La distribuzione attraverso le piattaforme digitali | Principali novità

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Sintesi

il 1° giugno 2022, il Regolamento UE n. 720/2022, ovvero il nuovo Regolamento di esenzione per categoria relativo agli accordi verticali (anche “Vertical Block Exemption Regulation”, di seguito: “VBER”), ha sostituito la precedente versione (Regolamento UE n. 330/2010), scaduta il 31 maggio 2022.

Il nuovo VBER e le nuove linee guida verticali (di seguito: “Linee guida”) hanno recepito le principali osservazioni raccolte durante la vigenza del precedente VBER e contengono alcune disposizioni rilevanti per la disciplina di tutti gli accordi B2B tra imprese che operano a diversi livelli della catena di fornitura.

In questo articolo ci concentreremo sull’impatto del nuovo VBER sulle vendite tramite le piattaforme digitali, elencando le principali novità che impattano sulle catene distributive, tra cui anche le piattaforme per la commercializzazione di prodotti/servizi.

La disciplina generale degli accordi verticali

L’articolo 101(1) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”) vieta tutti gli accordi che impediscono, restringono o falsano la concorrenza all’interno del mercato dell’UE, e ne elenca anche le principali tipologie, tra cui la fissazione dei prezzi, la compartimentazione dei mercati, le limitazioni alla produzione/sviluppo/investimenti, le clausole abusive, ecc.

Tuttavia, l’articolo 101(3) del TFUE esenta da tali restrizioni gli accordi che contribuiscono a migliorare il mercato dell’UE, i quali dovranno essere individuati in un apposito regolamento di categoria. Il VBER è il regolamento che definisce la categoria degli accordi verticali (cioè gli accordi tra imprese che operano a diversi livelli della catena di fornitura), determinando quali di questi accordi sono esenti dal divieto di cui all’articolo 101(1) del TFUE.

In breve, si presume che gli accordi verticali siano esenti (e quindi validi) se non contengono le cosiddette “restrizioni fondamentali” (cioè gravi restrizioni della concorrenza, come il divieto assoluto di vendita in un territorio o la determinazione da parte del produttore del prezzo di rivendita del distributore) e se la quota di mercato di nessuna delle parti supera il 30%.

Gli accordi esenti beneficiano di quello che è stato definito il “safe harbour” (porto sicuro) del VBER. Gli altri, invece, saranno soggetti al divieto generale di cui all’articolo 101(1) del TFUE, a meno che non possano beneficiare di un’esenzione individuale ai sensi dell’articolo 101(3) del TFUE.

Le novità introdotte dal nuovo VBER per le piattaforme online

Il primo aspetto rilevante riguarda la classificazione delle piattaforme, in quanto la Commissione europea ha escluso che le piattaforme online generalmente operino come agenti di commercio.

Mentre non ci sono mai stati dubbi riguardo alle piattaforme che operano acquistando e rivendendo prodotti (esempio classico: Amazon Retail), ne erano sorti diversi riguardo a quelle piattaforme che si limitano a promuovere i prodotti di terzi, senza svolgere l’attività di acquisto e rivendita (esempio classico: Amazon Marketplace).

Con l’introduzione della nuova versione del VBER, la Commissione europea ha voluto sgombrare il campo da qualunque dubbio, esplicitando che i fornitori di servizi di intermediazione (come le piattaforme online) si qualificano come fornitori (e non come agenti commerciali) ai sensi del VBER. Ciò riflette l’approccio del Regolamento (UE) 2019/1150 (“Regolamento P2B”), che per la prima volta ha dettato una disciplina specifica per le piattaforme digitali. Il regolamento prevede una serie di regole per creare un “ambiente equo, trasparente e prevedibile per le imprese e i clienti più piccoli” e secondo la ratio del Digital Markets Act, che vieta alcune pratiche utilizzate dalle grandi piattaforme che agiscono come “gatekeeper”.

Di conseguenza, tutti i contratti conclusi tra produttori e piattaforme (definite come “fornitori di servizi di intermediazione online”) sono soggetti a tutte le restrizioni imposte dal VBER, come quelle inerenti alla determinazione del prezzo, dei territori in cui o i clienti ai quali possono essere venduti i beni o i servizi intermediati, o ancora le restrizioni relative alla pubblicità e alla vendita online.

Così, per fare un esempio, l’operatore di una piattaforma non può imporre al produttore un prezzo di vendita fisso o minimo per una transazione promossa attraverso la piattaforma stessa.

Il secondo aspetto di maggiore impatto riguarda le piattaforme ibride, ossia le piattaforme che operano anche nel mercato rilevante per la vendita di beni o servizi intermediati. Amazon è l’esempio più noto, in quanto è al contempo un fornitore di servizi di intermediazione (“Amazon Marketplace”) e, allo stesso tempo, distribuisce i prodotti di queste parti (“Amazon Retail”). Abbiamo già approfondito la distinzione tra questi due modelli di business (e le conseguenze in termini di violazione della proprietà intellettuale) qui.

