China – Changes to Company Law

30 Gennaio 2024

  • Cina
  • Diritto societario

Summary:

The heavily amended PRC Company Law will take effect on July 1, 2024. Please find below a summary of some of the important novelties embodied by this amended Company Law, which may have a significant impact on the rights and duties of the shareholders and management of a limited liability company (“LLC”).

The businesses active in the PRC may be interested in carefully reviewing their corporate documents (including the Articles of Association) in light of the amended Company Law and deciding necessary adaptive measures for compliance/optimization purposes during the transition period leading to the effective date of the said amended Company law.

Capital contribution.

The amended Company Law provides that the subscribed capital of an LLC shall be paid up as per its Articles of Association within a time period up to 5 years from its incorporation (NB: The previous law does not set a time limit for the capital contribution.). This requirement will retroactively apply to the companies incorporated prior to July 1st, 2024.

Despite the foregoing, a creditor or the company shall be entitled to request the shareholder(s) concerned to accelerate its/their capital contribution ahead of the due date for capital contribution should the company be unable to settle due debt(s) with its own assets.

The equity and credit may be used for the capital contribution.

Duties of directors/senior managers

The directors shall bear the obligation to form the “liquidation team,” which shall proceed with the liquidation within 15 days of the occurrence of a number of statutory circumstances substantiated in Article 229 of the Company Law. The directors shall be held liable for losses incurred by the company or creditor(s) arising from their failure to fulfill the above liquidation obligation on time.

The director(s)/senior manager(s) shall be held liable (along with the company itself) for compensating others should they cause any damages to the latter due to their intentional acts or gross negligence in the course of performing their duties.

The board of directors of an LLC shall regularly check the status of capital contributions by the shareholders. It shall cause the company to issue written reminders to the shareholder(s) failing to make capital contributions on time. Should the shareholder fail to honor its subscribed capital contribution despite the reminder, subject to a specific board resolution and a written notification with immediate effect, the company may declare that the shareholder is disqualified from making the capital contribution.

Corporate governance

An LLC may set up an “audit commission” composed of directors to exercise the function of supervisor or supervisors’ committee as per its Articles of Association. In such cases, the company may no longer need to set up separate supervisors’ committees or appoint supervisors.

However, the board of directors of an LLC having more than 300 employees shall have employees’ representative(s) elected through the democratic process unless the same LLC has a Supervisors’ Committee in place and such Committee already has the employees’ representative(s).

Riassunto

Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina? 

Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.

Di cosa parlo in questo articolo:

  • La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
  • La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione 
  • Il contratto di vendita internazionale in Cina 
  • Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
  • L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese 
  • Il patto di non concorrenza 
  • La distribuzione Omnichannel 
  • Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
  • Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
  • Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
  • Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto 
  • La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
  • Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)

Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina? 

Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina. 

Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.

Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.

Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.

Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali. 

Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6). 

Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti. 

Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali,  solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.

La forma del contratto di distribuzione in Cina 

I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici. 

È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.

Il contratto di vendita internazionale in Cina 

Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).

Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.

Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”). 

Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.

Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.

Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina 

La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.

Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci. 

E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere. 

L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.

Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA) 

Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari. 

Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.

Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere  valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.

Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi,  che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.

Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.

Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.

Accordi di distribuzione esclusiva in Cina 

Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore? 

Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.

Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.

Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato. 

Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto. 

I patti sui minimi di fatturato, specie in  relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.

Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori. 

Pechino - Legalmondo

Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina 

Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore. 

È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto. 

Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.

Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto,  motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.

 

La Distribuzione Omnichannel in Cina 

Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B. 

Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.

Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue

distribuzione - legalmondo

Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva. 

Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.

eCommerce - legalmondo

La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi. 

Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.

Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina 

Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.

Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate. 

Hong Kong - Legalmondo

Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina

Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore. 

Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza. 

Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.

Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.

La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).

E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto. 

Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina 

I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale. 

La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni). 

Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore,  dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.

È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.  

Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso. 

Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione 

Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio. 

Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale. 

Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina

Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.

Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.

Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.

Hong Kong - Legalmondo

Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina 

Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero. 

Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale. 

La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato. 

Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi).  Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.

Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.

Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.

Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.

I  vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.

Riassunto

Perché è importante registrare il marchio in Cina? Per acquisire l’esclusiva di utilizzo del marchio nel mercato cinese ed evitare che lo faccia un terzo, bloccando in tal modo l’accesso al mercato ai prodotti o servizi dell’impresa italiana. In questo post vediamo come registrare un marchio in Cina e perché è importante effettuare la registrazione anche se l’impresa italiana non è ancora presente sul mercato locale. Parliamo anche del marchio in caratteri cinesi, spiegando in quali casi è utile registrare una traslitterazione del marchio internazionale.

Di cosa parlo in questo post:

  • Perché registrare un marchio internazionale in Cina
  • Come registrare il marchio in Cina
  • Quando registrare il marchio anche in caratteri cinesi
  • La cancellazione del Marchio per non uso
  • La procedura di notice e takedown sui marketplace
  • La registrazione del Marchio presso le Dogane cinesi
  • Come possiamo aiutarti

Accade spesso che le imprese italiane scoprano che il proprio marchio è già stato registrato in Cina da un soggetto locale: in tali casi ottenere l’annullamento del marchio è molto difficile e si rischia di trovarsi nell’impossibilità di vendere i propri prodotti o servizi in Cina.

Perché registrare il marchio in Cina

Il sistema cinese di registrazione dei marchi si basa sul principio del first to file, che prevede una presunzione che il legittimo titolare di un marchio sia il soggetto che per primo lo registra (e non colui che per primo l’ha utilizzato, al contrario di altri paesi come USA e Canada, che seguono il principio del “first to use”).

Il principio del first to file è utilizzato anche in altri paesi (Italia ed Unione Europea, per esempio), ma l’applicazione in Cina è tra le più stringenti, perché non concede al precedente utilizzatore di continuare avvalersi del marchio a seguito della registrazione da parte di un altro soggetto.

Questo vuol dire che, se un terzo registra per primo in Cina il vostro segno distintivo, non avrete più la possibilità di continuarlo ad utilizzarlo sul territorio cinese, salvo riusciate ad ottenere l’annullamento della registrazione del marchio.

In Cina, però, ottenere l’annullamento di un marchio è molto complesso, ed è possibile soltanto in presenza di una delle seguenti circostanze.

La prima è quella di provare che la registrazione del Marchio da parte del terzo è stata ottenuta con mezzi fraudolenti o illegittimi. A tal fine occorre dimostrare che chi ha registrato il marchio era a conoscenza del suo precedente utilizzo da parte di altro soggetto e pertanto ha agito con l’intento procurarsi un vantaggio illegittimo e quindi la registrazione è avvenuta in malafede.

La seconda richiede la dimostrazione che il marchio registrato sia identico, simile o una traduzione di un segno distintivo celebre già utilizzato in precedenza da un altro soggetto in Cina e che la nuova registrazione sia suscettibile di causare confusione nel pubblico. Un esempio è quello di un soggetto cinese che registri la traduzione di un marchio di fama internazionale, che era stato registrato in Cina unicamente in caratteri latini.

Anche questa seconda strada è ardua da percorrere, perché richiede che il Marchio abbia uno status di notorietà internazionale, che secondo la giurisprudenza cinese ricorre quando un numero elevato di consumatori locali conosce e identifica quel marchio.

Il terzo caso è quello del Marchio che sia stato registrato da un terzo in Cina, ma poi non sia stato utilizzato per tre anni consecutivi: in tal caso la legge prevede che chiunque vi abbia interesse possa chiedere l’annullamento del marchio, specificando se desidera cancellare l’intera registrazione o solo in relazione a determinate classi / sottoclassi.

Anche questa terza strada è molto complessa, soprattutto con riferimento alla cancellazione dell’intera registrazione: al titolare del marchio cinese, infatti, è sufficiente provare anche un minimo uso (ad esempio su un sito web o un account di wechat) per conservare la registrazione.

Per tali ragioni, è di importanza fondamentale depositare la domanda di registrazione in Cina prima che lo faccia un terzo soggetto, per evitare che vengano registrati – spesso in mala fede – marchi/loghi simili o addirittura identici.

La procedura di registrazione del marchio in Cina

Per registrare un marchio in Cina è possibile seguire due diverse procedure, tra loro alternative:

  • depositare la domanda di registrazione direttamente all’Ufficio Marchi cinese – CTMO (Chinese Trademark Office); oppure
  • optare per una registrazione internazionale presentando la relativa domanda all’OMPI (Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale), con richiesta di estensione alla Cina.

A mio avviso è consigliabile procedere alla registrazione del Marchio direttamente presso il CTMO (Chinese Trademark Office). L’estensione internazionale all’OMPI, infatti, viene svolta con un processo di registrazione standard, che non tiene conto delle complessità che contraddistinguono il sistema cinese, secondo il quale:

  1. In primo luogo, deve essere svolta una ricerca tesa alla verifica della inesistenza di marchi simili e/o uguali già registrati, accompagnata dalla valutazione dei requisiti legislativi per la validità del marchio.
  2. In secondo luogo, il soggetto che deposita la domanda deve determinare la/le classe/i e sub-classe/i in cui registrare il marchio in questione.

Questa procedura è abbastanza complessa, poiché il CTMO, oltre all’indicazione della classe di registrazione tra le 45 previste dalla classificazione internazionale (“Classificazione di Nizza”), richiede anche l’indicazione delle sottoclassi nelle quali si intende registrare il marchio. Le sottoclassi cinesi sono molte per ciascuna classe, e non hanno alcun corrispondente con la classificazione internazionale.

In altre parole, presentando la domanda attraverso l’OMPI, il marchio verrà sì registrato nella Classe corretta, ma l’individuazione delle sottoclassi verrà svolta d’ufficio dal CTMO, senza consultare il richiedente. Ciò può portare alla registrazione del marchio in sottoclassi non corrispondenti a quelle desiderate, con il rischio, da un lato, di un aumento dei costi di registrazione (se le sottoclassi vengono conteggiate in eccesso); dall’altro lato di una tutela solo parziale sul mercato (se il marchio non viene registrato in una certa sottoclasse).

Un altro aspetto pratico che rende preferibile una registrazione diretta in Cina è dato dal fatto che si ottiene subito un certificato in lingua cinese; ciò consente, nel caso in cui sia necessario utilizzare il marchio in Cina (ad esempio per azioni in sede legale o amministrativa in caso di prodotti contraffatti, o se si debba registrare un contratto di licenza di uso del marchio) di procedere in modo rapido ed efficace (senza necessità di certificati addizionali o traduzioni).

La procedura di registrazione diretta in Cina si articola in varie fasi per completarsi, in genere, entro un lasso di tempo di circa 15/18 mesi: la priorità è però protetta sin dalla data di deposito della domanda, ponendo al riparo da eventuali domande di registrazione da parte di terzi in data successiva.

La durata della registrazione è di 10 anni ed è rinnovabile.

La Registrazione del marchio in caratteri cinesi

È necessario registrare iI Marchio anche in caratteri cinesi?

Per la maggior parte delle aziende, la risposta è sì. Pochissime persone parlano inglese in Cina e spesso i vocaboli internazionali vengono pronunciati con difficoltà e si preferisce sostituirli con un termine in lingua cinese che abbia assonanza con la parola straniera, più facile da leggere e memorizzare da parte dei consumatori o clienti cinesi.

La traslitterazione del marchio internazionale in caratteri cinesi può avvenire in diversi modi.

E’ possibile registrare innanzitutto un termine che presenti assonanza con l’originale, come nel caso di Ferrari / 法拉利 (fǎlālì, traslitterazione fonetica senza particolare significato) o di Google / 谷歌 (Gǔgē, anche questa una traslitterazione fonetica).

Un’alternativa è la scelta di un termine equivalente al significato della parola straniera, come nel caso di Apple / 苹果(Píngguǒ, che significa, appunto, mela)  e in parte di Starbucks / 星巴克 (xīngbākè: il primo carattere significa “stella”, mentre bākè è una traslitterazione fonetica.

starbucks china - legalmondo

La terza possibilità è identificare un termine che abbia un significato positivo legato al prodotto e al contempo ricordi il suono del marchio straniero, come nel caso di Coca Cola / Kěkǒukělè (ossia assaggia e sii felice).

Ikea Cina - Legalmondo

(Qui sopra il marchio Ikea / 宜家 =yíjiā, ossia casa armoniosa)

Come per il marchio in caratteri latini, i rischi che terzi registrino la versione cinese del marchio prima del legittimo titolare sono molto forti.

La situazione è anche aggravata dal fatto che il terzo che registra un marchio simile o confondibile in caratteri cinesi generalmente lo fa per sfruttare in maniera sleale la notorietà e l’avviamento commerciale del marchio straniero, rivolgendosi agli stessi clienti e canali commerciali..

Ciò è capitato di recente, ad esempio, al marchio Jordan (di proprietà del gruppo di imprese riconducibili al campione di basket) e anche al marchio New Balance, che hanno dovuto combattere a lungo per ottenere l’annullamento dei corrispettivi marchi cinesi, registrati in mala fede da aziende concorrenti.

Marchi Cina - Legalmondo

Le regole per la registrazione del Marchio in caratteri cinesi sono le stesse viste sopra per il marchio in caratteri latini.

Visti i rischi associati ad eventuali registrazioni di terzi, è consigliabile che la valutazione sulla registrazione del marchio si estenda non solo ai caratteri cinesi identificati per la versione in mandarino che si è deciso di utilizzare, ma anche ad una serie di marchi foneticamente simili, al fine di prevenire la registrazione da parte di terzi di marchi confondibili con quello dell’impresa.

La registrazione, infine, è consigliabile anche se non si intende, per strategia commerciale, utilizzare un marchio in caratteri cinesi. In tali casi la registrazione di termini che corrispondono alla translitterazione fonetica del marchio internazionale ha una valenza difensiva, che è quella di impedire la registrazione (e l’uso) da parte di terzi.

Quest’ultima, ad esempio, è stata la decisione di marchi importanti come Armani e Prada, che hanno registrato marchi in caratteri cinesi (rispettivamente 阿玛尼 / āmǎní e 普拉達 = pǔlādá) ma non li utilizzano correntemente nella loro comunicazione.

Quanto alle varie opzioni di traslitterazione, è consigliabile farsi affiancare da consulenti locali al momento della valutazione dei caratteri, per evitare di scegliere termini che abbiano significati infelici, inadatti al prodotto o addirittura infausti (come nel caso di un mio cliente che tanti anni fa registrò un marchio italiano utilizzando il carattere finale 死, che suona come la parola “morto” in cinese).

Un ottimo esempio di come scegliere il marchio giusto in caratteri cinesi è quello del Consorzio Franciacorta, che ha registrato il marchio con i caratteri 馥奇达 (Fù Qí Dá): leggete qui un bell’articolo che descrive il processo che ha portato a scegliere proprio questi caratteri.

Franciacorta - Legalmondo

La cancellazione del marchio per non uso 

Ho menzionato sopra che è consigliabile valutare anche registrazioni meramente difensive, ossia registrare marchi simili a quello che si intende utilizzare in Cina (in caratteri latini o cinesi) allo scopo di prevenire una registrazione da parte di terzi.

Va ricordato, a questo proposito, che anche in Cina è possibile ottenere la cancellazione di un marchio se il titolare non lo ha utilizzato per un periodo ininterrotto superiore a 3 anni.

Il procedimento è ad iniziativa della parte interessata ad acquisire il marchio inutilizzato dal titolare, il quale per difendersi deve fornire la prova di averlo usato, ossia che il marchio è stato apposto su prodotti o servizi in vendita in Cina (a tal fine si possono produrre fatture di vendita, fotografie dei prodotti esposti a fiere locali, pubblicità fisiche o digitali nelle quali il marchio è stato utilizzato).

Ciò premesso, a mio avviso il rischio di dover difendere il marchio in un’azione di cancellazione per non uso è certamente preferibile a quello di non registralo affatto, e che il marchio sia registrato da un terzo concorrente.

Come combattere la contraffazione sui marketplace: la procedura di notice and takedown

I prodotti contraffatti online, anche sui principali marketplace, sono ancora oggi molto diffusi.

Che fare? È fondamentale, dopo avere registrato il marchio, monitorare il mercato, anche rivolgendosi ad agenzie locali specializzate.

La E-Commerce Law of the People’s Republic of China, approvata il 31 Agosto 2018, prevede una responsabilità degli operatori delle piattaforme di e-commerce nel caso di mancato intervento per porre fine alla violazione dei diritti di proprietà intellettuale da parte dei venditori che utilizzano la piattaforma.

L’art. 42, in particolare, prevede che l’operatore di una piattaforma di e-commerce sia obbligato a prendere le misure necessarie per bloccare la presunta violazione della proprietà intellettuale, a condizione che il proprietario del marchio o del diritto di proprietà intellettuale violato possa fornire una prova apparentemente fondata di tale violazione, mentre l’art. 43 assegna al venditore, nei 15 giorni successivi alla richiesta, l’onere di provare che i prodotti non violano i diritti di proprietà intellettuale in questione.

