Cina – Memorandum of Understanding (MoU)

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Nell’era di internet e del commercio globale molti imprenditori italiani, e con loro i consulenti che li assistono, si trovano coinvolti, per la prima volta, in una trattativa con una controparte cinese. Come procedere?

1. Conoscere l’interlocutore

Essere certi che l’interlocutore sia chi afferma di essere è certamente un buon punto di partenza: le società cinesi si presentano infatti con una denominazione sociale in caratteri latini, che comprende la città in cui ha sede, un riferimento all’attività svolta e alla forma societaria (es: Beijing Great Wall Wines & Spirits co. LTD).

La denominazione societaria in questione, però, ha solo valenza commerciale e non è ufficiale: l’unica denominazione valida è quella in caratteri cinesi (di solito scritta su uno dei due lati del biglietto da visita) autorizzata dalla State Administration for Industry & Commerce (SAIC) al momento della costituzione della società.

La prima richiesta che è opportuno fare alla controparte è quindi di confermare la denominazione in caratteri cinesi e di trasmettere la business license della società, tramite la quale si può verificare che la società esista, quali sono sede e oggetto sociale, che la società sia attiva e il suo capitale registrato e versato.

Una accurata verifica della business license è anche utile per avere conferma che l’interlocutore sia credibile e abbia l’esperienza o la capacità organizzativa richieste per l’affare di cui si discute e per sgombrare subito il campo dal dubbio di avere a che fare con malintenzionati (che cercheranno pretesti per non fornire queste informazioni o interromperanno le comunicazioni: sul punto rimando al post Business con la Cina, occhio alle truffe on line).

La business license indica anche il nome del legale rappresentante, che è anche la persona che detiene il timbro della società, necessario al momento della firma dell’accordo: negoziare un contratto con chi è privo di potere di rappresentanza spesso si rivela una perdita di tempo e comporta comunque un allungamento dei tempi.

2. Definire i tempi del negoziato

La tempistica del negoziato con una controparte cinese si muove spesso in modo schizofrenico, tra massima urgenza e tempi biblici. Si alternando richieste di informazioni dettagliatissime sui prodotti o firma di accordi in tempi rapidissimi a riscontri dalla Cina con tempi eterni, per giustificare i quali si invocano vari pretesti: il capo è impegnato in un lungo viaggio di lavoro è il più classico.

Questa altalena tra pressioni quotidiane e latitanza senza riscontri è spiazzante per la parte italiana, da prima indotta a sperare di chiudere un importante accordo in tempi rapidi e poi abbandonata a sé stessa per molti mesi. In casi simili suggerisco di indicare un termine finale per la chiusura dell’accordo e avvisare che non ci sarà disponibilità alla trattativa decorso il termine, lasciando intendere che potrebbe esistere un altro interlocutore per il progetto.

Nel caso, purtroppo frequente, in cui la controparte sparisca, sulla frustrazione per il mancato affare dovrebbe prevalere il sollievo di avere evitato un partner inaffidabile e di certo non veramente interessato al rapporto commerciale che si era discusso.

3. Conoscere le regole del gioco

Il progetto di una Joint Venture o di un accordo commerciale o societario è frutto di molti incontri e discussioni tra le parti, che in alcuni casi giungono a definire in modo dettagliato il progetto prima di rivolgersi al consulente, che viene coinvolto solo in fase già avanzata delle trattative, con l’aspettativa – spesso irrealistica- di poter formalizzare gli accordi in tempi brevissimi.

E’ bene ricordare che la possibilità di realizzare investimenti diretti in Cina è  regolamentata dalla legge cinese e che la controparte locale con la quale si tratta spesso non conosce quali sono le regole da rispettare da parte di un operatore straniero, come ad esempio le quote di partecipazione al capitale di una JV sino-straniera, i requisiti per l’accesso ai finanziamenti o i presupposti per la costruzione di una rete di franchising.

Il rischio è dunque di spendere molto tempo a costruire un progetto per poi scoprire che non è realizzabile nei termini immaginati dalle parti, con il rischio di veder sfumare l’affare: l’opinione di un esperto sulla fattibilità dell’operazione è consigliabile che venga acquisita sin da subito.

4. Procedere step by step

Il primo contatto commerciale è caratterizzato spesso da grande euforia da entrambe le parti, che vedono nella possibile collaborazione grandi opportunità di business per le rispettive società.  La richiesta più frequente con la quale ci si confronta, in questi casi, è quella di costituire una Joint Venture in Cina, come veicolo per la produzione o commercializzazione dei prodotti o servizi stranieri.

Un consiglio utile, in questi casi, è quello di cercare di fare la massima chiarezza possibile sui rispettivi obiettivi: la Joint Venture sino-straniera non è l’unico modo di accede al mercato cinese, richiede investimenti finanziari e di risorse umane importanti e presenta complessità di gestione della società molto elevate. Storicamente, sono molti di più i casi i casi in cui la JV sino-italiana fallisce che non quelli in cui l’impresa ha successo.

Meglio dunque iniziare il rapporto con forme di collaborazione più snelle, come la concessione di vendita, la distribuzione commerciale o la licenza di produzione, che consentono di testare sul campo la controparte per un certo periodo e di avere conferma della sua effettiva dedizione al rapporto e dei riscontri del mercato.

5. Memorandum of Understanding

Uno strumento per fare chiarezza sugli obiettivi che le parti si propongono di ottenere e sui tempi e modi del negoziato è quello di concludere un accordo preliminare, generalmente definito Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), nel quale si traccia una road map delle future trattative, impegnandosi a negoziare in buona fede un certo progetto, del quale si indicano le linee generali.

Le opinioni al proposito sono le più diverse: c’è chi ritiene che si tratti di una perdita di tempo bella e buona, visto che il documento generalmente non ha effetti vincolanti e preferisce saltare a piè pari questo passaggio;   in altri casi le parti confessano candidamente di non avere nemmeno letto quello che avevano firmato, visto che la vera trattativa si sarebbe fatta solo al momento di parlare dell’accordo societario; altri ancora pretendono di negoziare questo contratto nei minimi dettaglicome se si trattasse già di un accordo definitivo, con obbligazioni contrattuali vincolanti e addirittura indicazione delle penali che si applicheranno in caso di inadempimento al futuro contratto.

Un MoU, a mio avviso, è molto utile e dovrebbe essere sempre il primo step del negoziato. A condizione, però, che venga utilizzato in modo corretto, ossia che si tratti di un accordo semplice che riporti le premesse della collaborazione (chi sono le parti e e cosa fanno), le intenzioni delle parti (perché interessa collaborare), gli obiettivi che si intendono raggiungere, il tipo di accordo che si vuole concludere, i tempi del negoziato, l’impegno alla riservatezza e gli eventuali punti chiave del futuro contratto sui quali esiste già un consenso di massima: sarà un punto di riferimento importante nel futuro negoziato, al quale richiamarsi per tenere la trattativa sui giusti binari.

Roberto Luzi Crivellini
  • Arbitrato
  • Distribuzione
  • e-commerce
  • Commercio internazionale
  • Contenzioso

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