Distribuzione selettiva – Rifiuto di rifornirne il rivenditore non autorizzato

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Il contratto di distribuzione e la distribuzione selettiva

L’ordinamento italiano non prevede una disciplina specifica del contratto di distribuzione. Pertanto, esso risulta regolato, per analogia, dalle norme dettate per il contratto di compravendita, da quelle generali previste in materia di obbligazioni contrattuali, nonché dai principi fissati dalla giurisprudenza in materia. Il contratto di distribuzione non richiede la necessaria forma scritta (che è comunque sempre consigliata).

In questo contesto, il sistema di distribuzione selettiva viene adottato, principalmente, nel settore dei beni di elevato livello tecnologico per i quali l’acquirente necessiti di specifica assistenza o dei beni di lusso, per tutelare gli investimenti effettuati dal titolare in termini di prestigio del marchio. Il produttore o il distributore esclusivo selezionano, sulla base di criteri qualitativi e/o quantitativi (numero e dislocazione geografica), i rivenditori che rispondono a determinati standard di competenza professionale, di qualità del servizio e/o di prestigio del punto vendita, stabiliti dallo stesso produttore.

La distribuzione selettiva è definita dal Regolamento UE 330/2010 del 20.04.2010 (relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate) come segue:

un sistema di distribuzione nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema” (art. 1, comma 1, lett. e), Reg. citato).

Trattandosi di una forma di restrizione verticale della concorrenza, essa gode tuttavia dell’esenzione dal divieto di cui all’art. 101 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), e di quello previsto dall’Art. 2 della Legge n. 287 del 10.10.1990 (Intese restrittive della libertà di concorrenza), ricorrendone i presupposti di cui allo stesso Regolamento 330/2010.

Il rifiuto di fornire i prodotti

In questo quadro, a fronte del rifiuto da parte del produttore/titolare della rete di distribuzione selettiva, un rivenditore che assumesse di avere tutte le qualità richieste, avrebbe il diritto di pretendere di essere inserito nella rete distributiva e, quindi, di essere rifornito dei prodotti oggetto di tale distribuzione commerciale?

Per rispondere a tale domanda occorre innanzitutto rilevare che è un principio generale, secondo l’ordinamento italiano (ma è condiviso da molti altri sistemi giuridici), la c.d. “autonomia contrattuale” che si traduce anche nella libertà di contrarre o meno facente capo ad ogni soggetto. Ne deriva che, di regola, ognuno è libero di rifiutarsi di concludere un contratto e, nel caso di specie, di fornire i propri prodotti ad un rivenditore terzo che ne faccia richiesta.

Le eccezioni a questa regola sono rigidamente stabilite dalla legge, come ad esempio il caso del monopolista legale. Ma si tratta di una fattispecie che non ricorre – com’é evidente – nel caso di un sistema di distribuzione selettiva tra privati.

Le norme antitrust europee e italiane

Prendendo in considerazione le norme antitrust che disciplinano la distribuzione selettiva e la sua esenzione dal divieto di porre in essere intese restrittive della concorrenza, ossia, rispettivamente, l’art. 101, comma 3, TFUE, ed il Regolamento UE 330/2010, a mente dei quali va interpretato l’articolo 2 della L. 287/1990, non vi è modo di ricavare un obbligo a contrarre, per di più, suscettibile di tutela costitutiva in forza dell’art. 2908 Cod. civ. (ossia attraverso una sentenza del giudice che sostituisca il contratto non stipulato), in capo ad un soggetto privato (quindi non un ente pubblico) che non si trovi in posizione di monopolio, nei confronti di un altro soggetto.

Analogamente, anche nel caso in cui l’impresa terza rispondesse ai criteri utilizzati per selezionare i rivenditori della rete distributiva, nessuna norma (tanto meno il Regolamento UE 330/2010) impone all’impresa fornitrice di contrarre con l’impresa terza e, quindi, di farla accedere alla rete distributiva. In tal senso si è recentemente espressa la giurisprudenza in un caso di restrizione verticale negli accordi per la vendita di autoveicoli.

Per cui, anche sotto quest’aspetto, il rifiuto di fornire il rivenditore terzo appare assolutamente legittimo, senza che risulti neppure necessario accertare le caratteristiche del sistema distributivo utilizzato dal produttore/distributore o la compatibilità del medesimo con l’art. 2, L. 287/90.