La registrazione del Marchio presso le Dogane cinesi

Una tutela importante, una volta ottenuta la registrazione del marchio in Cina, è la possibilità di registrare il marchio anche presso l’Amministrazione Generale delle Dogane: anche questa registrazione dura 10 anni ed è rinnovabile.

L’effetto importante è quello di poter chiedere il monitoraggio delle merci in transito nelle dogane cinesi e il blocco di quelle che appaiono come possibili contraffazioni: in caso di sospetta irregolarità scatta una notifica al titolare del marchio per verificare le merci in questione, con una procedura che consente di verificarle, sequestrarle e di sanzionare il contraffattore.

Riassunto – In un contratto con controparte straniera o nelle condizioni generali di vendita o di acquisto internazionale è frequente l’utilizzo della clausola di scelta del foro competente e della legge applicabile. Spesso la scelta, però, non viene fatta in modo consapevole e può portare a risultati contrari agli interessi della parte che la predispone. Vediamo in questo articolo come procedere a questa scelta in modo corretto ed utile.


La clausola del contratto che disciplina la modalità di risoluzione delle controversie e la legge applicabile al rapporto è spesso chiamata la “midnight clause”, facendo riferimento al fatto che in molti modelli di contratto questa clausola è tra le ultime del documento e viene dunque discussa al termine delle trattative, spesso a tarda notte, quando le parti sono esauste e desiderose di firmare il contratto.

I casi ricorrenti sono due: nel primo, la decisione viene presa con noncuranza e in maniera frettolosa, posto che le parti ritengono di avere già raggiunto l’accordo sulle questioni importanti del contratto e non danno peso – a torto – alla previsione sulla risoluzione delle liti.

Nel secondo caso accade il contrario: sulla decisione del giudice competente e della legge applicabile si genera un muro contro muro, con entrambe le parti risolute – in genere per una questione di principio e di diffidenza verso le norme straniere – ad imporre la giurisdizione nel proprio paese e l’applicabilità della legge nazionale.

Entrambi gli scenari sono molto delicati, perché espongono al rischio di decisioni sbagliate o di pessimi compromessi, che possono giungere a vanificare la futura possibilità di agire in giudizio.

E’ fondamentale che questa clausola venga affrontata in modo consapevole e non improvvisato: vediamo alcune considerazioni da tenere a mente al momento di scegliere la giurisdizione e la legge applicabile.

Il giudice straniero non è un tabù

Facciamo un esempio pratico: un contratto tra una società italiana e una controparte cinese.

Per lungo tempo gli stranieri sono stati, giustamente, terrorizzati dall’idea di rivolgersi al giudice cinese, che era un funzionario statale proveniente da altre amministrazioni pubbliche, di assai dubbia imparzialità, politicizzato e in genere del tutto incompetente.

La situazione oggi è cambiata e, quantomeno nelle città oggetto da anni di investimenti internazionali, il livello di preparazione della magistratura è certamente migliorato, i costi di un contenzioso sono tutto sommato contenuti, i tempi di un giudizio di primo grado rapidi (circa 6 mesi) e la possibilità di un equo giudizio, se ben difesi da un avvocato competente, certamente alla portata.

Si può – e si deve- dunque valutare l’opzione di prevedere la giurisdizione cinese in contratto, considerando i futuri scenari possibili in caso di future vertenze.

Lo stesso ragionamento va fatto, caso per caso, con altri paesi: prima di rifiutare la scelta di giurisdizione nel paese straniero, occorre valutare quali siano i pro e i contro di un’eventuale azione legale in Italia e quale sarebbe la situazione se la causa venisse instaurata presso un giudice del paese straniero in cui ha sede la controparte.

Tra gli elementi da valutare vi sono i seguenti:

  • L’efficienza del sistema giudiziario del paese straniero
  • I costi del procedimento giudiziario (tasse)
  • I costi legali (onorari degli avvocati del paese straniero)
  • Tempi e costi del procedimento per ottenere il riconoscimento della sentenza italiana nel paese straniero

Attaccare in trasferta, difendersi in casa

La scelta sul foro competente può essere, in primo luogo, una scelta tattica: se è probabile che eventuali futuri contenziosi siano attivati dalla controparte, usando una metafora calcistica, optare per il giudice italiano concede la il vantaggio del fattore campo.

Per una società straniera, infatti, sarà più difficile iniziare la causa e gestire un contenzioso in Italia, con necessità di essere assistita da legali italiani, di applicare una legge con cui non ha familiarità e di sostenere costi di viaggio per comparire avanti ad un tribunale italiano.

Se invece, al contrario, è probabile che sia la società italiana a doversi attivare con un’azione giudiziaria (ad esempio per il pagamento del prezzo, o per ottenere l’adempimento o la risoluzione del contratto) “giocare in attacco” presso il giudice del luogo in cui viene eseguito il contratto (e ha sede, in genere, la controparte straniera) può comportare molti vantaggi, tra i quali quello di ottenere in tempi rapidi una sentenza direttamente eseguibile nel paese in cui ha sede la controparte.

bridge - legalmondo

La clausola “asimmetrica”

Una soluzione intermedia, che consente di fruire dei benefici sia della giurisdizione italiana, sia di quella del paese in cui ha sede la controparte straniera, è la cosiddetta clausola “asimmetrica”.

Tali clausole prevedono la facoltà di una sola parte di introdurre la lite sia davanti al giudice indicato nel contratto (ad esempio Italiano), sia dinanzi a quello che sarebbe competente secondo i criteri ordinari di giurisdizione, ad esempio il foro della sede della parte straniera (ad esempio, i giudici della città di Pechino).

L’altro contraente non ha questa facoltà di scelta ed è quindi obbligato a promuovere eventuali controversie soltanto dinanzi all’autorità giudiziaria contrattualmente indicata (il giudice italiano).

Mentre questo tipo clausola è generalmente considerato valido in Italia e nella UE, è bene verificarne la legittimità nel caso si applichi al contratto una legge straniera.

Dove andrà eseguita la sentenza?

Uno dei fattori importanti nella decisione sul foro è certamente il luogo di esecuzione della sentenza: occorre, cioè, considerare quali tipi di vertenze si potranno generare nella relazione commerciale e dove sarà possibile eseguire la sentenza ottenuta, se in Italia o nel paese in cui ha sede la controparte.

Rimaniamo sull’esempio del contratto con una parte cinese.

Nella maggioranza dei casi la parte cinese ha asset (beni e crediti aggregabili) solo in Cina e se la sentenza favorevole alla parte italiana non venisse spontaneamente adempiuta (scenario molto frequente) si renderebbe necessario procedere all’esecuzione forzata, appunto, in Cina.

Per questa ragione prevedere la giurisdizione del giudice italiano può essere una mossa controproducente, che obbliga prima a radicare una causa in Italia, spesso con tempi molto lunghi, e poi a chiedere il riconoscimento della sentenza italiana nella Repubblica Popolare Cinese: ciò è possibile grazie al Trattato per l’assistenza giudiziaria in materia civile del 1991, ma il procedimento è molto burocratico, richiede la traduzione in cinese e la legalizzazione della sentenza e di tutti i documenti e nel corso del giudizio di riconoscimento la parte cinese farà tutto il possibile per complicare e ritardare il riconoscimento della decisione.

Il risultato è che, anziché ottenere una sentenza eseguibile in Cina in pochi mesi (ricorrendo al giudice Cinese) si perdono diversi anni, incorrendo in costi molto superiori e con l’amara sorpresa, anche questa purtroppo frequente, che al termine della procedura di riconoscimento la controparte cinese risulta irreperibile o insolvente o non è comunque possibile reperire beni da aggredire esecutivamente.

Testimoni, perizie e documenti

Un altro fattore da tenere presente è legato alla natura del contratto e al luogo di svolgimento delle prestazioni delle parti: in caso di contratto con obbligazioni da svolgere in Cina (come ad esempio la gestione di un punto vendita, lo svolgimento di attività promozionale da parte di un agente o concessionario, la fornitura o assemblaggio di prodotti) l’istruttoria della causa, ossia l’audizione dei testimoni, l’eventuale incarico ad un perito di esaminare un prodotto, l’analisi dei documenti necessari per decidere la causa, può essere agevole presso il giudice Cinese, mentre sarebbe estremamente difficile, se non del tutto impossibile e certamente anti-economica, presso un foro Italiano. E viceversa, naturalmente.

model - legalmondo

Tutela urgente e Misure cautelari

Può accadere, infine, che sia urgente ricorrere al giudice per avere tutela di situazioni che non possono attendere i tempi di una causa ordinaria: rimanendo all’esempio del contratto con la Cina un caso tipico è quello del concessionario o franchisee che opera in concorrenza sleale con il produttore o franchisor, vendendo merce contraffatta o rifiutando di restituire negozi e materiali di proprietà del produttore/ franchisor dopo la cessazione del contratto.

In tali casi avere la possibilità di adire il giudice cinese con richiesta di un procedimento cautelare, ossia una misura urgente finalizzata a far cessare il comportamento illegittimo in corso, è fondamentale.  Ciò è possibile se il contratto prevede la giurisdizione cinese o un arbitrato con sede in Cina, mentre l’eventuale previsione in contratto della giurisdizione italiana precluderebbe il ricorso ad un’azione legale urgente in Cina, con la conseguenza, molto grave, che non sarebbe possibile agire in modo efficace e tempestivo per limitare i gravi danni di avviamento commerciale ed immagine.

politician - legalmondo

Stesso giudice, stessa legge

Un compromesso per rompere lo stallo nelle trattative è spesso quello di scegliere il giudice di un paese e la legge dell’altro, quando non addirittura di prevedere il giudice di un paese terzo e la legge di un paese ancor diverso.

Soluzioni “creative” di questo tipo sono assolutamente da evitare: è bene che il giudice adito sia quello di uno dei paesi delle parti (idealmente quello di esecuzione della sentenza, come detto sopra) e che il Giudice possa decidere la causa sulla base della normativa con cui Giudice e avvocati delle parti hanno familiarità.

In caso contrario è necessario che le norme della legge applicabile debbano essere indicate dalle parti (raramente in accordo tra loro) o che venga nominato un consulente esperto della legge in questione, con notevole incremento dei costi di lite, complicazione della trattazione della causa e allungamento dei tempi.

Qualche esempio

Sottoporre un NDA – Non Disclosure Agreement – con una società con sede negli USA o in Cina alla legge italiana e alla giurisdizione italiana può risultare un’arma spuntata: in caso sia necessario agire in giudizio e ottenere la cessazione urgente di comportamenti illegittimi di utilizzo delle informazioni riservate è molto più rapido ed efficace agire direttamente presso il foro in cui ha sede la controparte o con un arbitrato, ottenendo un provvedimento direttamente esecutivo nel paese.

Se il contratto è una vendita internazionale e il compratore ha sede in un paese all’interno della UE può essere utile una clausola “asimmetrica”, che consenta, ad esempio, di adire il giudice italiano per ottenere un decreto ingiuntivo (che una volta definitivo si può eseguire direttamente all’interno dello spazio giuridico comunitario) ma anche di radicare la causa presso il giudice del paese in cui ha sede il convenuto, nel caso in cui ciò risultasse preferibile perché il procedimento è rapido e i costi contenuti (per approfondire l’argomento, vedi questo post sul Recupero del Credito all’estero).

Se la controparte ha sede in un paese in cui l’accesso alla giustizia ordinaria è problematico o non dà garanzie di un processo imparziale in tempi certi, si può valutare l’inserimento di una clausola arbitrale, previa verifica che un lodo arbitrale internazionale sia automaticamente eseguibile perché lo stato in cui ha sede la controparte è membro della Convenzione di New York del 1958 sul riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri. 

Conclusioni

La clausola di scelta del foro (e della legge applicabile) è una clausola fondamentale di un contratto (o di condizioni generali di contratto) internazionale.  La scelta del foro deve essere compiuta in maniera consapevole e caso per caso, in base al paese di esecuzione del contratto e alla tipologia di controversie che si prevede ne possa derivare; non sempre il Giudice italiano è la scelta migliore e può essere opportuno, in alcuni casi, scegliere la giurisdizione straniera oppure prevedere una clausola arbitrale. Il mio consiglio è di predisporre i contratti internazionali insieme ad un consulente specializzato, evitando l’uso di un unico modello per tutti i paesi in cui opera l’impresa.

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Riassunto

Anche in Italia l’emergenza Covid-19 ha accelerato parecchio la transizione verso l’e-commerce, sia nei rapporti B2C che in molti settori B2B. Molte imprese si sono trovate ad operare su internet per la prima volta, spostando nel mondo digitale le relazioni commerciali e i rapporti con i clienti.

Purtroppo, accade spesso che dietro a manifestazioni di interesse di potenziali clienti si nascondano dei tentativi di truffa. E’ il caso, in particolare, di nuovi contatti commerciali provenienti dalla Cina, via email o tramite il sito web aziendale o i profili sui social network dell’azienda.

Vediamo quali sono gli schemi ricorrenti di truffe, piccole e grandi, che ricorrono frequentemente, soprattutto nel mondo del vino, nel settore alimentare e in quello della moda.

Di cosa parlo in questo post:

  • La richiesta di prodotti via internet da un compratore cinese
  • La legalizzazione del contratto in Cina, la firma dal notaio cinese e altre spese
  • La modifica dei termini di pagamento (Man in the mail)
  • La falsa registrazione del marchio o dominio web
  • Designer e prodotti di moda: la fantomatica piattaforma e-commerce
  • La truffa dei bitcoin e delle criptovalute
  • Come verificare i dati di una società cinese
  • Come possiamo aiutarti

Affare imperdibile, normale richiesta commerciale o tentativo di raggiro?

Fortunatamente i malintenzionati in Cina (e non solo: spesso questo tipo di truffe viene perpetrato anche da criminali di altri paesi) non sono molto creativi e gli schemi utilizzati per i “bidoni” sono ben noti e ricorrenti: vediamo i principali.

L’invito a firmare il contratto in Cina

Il caso più frequente è quello di una società cinese che, dopo aver reperito informazioni sui prodotti italiani attraverso il sito web dell’azienda italiana, comunica via email la disponibilità ad acquistare importanti quantitativi di merce.

Segue di solito un primo scambio corrispondenza via email tra le parti, all’esito del quale la società cinese comunica la decisione di acquistare i prodotti e chiede di finalizzare l’accordo in tempi molto rapidi, invitando la parte italiana a recarsi in Cina per concludere la trattativa e non lasciar sfumare l’affare.

Molti ci credono e non resistono alla tentazione di saltare sul primo aereo: sbarcati in Cina la situazione sembra ancor più allettante, visto che il potenziale compratore si dimostra un negoziatore molto arrendevole, disponibile ad accettare tutte le condizioni proposte dalla parte italiana e frettoloso di concludere il contratto.

Questo però non è un buon segno, anzi: deve suonare come un campanello d’allarme. E’ noto che i cinesi sono negoziatori abili e molto pazienti e le trattative commerciali di solito sono lunghe e snervanti: una trattativa troppo semplice, soprattutto se si tratta del primo incontro tra le parti, è molto sospetta.

Che ci si trovi di fronte ad un tentativo di truffa è certificato poi dalla richiesta di alcuni pagamenti in Cina al fine di poter concludere l’affare.

Esistono diverse varianti di questo primo schema.

Le più comuni sono la richiesta di pagare una tassa di registrazione del contratto presso un notaio cinese; un contributo spese per incombenti amministrativi o doganali; un pagamento in contanti per ammorbidire le autorità preposte ed ottenere in tempi rapidi licenze o permessi di importazione dei beni, l’offerta di pranzi o cene a potenziali partner commerciali (a prezzi gonfiati), il soggiorno in un albergo prenotato dalla parte cinese, salvo poi ricevere la sorpresa di un conto esorbitante.

Rientrato in Italia, purtroppo, molto spesso il contratto firmato resterà un inutile pezzo di carta, il fantomatico cliente si renderà irreperibile e la società cinese risulterà inesistente. Si avrà allora la certezza che l’intera operazione era architettata al solo fine di estorcere all’incauto straniero qualche migliaio di euro.

Lo stesso schema (ossia l’ordine commerciale seguito da una serie di richieste di pagamento) può anche essere effettuato online, con motivazioni simili a quelle indicate: gli indizi della truffa sono sempre il contatto da parte di uno sconosciuto per un ordine di valore molto elevato, un negoziato molto rapido con richiesta di concludere l’affare in tempi stretti e la necessità di procedere a qualche pagamento anticipato prima di concludere il contratto.

wine - legalmondo

Il pagamento su un diverso conto corrente

Un’altra truffa molto frequente è quella del conto corrente bancario diverso da quello solitamente utilizzato.

Qui le parti di solito sono invertite. La società cinese è il venditore dei prodotti, da cui l’imprenditore italiano intende acquistare o ha già acquistato una serie di partite di merce.

