Incidente stradale con straniero: quale giudice?

22 Aprile 2016

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Con la recente sentenza 16601/2017 la Suprema Corte – dopo svariate pronunce contrarie – ha aperto alla possibilità di riconoscere in Italia i provvedimenti stranieri contenenti punitive damages. In questo breve post vedremo in cosa consistono i punitive damages, a che condizioni potranno essere riconosciuti ed eseguiti in Italia e, soprattutto, che contromisure conviene adottare per affrontare questo nuovo rischio.

I danni puntivi, in inglese punitive damages, sono un istituto giuridico originario degli ordinamenti di common law che prevede la possibilità di riconoscere al danneggiato un risarcimento ulteriore rispetto alla compensazione del pregiudizio subito, nel caso in cui il danneggiante abbia agito con dolo o la colpa grave (rispettivamente “malice” e “gross negligence”).

Con i danni puntivi, cioè, oltre alla funzione compensatoria, il risarcimento del danno assume anche una finalità sanzionatoria, tipica del diritto penale, fungendo anche da deterrente nei confronti di ulteriori potenziali trasgressori.

Negli ordinamenti che prevedono i danni punitivi, il riconoscimento e la quantificazione del maggior risarcimento sono rimessi per lo più alla discrezionalità del giudice.

Negli Stati Uniti d’America i danni punitivi sono previsti dai principi di common law, ma disciplinati in maniera diversa in ogni Stato. Generalmente, tuttavia, si applicano ove la condotta del danneggiante sia intenzionalmente diretta a causare un danno o sia posta in essere senza avere riguardo delle norme a tutela della sicurezza. Solitamente non possono essere concessi per l’inadempimento di un contratto, salvo che non determini anche un illecito (tort) autonomo.

In alcuni Stati sono previsti dei limiti massimi ai punitive damages, a volte sotto forma di rapporto con i danni compensativi, a volte come tetto massimo. Inoltre, la Suprema Corte degli Stati Uniti è intervenuta in diversi casi per limitare le somme di condanna. Si consideri, ad esempio, il caso relativo all’azienda produttrice di automobili BMW, nel quale, a fronte di un danno compensativo di 4.000 USD, la Suprema Corte dell’Alabama aveva condannato BMW a 2.000.000 USD a titolo di danno punitivo. La Corte Suprema ha ritenuto tale condanna manifestamente eccessiva (“grossly excessive”) e ha rimesso nuovamente il caso alla Corte Suprema dell’Alabama, che ha in seguito ridotto a 50.000 USD i punitive damages (BMW of North America, Inc. v. Gore, 517 U.S. 559, 1996).

Non sempre, però, i punitive damages vengono ridotti. Nel 2011 i giudici del Montana hanno condannato il produttore di automobili Hyundai al pagamento della somma di 72 milioni di USD a titolo di danni punitivi per un incidente causato dal difetto allo sterzo di una vettura, che aveva causato il decesso di due giovani.

Negli ordinamenti di civil law, tra i quali l’Italia, l’istituto dei danni punitivi non viene tradizionalmente riconosciuto, in quanto la sanzione del danneggiante viene generalmente ritenuta estranea ai principi del diritto civile, ancorati alla concezione del risarcimento danni come mera restaurazione della sfera patrimoniale del danneggiato.

Di conseguenza, il riconoscimento dei danni punitivi statuiti in una pronuncia straniera era ostacolato dal limite dell’ordine pubblico e le sentenze che li prevedevano non avevano accesso allo spazio giuridico italiano.

La sentenza a Sezioni Unite n. 16601/2017 del 5 luglio 2017 della Suprema Corte di Cassazione, però, ha cambiato le carte in tavola.

Nel caso di specie veniva richiesto alla Corte di Appello di Venezia il riconoscimento (ex art. 64, legge 218/1995) di tre sentenze della District Court of Appeal of the State of Florida che, accogliendo una domanda di garanzia azionata da un rivenditore americano di caschi nei confronti della società italiana produttrice, avevano condannato quest’ultima al pagamento di 1.436.136,87 USD (oltre spese e interessi) a titolo di risarcimento dei danni causati da un difetto del casco utilizzato in occasione di un sinistro stradale.

La Corte d’Appello di Venezia aveva riconosciuto l’efficacia del provvedimento del giudice straniero considerando la somma meramente risarcitoria e non punitiva. La decisione era stata impugnata in Cassazione dalla parte soccombente, che sosteneva la contrarietà all’ordine pubblico della sentenza statunitense, in forza dell’orientamento giurisprudenziale sino a quel momento costante.

La Cassazione ha confermato la valutazione della Corte d’Appello, ritenendo la somma non punitiva, e ha dichiarato il riconoscimento della pronuncia statunitense in Italia.

Le Sezioni Unite, però, hanno colto l’occasione per affrontare la questione inerente l’ammissibilità dei danni punitivi in Italia, cambiando l’orientamento storico della Suprema Corte (si veda Cass. 1781/2012).

Secondo la Corte, la nozione di responsabilità civile intesa come mera riparazione dei danni subiti è da considerarsi ormai desueta, data l’evoluzione di tale istituto attraverso interventi legislativi e giurisprudenziali nazionali ed europei che hanno introdotto mezzi risarcitori a funzione sanzionatoria e deterrente. Nel nostro ordinamento, infatti, è possibile trovare diversi casi di risarcimenti danni con funzione sanzionatoria: in materia di diffamazione a mezzo di stampa (art. 12 L.47/48), diritto d’autore (art. 158 L. 633/41), proprietà industriale (art. 125 D. Lgs 30/2005), abuso del processo (art. 96 comma 3 c.p.c. e art. 26 comma 2 c.p.a.), diritto del lavoro (art. 18, comma 14), diritto di famiglia (art. 709-ter c.p.c.) e altri.