Ad ogni buon conto, i punti 175 e 176 della Comunicazione della Commissione 19 maggio 2010, 2010/C 130/1, recante Orientamenti sulle restrizioni verticali (indispensabile complemento del Regolamento di esenzione per categoria), chiariscono che:

(i) mentre un sistema puramente qualitativo, di norma, non rientra nell’ambito di applicazione del divieto di intese restrittive della concorrenza, e quindi è lecito a prescindere da qualsiasi esenzione,

(ii) la distribuzione selettiva qualitativa e quantitativa beneficia dell’esenzione per categoria fintantoché la quota di mercato sia del fornitore che dell’acquirente non supera il 30%, anche se ad essa sono combinate altre restrizioni verticali non fondamentali come il divieto di concorrenza e la distribuzione esclusiva, purché i distributori autorizzati non siano soggetti a restrizioni nella vendita attiva tra loro e agli utilizzatori finali. Il regolamento di esenzione per categoria esenta gli accordi di distribuzione selettiva a prescindere dalla natura del prodotto in questione e del criterio di selezione. Tuttavia, se le caratteristiche del prodotto non richiedono una distribuzione selettiva o non richiedono i criteri applicati, come ad esempio la condizione per i distributori di avere uno o più punti vendita «non virtuali» o di fornire specifici servizi, tale sistema di distribuzione non comporta generalmente vantaggi in termini di efficienza tali da compensare una notevole riduzione della concorrenza all’interno del marchio” (n. 176 cit.).

Oltretutto, la regola c.d. “de minimis” (Comunicazione della Commissione Europea relativa agli accordi di importanza minore che non determinano restrizioni sensibili della concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (comunicazione «de minimis») 2014/С 291/01 [Gazzetta ufficiale C 368 del 22.12.2001]) prevede che siano esclusi dall’applicazione dell’art. 101 TFUE gli accordi stipulati tra imprese concorrenti la cui quota di mercato complessiva sia inferiore al 10%, ed al 15%, nel caso di accordi tra imprese non concorrenti (ovvero operanti a livelli diversi della catena distributiva, come nel caso della distribuzione selettiva).

In ogni caso, indipendentemente dalla presenza o meno delle condizioni per l’esenzione dal divieto di cui all’art. 101 TFUE, non sussiste alcun obbligo per il produttore/distributore di far accedere alla rete di distribuzione selettiva il rivenditore terzo che ne facesse richiesta, anche avendone, in ipotesi, i requisiti.

Analogamente, dal citato Regolamento UE 330/2010, o altrove, non è ricavabile un obbligo che imponga all’impresa che ha posto in essere un sistema di distribuzione selettivo di rendere noti i criteri di selezione utilizzati ai terzi che ne facciano richiesta, anche considerando che tali criteri hanno un evidente carattere di riservatezza commerciale, riguardando aspetti determinanti delle strategie competitive del produttore/distributore, la cui conoscenza rappresenterebbe un indebito vantaggio per il terzo, che opera, evidentemente, nel medesimo settore di mercato.

Le norme sulla concorrenza sleale

Per completezza, occorre osservare che il rifiuto di fornire il rivenditore terzo potrebbe configurare un atto di concorrenza sleale, vietato ai sensi dell’art. 2598 Cod. civ., potendo rappresentare un caso di “boicottaggio economico primario” consistente nel rifiuto ingiustificato di contrarre da parte di un’impresa. Occorre però tenere presente che, affinché si possa ritenere illecito tale comportamento, si deve verificare la compresenza di due elementi:

1) oggettivo. È, infatti, ritenuto generalmente lecito il boicottaggio individuale diretto, perché manifestazione della libertà dell’imprenditore di scegliere la propria controparte (autonomia contrattuale), salvo il caso in cui questo sia posto in essere da una impresa in posizione dominante (posizione di mercato che consente ad un’impresa di assumere un comportamento significativamente indipendente nei confronti delle imprese concorrenti e dei consumatori, a causa di una considerevole restrizione della concorrenza all’interno del mercato in cui la stessa impresa opera);

2) soggettivo. Occorre che il comportamento commerciale consistente nel boicottaggio sia dolosamente diretto all’esclusione dal mercato del concorrente, e non abbia altra giustificazione, non rientrando nelle abituali strategie di mercato del soggetto che lo pone in essere.

Ma anche nell’ipotesi sopra descritta, il rifiuto (ingiustificato e deliberato) di concludere il contratto non comporterebbe per il produttore/distributore l’obbligo di far accedere il terzo nella rete di distribuzione selettiva, ma solo quello di risarcire il relativo danno.

L’esecuzione in forma specifica

In ogni caso, un Giudice non potrebbe mai condannare il titolare della rete di distribuzione selettiva a fornire il terzo per il semplice motivo che i casi in cui è prevista, dall’ordinamento italiano, l’esecuzione in forma specifica di un obbligo a contrarre richiedono sempre necessariamente o che il contenuto del contratto definitivo sia stato predeterminato dalle parti medesime attraverso un precedente contratto, come nel caso dell’esecuzione del contratto preliminare, prevista dall’art. 2932 cod. civ., oppure che il contratto definitivo sia predeterminato in maniera rigorosa dal mercato, in quanto, trattandosi di monopolista legale, come è appunto il caso dell’art. 2597 cod. civ., si tratta soltanto di applicare le condizioni contrattuali che lo stesso pratica nel mercato al fine di garantire la parità di trattamento tra tutti i contraenti.

In un’ipotesi come quella in esame, al contrario, l’oggetto del contratto sarebbe assolutamente indeterminato ed indeterminabile ed, in assenza di qualsiasi parametro, il giudice non potrebbe stabilirne autonomamente il contenuto.

L’autore di questo articolo  è Davide Grill.

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