Un giorno il venditore o l’agente di riferimento informa il compratore che il conto corrente bancario normalmente utilizzato è stato bloccato (le scuse più frequenti sono che stato ecceduto il limite di valuta estera autorizzato, o sono in corso verifiche amministrative, o semplicemente si è cambiata la banca utilizzata), con invito a provvedere al pagamento del prezzo su un diverso conto corrente, intestato ad altro soggetto.

In altri casi la richiesta è motivata dal fatto che la fornitura dei prodotti avviene per il tramite di un’altra società, che è titolare della licenza di esportazione dei prodotti ed è autorizzata a ricevere il pagamento per conto del venditore.

Dopo avere eseguito il pagamento, il compratore italiano riceve l’amara sorpresa: il venditore dichiara non ha mai ricevuto il pagamento, che il diverso conto corrente non appartiene alla società e che la richiesta di pagamento su altro conto proveniva da un hacker che ha intercettato la corrispondenza tra le parti.

Solo a quel punto, verificando l’indirizzo email dal quale è stata trasmessa la richiesta di utilizzo del nuovo conto corrente, il compratore si avvede in genere di qualche piccola differenza nell’account email utilizzato per la richiesta di pagamento sul diverso conto (es. diverso nome a dominio, diverso provider o differente nome utente).

Il venditore a quel punto si renderà disponibile a spedire la merce solo a condizione che il pagamento venga rinnovato sul conto corrente corretto, cosa che – evidentemente – è bene non fare per non essere ingannati una seconda volta. Le ricerche di verifica dell’intestatario del falso conto corrente in genere non portano ad alcuna risposta da parte della banca e sarà di fatto impossibile identificare gli autori della truffa.

yuan - legalmondo

La truffa della falsa registrazione del marchio o del dominio web in Cina

Un altro classico schema cinese è l’invio di un’email con la quale si informa di aver ricevuto una richiesta da parte di un soggetto cinese, intenzionato a registrare un marchio o un dominio web identico a quello della società destinataria della comunicazione.

A scrivere è una sedicente agenzia cinese del settore, che comunica la propria disponibilità ad intervenire e sventare il pericolo, bloccando la registrazione, a condizione che si provveda in tempi rapidissimi e si paghi anticipatamente il servizio.

Anche in questo caso siamo di fronte ad un maldestro tentativo di truffa: meglio cestinare subito l’email.

A proposito: se non avete registrato il vostro marchio in Cina, fatelo subito. Ci fosse interessato ad approfondire l’argomento può farlo qui.

models - legalmondo

Designer e prodotti di moda: la fantomatica piattaforma di e-commerce

Una truffa molto diffusa è quella che riguarda designer e aziende del settore moda: anche in questo caso il contatto arriva tramite il sito web o l’account social media dell’azienda ed esprime un grande interesse per importare e distribuire in Cina prodotti del designer o del brand italiano.

Nei casi che di cui mi sono occupato in passato la proposta è accompagnata da un corposo contratto di distribuzione in inglese, che prevede la concessione in esclusiva del marchio e del diritto di vendere i prodotti in Cina a favore di una fantomatica piattaforma online cinese, in corso di costruzione, che consentirà di raggiungere un elevatissimo numero di clienti.

Dopo avere firmato il contratto i pretesti per estorcere denaro all’azienda italiana sono simili a quelli visti in precedenza: invito in Cina e richiesta di una serie di pagamenti in loco, oppure necessità di coprire una serie di costi di cui si deve far carico la parte cinese per avviare le operazioni commerciali in Cina: registrazione del brand, adempimenti doganali, ottenimento di licenze, etc (ovviamente tutti inventati).

yuan - legalmondo

La truffa dei bitcoin e delle criptovalute

Di recente uno schema di truffa di provenienza cinese è quello della proposta di investire in bitcoin, con garanzia di un ritorno minimo garantito sull’investimento molto allettante (in genere 20 o 30%).

Il presunto trader si presenta in questi casi come rappresentante di un’agenzia con sede in Cina, spesso facendo riferimento ad un sito web costruito ad hoc e a presentazioni dei servizi di investimento realizzate in inglese.

Nello schema si coinvolge solitamente anche una banca internazionale, che funge da agente o depositaria delle somme: in realtà chi scrive è sempre l’organizzazione criminale, da un account fasullo che assomiglia a quello della banca o dell’intermediario finanziario.

Una volta pagate le somme il broker scompare e non è possibile rintracciare i fondi perché il conto corrente bancario viene chiuso e la società scompare, o perché i pagamenti sono stati fatti tramite bitcoin.

Gli indizi della truffa anche in questo caso sono simili a quelli visti in precedenza: contatto proveniente da internet o via email, proposta commerciale molto allettante, fretta di concludere l’accordo.

Come capire se abbiamo a che fare con una truffa via internet

Nei casi visti sopra, ed in altri simili, una volta perpetrata la truffa è pressoché inutile cercare di porvi rimedio: i costi e le spese legali sono di solito superiori al valore del danno e nella maggioranza dei casi è impossibile rintracciare il responsabile del raggiro.

Ecco allora qualche consiglio utile – oltre al buon senso – per evitare di cadere in tranelli simili a quelli descritti:

Come verificare i dati di una società cinese

La denominazione della società in caratteri latini e il sito web in inglese  non hanno alcuna valenza ufficiale, sono semplici traduzioni di fantasia: l’unico modo di verificare i dati della società cinese e delle persone che la rappresentano (o dicono di farlo) è quello di verificare la business licence originale e accedere al data base del SAIC (State Administration for Industry and Commerce).

Ogni società cinese ha infatti una business license (equivalente alla visura CCIAA italiana) rilasciata dalla SAIC (che contiene le seguenti informazioni:

  • nome ufficiale della società in caratteri cinesi;
  • numero di registrazione;
  • sede;
  • oggetto sociale;
  • data di costituzione e scadenza;
  • legale rappresentante;
  • capitale registrato e versato.

Si tratta di un documento in lingua cinese, simile al seguente:

contratto cina

Verificare le informazioni, con l’aiuto di un professionista competente, consentirà di appurare se la società esiste o meno, l’identità dell’interlocutore, l’affidabilità della società e il fatto che il sedicente rappresentante possa in effetti spendere il nome della società.

Chiedere referenze commerciali

A prescindere che l’interesse sia per importare vino italiano, per il settore della moda o del design o altro prodotto Made in Italy, una verifica semplice da fare è quella di chiedere con che altre società italiane o internazionali il nostro interlocutore ha lavorato in precedenza, per validare le informazioni ricevute.

Nella maggior parte dei casi la parte cinese opporrà di non poter dare referenze per motivi di privacy, il che conferma il sospetto che in realtà tali fantomatici casi di successo non esistano e si tratti di un tentativo di truffa.

Gestire con attenzione i pagamenti

Smarcati positivamente i primi punti, è bene procedere comunque con molta prudenza, specie nel caso di nuovo cliente o fornitore. Nel caso di vendita di prodotti ad un compratore cinese è opportuno chiedere un pagamento in acconto anticipato e il saldo del prezzo all’avviso di merce pronta, oppure l’apertura di una lettera di credito.

Nel caso in cui la parte cinese sia il fornitore è raccomandato prevedere un’ispezione on site della merce, con incarico a società terza di certificare la qualità dei prodotti e la rispondenza alle specifiche contrattuali.

Verificare le richieste di cambiamento delle modalità di pagamento

Se una relazione commerciale è già in corso e viene chiesto di cambiare la modalità di pagamento del prezzo, va verificata con attenzione l’identità e l’account email del richiedente e per sicurezza è bene chiedere conferma dell’istruzione anche attraverso altri canali di comunicazione (scrivendo ad altra persona in azienda, telefonando o mandando un messaggio via wechat).

Come possiamo aiutarti

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Riassunto –  Quando l’emergenza Coronavirus può essere invocata come evento di Forza Maggiore per escludere la responsabilità contrattuale e il risarcimento dei danni? Quali sono gli effetti nella supply chain internazionale del mancato adempimento di un’impresa cinese ai propri obblighi di fornitura o di acquisto di materie prime, componenti o prodotti? Quali comportamenti deve adottare l’imprenditore straniero per limitare i rischi derivanti dall’interruzione di forniture o acquisti nella catena di fornitura?


Argomenti trattati

  • L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
  • Cos’è la Forza Maggiore (Force Majeure)?
  • La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
  • Cos’è l’Hardship?
  • Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
  • Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
  • Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
  • Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
  • Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
  • Come limitare i rischi nella supply chain?

L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale

Il Coronavirus / Covid 19 ha creato in Cina una terribile emergenza sanitaria e sociale, che ha reso necessarie eccezionali misure di ordine pubblico per il contenimento del virus, come la quarantena, divieti di viaggio, la sospensione di eventi pubblici e privati e la chiusura di stabilimenti industriali e attività commerciali per un certo periodo di tempo.

Una volta autorizzata la riapertura degli stabilimenti, il ritorno alla normalità è stato fortemente rallentato poiché molti lavoratori, che si erano spostati in altre zone della Cina per le festività del capodanno lunare, non sono rientrati sul posto di lavoro.

I dati oggi disponibili sulla riapertura delle fabbriche e sul numero del personale presente non sono univoci ed è legittimo dubitare della loro attendibilità, quindi non si può prevedere quando l’emergenza potrà definirsi conclusa e se e come le imprese cinesi riusciranno a colmare i ritardi e il gap di produzione che si è creato.

Di certo è molto probabile che nei prossimi mesi l’imprenditore straniero si veda eccepire dalla propria controparte cinese l’impossibilità di adempiere al contratto, motivata con il Coronavirus.

Per comprendere la dimensione del problema, basti considerare che nel solo mese di Febbraio 2020 il China Council for the Promotion of International Trade (la Camera di Commercio cinese che ha il compito di promuovere il commercio internazionale) ha già rilasciato a favore di imprese cinesi che ne hanno fatto richiesta 3.325 certificati attestanti l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali a causa dell’epidemia Coronavirus, per un valore totale di oltre  270 miliardi di yuan (US$38.4 bln), secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua.

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Quali rischi pone questa situazione per l’imprenditore straniero e quali ricadute può avere oltre i confini cinesi?

I rischi sono molti e i potenziali danni ingenti: la Cina è la fabbrica del mondo e vale oggi circa il 15% del PIL mondiale, quindi è difficile che una filiera produttiva in qualsiasi settore industriale non coinvolga una o più imprese cinesi come fornitori di materie prime, semi-lavorati o componenti (nel caso dell’Italia i settori più integrati con catene di fornitura in Cina sono automotive, chimica, farmaceutica, tessile, elettronica e macchinari).

Il mancato adempimento del fornitore cinese può quindi comportare, a cascata, l’inadempimento dell’imprenditore straniero verso il cliente finale o verso il successivo anello della supply chain.

Il fatto che il contagio stia viaggiando rapidamente (al momento di pubblicazione di questo articolo la situazione è già critica in alcune regioni italiane e in Corea del Sud ed Iran e iniziano ad essere segnalati casi negli USA) inoltre, rende possibile che fermate di produzione e situazioni di quarantena simili a quelle descritte debbano essere adottate anche in regioni e settori industriali di altri paesi.

Semplificando il quadro, consideriamo il caso di un fornitore cinese (Parte A) che fornisce un componente o presta un servizio a favore dell’impresa straniera (Parte B), che a sua volta assembla (in Cina o all’estero) il componente in un prodotto finito o semilavorato, che poi viene rivenduto a terzi (Parte C).

operaio

Se la Parte A ritarda o non consegna i prodotti o servizi alla Parte B, questa rischia di trovarsi esposta al rischio di inadempimento verso la Parte C, e così via lungo la catena di forniture/acquisti.

Vediamo dunque come gestire il caso in cui la Parte A comunichi che è divenuto impossibile adempiere al contratto per motivi riconducibili all’emergenza Coronavirus, come un provvedimento amministrativo di chiusura dello stabilimento, la mancanza di personale in fabbrica alla riapertura, l’impossibilità di approvvigionarsi di certe materie prime o componenti, il blocco di certi servizi logistici, etc.

Nel commercio internazionale questa situazione, ossia l’esonero dalla responsabilità per il mancato adempimento alla prestazione contrattuale, divenuta impossibile a causa di eventi sopravvenuti che sono al di fuori della sfera di controllo della Parte, è generalmente definita “Forza Maggiore” o “Force Majeure”.

Per capire quando è legittimo che un fornitore eccepisca l’impossibilità ad adempiere al contratto a causa del Coronavirus e quando invece questi comportamenti siano infondati o pretestuosi, occorre chiedersi quando la Parte A può invocare una situazione di Force Majeure e cosa può fare la Parte B per limitare i danni ed evitare di essere a sua volta considerata inadempiente verso la Parte C.

Cos’è la Forza Maggiore – Force Majeure?

Non esiste, a livello internazionale, un concetto unitario di Force Majeure, perché ogni ordinamento statale prevede una disciplina specifica.

Un riferimento utile è dato dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili (“CISG”), ratificata da 93 paesi (tra cui Italia, Cina, USA, Germania, Francia, Spagna, Australia, Giappone, Messico) e automaticamente applicabile alle vendite tra società con sede in diversi paesi contraenti, salvo espressa esclusione.

L’art. 79 della CISG, intitolato nella versione italiana “Cause di Esonero”, prevede che “Una parte non è responsabile dell’inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”.

Le caratteristiche della causa di esonero dalla responsabilità per inadempimento sono dunque la sua imprevedibilità, il fatto che sia al fuori della sfera di controllo della parte che lo subisce e l’impossibilità di evitarlo o di porre rimedio alle sue conseguenze compiendo ragionevoli sforzi.

Per stabilire, in concreto, se ricorrano i presupposti di un evento di Force Majeure, quali siano le sue conseguenze e quale comportamento debbano tenere le parti, occorre in primo luogo analizzare il contenuto della (eventuale) clausola di Force Majeure inserita nel contratto.

La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure

Il modello di clausola di Force Majeure di riferimento nel commercio internazionale è quello predisposto dalla International Chamber of Commerce, la ICC Force Majeure Clause 2003, che prevede quali sono i requisiti che la parte che invoca la forza maggiore ha l’onere di provare (in sostanza sono quelli previsti dall’art. 79 della CISG) e indica una serie di eventi in cui si presume che tali requisiti ricorrano (tra i quali situazioni di guerra, embargo, atti di terrorismo, pirateria, calamità naturali, scioperi generali, provvedimenti delle autorità).

La ICC Force Majeure Clause 2003 indica poi anche quali siano i comportamenti da tenere da parte di chi invoca l’evento:

  • Dare pronta notizia all’altra parte dell’impedimento;
  • Nel caso in cui l’impedimento sia temporaneo, comunicare prontamente all’altra parte la sua cessazione;
  • Fare tutto quanto ragionevolmente possibile per limitare gli effetti dell’evento sulla propria prestazione contrattuale;
  • Nel caso in cui l’impossibilità della prestazione derivi dal mancato adempimento di un terzo (come nel caso di un subfornitore) fornire la prova che i presupposti della Force Majeure si applichino anche al terzo fornitore;
  • Nel caso in cui l’evento comporti il venir meno dell’interesse alla prestazione, comunicare prontamente la decisione di risolvere il contratto;
  • Nel caso di risoluzione del contratto, restituire la prestazione eventualmente ricevuta o una somma di valore equivalente.

Posto che le parti sono libere di inserire nel contratto ICC Force Majeure Clause 2003 oppure altra clausola di contenuto diverso, a fronte di una notifica di un evento di Forza Maggiore occorrerà dunque, come prima cosa, analizzare cosa preveda la clausola contrattuale nel caso specifico.

Il secondo passaggio (oppure il primo, nel caso in cui nel contratto non fosse presente una clausola di Force Majeure) sarà poi quello di verificare che cosa preveda la legge applicabile all’accordo contrattuale (ne parliamo in seguito).

Può anche accadere che l’evento invocato dalla parte inadempiente non comporti l’impossibilità della prestazione contrattuale, ma la renda eccessivamente onerosa: in questi casi non si può applicare il regime della Force Majeure, ma potrebbero ricorrere i presupposti della cosiddetta Hardship.

Cos’è l’Hardship?

L’Hardship (in italiano: eccessiva onerosità sopravvenuta) è un’altra clausola che ricorre spesso nei contratti internazionali di durata: essa disciplina i casi in cui, dopo la conclusione del contratto, la prestazione di una delle parti divenga eccessivamente onerosa o complicata a causa di fatti sopravvenuti, indipendenti dalla volontà della parte.

Il risultato di un evento di Hardship è quello di sbilanciare fortemente l’equilibrio del contratto a favore di una parte: esempi di scuola sono l’imprevedibile forte rialzo del prezzo di una materia prima, l’imposizione di dazi sull’importazione di un certo prodotto, l’oscillazione della valuta oltre un certo range concordato tra le parti.