La Corte di Cassazione ha, quindi, affermato il seguente principio di diritto: “Nel vigente ordinamento italiano, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, perché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria della responsabilità civile. Non è, perciò, ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi”.

La conseguenza, molto importante, è che la pronuncia apre la porta alla possibile delibazione di sentenze straniere che condannano una parte al pagamento di una somma superiore rispetto quella sufficiente a compensare il pregiudizio subito in seguito al danno.

A tale scopo, tuttavia, la Suprema Corte ha disposto alcune condizioni affinché la sentenza straniera possa essere delibata, ossia che la decisione sia resa nell’ordinamento straniero su basi normative che:

  1. garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna;
  2. la prevedibilità della stessa; e
  3. i limiti quantitativi.

I possibili effetti della Sentenza nell’ordinamento italiano

In primo luogo, va chiarito che la Sentenza non ha modificato il sistema risarcitorio interno dell’ordinamento italiano. In altre parole, la Sentenza non permetterà ai giudici nazionali di comminare danni punitivi all’interno di procedimenti italiani.

Per quanto riguarda invece le sentenze straniere, invece, sarà ora possibile ottenere il risarcimento dei danni punitivi attraverso il riconoscimento e l’esecuzione nel sistema italiano di una decisione straniera che prevede la condanna a tale tipologia di danno, a condizione che siano rispettati i presupposti sopra indicati.

In considerazione di ciò, le imprese italiane che hanno investito o fanno affari in paesi che prevedono i danni punitivi dovranno tenere in considerazione questo nuovo rischio.

Gli strumenti per tutelarsi

L’imprenditore italiano che opera su mercati stranieri nei quali sono previsti i danni punitivi deve considerare con attenzione questo rischio, che sino ad oggi, come visto, non aveva accesso allo spazio giuridico italiano.

L’ottica deve essere necessariamente quella di prevenzione e gli strumenti a disposizione in tal senso sono diversi: in primo luogo l’adozione di clausole contrattuali che prevedano la rinuncia del danneggiato a questo tipo di danno o pongano un limite alla risarcibilità dei danni contrattuali, ad esempio ancorandola al valore dei prodotti o servizi forniti.

E’ poi fondamentale che si abbia conoscenza della legislazione e della giurisprudenza dei mercati in cui si opera, anche indirettamente (ad esempio, con la distribuzione commerciale dei prodotti) al fine di scegliere in modo consapevole la legge applicabile al contratto e la modalità di risoluzione delle controversie (ad esempio, con previsione dell’esclusiva giurisdizione del foro di un paese  che non preveda i danni punitivi.

Infine, questo tipo di responsabilità e di rischio può essere oggetto di valutazione con polizze assicurative che offrano una copertura specifica rispetto ad eventuali condanne al risarcimento di danni punitivi.

With the Legge di Bilancio 2017 (Budget Law), in force since January 1st 2017, the Parliament has implemented a new strategy in order to kick-start the Italian economy with the adoption of a wide array of measures to support startups and small-medium enterprises both financially and fiscally with the purpose of making them more appealing to foreign investors.

The Budget Law has designed a comprehensive plan that involves certain tax breaks, the possibility for SMEs to raise funds through crowdfunding platforms and for the so-called “innovative” startups (meaning early-stage companies that meet certain criteria set by the law: i.e. high level technology of the company’s scope, R&D expenditure or number of graduates employed, etc.) to sell transfer their tax losses to listed companies. Overall, these tools mainly aim at unlocking the economic system that so far has not proved to be capable enough to provide early-stage startups and SMEs both with financial resources and tax benefits they need to develop innovative assets and scale up their business.

This set of measures can be divided under four groups, based on the relevant purposes:

  1. Fostering entrepreneurship and setting up innovative companies;
  2. Stimulating private investments directed to innovative startup/small-medium enterprises;
  3. Supporting R&D expenditure and
  4. Modernizing existing companies’ assets by their digitalization and automation, along with the development of innovative technologies.

Economic relief for setting up new companies

The strategy laid down by the Parliament involves the Ministry of the Economic Development (Mise), the National Institute for Insurance against Accidents at Work (Inail), and other public agencies, such as Invitalia, in order to boost the incorporation of startup companies and the development of innovative SMEs.

As matter of fact, the endowment of the Fund for Sustainable Growth (FCS – Fondo per la Crescita Sostenibile), aimed at providing soft loans to support the incorporation of innovative startup companies, has increased by Euro 47,5 millions for 2017 and 2018, respectively.

Furthermore, the Budget Law has also allocated the same amount of Euro 47,5 millions for both 2017 and 2018 in order to foster self-employment and entrepreneurship. These funds will be managed by Invitalia, the Government agency for inward investment promotion and enterprise development, and will be mostly employed to sustain the incorporation of companies by women and young entrepreneurs (aged 18 to 35 years). Invitalia shall be able to grant subsidized zero-interest loans for a maximum of eight years, which could cover up to 75% of total expenses as budgeted for specific investments. Companies will then have to fund the remaining amount as allocated in the business plan and carry out the envisaged investment within 24 months of the signing the loan agreement.

The Ministry of the Economic Development (Mise) has also issued a sets of measures that grant subsidies to support development programs carried out by startup companies with a focus to the acquisition of new machineries and technological equipment; hardware and software technologies; patents and licenses along with non-patented technical know-how directly connected to production/managerial needs.

