Esternalizzazione: la responsabilità di committente, appaltatore e subappaltatore

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L’imprenditore che intenda concentrarsi esclusivamente sul proprio core business ha la possibilità di ricorrere ad altri imprenditori, a cui affidare la realizzazione di tutte quelle opere e di quei servizi comunque necessari per la gestione dell’impresa.

Il termine tecnico che si utilizza per definire un tale modus operandi è quello di “esternalizzazione” di parte dell’attività imprenditoriale e, solitamente, l’accordo che regola tale tipologia di collaborazione è un contratto di appalto, vale a dire il contratto con il quale una parte si impegna a compiere un’opera o un servizio a favore di un’altra e verso un corrispettivo in denaro.

Esempio di contratto di appalto d’opera potrebbe essere il contratto con il quale un’impresa edile si obbliga a costruire un palazzo per una società immobiliare; esempio di appalto di servizi potrebbe essere il contratto che si stipula con un’impresa di pulizie per la pulizia del proprio stabile.

L’appalto ha per oggetto una prestazione di “fare” nell’ambito della quale un soggetto, detto appaltatore, si impegna a svolgere un’attività determinata, fornendo ed organizzando i mezzi necessari e gestendo la realizzazione a proprio rischio; è poi necessario che l’attività sia organizzata in forma di impresa e che quindi l’appaltatore sia, esso stesso, un imprenditore.

In Italia lo strumento dell’appalto ha sempre avuto grande diffusione ed utilizzo e da sempre rappresenta lo strumento privilegiato per esternalizzare attività poco remunerative nell’ambito di realtà imprenditoriali complesse: obiettivo di chi ricorre all’appalto è quello di realizzare efficienza in termini di risorse, sia economiche (riduzione dei costi) che materiali (riduzione di personale e delle responsabilità connesse alla sua gestione).

Quanto sopra vale anche per gli imprenditori esteri che gestiscono o decidono di avviare un’attività in Italia: l’appalto rappresenta un ottimo strumento per delegare ad altri soggetti, in loco e con una specifica expertise in materia, la gestione di problematiche complesse quali: l’ottenimento di autorizzazioni pubbliche, l’approvvigionamento di particolari materie prime, il reclutamento sul territorio di risorse umane qualificate.

L’esternalizzazione della attività non è un fenomeno omogeneo e le esigenze che spesso si presentano in concreto sono suscettibili di prestarsi anche a differenti soluzioni, a seconda dell’oggetto della prestazione, della tipologia e delle caratteristiche del committente o della particolare natura degli interessi coinvolti.

Proprio in virtù delle suddette particolarità molto spesso, in luogo del contratto di appalto, l’imprenditore fa ricorso al contratto di subfornitura.

Con il contratto di subfornitura un imprenditore si impegna a effettuare, per conto di una impresa committente, lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all’impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa committente.

Sintetizzando e forse banalizzando fiorenti dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, potremmo dire che molto spesso la differenza tra un appalto di servizi e la “subfornitura” consiste nel fatto che in caso di subfornitura le attività oggetto del contratto vengono svolte su materiali del committente e/o consistono nella realizzazione di beni o servizi funzionali al processo produttivo del committente; in ogni caso, la subfornitura comporta la “dipendenza tecnologica” (ed anche economica) del subfornitore nei confronti del committente.

Proprio il decentramento e la dissociazione che l’esternalizzazione di processi e attività realizza tra il “gestore” dell’attività esternalizzata ed il fruitore finale della stessa, suscita da sempre grande attenzione da parte del legislatore italiano.

Attenzione finalizzata a tutelare soprattutto i dipendenti coinvolti nell’attività esternalizzata in caso di eventi nefasti idonei a privarli di garanzie legali di cui, invece, possono continuare a godere i dipendenti dell’appaltante committente (pensiamo ad esempio alla sofferenza finanziaria dell’appaltatore/subfornitore, o addirittura al suo coinvolgimento in procedure concorsuali, da cui derivi il mancato pagamento di retribuzioni e contributi).

Per tali ragioni, ormai a far data dal 2003, il legislatore italiano ha introdotto un oneroso regime di solidarietà tra committente e appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori che, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, sono obbligati in solido a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto.