A differenza della Force Majeure, dunque, nel caso di Hardship la prestazione è ancora realizzabile, ma è divenuta eccessivamente onerosa.

La clausola modello anche in questo caso è la ICC Hardship Clause 2003, che prevede che l’eccessiva onerosità sia conseguenza di un evento al di fuori della ragionevole sfera di controllo della parte, che non poteva essere preso in considerazione prima della conclusione dell’accordo e le cui conseguenze non possano essere ragionevolmente gestite.

La ICC Hardship Clause stabilisce cosa accade dopo che una parte abbia provato la ricorrenza di un evento di Hardship, ossia:

  • L’obbligo delle parti, entro un termine ragionevole, di negoziare una soluzione alternativa per mitigare gli effetti dell’evento e riportare l’accordo in equilibrio (estensione del termine di consegna, revisione del prezzo, etc.);
  • La risoluzione del contratto, nel caso in cui le parti non raggiungano un accordo alternativo per mitigare gli effetti dell’Hardship.

Anche nel caso in cui una parte eccepisca un evento di Hardship, come visto in precedenza per la Forza Maggiore, è necessario verificare se l’evento sia stato previsto nel contratto, quale sia il contenuto della clausola e/o cosa preveda la normativa applicabile all’accordo.

Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?

Torniamo ora al caso visto all’inizio di questo articolo e cerchiamo di vedere come gestire il caso dell’inadempimento del fornitore all’interno di una supply chain internazionale, quando venga invocata l’emergenza del Coronavirus come causa di esonero della responsabilità.

Premettiamo che non esiste una risposta valida per tutti i casi, essendo necessario esaminare i fatti, gli accordi contrattuali tra le parti e la legge applicabile al contratto. Quello che possiamo fare è indicare il metodo che può essere utilizzato in questi casi, ossia rispondere alle seguenti domande:

  • La situazione di fatto: qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
  • La parte che invoca la Force Majeure ha provato la sussistenza dei requisiti?
  • Cosa prevede il Contratto (e/o le Condizioni Generali di contratto)?
  • Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
  • Quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle Parti?

Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?

Come visto la situazione di forza maggiore è tale se la prestazione, dopo la conclusione del contratto, diviene impossibile per eventi imprevedibili, al di fuori del controllo della parte obbligata, le cui conseguenze non possano essere superate con uno sforzo ragionevole.

La prima verifica da fare è se l’evento per il quale la parte invoca la Force Majeure fosse o meno al di fuori del controllo della Parte e se fosse tale da rendere la prestazione impossibile (e non solo più complessa od onerosa) senza che la Parte potesse porvi rimedio.

Facciamo un esempio: nel contratto si prevede che la Parte A debba consegnare alla Parte B un prodotto o effettuare un servizio entro un certo termine essenziale (ossia tassativo, non derogabile), scaduto il quale non vi sarebbe più interesse di Parte B a ricevere la prestazione (pensiamo, ad esempio, alla consegna di alcuni materiali necessari per la costruzione di un’infrastruttura per le Olimpiadi).

Se la consegna non potesse avvenire perché lo stabilimento di Parte A è stato chiuso per provvedimento amministrativo o perché il personale di Parte A non può viaggiare e recarsi presso Parte B per effettuare il servizio di installazione, si potrebbe rientrare nel novero dei casi di Force Majeure.

Se invece la prestazione di Parte A restasse comunque possibile (ad esempio con spedizione dei prodotti da altro stabilimento sito in altra zona della Cina o in altro paese) e potesse essere realizzata, anche se a condizioni più onerose o in modo inesatto o incompleto, o in ritardo, non si potrebbe invocare la Force Majeure e andrebbe verificato se si sia, eventualmente, prodotta quell’eccessiva onerosità sopravvenuta che è il presupposto dell’Hardship, con le relative conseguenze.

Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?

Il passo successivo è quello di determinare se il Fornitore / Parte A abbia fornito la prova dei fatti che sono il presupposto della Force Majeure, ossia di non aver potuto evitare la situazione né che fosse ragionevolmente possibile porvi rimedio.

A tal fine la sola produzione di un certificato del CCPIT attestante l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali, per i motivi spiegati in precedenza, non può considerarsi sufficiente a provare l’effettiva sussistenza, nel caso specifico, di una situazione di Force Majeure.

La verifica dei fatti dedotti e delle relative prove è particolarmente importante perché, nel caso in cui si ritenga sussistere una causa di esonero in capo alla Parte A, queste prove possono poi essere utilizzate dalla Parte B per documentare, a sua volta, di trovarsi nell’impossibilità di adempiere verso la Parte C, e così via lungo la catena di fornitura.

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Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?

Il passaggio successivo è quello di vedere se il contratto tra le parti, o le condizioni generali di vendita o acquisto (se esistenti e applicabili) prevedano, o meno, una clausola di Force Majeure e/o Hardship.

In caso positivo occorre verificare se l’evento denunciato dalla Parte che invoca la Force Majeure rientri o meno tra quelli previsti dalla clausola contrattuale.

Ad esempio, se l’evento denunciato fosse la chiusura dello stabilimento per ordine delle autorità e la clausola contrattuale fosse la ICC Force Majeure Clause 2003, si potrebbe sostenere che l’evento rientri quelli indicati al punto 3 [d] ovvero “act of authority … compliance with any law or governmental order, rule, regulation or direction, curfew restriction” oppure al punto 3 [e] “epidemic” o 3 [g] “general labour disturbance “.

Andrà poi esaminato quali siano le conseguenze previste dalla Clausola: generalmente si prevede un onere di tempestiva notifica dell’evento, che la parte sia esonerata dall’esecuzione della prestazione per tutta la durata dell’evento di Force Majeure e un termine massimo di sospensione dell’obbligazione, decorso il quale le parti possono comunicare la risoluzione del contratto.

Nel caso in cui l’evento non rientrasse tra quelli previsti nella Clausola di Force Majeure, o non vi fosse tale clausola nel contratto, andrebbe verificato se esista una Clausola di Hardship e se l’evento possa essere ricondotto a tale previsione.

Infine, in ogni caso è comunque necessario verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto.

Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?

Ultimo passaggio è quello di verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto, sia nel caso in cui l’evento rientri in una clausola di Force Majeure o Hardship, sia nel caso in cui tale clausola non sia presente o non ricomprenda l’evento.

I presupposti e le conseguenze della Forza Maggiore o dell’Hardship, infatti, possono essere regolati in modo molto diverso a seconda della legge applicabile al contratto.

Se Parte A e Parte B avessero entrambe sede in Cina, al contratto di vendita si applicherebbe la legge della Repubblica Popolare Cinese, e la possibilità di invocare con successo la Force Majeure andrebbe valutata applicando queste norme.

Se Parte B avesse invece sede in Italia, nella maggioranza dei casi al contratto di vendita si applicherebbe la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (e quindi l’art. 79 sulle Cause di Esonero visto in precedenza) e per quanto non coperto dalla CISG si applicherebbe la legge indicata dalle parti nel contratto (o in mancanza identificata tramite i meccanismi di diritto internazionale privato).

Analogo ragionamento andrebbe fatto per determinare quale sia la legge applicabile al contratto tra Parte B e Parte C e cosa preveda tale legge, e così via lungo la supply chain internazionale.

Nel caso in cui i diversi rapporti siano regolati dalla stessa normativa (ad esempio la CISG) ciò non comporta problemi, ma se – come è probabile – le leggi applicabili fossero diverse la situazione si complica parecchio perché lo stesso evento potrebbe essere considerato causa di esonero da responsabilità contrattuale per la Parte A nei confronti della Parte B, ma non nel passaggio successivo della supply Chain, da Parte B a parte C.

Come limitare i rischi nella supply chain?

Il modo migliore di limitare il rischio di richieste di risarcimento del danno da parte delle altre imprese della catena di fornitura è quello di richiedere per tempo al proprio Fornitore conferma della disponibilità ad effettuare la prestazione contrattuale secondo i termini stabiliti, e condividere le informazioni ricevute con le altre aziende che fanno parte della supply chain.

Nel caso di inadempimento motivato con l’emergenza Coronavirus, è fondamentale verificare se l’evento denunciato rientri tra quelli che possono essere causa di esonero da responsabilità contrattuale, ed esigere che il fornitore fornisca le prove relative. Tali prove, se confermano l’impossibilità della prestazione del fornitore, potranno essere utilizzate dall’acquirente, a sua volta, per invocare la situazione di Force Majeure nei confronti delle altre aziende della Supply Chain.

Se nei contratti (di acquisto e vendita) sono presenti clausole di Force Majeure / Hardship, andrà visto cosa prevedono come modalità di denuncia, tempi di sospensione della prestazione o risoluzione del contratto, nonché cosa preveda la legge applicabile ai contratti.

Infine, è bene ricordare che la maggior parte delle normative prevedono un onere di mitigare i danni derivanti dall’eventuale inadempimento dell’altra parte: ciò significa che se è probabile, o anche solo possibile, che il Fornitore cinese si renda inadempiente ad una fornitura, la parte acquirente dovrà fare tutto il possibile per essere in grado di porvi rimedio ed adempiere comunque alle proprie obbligazioni verso le altre aziende che formano parte della supply chain, ad esempio procurandosi il prodotto da altri fornitori anche a condizioni molto più onerose.

Come cambiano i contratti di distribuzione dopo Covid19?

Ne ho parlato in un webinar il 20.11.2020, offrendo il mio punto di vista sulle lezioni apprese durante la pandemia e sulle clausole che è opportuno verificare e aggiornare: clicca qui sotto per vedere la registrazione dell’intervento.


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One of the commonly discussed advantages of international commercial arbitration over litigation in the cross-border context is the enforcement issue. For the purpose of swifter enforcement of foreign arbitral awards, the vast majority of countries signed the New York Convention on the Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards.

On contrary, there is no relevant international treaty of such scale for the enforcement of foreign court judgements. Normally, the special legal basis, such as agreement on judicial cooperation between two or more countries, needs to be relied upon in order to get a court judgment recognized and enforced in another country. There are quite many countries that do not have such an agreement with China. This includes, among others, US, Germany or the Netherlands.

Interestingly, however, recently the Chinese court in Wuhan enforced the US court judgement rendered by the Los Angeles Superior Court of California in the Liu Li v Tao Li and Tong Wu case.  It did so despite the fact that there is no agreement between China and US providing for mutual recognition and enforcement of such judgements. The court in Wuhan found, however, that the reciprocity in recognizing and enforcing the court judgments between China and US was established because of an earlier decision of the US District Court of the Central District of California recognizing and enforcing the Chinese judgement rendered by the Higher People’s Court of Hubei in the Hubei Gezhouba Sanlian Industrial Co., Ltd et. al. v Robinson Helicopter Co., Inc. case.

Interestingly, similar course of action was taken earlier in 2016 when the Chinese Nanjing Intermediate People’s Court enforced the Singaporean judgement relying on the reciprocity principle in the Kolma v SUTEX Group case.

How much does it tell us?

Should we now feel safe when opting for own courts in the dispute resolution clauses in the China-related deals? – despite the fact there are no relevant agreements between China and our country? The recent moves of the Chinese courts are, indeed, interesting developments changing the dispute resolution landscape in a desirable direction and increasing the chances for enforcing the foreign commercial court judgements. Yet, as of today, one should not see them as the universal door-openers for the foreign court judgements in similar situations. Accordingly, rather careful approach is recommended and the other dispute resolution methods securing the safer way of enforcement, like arbitration, should be kept in mind. The further changes remain to be seen.

The author of this post is Monika Prusinowska.

There is a number of dispute resolution mechanisms available for the disputes with the Chinese parties. Depending on bargaining power of the parties and few other circumstances, such as limitations of Chinese law, the dispute can be sometimes resolved outside of China. More frequently, however, the Sino-foreign disputes are resolved in China and this post offers a brief introduction to the methods available there .

As almost anything else in business, an optimal method for resolution of future disputes is worth of anticipating well in advance. Once there is a conflict, it is much more difficult for the parties to agree on the solution equally acceptable to both of them. There is a variety of options to choose from and each of them has its own advantages and disadvantages. Also, there is no “one size fits all” solution and each transaction as well as dispute should be approached individually. Of course, there is always is a default solution, which is going to state court in case the parties have not provided for any alternative mechanism, but this is not always the most optimal way to go.

Litigation

Chinese courts are commonly perceived by foreigners as rather undesirable scenario for dispute resolution. It is so due to the often mentioned problems, such as local protectionism of the Chinese courts or lack of their professionalism. However, in practice, this is not always true and especially the courts in the China’s well-developed regions, particularly in the biggest coastal cities are generally a safe harbor for disputes involving foreigners. The same holds true for the IP courts located in Beijing, Shanghai and Guangzhou. One needs to remember, however, that the jurisdiction of particular court depends on a number of factors, such as place of registration of the Chinese counterparty or place of performance of the contract and therefore, the Chinese top courts may not be the ones handling particular dispute in practice.

Arbitration

Arbitration is a common choice for foreign-related disputes in China. It happens so, because of a number of advantages of arbitration over litigation in such a context. To start with, China and the vast majority of the countries in the world are the parties to the New York Convention, which significantly streamlines the enforcement of foreign arbitral awards. There is no comparable treaty of that scale for the enforcement of state court judgements, what can cause practical problems if certain country does not have an agreement on judicial assistance with China and the enforcement of foreign court judgements is sought. Therefore, since the parties want money and not a piece of paper, the use of arbitration in the cross-border context can substantially improve the prospects for effective enforcement of arbitral award. Furthermore, in contrast to litigating in China, in arbitration English language can be used in proceeding and a party can be represented by a foreign counsel. In arbitration, the parties can also select arbitrators resolving their dispute and a foreign arbitrator is not an uncommon scenario in case of the Sino-foreign arbitration proceedings in China. The parties can also select a specific arbitration institution and rules applicable to the proceeding.

The China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) and the Beijing Arbitration Commission (BAC) are one of the most frequently chosen arbitration institutions in China for the foreign-related disputes. Alternatively, if the circumstances of the case permit – the dispute can be taken outside of China and resolved, for instance, by  the Hong Kong International Arbitration Centre (HKIAC) or the Singapore International Arbitration Centre (SIAC), which are fairly acceptable alternative choices for the Chinese parties.

Other options

One of the other methods popular in China is mediation. Mediation is typically faster, cheaper and increases the chances of preserving good relationship between the parties. However, one needs to remember that in order to mediate, the parties need to be willing to do so, since the role of mediator is to help the parties reach an agreement and not to ultimately decide their dispute. Furthermore, the product of mediation is a contract and so, the breach of mediation agreement typically equals to contractual breach.

One additional important tool frequently used in practice is engaging local lawyers for the purpose of negotiating with the Chinese party as soon as the dispute escalates. The lawyers can help the parties communicate and when the communication is impossible – they can prepare a document describing the claims and informing the Chinese party about the risk of undertaking further legal steps, such as staring court proceeding, what is made mainly for the purpose of brining the other party back to negotiation and finding a solution acceptable to both parties. This often helps save time and money, but it can be problematic if the other party ignores the actions of lawyer. Also, like in case of mediation, the problem lies in the enforcement of any agreement reached by the parties in the course of negotiation.


The main takeaways from this short post are the following:

  • Think about the dispute resolution mechanism in advance. There are quite many issues that need to be taken into consideration and there is no “one size fits all” solution. There might be the situations when going to the Chinese court makes perfect sense and there also might be the situations when it makes no sense at all. What is the best option for me in particular case? Which court can potentially have jurisdiction over my case? Does the country involved have a judicial assistance agreement with China for the purpose of enforcement? What should be the language of proceeding? Which arbitration institution to choose?
  • Think about hiring professionals right from the very beginning, preferably at the stage of negotiating and drafting agreements. Choosing an optimal solution for resolution of future disputes can help save a lot of time, money and energy. In case of dispute occurring already – act promptly. If the dispute escalates, think about what you can do to best preserve your rights. Should you apply for interim measures? Do you need to first negotiate before you can go for arbitration in case of multi-tier clauses? Which documents are needed to start the proceeding?

The author of this post is Monika Prusinowska.

Yang Jun

Practice areas

  • Contratti
  • Proprietà intellettuale
  • Lavoro
  • Contenzioso
  • Privacy and Data Security

Scrivi a China – Changes to Company Law





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    Il contratto di distribuzione commerciale in Cina

    8 Settembre 2021

    • Cina
    • Contratti
    • Commercio internazionale
    • Distribuzione
    • Marchi e brevetti

    Summary:

    The heavily amended PRC Company Law will take effect on July 1, 2024. Please find below a summary of some of the important novelties embodied by this amended Company Law, which may have a significant impact on the rights and duties of the shareholders and management of a limited liability company (“LLC”).

    The businesses active in the PRC may be interested in carefully reviewing their corporate documents (including the Articles of Association) in light of the amended Company Law and deciding necessary adaptive measures for compliance/optimization purposes during the transition period leading to the effective date of the said amended Company law.