Il nuovo VBER esplicitamente non si applica alle piattaforme ibride. Pertanto, gli accordi conclusi tra tali piattaforme e i produttori sono soggetti alle limitazioni del TFUE, in quanto tali fornitori possono avere un incentivo a favorire le proprie vendite, nonché la capacità di influenzare l’esito della concorrenza tra le imprese che utilizzano i loro servizi di intermediazione online.

Tali accordi devono essere valutati singolarmente ai sensi dell’articolo 101 del TFUE, in quanto non limitano necessariamente la concorrenza ai sensi del TFUE, oppure possono soddisfare le condizioni di un’esenzione individuale ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, del TFUE.

Il terzo aspetto più rilevante riguarda gli obblighi di parità (detti anche clausole della nazione più favorita o “most favoured nation”, MFN), ossia le disposizioni contrattuali tramite cui un venditore (direttamente o anche indirettamente) si impegna a offrire all’acquirente le migliori condizioni tra quelle che mette a disposizione di qualsiasi altro acquirente. La previsione è di particolare rilievo perché i termini contrattuali delle piattaforme contengono spesso clausole di obbligo di parità, al fine di impedire agli utenti di offrire i loro prodotti/servizi a prezzi inferiori o a condizioni migliori sui loro siti web o su altre piattaforme.

Il nuovo VBER si occupa esplicitamente delle clausole di parità, distinguendo tra clausole il cui scopo è quello di vietare agli utenti di una piattaforma di vendere beni o servizi a condizioni più favorevoli attraverso piattaforme concorrenti (le cosiddette “clausole di parità ampia“), e clausole che vietano le vendite a condizioni più favorevoli solo per quanto riguarda i canali gestiti direttamente dagli utenti (le cosiddette “clausole di parità stretta“).

Le clausole di parità ampia non beneficiano dell’esenzione VBER; pertanto, tali obblighi devono essere valutati individualmente ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 3, del TFUE.

D’altro canto, le clausole di parità stretta continuano a beneficiare dell’esenzione già concessa dal vecchio VBER se non superano la soglia del 30% della quota di mercato rilevante stabilita dall’articolo 3 del nuovo VBER. Tuttavia, le nuove linee guida mettono in guardia rispetto all’utilizzo di obblighi di parità eccessivamente ristretti da parte di piattaforme online che coprono una quota significativa di utenti, affermando che se non vi sono prove di effetti pro-concorrenziali, è probabile che il beneficio dell’esenzione per categoria venga revocato.

Impatto e conseguenze

Il nuovo VBER è entrato in vigore il 1° giugno 2022 ed è già applicabile agli accordi firmati dopo tale data. Gli accordi già in vigore al 31 maggio 2022 che soddisfano le condizioni per l’esenzione ai sensi dell’attuale VBER ma non soddisfano i requisiti del nuovo VBER beneficeranno di un periodo di transizione di un anno.

Il nuovo regime sarà il campo di gioco per tutte le vendite su piattaforma nei prossimi 12 anni (il regolamento scade il 31 maggio 2034). Ad oggi, le novità piuttosto restrittive sulle piattaforme ibride e gli obblighi di parità renderanno probabilmente necessarie revisioni sostanziali degli accordi commerciali esistenti.

Ecco, quindi, alcuni consigli per gestire i contratti e i rapporti con le piattaforme online:

  • il nuovo VBER è l’occasione giusta per rivedere le reti di distribuzione esistenti. La revisione dovrà considerare non solo i nuovi limiti normativi (ad esempio, il divieto di clausole di parità ampia), ma anche la nuova disciplina riservata alle piattaforme ibride e alla distribuzione duale, al fine di coordinare i diversi canali distributivi nel modo più efficiente possibile, secondo i paletti fissati dal nuovo VBER e dalle Linee Guida;
  • è probabile che le piattaforme giochino un ruolo ancora più importante nel prossimo decennio; è quindi essenziale considerare questi canali di vendita fin dall’inizio, coordinandoli con gli altri già esistenti (vendita al dettaglio, vendita diretta, distributori, ecc.) per evitare di compromettere la commercializzazione di prodotti o servizi;
  • l’attenzione del legislatore europeo verso le piattaforme sta crescendo. Osservando la disciplina a partire dal VBER, non bisognerebbe dimenticare che le piattaforme sono soggette a una moltitudine di altri regolamenti europei, che stanno gradualmente disciplinando il settore e che devono essere presi in considerazione quando si stipulano contratti con le piattaforme stesse. Il riferimento non è solo al recente Digital Market Act e al Regolamento P2B, ma anche alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale sulle piattaforme, che – come abbiamo già visto – è una questione tuttora aperta.
Giuliano Stasio
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