The Budget Law – pending the approval of the relevant Ministries – also introduces the possibility for Inail to invest in closed-end funds dedicated to innovative startups or to directly set up and participate in technological business ventures.

Streamlining bureaucracy

No need for a notary and exemption from stamp duty and other administrative fees are some of the measures aimed at streamlining the procedure to set up a startup company. It will also be possible to draw up the articles of association and its subsequent amendments through the online procedure by means of  qualified electronic signature.

Tax breaks for investments in innovative start-ups and SMEs

Pending the final approval of the European Commission, the Budget Law has introduced new incentives for those subjects that will invest in startup companies.
Tax breaks concerning this kind of investments are not something new. Introduced in 2012 and originally conceived as temporary, with the Budget Law, these measures has not only been converted into permanent incentives, but also increased from 19% and 20%, for individuals and companies respectively, to 30% with no distinction as to the status of the investor (potential shareholder) for investment capped at Euro 1 million for individuals and Euro 1,8 millions for entities.

Since these tax breaks are aimed at encouraging investments in startups, these benefits are balanced out by the condition that the investment which has benefited from these measures is maintained in the target company for three years (instead of two, as provided for under the previous Budget Law).
Furthermore, the Budget Law has extended these benefits also to innovative SMEs, that is all the small-medium enterprises operating in the field of technological innovation, regardless of their date of incorporation, since these companies will be relieved from presenting a plan attesting their innovative assets programs in order to access the benefits, as provided for previously.

A partnership between startups and listed companies that may benefit both parties

In the accompanying report to the Budget Law, the Government also has stressed the importance of involving listed companies in financing directly or indirectly startup projects and therefore it has introduced the possibility for startup companies to transfer the tax losses accrued in the first three fiscal years to a listed company provided that the certain requirements are met.

The transfer will be conducted according to the rule provided for the transfer of corporate tax credits; the transferee will be called to make up for the benefit received from the transferor and the remuneration paid to the startup will not be subject to taxation.
Through this mechanism, the companies would benefit one another: the startup would find a financial “sponsor” and the listed company would be able to fully offset its taxable income with the tax losses received, considering also the possibility to carry forward the exceeding part to the following year.

Crowdfunding

Through a tweak to the Italian Consolidated Law on Finance (i.e. Testo Unico Finanza), the  Budget Law got rid of some of the restrictions that prevented crowdfunding market to take off in Italy and introduced the possibility for any kind of SMEs to access equity crowdfunding. Previous legislation limited the possibility to raise funds through this system only to the innovative startups thus limiting the development of both SMEs and crowdfunding industry.

While  the rules governing equity crowdfunding will be the same from the operators’ side (i.e. crowdfunding platforms), small-middle size companies will now have a new mean for collecting capital aside from those traditional channels such as bank financing and stock exchange listing.

Tax credit on R&D expenses

The tax credit related to the Research & Development expenses, introduced in 2013, has been extended until December 2020 and enhanced passing from 25% to 50% on all the eligible expenses in R&D activities, with an annual threshold capped at Euro 20 million (five times higher than the previous maximum limit).

Companies will be able to reduce their tax bill and claim compensation as a proportion of their R&D expenditure. The provision is now applicable to all R&D expenses, including the hiring of staff dedicated to R&D activities (with no particular requirement as to their qualification) and to any kind of company (resident and non-resident), group or network of enterprises, regardless of the dimension of the firm, its legal status and industry of reference.

This fiscal incentive can be combined with another one applicable to any employee benefiting the tax incentives provided for under work for equity schemes by innovative startups. Breaking it down, this means that in case the staff carrying out the R&D activities is benefiting of any work for equity plan, the company at issue will benefit of both of the tax breaks.

Development contracts for large investment projects

The development contracts (Contratti di sviluppo) are agreements between the Ministry of Economic Development (Mise), Invitalia and one or several companies (the latter through network contracts) engaged in development projects.

First introduced in 2011, these contracts have been devised to support large industrial/productive investments with a size of at least 20 million euro (7,5 millions only with regards to the agro-food industry).

Development contracts are financed by the Mise, with the participation of the relevant Regions involved (which could also participate in the investment). Invitalia acts as a referent for the promoting companies and it is also the subjects in charge of managing the resources along with the assessment of the applications.

These “contracts” target Italian as well as Italian-based foreign companies and provide financial benefits such as block grants on plant and equipment, soft loans and interest subsidies, whose dimension could vary depending on the size of the company and the type of project at issue (R&D expenditure, innovation-directed investments).

Invitalia sets a fast pace for the admission procedure as well as for the subsequent development plan: once the project has been approved, the companies will have 90 days to submit all the documents required; they will then have 6 months to start and 36 months to carry out the investment project.

As a token of the country’s will to come through, the program also provides for special fast-track courses for particular productive and digitalization-related investment projects.

Super Depreciation and Hyper depreciation

With regard to companies as widely considered, the  Budget Law also extends the extra 40% depreciation deduction (which makes up a total tax depreciation of 140%) through 2017. Then, companies could deduct the expenses borne in order purchase tangible assets whose depreciation rate exceeds 6,5%. The incentive will be applicable only to those assets whose purchase order has been  accepted by the supplier and paid for at least 20% by 31 December 2017.
Aside from this, the Law has introduced a new extra 150% depreciation deduction (the so-called “hyper depreciation” that combined with the existing would make a total 250% depreciation deduction) for the purchase (or lease) of new technological assets, such as digitally-controlled machineries, equipment and so forth (the law outlines the complete range of eligible assets), acquired in order to  atomize and digitalize enterprises.