    Capital contribution.

    The amended Company Law provides that the subscribed capital of an LLC shall be paid up as per its Articles of Association within a time period up to 5 years from its incorporation (NB: The previous law does not set a time limit for the capital contribution.). This requirement will retroactively apply to the companies incorporated prior to July 1st, 2024.

    Despite the foregoing, a creditor or the company shall be entitled to request the shareholder(s) concerned to accelerate its/their capital contribution ahead of the due date for capital contribution should the company be unable to settle due debt(s) with its own assets.

    The equity and credit may be used for the capital contribution.

    Duties of directors/senior managers

    The directors shall bear the obligation to form the “liquidation team,” which shall proceed with the liquidation within 15 days of the occurrence of a number of statutory circumstances substantiated in Article 229 of the Company Law. The directors shall be held liable for losses incurred by the company or creditor(s) arising from their failure to fulfill the above liquidation obligation on time.

    The director(s)/senior manager(s) shall be held liable (along with the company itself) for compensating others should they cause any damages to the latter due to their intentional acts or gross negligence in the course of performing their duties.

    The board of directors of an LLC shall regularly check the status of capital contributions by the shareholders. It shall cause the company to issue written reminders to the shareholder(s) failing to make capital contributions on time. Should the shareholder fail to honor its subscribed capital contribution despite the reminder, subject to a specific board resolution and a written notification with immediate effect, the company may declare that the shareholder is disqualified from making the capital contribution.

    Corporate governance

    An LLC may set up an “audit commission” composed of directors to exercise the function of supervisor or supervisors’ committee as per its Articles of Association. In such cases, the company may no longer need to set up separate supervisors’ committees or appoint supervisors.

    However, the board of directors of an LLC having more than 300 employees shall have employees’ representative(s) elected through the democratic process unless the same LLC has a Supervisors’ Committee in place and such Committee already has the employees’ representative(s).

    Riassunto

    Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina? 

    Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.

    Di cosa parlo in questo articolo:

    • La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
    • La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione 
    • Il contratto di vendita internazionale in Cina 
    • Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
    • L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese 
    • Il patto di non concorrenza 
    • La distribuzione Omnichannel 
    • Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
    • Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
    • Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
    • Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto 
    • La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
    • Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)

    Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina? 

    Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina. 

    Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.

    Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.

    Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.

    Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali. 

    Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6). 

    Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti. 

    Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali,  solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.

    La forma del contratto di distribuzione in Cina 

    I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici. 

    È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.

    Il contratto di vendita internazionale in Cina 

    Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).

    Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.

    Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”). 

    Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.

    Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.

    Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina 

    La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.

    Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci. 

    E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere. 

    L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.

    Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA) 

    Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari. 

    Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.

    Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere  valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.

    Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi,  che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.

    Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.

    Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.

    Accordi di distribuzione esclusiva in Cina 

    Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore? 

    Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.

    Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.

    Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato. 

    Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto. 

    I patti sui minimi di fatturato, specie in  relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.

    Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori. 

    Pechino - Legalmondo

    Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina 

    Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore. 

    È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto. 

    Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.

    Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto,  motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.

     

    La Distribuzione Omnichannel in Cina 

    Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B. 

    Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.

    Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue

    distribuzione - legalmondo

    Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva. 

    Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.

    eCommerce - legalmondo

    La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi. 

    Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.

    Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina 

    Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.

    Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate. 

    Hong Kong - Legalmondo

    Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina

    Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore. 

    Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza. 

    Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.

    Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.

    La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).

    E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto. 

    Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina 

    I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale. 

    La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni). 

    Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore,  dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.

    È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.  

    Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso. 

    Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione 

    Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio. 

    Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale. 

    Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina

    Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.

    Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.

    Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.

    Hong Kong - Legalmondo

    Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina 

    Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero. 

    Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale. 

    La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato. 

    Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi).  Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.

    Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.

    Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.

    Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.

    I  vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.

    Riassunto

    Perché è importante registrare il marchio in Cina? Per acquisire l’esclusiva di utilizzo del marchio nel mercato cinese ed evitare che lo faccia un terzo, bloccando in tal modo l’accesso al mercato ai prodotti o servizi dell’impresa italiana. In questo post vediamo come registrare un marchio in Cina e perché è importante effettuare la registrazione anche se l’impresa italiana non è ancora presente sul mercato locale. Parliamo anche del marchio in caratteri cinesi, spiegando in quali casi è utile registrare una traslitterazione del marchio internazionale.

    Di cosa parlo in questo post:

    • Perché registrare un marchio internazionale in Cina
    • Come registrare il marchio in Cina
    • Quando registrare il marchio anche in caratteri cinesi
    • La cancellazione del Marchio per non uso
    • La procedura di notice e takedown sui marketplace
    • La registrazione del Marchio presso le Dogane cinesi
    • Come possiamo aiutarti

    Accade spesso che le imprese italiane scoprano che il proprio marchio è già stato registrato in Cina da un soggetto locale: in tali casi ottenere l’annullamento del marchio è molto difficile e si rischia di trovarsi nell’impossibilità di vendere i propri prodotti o servizi in Cina.

    Perché registrare il marchio in Cina

    Il sistema cinese di registrazione dei marchi si basa sul principio del first to file, che prevede una presunzione che il legittimo titolare di un marchio sia il soggetto che per primo lo registra (e non colui che per primo l’ha utilizzato, al contrario di altri paesi come USA e Canada, che seguono il principio del “first to use”).

    Il principio del first to file è utilizzato anche in altri paesi (Italia ed Unione Europea, per esempio), ma l’applicazione in Cina è tra le più stringenti, perché non concede al precedente utilizzatore di continuare avvalersi del marchio a seguito della registrazione da parte di un altro soggetto.

    Questo vuol dire che, se un terzo registra per primo in Cina il vostro segno distintivo, non avrete più la possibilità di continuarlo ad utilizzarlo sul territorio cinese, salvo riusciate ad ottenere l’annullamento della registrazione del marchio.

    In Cina, però, ottenere l’annullamento di un marchio è molto complesso, ed è possibile soltanto in presenza di una delle seguenti circostanze.

    La prima è quella di provare che la registrazione del Marchio da parte del terzo è stata ottenuta con mezzi fraudolenti o illegittimi. A tal fine occorre dimostrare che chi ha registrato il marchio era a conoscenza del suo precedente utilizzo da parte di altro soggetto e pertanto ha agito con l’intento procurarsi un vantaggio illegittimo e quindi la registrazione è avvenuta in malafede.

    La seconda richiede la dimostrazione che il marchio registrato sia identico, simile o una traduzione di un segno distintivo celebre già utilizzato in precedenza da un altro soggetto in Cina e che la nuova registrazione sia suscettibile di causare confusione nel pubblico. Un esempio è quello di un soggetto cinese che registri la traduzione di un marchio di fama internazionale, che era stato registrato in Cina unicamente in caratteri latini.

    Anche questa seconda strada è ardua da percorrere, perché richiede che il Marchio abbia uno status di notorietà internazionale, che secondo la giurisprudenza cinese ricorre quando un numero elevato di consumatori locali conosce e identifica quel marchio.

    Il terzo caso è quello del Marchio che sia stato registrato da un terzo in Cina, ma poi non sia stato utilizzato per tre anni consecutivi: in tal caso la legge prevede che chiunque vi abbia interesse possa chiedere l’annullamento del marchio, specificando se desidera cancellare l’intera registrazione o solo in relazione a determinate classi / sottoclassi.

    Anche questa terza strada è molto complessa, soprattutto con riferimento alla cancellazione dell’intera registrazione: al titolare del marchio cinese, infatti, è sufficiente provare anche un minimo uso (ad esempio su un sito web o un account di wechat) per conservare la registrazione.

    Per tali ragioni, è di importanza fondamentale depositare la domanda di registrazione in Cina prima che lo faccia un terzo soggetto, per evitare che vengano registrati – spesso in mala fede – marchi/loghi simili o addirittura identici.

    La procedura di registrazione del marchio in Cina

    Per registrare un marchio in Cina è possibile seguire due diverse procedure, tra loro alternative:

    • depositare la domanda di registrazione direttamente all’Ufficio Marchi cinese – CTMO (Chinese Trademark Office); oppure
    • optare per una registrazione internazionale presentando la relativa domanda all’OMPI (Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale), con richiesta di estensione alla Cina.

    A mio avviso è consigliabile procedere alla registrazione del Marchio direttamente presso il CTMO (Chinese Trademark Office). L’estensione internazionale all’OMPI, infatti, viene svolta con un processo di registrazione standard, che non tiene conto delle complessità che contraddistinguono il sistema cinese, secondo il quale:

    1. In primo luogo, deve essere svolta una ricerca tesa alla verifica della inesistenza di marchi simili e/o uguali già registrati, accompagnata dalla valutazione dei requisiti legislativi per la validità del marchio.
    2. In secondo luogo, il soggetto che deposita la domanda deve determinare la/le classe/i e sub-classe/i in cui registrare il marchio in questione.

    Questa procedura è abbastanza complessa, poiché il CTMO, oltre all’indicazione della classe di registrazione tra le 45 previste dalla classificazione internazionale (“Classificazione di Nizza”), richiede anche l’indicazione delle sottoclassi nelle quali si intende registrare il marchio. Le sottoclassi cinesi sono molte per ciascuna classe, e non hanno alcun corrispondente con la classificazione internazionale.

    In altre parole, presentando la domanda attraverso l’OMPI, il marchio verrà sì registrato nella Classe corretta, ma l’individuazione delle sottoclassi verrà svolta d’ufficio dal CTMO, senza consultare il richiedente. Ciò può portare alla registrazione del marchio in sottoclassi non corrispondenti a quelle desiderate, con il rischio, da un lato, di un aumento dei costi di registrazione (se le sottoclassi vengono conteggiate in eccesso); dall’altro lato di una tutela solo parziale sul mercato (se il marchio non viene registrato in una certa sottoclasse).

    Un altro aspetto pratico che rende preferibile una registrazione diretta in Cina è dato dal fatto che si ottiene subito un certificato in lingua cinese; ciò consente, nel caso in cui sia necessario utilizzare il marchio in Cina (ad esempio per azioni in sede legale o amministrativa in caso di prodotti contraffatti, o se si debba registrare un contratto di licenza di uso del marchio) di procedere in modo rapido ed efficace (senza necessità di certificati addizionali o traduzioni).

    La procedura di registrazione diretta in Cina si articola in varie fasi per completarsi, in genere, entro un lasso di tempo di circa 15/18 mesi: la priorità è però protetta sin dalla data di deposito della domanda, ponendo al riparo da eventuali domande di registrazione da parte di terzi in data successiva.

    La durata della registrazione è di 10 anni ed è rinnovabile.

    La Registrazione del marchio in caratteri cinesi

    È necessario registrare iI Marchio anche in caratteri cinesi?

    Per la maggior parte delle aziende, la risposta è sì. Pochissime persone parlano inglese in Cina e spesso i vocaboli internazionali vengono pronunciati con difficoltà e si preferisce sostituirli con un termine in lingua cinese che abbia assonanza con la parola straniera, più facile da leggere e memorizzare da parte dei consumatori o clienti cinesi.

    La traslitterazione del marchio internazionale in caratteri cinesi può avvenire in diversi modi.

    E’ possibile registrare innanzitutto un termine che presenti assonanza con l’originale, come nel caso di Ferrari / 法拉利 (fǎlālì, traslitterazione fonetica senza particolare significato) o di Google / 谷歌 (Gǔgē, anche questa una traslitterazione fonetica).

    Un’alternativa è la scelta di un termine equivalente al significato della parola straniera, come nel caso di Apple / 苹果(Píngguǒ, che significa, appunto, mela)  e in parte di Starbucks / 星巴克 (xīngbākè: il primo carattere significa “stella”, mentre bākè è una traslitterazione fonetica.

    starbucks china - legalmondo

    La terza possibilità è identificare un termine che abbia un significato positivo legato al prodotto e al contempo ricordi il suono del marchio straniero, come nel caso di Coca Cola / Kěkǒukělè (ossia assaggia e sii felice).

    Ikea Cina - Legalmondo

    (Qui sopra il marchio Ikea / 宜家 =yíjiā, ossia casa armoniosa)

    Come per il marchio in caratteri latini, i rischi che terzi registrino la versione cinese del marchio prima del legittimo titolare sono molto forti.

    La situazione è anche aggravata dal fatto che il terzo che registra un marchio simile o confondibile in caratteri cinesi generalmente lo fa per sfruttare in maniera sleale la notorietà e l’avviamento commerciale del marchio straniero, rivolgendosi agli stessi clienti e canali commerciali..

    Ciò è capitato di recente, ad esempio, al marchio Jordan (di proprietà del gruppo di imprese riconducibili al campione di basket) e anche al marchio New Balance, che hanno dovuto combattere a lungo per ottenere l’annullamento dei corrispettivi marchi cinesi, registrati in mala fede da aziende concorrenti.

    Marchi Cina - Legalmondo

    Le regole per la registrazione del Marchio in caratteri cinesi sono le stesse viste sopra per il marchio in caratteri latini.

    Visti i rischi associati ad eventuali registrazioni di terzi, è consigliabile che la valutazione sulla registrazione del marchio si estenda non solo ai caratteri cinesi identificati per la versione in mandarino che si è deciso di utilizzare, ma anche ad una serie di marchi foneticamente simili, al fine di prevenire la registrazione da parte di terzi di marchi confondibili con quello dell’impresa.

    La registrazione, infine, è consigliabile anche se non si intende, per strategia commerciale, utilizzare un marchio in caratteri cinesi. In tali casi la registrazione di termini che corrispondono alla translitterazione fonetica del marchio internazionale ha una valenza difensiva, che è quella di impedire la registrazione (e l’uso) da parte di terzi.

    Quest’ultima, ad esempio, è stata la decisione di marchi importanti come Armani e Prada, che hanno registrato marchi in caratteri cinesi (rispettivamente 阿玛尼 / āmǎní e 普拉達 = pǔlādá) ma non li utilizzano correntemente nella loro comunicazione.

    Quanto alle varie opzioni di traslitterazione, è consigliabile farsi affiancare da consulenti locali al momento della valutazione dei caratteri, per evitare di scegliere termini che abbiano significati infelici, inadatti al prodotto o addirittura infausti (come nel caso di un mio cliente che tanti anni fa registrò un marchio italiano utilizzando il carattere finale 死, che suona come la parola “morto” in cinese).

    Un ottimo esempio di come scegliere il marchio giusto in caratteri cinesi è quello del Consorzio Franciacorta, che ha registrato il marchio con i caratteri 馥奇达 (Fù Qí Dá): leggete qui un bell’articolo che descrive il processo che ha portato a scegliere proprio questi caratteri.

    Franciacorta - Legalmondo

    La cancellazione del marchio per non uso 

    Ho menzionato sopra che è consigliabile valutare anche registrazioni meramente difensive, ossia registrare marchi simili a quello che si intende utilizzare in Cina (in caratteri latini o cinesi) allo scopo di prevenire una registrazione da parte di terzi.

    Va ricordato, a questo proposito, che anche in Cina è possibile ottenere la cancellazione di un marchio se il titolare non lo ha utilizzato per un periodo ininterrotto superiore a 3 anni.

    Il procedimento è ad iniziativa della parte interessata ad acquisire il marchio inutilizzato dal titolare, il quale per difendersi deve fornire la prova di averlo usato, ossia che il marchio è stato apposto su prodotti o servizi in vendita in Cina (a tal fine si possono produrre fatture di vendita, fotografie dei prodotti esposti a fiere locali, pubblicità fisiche o digitali nelle quali il marchio è stato utilizzato).

    Ciò premesso, a mio avviso il rischio di dover difendere il marchio in un’azione di cancellazione per non uso è certamente preferibile a quello di non registralo affatto, e che il marchio sia registrato da un terzo concorrente.

    Come combattere la contraffazione sui marketplace: la procedura di notice and takedown

    I prodotti contraffatti online, anche sui principali marketplace, sono ancora oggi molto diffusi.

    Che fare? È fondamentale, dopo avere registrato il marchio, monitorare il mercato, anche rivolgendosi ad agenzie locali specializzate.

    La E-Commerce Law of the People’s Republic of China, approvata il 31 Agosto 2018, prevede una responsabilità degli operatori delle piattaforme di e-commerce nel caso di mancato intervento per porre fine alla violazione dei diritti di proprietà intellettuale da parte dei venditori che utilizzano la piattaforma.

    L’art. 42, in particolare, prevede che l’operatore di una piattaforma di e-commerce sia obbligato a prendere le misure necessarie per bloccare la presunta violazione della proprietà intellettuale, a condizione che il proprietario del marchio o del diritto di proprietà intellettuale violato possa fornire una prova apparentemente fondata di tale violazione, mentre l’art. 43 assegna al venditore, nei 15 giorni successivi alla richiesta, l’onere di provare che i prodotti non violano i diritti di proprietà intellettuale in questione.