Sino al mese di dicembre del 2017 la giurisprudenza di merito era consolidata nel ritenere che il regime della responsabilità solidale fosse applicabile esclusivamente all’appalto di servizi e non alla subfornitura. Circostanza questa che rendeva il ricorso alla subfornitura potenzialmente meno oneroso per il committente.

Con sentenza n. 254 del 6 dicembre scorso, tuttavia, la prospettiva è stata completamente ribaltata dalla Corte Costituzionale che chiamata a pronunciarsi in materia ha stabilito l’applicazione estensiva del principio della responsabilità solidale anche tra committente e subfornitore.

La sentenza parte dall’analisi della nota questione giurisprudenziale circa la configurazione giuridica del contratto di subfornitura e, in particolare, circa l’autonomia o meno del contratto di fornitura rispetto al contratto di appalto.

Senza entrare nel merito del dibattito giurisprudenziale esistente, la Corte Costituzionale sostiene che, al di là dell’orientamento seguito quanto all’assimilazione o meno della subfornitura al contratto di appalto, è possibile operare l’estensione della responsabilità del committente/appaltatore ai crediti di lavoro dei dipendenti del subfornitore.

Ciò in quanto l’introduzione della norma sulla responsabilità solidale in ipotesi di appalto, non può giustificare l’esclusione della medesima garanzia nei confronti dei dipendenti del subfornitore, atteso che la tutela del soggetto che assicura un’attività lavorativa indiretta non può non estendersi a tutti i livelli di decentramento.

Sulla base di tali considerazioni, dunque, il principio della responsabilità solidale va correttamente interpretato nel senso che il committente/appaltatore è obbligato in solido (anche) con il subfornitore, relativamente ai crediti lavorativi, contributivi e assicurativi dei dipendenti di questi, al pari quindi di quanto lo è verso i dipendenti del subappaltatore.

In sostanza il committente risponde direttamente, salvo successiva rivalsa, per le rivendicazioni economiche avanzate dai dipendenti dell’appaltatore, del subappaltatore e del subfornitore e di tutti i lavoratori che dovessero essere stati utilizzati nell’attività esternalizzata in relazione a: i) crediti retributivi maturati durante il periodo di correlazione tra committente ed impresa che ha eseguito i lavori, ivi compresi, “pro – quota”, quelli relativi al trattamento di fine rapporto; e ii) contributi previdenziali e premi assicurativi dovuti per il periodo di esecuzione della prestazione.

Il lavoratore può chiedere direttamente al committente il pagamento di quanto maturato nei confronti del proprio datore. Il committente, chiamato in giudizio, non può mai chiedere l’escussione del coobbligato in solido: deve pagare salva l’azione di regresso.

Il committente quindi, nonostante l’esigenza iniziale fosse quella di fare efficienza e ridurre costi, può trovarsi esposto ad un rischio economico molto maggiore rispetto al costo risparmiato, soprattutto se le rivendicazioni economiche riguardano situazioni non controllabili a priori: facciamo riferimento ad esempio, all’eventuale personale utilizzato “in maniera irregolare” dall’appaltatore/subfornitore, oppure alle rivendicazioni connesse allo svolgimento di mansioni superiori, od anche alla richiesta di lavoro straordinario al di fuori dei parametri di legge.

Esistono naturalmente sistemi e meccanismi idonei a contenere il rischio o, comunque, idonei a garantire al committente maggiore controllo sul corretto funzionamento della filiera esternalizzata.

Tra questi, ad esempio, alla possibilità di prevedere contrattualmente strumenti di tutela economica quali fideiussioni e manleve.

Ma esiste anche la possibilità di implementare, sempre nel contratto, un adeguato sistema di controllo sulla corretta gestione del personale nonché sull’erogazione di retribuzioni, contributi e premi assicurativi.

Alla luce di quanto sopra, concludiamo individuando nella figura del consulente esperto in materia di diritto del lavoro il miglior supporto per l’imprenditore che intenda avventurarsi in maniera consapevole e sicura in un processo di esternalizzazione.

L’autore di questo articolo è Domenica Cotroneo.

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