Sabatini-ter

The Budget Law has also reintroduced the so-called “Sabatini”, a special legislation aimed at facilitating the purchase (or lease) of capital goods by small-medium enterprises by covering part of the interests on bank loans between Euro 20,000 and Euro 2 million, that has been extended until 31 December 2018. A specific and more generous measure will apply to the purchase of new assets connected with the Industry 4.0 plan. Part of the resources allocated will be directed to support innovation, efficiency and the creation of a “digital” industrial system that invests in new technological equipment such as cloud computing, broadband connections, cybersecurity, robotics, mechatronics and so forth.

In conclusion, the above-mentioned measures, applicable to any company based in Italy, represent a strategic milestone in the way to making Italian companies more competitive in the global market, in terms of both technology and financial resources. Given the lack of regulatory barriers to entry, this set of new rules can vitalize the Italian economic system also attracting foreign investors.

The author of this post is Milena Prisco.

Commercial disputes in Italy can be efficiently resolved by Italian courts (either through ordinary or summary proceedings) or, if agreed upon by the parties, through arbitration.

The court usually decides a case – in first instance – in about three to four years and – in second instance – in about four to five years, while the length of arbitration proceedings is generally shorter (about one year), since it depends on the parties’ terms of engagement and the governing arbitration rules.

That said, the costs of arbitration proceedings are higher than the costs required for court proceedings, while timing of arbitration proceedings are generally faster, especially if the arbitration is carried out under the rules of an arbitration institution (e.g. The Milan International Chamber of Arbitration).

Enforcement of foreign judgments and international arbitration awards

Foreign judgments are recognised and enforced in Italy through different procedures depending on whether the judgment was issued by a court of an EU member state or by an extra-EU member state court.

In particular, any judgment, decision and measure which meets certain requirements, issued by a court of an EU member state and enforceable in that state is automatically recognised in the Italian jurisdiction without any special procedure and/or any declaration of enforceability being required, pursuant to the Regulation (EU) no 1215/2012, Regulation (EC) 44/2001 and the Brussels and Lugano II conventions, when applicable.

Furthermore, for judgments specifically issued by an extra-EU member state court, there are a number of bilateral conventions relating to the recognition and enforcement of judgments in civil matters.

As for international arbitration awards, in 1969 Italy signed the New York Convention of 1958 on the Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards. As a consequence, Italy recognises foreign arbitral awards as binding and enforces them in accordance with Italian procedural law under the conditions laid down in the New York Convention.

Therefore, in order for a foreign arbitration award to be enforced in Italy, it must be filed with the Court of Appeal of the place of residence of the other party (if it is in Italy) or with the Court of Appeal in Rome (if the other party resides abroad). In this case, the Court of Appeal will only check that the formal requirements of the award are respected, without entering in the merits of the dispute. The court will then issue an enforcement order, where the award becomes equivalent to a judgment capable of enforcement.

Enforcement of Italian judgments and arbitration awards in other jurisdictions

The possibility to enforce Italian judgments and arbitral awards may vary based on the jurisdiction.

In particular, Italian judgments are enforceable abroad pursuant to the Brussels I bis EU Regulation, and to the Lugano Convention, when applicable.

As mentioned above, Italy is also party to the 1958 New York Convention, which is based on the reciprocity principle for the recognition and enforcement of arbitration awards made in the territory of another contracting state. Therefore, an award rendered in Italy is enforceable in foreign jurisdictions that are party to the New York Convention.

A due anni dall’entrata in vigore del D.L. 12 settembre 2014 n. 133, che ha introdotto nell’ordinamento italiano la disciplina dei «contratti di godimento in funzione di successiva alienazione di immobili» (art. 23), il c.d. contratto di «rent to buy» («RTB») risulta ancora poco conosciuto tra gli operatori.

Originariamente pensato per favorire la ripresa del mercato immobiliare, fin da subito il contratto di RTB ha trovato applicazione in un ambito inaspettato, come quello fallimentare.

Eppure, le potenzialità del contratto di RTB sono enormi. Esso può essere definito come un accordo mediante il quale il Concedente si obbliga a far godere al Conduttore un immobile, verso corrispettivo di un canone e riconoscendo il diritto, da esercitarsi entro un determinato termine, di ottenerne la proprietà, a fronte del pagamento di un prezzo, calcolato imputando ad esso, in tutto o in parte, il canone fino a quel momento versato.

In tal modo, infatti, il Conduttore è in grado di abbattere progressivamente l’impegno finanziario richiesto e di accedere, quindi, più facilmente al credito.

D’altra parte, con il contratto di RTB, anche il Concedente è in grado di mettere subito a reddito l’immobile, con il conseguente sgravio dei costi, soprattutto di quelli sostenuti per la costruzione.

Il Legislatore, inoltre, ha previsto espressamente la trascrivibilità dei contratti di RTB, con il conseguente effetto prenotativo, per tutta la durata e fino ad un massimo di 10 anni (co. 1), nonché la possibilità di ricorrere alla tutela dell’esecuzione in forma specifica (co. 3).

La disciplina si caratterizza per un notevole grado di flessibilità, al fine di consentire alle Parti si soddisfare, nel modo migliore possibile, i propri interessi, potendo esse determinare liberamente «la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell’immobile entro il termine stabilito» (co. 1-bis).

Tra le altre previsioni, la normativa  prevede che «il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, in inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo» (co. 2).

In  caso di risoluzione per inadempimento del Concedente, «lo stesso deve restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali». Viceversa, nel caso in cui l’inadempimento sia attribuibile al Conduttore, «il Concedente ha diritto alla restituzione dell’immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto nel contratto» (co. 5).

Il contratto di RTB rappresenta, dunque, un’opzione interessante, presentando notevoli vantaggi sia per il Concedente che per il Conduttore.