    La registrazione del Marchio presso le Dogane cinesi

    Una tutela importante, una volta ottenuta la registrazione del marchio in Cina, è la possibilità di registrare il marchio anche presso l’Amministrazione Generale delle Dogane: anche questa registrazione dura 10 anni ed è rinnovabile.

    L’effetto importante è quello di poter chiedere il monitoraggio delle merci in transito nelle dogane cinesi e il blocco di quelle che appaiono come possibili contraffazioni: in caso di sospetta irregolarità scatta una notifica al titolare del marchio per verificare le merci in questione, con una procedura che consente di verificarle, sequestrarle e di sanzionare il contraffattore.

    Riassunto – In un contratto con controparte straniera o nelle condizioni generali di vendita o di acquisto internazionale è frequente l’utilizzo della clausola di scelta del foro competente e della legge applicabile. Spesso la scelta, però, non viene fatta in modo consapevole e può portare a risultati contrari agli interessi della parte che la predispone. Vediamo in questo articolo come procedere a questa scelta in modo corretto ed utile.


    La clausola del contratto che disciplina la modalità di risoluzione delle controversie e la legge applicabile al rapporto è spesso chiamata la “midnight clause”, facendo riferimento al fatto che in molti modelli di contratto questa clausola è tra le ultime del documento e viene dunque discussa al termine delle trattative, spesso a tarda notte, quando le parti sono esauste e desiderose di firmare il contratto.

    I casi ricorrenti sono due: nel primo, la decisione viene presa con noncuranza e in maniera frettolosa, posto che le parti ritengono di avere già raggiunto l’accordo sulle questioni importanti del contratto e non danno peso – a torto – alla previsione sulla risoluzione delle liti.

    Nel secondo caso accade il contrario: sulla decisione del giudice competente e della legge applicabile si genera un muro contro muro, con entrambe le parti risolute – in genere per una questione di principio e di diffidenza verso le norme straniere – ad imporre la giurisdizione nel proprio paese e l’applicabilità della legge nazionale.

    Entrambi gli scenari sono molto delicati, perché espongono al rischio di decisioni sbagliate o di pessimi compromessi, che possono giungere a vanificare la futura possibilità di agire in giudizio.

    E’ fondamentale che questa clausola venga affrontata in modo consapevole e non improvvisato: vediamo alcune considerazioni da tenere a mente al momento di scegliere la giurisdizione e la legge applicabile.

    Il giudice straniero non è un tabù

    Facciamo un esempio pratico: un contratto tra una società italiana e una controparte cinese.

    Per lungo tempo gli stranieri sono stati, giustamente, terrorizzati dall’idea di rivolgersi al giudice cinese, che era un funzionario statale proveniente da altre amministrazioni pubbliche, di assai dubbia imparzialità, politicizzato e in genere del tutto incompetente.

    La situazione oggi è cambiata e, quantomeno nelle città oggetto da anni di investimenti internazionali, il livello di preparazione della magistratura è certamente migliorato, i costi di un contenzioso sono tutto sommato contenuti, i tempi di un giudizio di primo grado rapidi (circa 6 mesi) e la possibilità di un equo giudizio, se ben difesi da un avvocato competente, certamente alla portata.

    Si può – e si deve- dunque valutare l’opzione di prevedere la giurisdizione cinese in contratto, considerando i futuri scenari possibili in caso di future vertenze.

    Lo stesso ragionamento va fatto, caso per caso, con altri paesi: prima di rifiutare la scelta di giurisdizione nel paese straniero, occorre valutare quali siano i pro e i contro di un’eventuale azione legale in Italia e quale sarebbe la situazione se la causa venisse instaurata presso un giudice del paese straniero in cui ha sede la controparte.

    Tra gli elementi da valutare vi sono i seguenti:

    • L’efficienza del sistema giudiziario del paese straniero
    • I costi del procedimento giudiziario (tasse)
    • I costi legali (onorari degli avvocati del paese straniero)
    • Tempi e costi del procedimento per ottenere il riconoscimento della sentenza italiana nel paese straniero

    Attaccare in trasferta, difendersi in casa

    La scelta sul foro competente può essere, in primo luogo, una scelta tattica: se è probabile che eventuali futuri contenziosi siano attivati dalla controparte, usando una metafora calcistica, optare per il giudice italiano concede la il vantaggio del fattore campo.

    Per una società straniera, infatti, sarà più difficile iniziare la causa e gestire un contenzioso in Italia, con necessità di essere assistita da legali italiani, di applicare una legge con cui non ha familiarità e di sostenere costi di viaggio per comparire avanti ad un tribunale italiano.

    Se invece, al contrario, è probabile che sia la società italiana a doversi attivare con un’azione giudiziaria (ad esempio per il pagamento del prezzo, o per ottenere l’adempimento o la risoluzione del contratto) “giocare in attacco” presso il giudice del luogo in cui viene eseguito il contratto (e ha sede, in genere, la controparte straniera) può comportare molti vantaggi, tra i quali quello di ottenere in tempi rapidi una sentenza direttamente eseguibile nel paese in cui ha sede la controparte.

    bridge - legalmondo

    La clausola “asimmetrica”

    Una soluzione intermedia, che consente di fruire dei benefici sia della giurisdizione italiana, sia di quella del paese in cui ha sede la controparte straniera, è la cosiddetta clausola “asimmetrica”.

    Tali clausole prevedono la facoltà di una sola parte di introdurre la lite sia davanti al giudice indicato nel contratto (ad esempio Italiano), sia dinanzi a quello che sarebbe competente secondo i criteri ordinari di giurisdizione, ad esempio il foro della sede della parte straniera (ad esempio, i giudici della città di Pechino).

    L’altro contraente non ha questa facoltà di scelta ed è quindi obbligato a promuovere eventuali controversie soltanto dinanzi all’autorità giudiziaria contrattualmente indicata (il giudice italiano).

    Mentre questo tipo clausola è generalmente considerato valido in Italia e nella UE, è bene verificarne la legittimità nel caso si applichi al contratto una legge straniera.

    Dove andrà eseguita la sentenza?

    Uno dei fattori importanti nella decisione sul foro è certamente il luogo di esecuzione della sentenza: occorre, cioè, considerare quali tipi di vertenze si potranno generare nella relazione commerciale e dove sarà possibile eseguire la sentenza ottenuta, se in Italia o nel paese in cui ha sede la controparte.

    Rimaniamo sull’esempio del contratto con una parte cinese.

    Nella maggioranza dei casi la parte cinese ha asset (beni e crediti aggregabili) solo in Cina e se la sentenza favorevole alla parte italiana non venisse spontaneamente adempiuta (scenario molto frequente) si renderebbe necessario procedere all’esecuzione forzata, appunto, in Cina.

    Per questa ragione prevedere la giurisdizione del giudice italiano può essere una mossa controproducente, che obbliga prima a radicare una causa in Italia, spesso con tempi molto lunghi, e poi a chiedere il riconoscimento della sentenza italiana nella Repubblica Popolare Cinese: ciò è possibile grazie al Trattato per l’assistenza giudiziaria in materia civile del 1991, ma il procedimento è molto burocratico, richiede la traduzione in cinese e la legalizzazione della sentenza e di tutti i documenti e nel corso del giudizio di riconoscimento la parte cinese farà tutto il possibile per complicare e ritardare il riconoscimento della decisione.

    Il risultato è che, anziché ottenere una sentenza eseguibile in Cina in pochi mesi (ricorrendo al giudice Cinese) si perdono diversi anni, incorrendo in costi molto superiori e con l’amara sorpresa, anche questa purtroppo frequente, che al termine della procedura di riconoscimento la controparte cinese risulta irreperibile o insolvente o non è comunque possibile reperire beni da aggredire esecutivamente.

    Testimoni, perizie e documenti

    Un altro fattore da tenere presente è legato alla natura del contratto e al luogo di svolgimento delle prestazioni delle parti: in caso di contratto con obbligazioni da svolgere in Cina (come ad esempio la gestione di un punto vendita, lo svolgimento di attività promozionale da parte di un agente o concessionario, la fornitura o assemblaggio di prodotti) l’istruttoria della causa, ossia l’audizione dei testimoni, l’eventuale incarico ad un perito di esaminare un prodotto, l’analisi dei documenti necessari per decidere la causa, può essere agevole presso il giudice Cinese, mentre sarebbe estremamente difficile, se non del tutto impossibile e certamente anti-economica, presso un foro Italiano. E viceversa, naturalmente.

    model - legalmondo

    Tutela urgente e Misure cautelari

    Può accadere, infine, che sia urgente ricorrere al giudice per avere tutela di situazioni che non possono attendere i tempi di una causa ordinaria: rimanendo all’esempio del contratto con la Cina un caso tipico è quello del concessionario o franchisee che opera in concorrenza sleale con il produttore o franchisor, vendendo merce contraffatta o rifiutando di restituire negozi e materiali di proprietà del produttore/ franchisor dopo la cessazione del contratto.

    In tali casi avere la possibilità di adire il giudice cinese con richiesta di un procedimento cautelare, ossia una misura urgente finalizzata a far cessare il comportamento illegittimo in corso, è fondamentale.  Ciò è possibile se il contratto prevede la giurisdizione cinese o un arbitrato con sede in Cina, mentre l’eventuale previsione in contratto della giurisdizione italiana precluderebbe il ricorso ad un’azione legale urgente in Cina, con la conseguenza, molto grave, che non sarebbe possibile agire in modo efficace e tempestivo per limitare i gravi danni di avviamento commerciale ed immagine.

    politician - legalmondo

    Stesso giudice, stessa legge

    Un compromesso per rompere lo stallo nelle trattative è spesso quello di scegliere il giudice di un paese e la legge dell’altro, quando non addirittura di prevedere il giudice di un paese terzo e la legge di un paese ancor diverso.

    Soluzioni “creative” di questo tipo sono assolutamente da evitare: è bene che il giudice adito sia quello di uno dei paesi delle parti (idealmente quello di esecuzione della sentenza, come detto sopra) e che il Giudice possa decidere la causa sulla base della normativa con cui Giudice e avvocati delle parti hanno familiarità.

    In caso contrario è necessario che le norme della legge applicabile debbano essere indicate dalle parti (raramente in accordo tra loro) o che venga nominato un consulente esperto della legge in questione, con notevole incremento dei costi di lite, complicazione della trattazione della causa e allungamento dei tempi.

    Qualche esempio

    Sottoporre un NDA – Non Disclosure Agreement – con una società con sede negli USA o in Cina alla legge italiana e alla giurisdizione italiana può risultare un’arma spuntata: in caso sia necessario agire in giudizio e ottenere la cessazione urgente di comportamenti illegittimi di utilizzo delle informazioni riservate è molto più rapido ed efficace agire direttamente presso il foro in cui ha sede la controparte o con un arbitrato, ottenendo un provvedimento direttamente esecutivo nel paese.

    Se il contratto è una vendita internazionale e il compratore ha sede in un paese all’interno della UE può essere utile una clausola “asimmetrica”, che consenta, ad esempio, di adire il giudice italiano per ottenere un decreto ingiuntivo (che una volta definitivo si può eseguire direttamente all’interno dello spazio giuridico comunitario) ma anche di radicare la causa presso il giudice del paese in cui ha sede il convenuto, nel caso in cui ciò risultasse preferibile perché il procedimento è rapido e i costi contenuti (per approfondire l’argomento, vedi questo post sul Recupero del Credito all’estero).

    Se la controparte ha sede in un paese in cui l’accesso alla giustizia ordinaria è problematico o non dà garanzie di un processo imparziale in tempi certi, si può valutare l’inserimento di una clausola arbitrale, previa verifica che un lodo arbitrale internazionale sia automaticamente eseguibile perché lo stato in cui ha sede la controparte è membro della Convenzione di New York del 1958 sul riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali stranieri. 

    Conclusioni

    La clausola di scelta del foro (e della legge applicabile) è una clausola fondamentale di un contratto (o di condizioni generali di contratto) internazionale.  La scelta del foro deve essere compiuta in maniera consapevole e caso per caso, in base al paese di esecuzione del contratto e alla tipologia di controversie che si prevede ne possa derivare; non sempre il Giudice italiano è la scelta migliore e può essere opportuno, in alcuni casi, scegliere la giurisdizione straniera oppure prevedere una clausola arbitrale. Il mio consiglio è di predisporre i contratti internazionali insieme ad un consulente specializzato, evitando l’uso di un unico modello per tutti i paesi in cui opera l’impresa.

    Possiamo aiutarti?

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    Riassunto

    Anche in Italia l’emergenza Covid-19 ha accelerato parecchio la transizione verso l’e-commerce, sia nei rapporti B2C che in molti settori B2B. Molte imprese si sono trovate ad operare su internet per la prima volta, spostando nel mondo digitale le relazioni commerciali e i rapporti con i clienti.

    Purtroppo, accade spesso che dietro a manifestazioni di interesse di potenziali clienti si nascondano dei tentativi di truffa. E’ il caso, in particolare, di nuovi contatti commerciali provenienti dalla Cina, via email o tramite il sito web aziendale o i profili sui social network dell’azienda.

    Vediamo quali sono gli schemi ricorrenti di truffe, piccole e grandi, che ricorrono frequentemente, soprattutto nel mondo del vino, nel settore alimentare e in quello della moda.

    Di cosa parlo in questo post:

    • La richiesta di prodotti via internet da un compratore cinese
    • La legalizzazione del contratto in Cina, la firma dal notaio cinese e altre spese
    • La modifica dei termini di pagamento (Man in the mail)
    • La falsa registrazione del marchio o dominio web
    • Designer e prodotti di moda: la fantomatica piattaforma e-commerce
    • La truffa dei bitcoin e delle criptovalute
    • Come verificare i dati di una società cinese
    • Come possiamo aiutarti

    Affare imperdibile, normale richiesta commerciale o tentativo di raggiro?

    Fortunatamente i malintenzionati in Cina (e non solo: spesso questo tipo di truffe viene perpetrato anche da criminali di altri paesi) non sono molto creativi e gli schemi utilizzati per i “bidoni” sono ben noti e ricorrenti: vediamo i principali.

    L’invito a firmare il contratto in Cina

    Il caso più frequente è quello di una società cinese che, dopo aver reperito informazioni sui prodotti italiani attraverso il sito web dell’azienda italiana, comunica via email la disponibilità ad acquistare importanti quantitativi di merce.

    Segue di solito un primo scambio corrispondenza via email tra le parti, all’esito del quale la società cinese comunica la decisione di acquistare i prodotti e chiede di finalizzare l’accordo in tempi molto rapidi, invitando la parte italiana a recarsi in Cina per concludere la trattativa e non lasciar sfumare l’affare.

    Molti ci credono e non resistono alla tentazione di saltare sul primo aereo: sbarcati in Cina la situazione sembra ancor più allettante, visto che il potenziale compratore si dimostra un negoziatore molto arrendevole, disponibile ad accettare tutte le condizioni proposte dalla parte italiana e frettoloso di concludere il contratto.

    Questo però non è un buon segno, anzi: deve suonare come un campanello d’allarme. E’ noto che i cinesi sono negoziatori abili e molto pazienti e le trattative commerciali di solito sono lunghe e snervanti: una trattativa troppo semplice, soprattutto se si tratta del primo incontro tra le parti, è molto sospetta.

    Che ci si trovi di fronte ad un tentativo di truffa è certificato poi dalla richiesta di alcuni pagamenti in Cina al fine di poter concludere l’affare.

    Esistono diverse varianti di questo primo schema.

    Le più comuni sono la richiesta di pagare una tassa di registrazione del contratto presso un notaio cinese; un contributo spese per incombenti amministrativi o doganali; un pagamento in contanti per ammorbidire le autorità preposte ed ottenere in tempi rapidi licenze o permessi di importazione dei beni, l’offerta di pranzi o cene a potenziali partner commerciali (a prezzi gonfiati), il soggiorno in un albergo prenotato dalla parte cinese, salvo poi ricevere la sorpresa di un conto esorbitante.

    Rientrato in Italia, purtroppo, molto spesso il contratto firmato resterà un inutile pezzo di carta, il fantomatico cliente si renderà irreperibile e la società cinese risulterà inesistente. Si avrà allora la certezza che l’intera operazione era architettata al solo fine di estorcere all’incauto straniero qualche migliaio di euro.

    Lo stesso schema (ossia l’ordine commerciale seguito da una serie di richieste di pagamento) può anche essere effettuato online, con motivazioni simili a quelle indicate: gli indizi della truffa sono sempre il contatto da parte di uno sconosciuto per un ordine di valore molto elevato, un negoziato molto rapido con richiesta di concludere l’affare in tempi stretti e la necessità di procedere a qualche pagamento anticipato prima di concludere il contratto.

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    Il pagamento su un diverso conto corrente

    Un’altra truffa molto frequente è quella del conto corrente bancario diverso da quello solitamente utilizzato.

