò, il rivenditore autorizzato … non può … supportare la funzionalità di motori di ricerca dei prezzi, fornendo l’interfaccia applicativa specifica (“API”) a tali strumenti di comparazione”.

Oltre a ciò, il contratto conteneva un esteso divieto di effettuare pubblicità su piattaforme di terze parti. Asics proibiva cioè ai rivenditori di consentire che terzi potessero utilizzare il marchio ASICS in qualsiasi forma sulla propria pagina internet, anche se al solo fine di indirizzare i clienti verso la pagina internet dei rivenditori autorizzati ASICS.

Il contratto di distribuzione di Asics è stato sottoposto dapprima a un’investigazione nell’ambito di un programma pilota da parte dell’Ufficio Federale dei Cartelli (un altro programma pilota era stato iniziato contro Adidas in quanto molti rivenditori di articoli sportivi si erano lamentati delle imposizioni, per quanto riguarda la distribuzione internet, formulate da parte di produttori di articoli sportivi). Nel 2015 l’Ufficio Federale dei Cartelli (“Bundeskartellamt”) riteneva che il divieto di utilizzare motori ricerca dei prezzi, così come imposto da Asics, fosse anticoncorrenziale, in quanto violerebbe l’art. 101 co. 1 TFUE e il § 1 della Legge tedesca sulle limitazioni della concorrenza. Infatti, il divieto mirerebbe principalmente a controllare il fenomeno della concorrenza tra prezzi, limitando la stessa a spese del consumatore (cfr. Ordinanza del 26.08.2016, n. fasc. B2-98/11, punto 403 e ss.). Tale decisione veniva confermata in prima battuta dalla Corte d’Appello di Düsseldorf (ordinanza del 05.04.2017, n. fasc. VI-Kart 13/15 (V) – vedi l’articolo su Legalmondo qui).

Ora la decisione è stata ribadita anche dalla Corte Federale Tedesca (ordinanza del 12.12.2017, n. fasc. KVZ 41/17). La decisione del caso Asics è particolarmente degna di nota, in quanto rappresenta la prima decisione di un tribunale tedesco successivamente alla sentenza Coty della Corte di Giustizia UE sui divieti di distribuire su piattaforme internet (vedi qui l’articolo Legalmondo). Essa costituisce quindi una prima indicazione su come i tribunali tratteranno in futuro le restrizioni alle rivendite su internet.

Così, la Corte Federale Tedesca sostiene che la previsione di un divieto generale di utilizzare motori di ricerca dei prezzi limiti “quantomeno” la vendita passiva al consumatore finale (cfr. punti 23, 25), e che questo anzi sarebbe proprio lo scopo del divieto di utilizzare motori di ricerca dei prezzi. Secondo la Corte, dall’ammissibilità della previsione di divieto di rivendere su piattaforme internet di terzi (come affermato nella sentenza Coty, vedi qui) non discenderebbe per ciò stesso l’ammissibilità di divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi (cfr. punti 28 e ss.). In particolare, sarebbe l’uso combinato di limitazioni” – ossia del divieto di usare motori di ricerca dei prezzi e di effettuare pubblicità su piattaforme terze – a fare la differenza. Con ciò eventuali consumatori interessati non godrebbero più “in modo effettivo” di un accesso all’offerta internet del rivenditore (punto 30), sebbene la Corte non chiarisca cosa sia sufficiente e/o necessario affinché un tale accesso sia assicurato “in modo effettivo”.

Conclusioni pratiche

  1. A livello comunitario, la Corte di Giustizia UE e la Commissione Europea non hanno preso posizione sull’efficacia o inefficacia di divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi. Nel Regno Unito, tuttavia, la Competition and Markets Authority ha un’opinione analoga alla prassi dell’amministrazione e giurisprudenza tedesca (“BMW cambia politica sui siti di comparazione dei prezzi di autovetture, seguendo la decisione CMA”).
  2. Nella pratica dovrebbe valere, pertanto, la seguente differenziazione, già prefigurata dalla Corte d’Appello di Düsseldorf (caso Asics) e dalla Corte d’Appello di Francoforte (caso Deuter), di cui alla decisione della Corte Federale Tedesca:
  • Divieti generali di usare motori di ricerca dei prezzi sono da considerare, ai sensi della Corte Federale Tedesca, limitativi della concorrenza e perciò nulli – sebbene possano essere, viceversa, efficaci, qualora non li si combini con un ampio divieto di pubblicità, al fine di assicurare l’ampio accesso alla pagine internet del rivenditore da parte di consumatori interessati all’acquisto.
  • Divieti individuali di usare motori di ricerca dei prezzi, ulteriori misure più morbide nonché indicazioni sull’uso dei portali di comparazione di prezzi sono, viceversa, legittimi, ad esempio con riguardo alla riproduzione di immagini del prodotto o a descrizioni o al settore di cui il prodotto fa parte (così come, ad esempio, il requisito che il commerciante possa offrire soltanto prodotti nuovi).

Per ulteriori dettagli sul punto si veda l’articolo in lingua tedesca Rohrßen, Internetvertrieb: „Nicht Ideal(o)“ – Kombination aus Preissuchmaschinen-Verbot und Logo-Klausel, in: ZVertriebsR 2018, pag. 118 ss.

  1. Inoltre, i produttori possono vietare, nell’ambito di una rete di distribuzione esclusiva, la pubblicità attiva online rivolta a consumatori, nella misura in cui il produttore si riservi tale facoltà o la conferisca a un altro distributore e specifichi le lingue utilizzate. In linea di massima, tutti i criteri qualitativi potenzialmente immaginabili sono permessi, purché gli stessi siano equivalenti ai criteri adottati nella rivendita offline, sulla base del principio di equivalenza (in quanto “La Commissione considera pertanto come una restrizione fondamentale qualsiasi obbligo che impedisce ai rivenditori designati l’utilizzo di Internet per raggiungere clienti più numerosi e differenziati imponendo criteri per le vendite on-line che non sono nel complesso equivalenti a quelli imposti presso un punto vendita «non virtuale», Orientamenti sulle restrizioni verticali, punto 56).

Per ulteriori informazioni si vedano in lingua tedesca:

  • quadro generale sullo stato attuale della prassi, comprensivo di modelli di clausole: Rohrßen, Vertriebsvorgaben im E-Commerce 2018: Praxisüberblick und Folgen des „Coty“-Urteils des EuGH, in: GRUR-Prax 2018, pag. 39-41 e
  • In particolare sui divieto di piattaforme e sulla possibile redazione di contratti di distribuzione: Rohrßen, Internetvertrieb von Markenartikeln: Zulässigkeit von Plattformverboten nach dem EuGH-Urteil Coty – Auswirkungen auf Fachhändler- bzw. Selektiv-, Exklusiv-, Franchise- und offene Vertriebsverträge –, in: DB 2018. 300-306.
  1. Sull’ammissibilità dell’utilizzo di marchi e simboli d’impresa all’interno di una funzione di ricerca posta in una piattaforma di vendita su internet, si veda il Comunicato stampa della Corte Federale Tedesca sulle due recentissime decisioni del 15.02.2018 (n. fasc. I ZR 138/16, caso “Ortlieb” e n. fasc. I ZR 201/16 (caso „gofit“).
Benedikt Rohrssen
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