Italia – Durata della società a responsabilità limitata e recesso del socio

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Come per tutti i contratti di durata, anche per le società a responsabilità limitata (s.r.l.) la legge italiana prevede la possibilità per il socio di recedere.

L’articolo 2473 del codice civile riconosce al socio il diritto di recedere, oltre che nei casi espressamente previsti nell’atto costitutivo, anche quando lo stesso non abbia consentito al cambiamento dell’oggetto sociale o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione, al trasferimento della sede all’estero, alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o dei diritti particolari attribuiti al socio ai sensi dell’art. 2468 c.c.

In aggiunta alle ipotesi sopra elencate, il diritto di recesso può essere altresì esercitato quando:

  • l’atto costitutivo preveda l’intrasferibilità della quota o subordini il suo trasferimento al mero gradimento degli organi sociali (art. 2469 codice civile);
  • sia deliberato l’aumento di capitale sociale con emissione di nuove quote in favore di terzi (art. 2481 bis codice civile);
  • vengano introdotte, siano soppresse o modificate in maniera importante eventuali clausole compromissorie contenute nell’atto costitutivo (art. 36 D.Lg. 5/2003);
  • la società capogruppo sia stata condannata ai sensi dell’art. 2497 quater codice civile.

Oltre alle ipotesi appena elencate, resta comunque sempre valida la regola generale, cristallizzata nella disposizione contenuta nel secondo comma dell’art. 2473 del codice civile, per cui il socio può sempre recedere, dando un preavviso di 180 giorni (o più, se diversamente disposto dall’atto costitutivo), quando la società sia stabilita a tempo indeterminato.

A lungo si è discusso, e tuttora si continua a discutere, della possibilità per il socio di ricorrere a tale ipotesi di recesso ad nutum quando la società abbia un termine ben determinato, ma comunque eccedente la normale durata della vita umana.

Sulla questione la giurisprudenza non ha mancato di sottolineare come una durata della società superiore a quella media della vita umana non possa che comportare l’applicazione della disciplina prevista per le società contratte a tempo indeterminato.

La Cassazione, con la pronuncia n. 9662 del 22 aprile 2013, ha, in particolare, riconosciuto l’assimilabilità di una società costituita con durata fino al 2100 ad una società con durata illimitata, precisando che, in presenza di un termine fissato in epoca così lontana nel tempo, tanto da superare la prospettiva di vita della persona fisica e di operatività di un soggetto collettivo, debbano trovare spazio le ragioni che hanno portato il legislatore, che ha sempre guardato con sfavore ai vincoli perpetui, a prevedere il recesso ad nutum per le società contratte a tempo indeterminato.

La previsione di un termine di durata del soggetto collettivo ha, secondo i giudici di legittimità, la funzione di stabilire se l’aspettativa di vita dell’ente sia congrua rispetto al progetto che con esso si intende perseguire.

La mancata previsione di un termine di durata viene, perciò, ricollegata all’intrinseca perpetuità del progetto imprenditoriale o, in alternativa, alla difficoltà di stabilire a priori il tempo necessario per giungere al conseguimento dell’oggetto sociale.

Ne consegue, pertanto, che fissare un termine per la durata della società in un momento eccessivamente lontano nel tempo, potrebbe impedire di ricostruire quale sia stata l’effettiva volontà delle parti del contratto sociale nella scelta tra società contratta a tempo determinato e società contratta a tempo indeterminato.

Non potrebbe, quindi, escludersi che l’indicazione di una durata spropositata rispetto alla vita dei soci o rispetto all’oggetto sociale che s’intende perseguire abbia, in realtà, un intento elusivo degli effetti che si produrrebbero con una dichiarazione esplicita di durata indeterminata, che potrebbe essere corretto solo con un intervento interpretativo che garantisca al socio le tutele previste dall’ordinamento con riferimento alle società con durata illimitata.

La linea portata avanti dalla Cassazione è stata di recente seguita anche dalla giurisprudenza di merito.        

In particolare, le sezioni specializzate in materia di impresa del Tribunale di Roma (sentenza del 22 ottobre 2015) e del Tribunale di Torino (pronuncia del 5 maggio 2017), hanno riconosciuto il diritto di recesso con preavviso con riferimento a società con termine al 2100, considerando una simile durata sostanzialmente illimitata.

Nello specifico, il collegio piemontese ha fatto interamente proprie le argomentazioni della Corte di Cassazione, applicando il principio secondo cui devono considerarsi costituite a tempo indeterminato, non solo le s.r.l. con durata eccedente la normale vita umana, ma anche le s.r.l. che siano costituite per un termine particolarmente lungo, tale per cui debba ritenersi superato l’orizzonte temporale ragionevolmente ricollegabile al raggiungimento dello scopo della società.

L’orientamento giurisprudenziale che va, quindi, affermandosi impone agli operatori del diritto di prestare particolare attenzione all’elemento della durata temporale delle società a responsabilità limitata, onde evitare un’applicazione più ampia e generalizzata, rispetto a quanto desiderato, delle tutele riconosciute ai soci di s.r.l. contratte a tempo indeterminato.

L’autore di questo articolo è Giovanni Izzo.

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