    Qui le parti di solito sono invertite. La società cinese è il venditore dei prodotti, da cui l’imprenditore italiano intende acquistare o ha già acquistato una serie di partite di merce.

    Un giorno il venditore o l’agente di riferimento informa il compratore che il conto corrente bancario normalmente utilizzato è stato bloccato (le scuse più frequenti sono che stato ecceduto il limite di valuta estera autorizzato, o sono in corso verifiche amministrative, o semplicemente si è cambiata la banca utilizzata), con invito a provvedere al pagamento del prezzo su un diverso conto corrente, intestato ad altro soggetto.

    In altri casi la richiesta è motivata dal fatto che la fornitura dei prodotti avviene per il tramite di un’altra società, che è titolare della licenza di esportazione dei prodotti ed è autorizzata a ricevere il pagamento per conto del venditore.

    Dopo avere eseguito il pagamento, il compratore italiano riceve l’amara sorpresa: il venditore dichiara non ha mai ricevuto il pagamento, che il diverso conto corrente non appartiene alla società e che la richiesta di pagamento su altro conto proveniva da un hacker che ha intercettato la corrispondenza tra le parti.

    Solo a quel punto, verificando l’indirizzo email dal quale è stata trasmessa la richiesta di utilizzo del nuovo conto corrente, il compratore si avvede in genere di qualche piccola differenza nell’account email utilizzato per la richiesta di pagamento sul diverso conto (es. diverso nome a dominio, diverso provider o differente nome utente).

    Il venditore a quel punto si renderà disponibile a spedire la merce solo a condizione che il pagamento venga rinnovato sul conto corrente corretto, cosa che – evidentemente – è bene non fare per non essere ingannati una seconda volta. Le ricerche di verifica dell’intestatario del falso conto corrente in genere non portano ad alcuna risposta da parte della banca e sarà di fatto impossibile identificare gli autori della truffa.

    yuan - legalmondo

    La truffa della falsa registrazione del marchio o del dominio web in Cina

    Un altro classico schema cinese è l’invio di un’email con la quale si informa di aver ricevuto una richiesta da parte di un soggetto cinese, intenzionato a registrare un marchio o un dominio web identico a quello della società destinataria della comunicazione.

    A scrivere è una sedicente agenzia cinese del settore, che comunica la propria disponibilità ad intervenire e sventare il pericolo, bloccando la registrazione, a condizione che si provveda in tempi rapidissimi e si paghi anticipatamente il servizio.

    Anche in questo caso siamo di fronte ad un maldestro tentativo di truffa: meglio cestinare subito l’email.

    A proposito: se non avete registrato il vostro marchio in Cina, fatelo subito. Ci fosse interessato ad approfondire l’argomento può farlo qui.

    models - legalmondo

    Designer e prodotti di moda: la fantomatica piattaforma di e-commerce

    Una truffa molto diffusa è quella che riguarda designer e aziende del settore moda: anche in questo caso il contatto arriva tramite il sito web o l’account social media dell’azienda ed esprime un grande interesse per importare e distribuire in Cina prodotti del designer o del brand italiano.

    Nei casi che di cui mi sono occupato in passato la proposta è accompagnata da un corposo contratto di distribuzione in inglese, che prevede la concessione in esclusiva del marchio e del diritto di vendere i prodotti in Cina a favore di una fantomatica piattaforma online cinese, in corso di costruzione, che consentirà di raggiungere un elevatissimo numero di clienti.

    Dopo avere firmato il contratto i pretesti per estorcere denaro all’azienda italiana sono simili a quelli visti in precedenza: invito in Cina e richiesta di una serie di pagamenti in loco, oppure necessità di coprire una serie di costi di cui si deve far carico la parte cinese per avviare le operazioni commerciali in Cina: registrazione del brand, adempimenti doganali, ottenimento di licenze, etc (ovviamente tutti inventati).

    yuan - legalmondo

    La truffa dei bitcoin e delle criptovalute

    Di recente uno schema di truffa di provenienza cinese è quello della proposta di investire in bitcoin, con garanzia di un ritorno minimo garantito sull’investimento molto allettante (in genere 20 o 30%).

    Il presunto trader si presenta in questi casi come rappresentante di un’agenzia con sede in Cina, spesso facendo riferimento ad un sito web costruito ad hoc e a presentazioni dei servizi di investimento realizzate in inglese.

    Nello schema si coinvolge solitamente anche una banca internazionale, che funge da agente o depositaria delle somme: in realtà chi scrive è sempre l’organizzazione criminale, da un account fasullo che assomiglia a quello della banca o dell’intermediario finanziario.

    Una volta pagate le somme il broker scompare e non è possibile rintracciare i fondi perché il conto corrente bancario viene chiuso e la società scompare, o perché i pagamenti sono stati fatti tramite bitcoin.

    Gli indizi della truffa anche in questo caso sono simili a quelli visti in precedenza: contatto proveniente da internet o via email, proposta commerciale molto allettante, fretta di concludere l’accordo.

    Come capire se abbiamo a che fare con una truffa via internet

    Nei casi visti sopra, ed in altri simili, una volta perpetrata la truffa è pressoché inutile cercare di porvi rimedio: i costi e le spese legali sono di solito superiori al valore del danno e nella maggioranza dei casi è impossibile rintracciare il responsabile del raggiro.

    Ecco allora qualche consiglio utile – oltre al buon senso – per evitare di cadere in tranelli simili a quelli descritti:

    Come verificare i dati di una società cinese

    La denominazione della società in caratteri latini e il sito web in inglese  non hanno alcuna valenza ufficiale, sono semplici traduzioni di fantasia: l’unico modo di verificare i dati della società cinese e delle persone che la rappresentano (o dicono di farlo) è quello di verificare la business licence originale e accedere al data base del SAIC (State Administration for Industry and Commerce).

    Ogni società cinese ha infatti una business license (equivalente alla visura CCIAA italiana) rilasciata dalla SAIC (che contiene le seguenti informazioni:

    • nome ufficiale della società in caratteri cinesi;
    • numero di registrazione;
    • sede;
    • oggetto sociale;
    • data di costituzione e scadenza;
    • legale rappresentante;
    • capitale registrato e versato.

    Si tratta di un documento in lingua cinese, simile al seguente:

    contratto cina

    Verificare le informazioni, con l’aiuto di un professionista competente, consentirà di appurare se la società esiste o meno, l’identità dell’interlocutore, l’affidabilità della società e il fatto che il sedicente rappresentante possa in effetti spendere il nome della società.

    Chiedere referenze commerciali

    A prescindere che l’interesse sia per importare vino italiano, per il settore della moda o del design o altro prodotto Made in Italy, una verifica semplice da fare è quella di chiedere con che altre società italiane o internazionali il nostro interlocutore ha lavorato in precedenza, per validare le informazioni ricevute.

    Nella maggior parte dei casi la parte cinese opporrà di non poter dare referenze per motivi di privacy, il che conferma il sospetto che in realtà tali fantomatici casi di successo non esistano e si tratti di un tentativo di truffa.

    Gestire con attenzione i pagamenti

    Smarcati positivamente i primi punti, è bene procedere comunque con molta prudenza, specie nel caso di nuovo cliente o fornitore. Nel caso di vendita di prodotti ad un compratore cinese è opportuno chiedere un pagamento in acconto anticipato e il saldo del prezzo all’avviso di merce pronta, oppure l’apertura di una lettera di credito.

    Nel caso in cui la parte cinese sia il fornitore è raccomandato prevedere un’ispezione on site della merce, con incarico a società terza di certificare la qualità dei prodotti e la rispondenza alle specifiche contrattuali.

    Verificare le richieste di cambiamento delle modalità di pagamento

    Se una relazione commerciale è già in corso e viene chiesto di cambiare la modalità di pagamento del prezzo, va verificata con attenzione l’identità e l’account email del richiedente e per sicurezza è bene chiedere conferma dell’istruzione anche attraverso altri canali di comunicazione (scrivendo ad altra persona in azienda, telefonando o mandando un messaggio via wechat).

    Come possiamo aiutarti

    Legalmondo offre la possibilità di lavorare con un avvocato specializzato per esaminare la tua esigenza o assisterti nella redazione di un contratto o nei negoziati contrattuali con la Cina.

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    Riassunto –  Quando l’emergenza Coronavirus può essere invocata come evento di Forza Maggiore per escludere la responsabilità contrattuale e il risarcimento dei danni? Quali sono gli effetti nella supply chain internazionale del mancato adempimento di un’impresa cinese ai propri obblighi di fornitura o di acquisto di materie prime, componenti o prodotti? Quali comportamenti deve adottare l’imprenditore straniero per limitare i rischi derivanti dall’interruzione di forniture o acquisti nella catena di fornitura?


    Argomenti trattati

    • L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
    • Cos’è la Forza Maggiore (Force Majeure)?
    • La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
    • Cos’è l’Hardship?
    • Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
    • Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
    • Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
    • Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
    • Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
    • Come limitare i rischi nella supply chain?

    L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale

    Il Coronavirus / Covid 19 ha creato in Cina una terribile emergenza sanitaria e sociale, che ha reso necessarie eccezionali misure di ordine pubblico per il contenimento del virus, come la quarantena, divieti di viaggio, la sospensione di eventi pubblici e privati e la chiusura di stabilimenti industriali e attività commerciali per un certo periodo di tempo.

    Una volta autorizzata la riapertura degli stabilimenti, il ritorno alla normalità è stato fortemente rallentato poiché molti lavoratori, che si erano spostati in altre zone della Cina per le festività del capodanno lunare, non sono rientrati sul posto di lavoro.

    I dati oggi disponibili sulla riapertura delle fabbriche e sul numero del personale presente non sono univoci ed è legittimo dubitare della loro attendibilità, quindi non si può prevedere quando l’emergenza potrà definirsi conclusa e se e come le imprese cinesi riusciranno a colmare i ritardi e il gap di produzione che si è creato.

    Di certo è molto probabile che nei prossimi mesi l’imprenditore straniero si veda eccepire dalla propria controparte cinese l’impossibilità di adempiere al contratto, motivata con il Coronavirus.

    Per comprendere la dimensione del problema, basti considerare che nel solo mese di Febbraio 2020 il China Council for the Promotion of International Trade (la Camera di Commercio cinese che ha il compito di promuovere il commercio internazionale) ha già rilasciato a favore di imprese cinesi che ne hanno fatto richiesta 3.325 certificati attestanti l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali a causa dell’epidemia Coronavirus, per un valore totale di oltre  270 miliardi di yuan (US$38.4 bln), secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua.

    container

    Quali rischi pone questa situazione per l’imprenditore straniero e quali ricadute può avere oltre i confini cinesi?

    I rischi sono molti e i potenziali danni ingenti: la Cina è la fabbrica del mondo e vale oggi circa il 15% del PIL mondiale, quindi è difficile che una filiera produttiva in qualsiasi settore industriale non coinvolga una o più imprese cinesi come fornitori di materie prime, semi-lavorati o componenti (nel caso dell’Italia i settori più integrati con catene di fornitura in Cina sono automotive, chimica, farmaceutica, tessile, elettronica e macchinari).

    Il mancato adempimento del fornitore cinese può quindi comportare, a cascata, l’inadempimento dell’imprenditore straniero verso il cliente finale o verso il successivo anello della supply chain.

    Il fatto che il contagio stia viaggiando rapidamente (al momento di pubblicazione di questo articolo la situazione è già critica in alcune regioni italiane e in Corea del Sud ed Iran e iniziano ad essere segnalati casi negli USA) inoltre, rende possibile che fermate di produzione e situazioni di quarantena simili a quelle descritte debbano essere adottate anche in regioni e settori industriali di altri paesi.

    Semplificando il quadro, consideriamo il caso di un fornitore cinese (Parte A) che fornisce un componente o presta un servizio a favore dell’impresa straniera (Parte B), che a sua volta assembla (in Cina o all’estero) il componente in un prodotto finito o semilavorato, che poi viene rivenduto a terzi (Parte C).

    operaio

    Se la Parte A ritarda o non consegna i prodotti o servizi alla Parte B, questa rischia di trovarsi esposta al rischio di inadempimento verso la Parte C, e così via lungo la catena di forniture/acquisti.

    Vediamo dunque come gestire il caso in cui la Parte A comunichi che è divenuto impossibile adempiere al contratto per motivi riconducibili all’emergenza Coronavirus, come un provvedimento amministrativo di chiusura dello stabilimento, la mancanza di personale in fabbrica alla riapertura, l’impossibilità di approvvigionarsi di certe materie prime o componenti, il blocco di certi servizi logistici, etc.

    Nel commercio internazionale questa situazione, ossia l’esonero dalla responsabilità per il mancato adempimento alla prestazione contrattuale, divenuta impossibile a causa di eventi sopravvenuti che sono al di fuori della sfera di controllo della Parte, è generalmente definita “Forza Maggiore” o “Force Majeure”.

    Per capire quando è legittimo che un fornitore eccepisca l’impossibilità ad adempiere al contratto a causa del Coronavirus e quando invece questi comportamenti siano infondati o pretestuosi, occorre chiedersi quando la Parte A può invocare una situazione di Force Majeure e cosa può fare la Parte B per limitare i danni ed evitare di essere a sua volta considerata inadempiente verso la Parte C.

    Cos’è la Forza Maggiore – Force Majeure?

    Non esiste, a livello internazionale, un concetto unitario di Force Majeure, perché ogni ordinamento statale prevede una disciplina specifica.

    Un riferimento utile è dato dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili (“CISG”), ratificata da 93 paesi (tra cui Italia, Cina, USA, Germania, Francia, Spagna, Australia, Giappone, Messico) e automaticamente applicabile alle vendite tra società con sede in diversi paesi contraenti, salvo espressa esclusione.

    L’art. 79 della CISG, intitolato nella versione italiana “Cause di Esonero”, prevede che “Una parte non è responsabile dell’inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”.

    Le caratteristiche della causa di esonero dalla responsabilità per inadempimento sono dunque la sua imprevedibilità, il fatto che sia al fuori della sfera di controllo della parte che lo subisce e l’impossibilità di evitarlo o di porre rimedio alle sue conseguenze compiendo ragionevoli sforzi.

    Per stabilire, in concreto, se ricorrano i presupposti di un evento di Force Majeure, quali siano le sue conseguenze e quale comportamento debbano tenere le parti, occorre in primo luogo analizzare il contenuto della (eventuale) clausola di Force Majeure inserita nel contratto.

    La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure

    Il modello di clausola di Force Majeure di riferimento nel commercio internazionale è quello predisposto dalla International Chamber of Commerce, la ICC Force Majeure Clause 2003, che prevede quali sono i requisiti che la parte che invoca la forza maggiore ha l’onere di provare (in sostanza sono quelli previsti dall’art. 79 della CISG) e indica una serie di eventi in cui si presume che tali requisiti ricorrano (tra i quali situazioni di guerra, embargo, atti di terrorismo, pirateria, calamità naturali, scioperi generali, provvedimenti delle autorità).

    La ICC Force Majeure Clause 2003 indica poi anche quali siano i comportamenti da tenere da parte di chi invoca l’evento:

    • Dare pronta notizia all’altra parte dell’impedimento;
    • Nel caso in cui l’impedimento sia temporaneo, comunicare prontamente all’altra parte la sua cessazione;
    • Fare tutto quanto ragionevolmente possibile per limitare gli effetti dell’evento sulla propria prestazione contrattuale;
    • Nel caso in cui l’impossibilità della prestazione derivi dal mancato adempimento di un terzo (come nel caso di un subfornitore) fornire la prova che i presupposti della Force Majeure si applichino anche al terzo fornitore;
    • Nel caso in cui l’evento comporti il venir meno dell’interesse alla prestazione, comunicare prontamente la decisione di risolvere il contratto;
    • Nel caso di risoluzione del contratto, restituire la prestazione eventualmente ricevuta o una somma di valore equivalente.

    Posto che le parti sono libere di inserire nel contratto ICC Force Majeure Clause 2003 oppure altra clausola di contenuto diverso, a fronte di una notifica di un evento di Forza Maggiore occorrerà dunque, come prima cosa, analizzare cosa preveda la clausola contrattuale nel caso specifico.

    Il secondo passaggio (oppure il primo, nel caso in cui nel contratto non fosse presente una clausola di Force Majeure) sarà poi quello di verificare che cosa preveda la legge applicabile all’accordo contrattuale (ne parliamo in seguito).

    Può anche accadere che l’evento invocato dalla parte inadempiente non comporti l’impossibilità della prestazione contrattuale, ma la renda eccessivamente onerosa: in questi casi non si può applicare il regime della Force Majeure, ma potrebbero ricorrere i presupposti della cosiddetta Hardship.

    Cos’è l’Hardship?

    L’Hardship (in italiano: eccessiva onerosità sopravvenuta) è un’altra clausola che ricorre spesso nei contratti internazionali di durata: essa disciplina i casi in cui, dopo la conclusione del contratto, la prestazione di una delle parti divenga eccessivamente onerosa o complicata a causa di fatti sopravvenuti, indipendenti dalla volontà della parte.