Tuttavia, è importante notare che il contratto di RTB deve necessariamente mantenere lacausa concreta dell’acquisto dell’immobile, seppure eventuale e differito nel tempo. Solo in questo modo è possibile staccarsi dalla disciplina inderogabile prevista in materia locatizia. Ad esempio, ciò potrebbe non avvenire nel caso in cui, non essendo stato esercitato il diritto d’acquisto, il Conduttore non abbia diritto alla restituzione neppure in parte – oppure avesse diritto alla restituzione di una parte trascurabile – dei canoni corrisposti. In tal modo, infatti, il contratto concluso tradirebbe la sua natura locatizia, con l’inevitabile applicazione della disciplina inderogabile prevista.

Infine, particolare attenzione deve essere prestata alla forma prescelta. Soprattutto per il Concedente potrebbe essere conveniente optare per la forma dell’atto pubblico, qualora voglia potere agire immediatamente (ex art. 474, co. 3, c.p.c.) per la restituzione, qualora il Conduttore non adempia spontaneamente alla scadenza.

Detto questo, è evidente che un corretto bilanciamento degli interessi delle Parti può  portare agevolmente alla conclusione di contratti  convenienti per entrambe.

Partiamo da una situazione in cui maggioranza e minoranza si trovino già tra di loro in società per eventi etero determinati, quali ad esempio una successione mortis causa. Caso frequente quest’ultimo soprattutto nell’ambito di società ad impronta e stampo prettamente familiari. Si prenderà in esame, in prima battuta, una situazione per così dire neutra, dove non si applichino né norme statutarie particolari, né patti parasociali. In altri termini, si tratterà di esaminare una situazione in cui si applichino puramente e semplicemente le norme del codice civile. Ora, per passare all’esame dei diritti che possono essere esercitati dalla minoranza, si tratterà prima del diritto ad esercitare il controllo (anche attraverso il diritto a ricevere informazioni) e poi del diritto di exit. Un’ulteriore precisazione riguarda il perimetro della presente analisi che riguarda solamente le S.p.A. così dette chiuse, ovvero che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Il diritto di ispezione dei libri sociali ed il controllo sulla gestione

Nelle S.p.A. l’azionista non ha un diritto di controllo diretto come invece stabilito per le S.r.l. (art. 2476 c.c.). Nelle S.p.A., infatti, la funzione di controllo sulla gestione spetta preminentemente al Collegio Sindacale (artt. 2397 e ss. c.c.) che vigila sull’osservanza della legge e dello statuto da parte degli amministratori e sulla regolarità della vita societaria anche nell’interesse della minoranza. In ogni caso, la legge prevede, a tutela della minoranza, alcuni diritti in capo ai soci e, tra questi, il diritto di ispezione dei libri sociali ed il diritto di informazione. Essi sono tuttavia, limitati ad ipotesi specifiche e ben individuate, dimodoché il socio, con le sue istanze, non possa nuocere alla gestione sociale attribuita esclusivamente agli amministratori.