    Il risultato di un evento di Hardship è quello di sbilanciare fortemente l’equilibrio del contratto a favore di una parte: esempi di scuola sono l’imprevedibile forte rialzo del prezzo di una materia prima, l’imposizione di dazi sull’importazione di un certo prodotto, l’oscillazione della valuta oltre un certo range concordato tra le parti.

    A differenza della Force Majeure, dunque, nel caso di Hardship la prestazione è ancora realizzabile, ma è divenuta eccessivamente onerosa.

    La clausola modello anche in questo caso è la ICC Hardship Clause 2003, che prevede che l’eccessiva onerosità sia conseguenza di un evento al di fuori della ragionevole sfera di controllo della parte, che non poteva essere preso in considerazione prima della conclusione dell’accordo e le cui conseguenze non possano essere ragionevolmente gestite.

    La ICC Hardship Clause stabilisce cosa accade dopo che una parte abbia provato la ricorrenza di un evento di Hardship, ossia:

    • L’obbligo delle parti, entro un termine ragionevole, di negoziare una soluzione alternativa per mitigare gli effetti dell’evento e riportare l’accordo in equilibrio (estensione del termine di consegna, revisione del prezzo, etc.);
    • La risoluzione del contratto, nel caso in cui le parti non raggiungano un accordo alternativo per mitigare gli effetti dell’Hardship.

    Anche nel caso in cui una parte eccepisca un evento di Hardship, come visto in precedenza per la Forza Maggiore, è necessario verificare se l’evento sia stato previsto nel contratto, quale sia il contenuto della clausola e/o cosa preveda la normativa applicabile all’accordo.

    Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?

    Torniamo ora al caso visto all’inizio di questo articolo e cerchiamo di vedere come gestire il caso dell’inadempimento del fornitore all’interno di una supply chain internazionale, quando venga invocata l’emergenza del Coronavirus come causa di esonero della responsabilità.

    Premettiamo che non esiste una risposta valida per tutti i casi, essendo necessario esaminare i fatti, gli accordi contrattuali tra le parti e la legge applicabile al contratto. Quello che possiamo fare è indicare il metodo che può essere utilizzato in questi casi, ossia rispondere alle seguenti domande:

    • La situazione di fatto: qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
    • La parte che invoca la Force Majeure ha provato la sussistenza dei requisiti?
    • Cosa prevede il Contratto (e/o le Condizioni Generali di contratto)?
    • Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
    • Quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle Parti?

    Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?

    Come visto la situazione di forza maggiore è tale se la prestazione, dopo la conclusione del contratto, diviene impossibile per eventi imprevedibili, al di fuori del controllo della parte obbligata, le cui conseguenze non possano essere superate con uno sforzo ragionevole.

    La prima verifica da fare è se l’evento per il quale la parte invoca la Force Majeure fosse o meno al di fuori del controllo della Parte e se fosse tale da rendere la prestazione impossibile (e non solo più complessa od onerosa) senza che la Parte potesse porvi rimedio.

    Facciamo un esempio: nel contratto si prevede che la Parte A debba consegnare alla Parte B un prodotto o effettuare un servizio entro un certo termine essenziale (ossia tassativo, non derogabile), scaduto il quale non vi sarebbe più interesse di Parte B a ricevere la prestazione (pensiamo, ad esempio, alla consegna di alcuni materiali necessari per la costruzione di un’infrastruttura per le Olimpiadi).

    Se la consegna non potesse avvenire perché lo stabilimento di Parte A è stato chiuso per provvedimento amministrativo o perché il personale di Parte A non può viaggiare e recarsi presso Parte B per effettuare il servizio di installazione, si potrebbe rientrare nel novero dei casi di Force Majeure.

    Se invece la prestazione di Parte A restasse comunque possibile (ad esempio con spedizione dei prodotti da altro stabilimento sito in altra zona della Cina o in altro paese) e potesse essere realizzata, anche se a condizioni più onerose o in modo inesatto o incompleto, o in ritardo, non si potrebbe invocare la Force Majeure e andrebbe verificato se si sia, eventualmente, prodotta quell’eccessiva onerosità sopravvenuta che è il presupposto dell’Hardship, con le relative conseguenze.

    Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?

    Il passo successivo è quello di determinare se il Fornitore / Parte A abbia fornito la prova dei fatti che sono il presupposto della Force Majeure, ossia di non aver potuto evitare la situazione né che fosse ragionevolmente possibile porvi rimedio.

    A tal fine la sola produzione di un certificato del CCPIT attestante l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali, per i motivi spiegati in precedenza, non può considerarsi sufficiente a provare l’effettiva sussistenza, nel caso specifico, di una situazione di Force Majeure.

    La verifica dei fatti dedotti e delle relative prove è particolarmente importante perché, nel caso in cui si ritenga sussistere una causa di esonero in capo alla Parte A, queste prove possono poi essere utilizzate dalla Parte B per documentare, a sua volta, di trovarsi nell’impossibilità di adempiere verso la Parte C, e così via lungo la catena di fornitura.

    mascherine

    Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?

    Il passaggio successivo è quello di vedere se il contratto tra le parti, o le condizioni generali di vendita o acquisto (se esistenti e applicabili) prevedano, o meno, una clausola di Force Majeure e/o Hardship.

    In caso positivo occorre verificare se l’evento denunciato dalla Parte che invoca la Force Majeure rientri o meno tra quelli previsti dalla clausola contrattuale.

    Ad esempio, se l’evento denunciato fosse la chiusura dello stabilimento per ordine delle autorità e la clausola contrattuale fosse la ICC Force Majeure Clause 2003, si potrebbe sostenere che l’evento rientri quelli indicati al punto 3 [d] ovvero “act of authority … compliance with any law or governmental order, rule, regulation or direction, curfew restriction” oppure al punto 3 [e] “epidemic” o 3 [g] “general labour disturbance “.

    Andrà poi esaminato quali siano le conseguenze previste dalla Clausola: generalmente si prevede un onere di tempestiva notifica dell’evento, che la parte sia esonerata dall’esecuzione della prestazione per tutta la durata dell’evento di Force Majeure e un termine massimo di sospensione dell’obbligazione, decorso il quale le parti possono comunicare la risoluzione del contratto.

    Nel caso in cui l’evento non rientrasse tra quelli previsti nella Clausola di Force Majeure, o non vi fosse tale clausola nel contratto, andrebbe verificato se esista una Clausola di Hardship e se l’evento possa essere ricondotto a tale previsione.

    Infine, in ogni caso è comunque necessario verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto.

    Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?

    Ultimo passaggio è quello di verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto, sia nel caso in cui l’evento rientri in una clausola di Force Majeure o Hardship, sia nel caso in cui tale clausola non sia presente o non ricomprenda l’evento.

    I presupposti e le conseguenze della Forza Maggiore o dell’Hardship, infatti, possono essere regolati in modo molto diverso a seconda della legge applicabile al contratto.

    Se Parte A e Parte B avessero entrambe sede in Cina, al contratto di vendita si applicherebbe la legge della Repubblica Popolare Cinese, e la possibilità di invocare con successo la Force Majeure andrebbe valutata applicando queste norme.

    Se Parte B avesse invece sede in Italia, nella maggioranza dei casi al contratto di vendita si applicherebbe la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (e quindi l’art. 79 sulle Cause di Esonero visto in precedenza) e per quanto non coperto dalla CISG si applicherebbe la legge indicata dalle parti nel contratto (o in mancanza identificata tramite i meccanismi di diritto internazionale privato).

    Analogo ragionamento andrebbe fatto per determinare quale sia la legge applicabile al contratto tra Parte B e Parte C e cosa preveda tale legge, e così via lungo la supply chain internazionale.

    Nel caso in cui i diversi rapporti siano regolati dalla stessa normativa (ad esempio la CISG) ciò non comporta problemi, ma se – come è probabile – le leggi applicabili fossero diverse la situazione si complica parecchio perché lo stesso evento potrebbe essere considerato causa di esonero da responsabilità contrattuale per la Parte A nei confronti della Parte B, ma non nel passaggio successivo della supply Chain, da Parte B a parte C.

    Come limitare i rischi nella supply chain?

    Il modo migliore di limitare il rischio di richieste di risarcimento del danno da parte delle altre imprese della catena di fornitura è quello di richiedere per tempo al proprio Fornitore conferma della disponibilità ad effettuare la prestazione contrattuale secondo i termini stabiliti, e condividere le informazioni ricevute con le altre aziende che fanno parte della supply chain.

    Nel caso di inadempimento motivato con l’emergenza Coronavirus, è fondamentale verificare se l’evento denunciato rientri tra quelli che possono essere causa di esonero da responsabilità contrattuale, ed esigere che il fornitore fornisca le prove relative. Tali prove, se confermano l’impossibilità della prestazione del fornitore, potranno essere utilizzate dall’acquirente, a sua volta, per invocare la situazione di Force Majeure nei confronti delle altre aziende della Supply Chain.

    Se nei contratti (di acquisto e vendita) sono presenti clausole di Force Majeure / Hardship, andrà visto cosa prevedono come modalità di denuncia, tempi di sospensione della prestazione o risoluzione del contratto, nonché cosa preveda la legge applicabile ai contratti.

    Infine, è bene ricordare che la maggior parte delle normative prevedono un onere di mitigare i danni derivanti dall’eventuale inadempimento dell’altra parte: ciò significa che se è probabile, o anche solo possibile, che il Fornitore cinese si renda inadempiente ad una fornitura, la parte acquirente dovrà fare tutto il possibile per essere in grado di porvi rimedio ed adempiere comunque alle proprie obbligazioni verso le altre aziende che formano parte della supply chain, ad esempio procurandosi il prodotto da altri fornitori anche a condizioni molto più onerose.

    Come cambiano i contratti di distribuzione dopo Covid19?

    Ne ho parlato in un webinar il 20.11.2020, offrendo il mio punto di vista sulle lezioni apprese durante la pandemia e sulle clausole che è opportuno verificare e aggiornare: clicca qui sotto per vedere la registrazione dell’intervento.


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    One of the commonly discussed advantages of international commercial arbitration over litigation in the cross-border context is the enforcement issue. For the purpose of swifter enforcement of foreign arbitral awards, the vast majority of countries signed the New York Convention on the Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards.

    On contrary, there is no relevant international treaty of such scale for the enforcement of foreign court judgements. Normally, the special legal basis, such as agreement on judicial cooperation between two or more countries, needs to be relied upon in order to get a court judgment recognized and enforced in another country. There are quite many countries that do not have such an agreement with China. This includes, among others, US, Germany or the Netherlands.

    Interestingly, however, recently the Chinese court in Wuhan enforced the US court judgement rendered by the Los Angeles Superior Court of California in the Liu Li v Tao Li and Tong Wu case.  It did so despite the fact that there is no agreement between China and US providing for mutual recognition and enforcement of such judgements. The court in Wuhan found, however, that the reciprocity in recognizing and enforcing the court judgments between China and US was established because of an earlier decision of the US District Court of the Central District of California recognizing and enforcing the Chinese judgement rendered by the Higher People’s Court of Hubei in the Hubei Gezhouba Sanlian Industrial Co., Ltd et. al. v Robinson Helicopter Co., Inc. case.

    Interestingly, similar course of action was taken earlier in 2016 when the Chinese Nanjing Intermediate People’s Court enforced the Singaporean judgement relying on the reciprocity principle in the Kolma v SUTEX Group case.

    How much does it tell us?

    Should we now feel safe when opting for own courts in the dispute resolution clauses in the China-related deals? – despite the fact there are no relevant agreements between China and our country? The recent moves of the Chinese courts are, indeed, interesting developments changing the dispute resolution landscape in a desirable direction and increasing the chances for enforcing the foreign commercial court judgements. Yet, as of today, one should not see them as the universal door-openers for the foreign court judgements in similar situations. Accordingly, rather careful approach is recommended and the other dispute resolution methods securing the safer way of enforcement, like arbitration, should be kept in mind. The further changes remain to be seen.

    The author of this post is Monika Prusinowska.

    There is a number of dispute resolution mechanisms available for the disputes with the Chinese parties. Depending on bargaining power of the parties and few other circumstances, such as limitations of Chinese law, the dispute can be sometimes resolved outside of China. More frequently, however, the Sino-foreign disputes are resolved in China and this post offers a brief introduction to the methods available there .

    As almost anything else in business, an optimal method for resolution of future disputes is worth of anticipating well in advance. Once there is a conflict, it is much more difficult for the parties to agree on the solution equally acceptable to both of them. There is a variety of options to choose from and each of them has its own advantages and disadvantages. Also, there is no “one size fits all” solution and each transaction as well as dispute should be approached individually. Of course, there is always is a default solution, which is going to state court in case the parties have not provided for any alternative mechanism, but this is not always the most optimal way to go.

    Litigation

    Chinese courts are commonly perceived by foreigners as rather undesirable scenario for dispute resolution. It is so due to the often mentioned problems, such as local protectionism of the Chinese courts or lack of their professionalism. However, in practice, this is not always true and especially the courts in the China’s well-developed regions, particularly in the biggest coastal cities are generally a safe harbor for disputes involving foreigners. The same holds true for the IP courts located in Beijing, Shanghai and Guangzhou. One needs to remember, however, that the jurisdiction of particular court depends on a number of factors, such as place of registration of the Chinese counterparty or place of performance of the contract and therefore, the Chinese top courts may not be the ones handling particular dispute in practice.

    Arbitration

    Arbitration is a common choice for foreign-related disputes in China. It happens so, because of a number of advantages of arbitration over litigation in such a context. To start with, China and the vast majority of the countries in the world are the parties to the New York Convention, which significantly streamlines the enforcement of foreign arbitral awards. There is no comparable treaty of that scale for the enforcement of state court judgements, what can cause practical problems if certain country does not have an agreement on judicial assistance with China and the enforcement of foreign court judgements is sought. Therefore, since the parties want money and not a piece of paper, the use of arbitration in the cross-border context can substantially improve the prospects for effective enforcement of arbitral award. Furthermore, in contrast to litigating in China, in arbitration English language can be used in proceeding and a party can be represented by a foreign counsel. In arbitration, the parties can also select arbitrators resolving their dispute and a foreign arbitrator is not an uncommon scenario in case of the Sino-foreign arbitration proceedings in China. The parties can also select a specific arbitration institution and rules applicable to the proceeding.

    The China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) and the Beijing Arbitration Commission (BAC) are one of the most frequently chosen arbitration institutions in China for the foreign-related disputes. Alternatively, if the circumstances of the case permit – the dispute can be taken outside of China and resolved, for instance, by  the Hong Kong International Arbitration Centre (HKIAC) or the Singapore International Arbitration Centre (SIAC), which are fairly acceptable alternative choices for the Chinese parties.

    Other options

    One of the other methods popular in China is mediation. Mediation is typically faster, cheaper and increases the chances of preserving good relationship between the parties. However, one needs to remember that in order to mediate, the parties need to be willing to do so, since the role of mediator is to help the parties reach an agreement and not to ultimately decide their dispute. Furthermore, the product of mediation is a contract and so, the breach of mediation agreement typically equals to contractual breach.

    One additional important tool frequently used in practice is engaging local lawyers for the purpose of negotiating with the Chinese party as soon as the dispute escalates. The lawyers can help the parties communicate and when the communication is impossible – they can prepare a document describing the claims and informing the Chinese party about the risk of undertaking further legal steps, such as staring court proceeding, what is made mainly for the purpose of brining the other party back to negotiation and finding a solution acceptable to both parties. This often helps save time and money, but it can be problematic if the other party ignores the actions of lawyer. Also, like in case of mediation, the problem lies in the enforcement of any agreement reached by the parties in the course of negotiation.


    The main takeaways from this short post are the following:

    • Think about the dispute resolution mechanism in advance. There are quite many issues that need to be taken into consideration and there is no “one size fits all” solution. There might be the situations when going to the Chinese court makes perfect sense and there also might be the situations when it makes no sense at all. What is the best option for me in particular case? Which court can potentially have jurisdiction over my case? Does the country involved have a judicial assistance agreement with China for the purpose of enforcement? What should be the language of proceeding? Which arbitration institution to choose?
    • Think about hiring professionals right from the very beginning, preferably at the stage of negotiating and drafting agreements. Choosing an optimal solution for resolution of future disputes can help save a lot of time, money and energy. In case of dispute occurring already – act promptly. If the dispute escalates, think about what you can do to best preserve your rights. Should you apply for interim measures? Do you need to first negotiate before you can go for arbitration in case of multi-tier clauses? Which documents are needed to start the proceeding?

    The author of this post is Monika Prusinowska.

    Roberto Luzi Crivellini

    Practice areas

    • Arbitrato
    • Distribuzione
    • Commercio internazionale
    • Contenzioso
    • Real estate