A ben vedere, infatti, il diritto di ispezione, disciplinato all’art. 2422 c.c., riconosce agli azionisti il diritto di verificare il libro soci ed il libro dei verbali delle assemblee, anche a mezzo di un proprio delegato, nonché di estrarre copia di detti libri, a proprie spese. Tale diritto, però, è limitato esclusivamente ai libri sociali sopra menzionati, senza possibilità di esaminare gli altri libri indicati dall’art. 2421 c.c. (verbali del C.d.A., verbali delle adunanze del Collegio Sindacale, etc.) e limitatamente a quei dati che costituiscono il contenuto obbligatorio dei libri oggetto del diritto di ispezione. Tali ulteriori libri sociali possono essere ispezionati solamente dal soggetto del quale si documenta l’attività: singoli amministratori, componenti del consiglio di gestione, ogni sindaco, etc. Fermo restando che gli amministratori, i sindaci e gli altri soggetti incaricati del controllo, non soffrono limitazioni nell’esercizio del diritto generale di ispezione, poiché tale esame costituisce lo strumento necessario per l’esercizio del potere di vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull’adeguatezza del sistema organizzativo, amministrativo e contabile della società. Ciò premesso, si evidenzia che il singolo azionista ha altresì il diritto di esercitare un controllo attraverso i seguenti strumenti che il legislatore gli mette a disposizione. (i) Denuncia, in qualsiasi modo e con la forma ritenuta più adeguata, di fatti censurabili attinenti la gestione all’organo di controllo ex art. 2408 c.c., il quale deve tenerne obbligatoriamente conto, indagando senza ritardo sui fatti oggetto della denuncia e facendone menzione nelle conclusioni della relazione all’assemblea, se tale denunzia è fatta nelle S.p.A. chiuse da tanti soci che rappresentino un ventesimo del capitale sociale (5% ) – per le S.p.A. che facciano ricorso al mercato del capitale di rischio la soglia è del 2 %. – nonché convocare l’assemblea se ricorrano le ipotesi indicate dall’art. 2406 c.c. secondo comma ovvero (a) in caso di omissione o di ingiustificato ritardo da parte degli amministratori ovvero (b) qualora ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere (potere/dovere questo non necessariamente ricollegato alla denuncia dei soci ma piuttosto alla gravità dei fatti da essi denunziati ed all’urgenza di dovere provvedere. (ii) Denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c., da notificare anche alla società, in caso di fondato sospetto, in ipotesi di violazione dei relativi doveri da parte degli amministratori (e dei sindaci) di commissione di gravi irregolarità nella gestione che siano potenzialmente foriere di danno alla società stessa o a una o più società controllate.  In questo caso, il diritto può essere esercitato da tanti soci che rappresentino il decimo del capitale sociale (10%), tale procedimento può dare luogo ad una ispezione, a spese dei soci instanti, ordinata dal Tribunale e subordinata, se del caso, alla prestazione di una cauzione. L’ispezione può essere evitata ed il procedimento è sospeso a tempo determinato, nell’ipotesi di così detta autotutela ovvero in caso di sostituzione degli amministratori e dei sindaci in carica con altri di comprovata professionalità. Tali professionisti debbono, senza indugio attivarsi per accertare se effettivamente sussistano le gravi irregolarità denunciate e, se del caso, attivarsi per eliminarle. Il Tribunale può altresì prendere i provvedimenti ritenuti più opportuni e convocare l’assemblea perché assuma le relative deliberazioni nelle ipotesi in cui le gravi irregolarità effettivamente siano state commesse ovvero le cautele e le azioni adottate per eleminarle si siano rilevate inefficaci.  Nei casi più gravi, il Tribunale può revocare gli amministratori e, eventualmente, anche i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata. Costui è, in tesi, legittimato all’esercizio dell’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2393 c.c. ultimo comma. La norma prevede infine che prima della scadenza del suo incarico l’amministratore giudiziario debba rendere il conto al tribunale che lo ha nominato; convocare e presiedere l’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale. Infine, è previsto che i provvedimenti di cui all’art. 2409 c.c.  possano essere adottati anche su richiesta del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione, nonché, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, del pubblico ministero; in questi casi le spese per l’ispezione sono a carico della società. (iii) Esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro l’organo amministrativo od il collegio sindacale (art. 2393 bis c.c.). In questo caso, l’azione è esercitata dai soci che detengano almeno un quinto del capitale sociale ossia il 20% (lo statuto può prevedere che sia prevista una soglia maggiore ma mai superiore ad un terzo). L’art. 2393 c.c. prevede altresì che l’azione di responsabilità non possa formare oggetto di transazione se vi è il voto contrario di tanti soci che rappresentino un quinto del capitale sociale (20%). Se approvata da almeno tanti soci che rappresentino un quinto del capitale sociale (20%) l’azione sociale di responsabilità comporta la revoca di diritto degli amministratori interessati. (iv) Impugnazione delle delibere assembleari (ivi inclusa quella relativa all’approvazione del bilancio art. 2434 bis c.c.) che siano contrarie alle legge ovvero allo statuto ex art. 2377 c.c. Per l’esercizio di tale diritto è necessario detenere il 5% del capitale sociale. Tale diritto può essere accompagnato con l’esercizio dell’azione risarcitoria per ottenere eventualmente il ristoro dei danni subiti per effetto dell’assunzione della delibera impugnata. (v) Diritto di prendere visione, negli orari d’ufficio, del progetto di bilancio, della relazione sulla gestione, di quella dell’organo amministrativo, di quella dell’organo di controllo, di quella del revisore, di un progetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio delle società collegate nei 15 giorni che precedono l’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio stesso ex art. 2429 c.c. (vi) Diritto di partecipare alle delibere dell’organo assembleare ed esercitare il diritto di veto in assemblea straordinaria ex art. 2365 c.c.(modificazioni dello statuto, nomina, sostituzione dei liquidatori e altre materie di competenza espressamente attribuite dalla legge) diritto che può essere esercitato da tanti soci che rappresentino più di un terzo del capitale sociale solo in seconda convocazione  ex. 2369 c.c. (vii) Diritto di chiedere la convocazione senza ritardo dell’assemblea ex art. 2367 c.c., diritto che può essere esercitato da tanti soci che rappresentino almeno il decimo del capitale sociale (10%). (viii) Diritto di chiedere il rinvio dell’assemblea se non sufficientemente informati diritto che può essere esercitato da tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale ovvero il 33% ex art. 2374 c.c.

Esaminando nuovamente le percentuali sopra individuate, per riassumere, si possono certamente individuare delle soglie per così dire critiche di partecipazione in una S.p.A. chiusa: al di sotto del limite del 5%, la minoranza poco o nulla può fare non avendo nemmeno la possibilità di impugnare le delibere assembleari e rimanendo ad essa, se vi sono i presupposti, la sola azione risarcitoria prevista dall’art. 2377, 4 comma, c.c. Quindi, per ricapitolare, perché una minoranza possa essere considerata “qualificata” e possa fare valere la propria voce come tale all’interno di una compagine societaria di una S.p.A. chiusa, è necessario che essa detenga: a) il 5% per efficacemente denunciare fatti censurabili attinenti la gestione all’organo di controllo (art. 2408 c.c.) e poter impugnare le delibere dell’assemblea (art. 2377 c.c.); b) il 10% per la denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c. e per richiedere la convocazione senza indugio dell’assemblea ex art. 2367 c.c.; c) il 20% per esercitare l’azione di responsabilità nei confronti dell’organo amministrativo o del collegio sindacale ex art. 2393 bis c.c. ovvero per opporsi alla transazione in punto all’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2393 c.c.; d) il 33% (+ 1%) per l’esercizio del diritto di veto nell’assemblea straordinaria in seconda convocazione ex art. 2369 c.c. e per la richiesta di rinvio dell’assemblea ex art. 2374 c.c.

Il dirito di uscita

In principio si accennava anche del diritto di exit. Il diritto di exit o di uscita altro non è che il diritto della minoranza di uscire dalla compagine sociale. La modalità naturale di exit è l’alienazione della partecipazione sociale. Quale alternativa principale alla vendita, in concomitanza di determinati eventi che determinino un mutamento significativo delle condizioni di rischio, il disinvestimento, in tutto o in parte, per il socio che non concorri a determinare tali cambiamenti, può realizzarsi tramite l’esercizio del diritto di recesso. È necessario avere esatta contezza delle cause che riconoscono al socio il diritto di uscita tramite recesso per due motivi: da una parte, perché la maggioranza potrà così, in maniera consapevole, ponderare determinate decisioni che potrebbero incidere tanto sulla vita sociale che sull’andamento gestionale, dall’altra, perché una minoranza attenta che si dovesse sentire “prigioniera” all’interno della compagine sociale, potrà avere uno strumento utile per superare la impasse.  Il recesso diventa dunque, all’occorrenza, strumento di pressione da esercitare sulla maggioranza oltre che di contrattazione allorquando mutano i presupposti di ingaggio inizialmente stabiliti dai soci ad esempio con l’introduzione di specifici motivi di recesso. Il diritto di recesso è disciplinato dall’art. 2437 c.c.  ed è esercitabile in occasione del verificarsi di determinate circostanze: a) modifica dell’oggetto sociale che incide in maniera significativa sull’attività della società; b) trasformazione della società; c) trasferimento della sede sociale all’estero; d) revoca dello stato di liquidazione; e) eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo statuto; f) modifica dello statuto che incida sul valore da attribuire alla partecipazione in caso di recesso; g) modifiche dello statuto concernenti i diritti di voto o partecipazione; h) proroga del termine; i) introduzione o rimozione dei vincoli alla circolazione dei titoli azionari; l) se la società è costituita a tempo indeterminato il socio può recedere con un preavviso di 180 giorni; m) in caso di assoggettamento a direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 e ss. c.c. Relativamente alle circostanze sopracitate, è di fondamentale importanza ricordare come alcune di esse e più precisamente quelle indicate alle lettere da a) a g), siano cause di recesso classificate come inderogabili, vale a dire insuscettibili di modifica anche per concorde volontà delle parti, mentre, quelle indicate alle lettere h) e i) siano invece derogabili. L’art. 2437, 2 comma, prima parte, c.c., infatti, espressamente indica la dizione “salvo che lo statuto disponga diversamente” riconoscendo in questo modo implicitamente quanto appena sostenuto. Si configura pertanto una tripartizione delle cause di recesso in legali inderogabili, legali derogabili e statutarie. Per l’esercizio del diritto di recesso è necessario rispettare le modalità previste dall’art. 2437 bis c.c. e l’esercizio del diritto comporta la liquidazione della partecipazione secondo i criteri di determinazione di cui all’art. 2437 ter c.c.

The Italian Court of Cassation, United Sections (judgement no. 24244 of 27 November 2015), recently issued a judgement on the applicability of article 5 no. 1 of the Brussels I Regulation on the jurisdiction, recognition and enforcement of judgements in civil and commercial matters, now corresponding to article 7 no. 1 of the Regulation 1215/2012 (Brussels I bis).

The above-referenced provision sets a special forum in matters relating to a contract, providing for the competence of the courts located in the place of performance of the obligation in question. According to letter b) of this provision, in case of the sale of goods, the place of performance of the obligation in question shall be the place in a Member State where, under the contract, the goods were delivered or should have been delivered.

In the case brought before the Court of Cassation, an Italian company – while objecting the claim of a French company regarding the conclusion of some sale agreements that the latter stated to have entered into with the first one – asked for a declaratory judgement stating the inexistence of any contractual obligation between the parties, and, alternatively, for a declaration that the alleged agreements were null and void.

First of all, the Court of Cassation asserted the applicability of article 5, letter b) of the Brussels I Regulation to the case de quo.

Albeit recognizing that the abovementioned provision seems to refer only to actions addressed to the performance of a contract and not to actions regarding the dissolution of a contractual obligation, the Italian Supreme Court has considered that also claims aiming at ascertaining the inexistence, invalidity or ineffectiveness of an agreement concern matters relating to a contract. More precisely, the Supreme Court has held that such claims involve an initial, actual or alleged, voluntary assumption of an obligation, of which they tend, in several ways, to default. In the light of this assumption and considering that the delivery of the goods was supposed to take place in France (according to the contractual documents evidenced during the proceedings), the Court of Cassation has found that Italian Courts were lacking jurisdiction over the case, thus confirming the judgement previously issued by the Court of Appeal.

The judgement of the Italian United Sections is important because it has definitively confirmed, consistently with the European uniform trend, that the place of delivery is the only autonomous linking factor to be applied to all claims grounded on contracts for the sale of goods and not only to claims based on the non-performance of the delivery obligation itself.

The author of this article is Silvia Petruzzino.

La persona residente o domiciliata in uno Stato Membro diverso dall’Italia può avviare, nel nostro Paese, una causa legale per ottenere il risarcimento del danno provocato dalla morte di un congiunto a seguito di un incidente stradale verificatosi in Italia? E, se sì, il danno deve essere determinato in base alla legge italiana o in base alla legge nazionale straniera del danneggiato?

Anche se evidentemente correlati, i due interrogativi si pongono su piani nettamente diversi:

  1. il primo riguarda l’individuazione del Giudice internazionalmente competente a conoscere della causa risarcitoria,
  2. mentre il secondo attiene all’individuazione della legge sostanziale applicabile alla fattispecie.

Relativamente al punto (2), per inciso vale la pena sottolineare che – contrariamente a quanto si potrebbe comunemente pensare – il Giudice italiano investito dell’esame di una controversia che presenta elementi di internazionalità  ben potrebbe giudicare non in base alla legge italiana, ma in base a una legge straniera (questo per effetto di un complesso sistema di norme detto “diritto internazionale privato”, sul quale in questa sede per brevità non ci soffermeremo).

Tornando ora alle due domande di cui sopra, la risposta alla prima è senz’altro affermativa: se il sinistro stradale è avvenuto in Italia, la causa risarcitoria può essere avviata in Italia. A questo risultato porta l’analisi della normativa comunitaria in tema di giurisdizione, costituita dal Regolamento UE 1215/2015 (c.d. Regolamento Bruxelles-I bis, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, contenente la rifusione del precedente Regolamento CE 44/2001 e in vigore dal 10 gennaio 2015). Più precisamente:

  • se il soggetto responsabile è domiciliato in Italia (a prescindere dalla sua cittadinanza), il Giudice italiano è competente in base all’art. 4 n. 1 Reg. 1215/2012, secondo il quale “le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro cittadinanza, davanti alle autorità giurisdizionali di tale Stato membro” – questo è il c.d. criterio del foro generale del convenuto, in base al quale l’azione legale è di regola iniziata davanti al Giudice del luogo ove è domiciliato il convenuto;
  • se invece il soggetto responsabile non è domiciliato in Italia, il Giudice italiano è comunque competente, perché l’art. 7 n. 2 Reg. 1215/2012 prevede espressamente che “(u)na persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro, in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”.

Ricapitolando: se avviene in Italia un incidente stradale in cui viene a mancare una persona e i parenti stranieri del defunto vogliono avviare una causa nel nostro Paese contro il responsabile per avere il risarcimento del danno, essi possono senz’altro farlo. E possono rivolgersi al Giudice italiano sia quando il responsabile è un soggetto domiciliato in Italia, sia quando il responsabile è domiciliato in un altro Paese: ciò che conta è che il sinistro si sia verificato in Italia.

Se la risposta alla prima domanda non pone particolari problemi, molto più difficoltosa appare la risposta al secondo interrogativo (2): quale legge sostanziale applicherà il Giudice italiano per attribuire o meno la somma risarcitoria? La legge italiana o la legge straniera del danneggiato?

In questo caso, la soluzione si trova in un altro Regolamento europeo: il Regolamento (CE) n. 864/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (c.d. Regolamento Roma II). Più in dettaglio, la disposizione rilevante è costituita dall’art. 4, par. 1: “(…) la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali che derivano da un fatto illecito è quella del paese in cui il danno si verifica, indipendentemente dal paese nel quale è avvenuto il fatto che ha dato origine al danno e a prescindere dal paese o dai paesi in cui si verificano le conseguenze indirette di tale fatto”.

In altri termini, l’art. 4, par. 1, Reg. Roma II afferma che la legge sostanziale in base alla quale il Giudice italiano sarà chiamato a decidere sarà la legge “del paese in cui il danno si verifica”. E ciò senza aver riguardo alla legge del Paese in cui si verificano le – diverse – “conseguenze indirette” del fatto illecito.

Nel caso del pregiudizio patito dai congiunti delle vittime di sinistri stradali, però, questa disposizione non è affatto chiara e può prestarsi a diverse interpretazioni. Ci si chiede: il pregiudizio sofferto dai familiari del defunto è un vero e proprio danno o è piuttosto una conseguenza indiretta del fatto illecito?

Occorre infatti ricordare l’esistenza di una dicotomia fra i vari ordinamenti nazionali:

  • nel diritto italiano il pregiudizio patito dal congiunto è considerato un danno diretto del familiare, il quale – nel momento in cui avvia l’azione risarcitoria – fa quindi valere un diritto suo proprio (danno economico, morale, alla vita di relazione, ecc.);
  • in altri ordinamenti europei, invece, il pregiudizio arrecato dal sinistro al familiare del defunto è qualificato come una lesione indiretta alla sfera personale del parente.

La scelta fra le due impostazioni non è di poco momento. Se il Giudice italiano deve qualificare il pregiudizio patito dal familiare come un danno diretto, allora il Giudice deve verificare qual è il Paese in cui si verifica tale danno e verosimilmente giungerà ad applicare la legge del Paese ove si trova il domicilio dell’attore danneggiato (per ipotesi, la legge straniera). Se invece il Giudice italiano deve qualificare il pregiudizio patito dal familiare come una conseguenza indiretta, allora l’unico danno possibile è quello patito dal defunto e pertanto si andrà necessariamente a identificare la legge applicabile con la legge del Paese in cui si è verificato il sinistro (in ipotesi, la legge italiana, quindi).

A questa spinosa domanda ha recentemente risposto la Corte di giustizia europea nella sentenza Florin Lazar, del 10 dicembre 2015, causa C-350/14, esprimendosi su un rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Trieste. Secondo la pronuncia, nel caso di incidenti stradali l’art. 4, par. 1, va interpretato nel senso che il danno è costituito unicamente dalle lesioni che hanno causato la morte della persona: ne deriva che, «al fine di determinare la legge applicabile ad un’obbligazione extracontrattuale derivante da un incidente stradale, i danni connessi al decesso di una persona in un incidente siffatto avvenuto nello Stato membro del foro, e subiti dai suoi congiunti residenti in un altro Stato membro, devono essere qualificati come “conseguenze indirette».

Fra i pregi di tale scelta interpretativa, ricorda la Corte di giustizia, vi è quello di “assicurare la prevedibilità della legge applicabile, evitando allo stesso tempo il rischio che il citato fatto illecito sia scomposto in più parti soggette ad una legge differente a seconda dei luoghi in cui soggetti diversi dalla vittima diretta subiscono danni”.

L’autore di questo post è Serena Corongiu.