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Guida all’export del vino italiano nel mondo

Si stima che il valore complessivo dell’industria vinicola mondiale raggiungerà i 402 miliardi di Euro entro il 2023.

L’Europa detiene attualmente più del 50% del mercato, ma la quota di esportazioni di vini americani e asiatici è in aumento. Al contempo, il consumo di vino è in calo nei mercati tradizionali, mentre sta crescendo rapidamente nei mercati emergenti, in particolar modo quelli asiatici.

In un contesto nel quale l’accesso ai mercati internazionali è sempre più importante, i consumatori e i trend cambiano e i modelli di business si evolvono in modo molto rapido, è fondamentale agire in modo informato e consapevole delle nuove opportunità, degli strumenti tecnologici, delle regole applicabili, delle tutele necessarie per operare a livello globale.

Questa guida nasce con l’obiettivo di mettere a disposizione dei produttori e commercianti del mondo del vino uno strumento pratico e agile per reperire le principali informazioni per accedere ai mercati internazionali e consente di collegarsi direttamente con un legale esperto del settore, in grado di assistere l’imprenditore nella gestione sicura e corretta del proprio business.

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I contratti per la distribuzione internazionale del vino

Roberto Luzi Crivellini

Il contratto di vendita internazionale del vino

Quale legge si applica al contratto di vendita del vino all’estero?

Un contratto di vendita internazionale è un accordo con un compratore che ha sede al di fuori del territorio italiano, per cui i prodotti venduti dovranno essere spediti e consegnati all’estero.

Le parti di un contratto di vendita internazionale sono libere di scegliere quale legge applicare al loro contratto ed è consigliabile che ciò venga fatto per iscritto.

In ambito internazionale, esiste la Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili (“CISG”), che è stata ratificata da 94 Stati, tra i quali i principali partner commerciali dell’Italia (USA, Canada, Brasile, Germania, Cina, Francia, Spagna: qui la lista completa dei paesi aderenti), e si applica automaticamente sia nel caso in cui le parti (aventi sede in due dei 94 Stati) non scelgano alcuna legge, sia – salvo alcune eccezioni – nel caso in cui scelgano la legge di uno dei 94 Stati.

Si tratta di una normativa equilibrata, chiara e facilmente consultabile dalle parti, la cui applicazione semplifica molto le trattative e la gestione del rapporto contrattuale. È, però, un testo non completo, pertanto – per tutto quanto non disciplinato dalla convenzione, si farà riferimento alla legge nazionale scelta dalle parti (le norme italiane o, se fosse scelta un’altra legge, le norme tedesche, cinesi, etc.).

L’esclusione della CISG nel contratto o nelle condizioni generali di vendita è una brutta abitudine piuttosto diffusa, alimentata dalla convinzione che essa sia meno tutelante della legge italiana: ciò non è vero (anche perché nel contratto si è liberi di derogare a certe previsioni della CISG, ad esempio introducendo termini brevi per la denuncia dei vizi dei prodotti) ed escludendola si rinuncia ad uno strumento molto utile, che è stato creato proprio per disciplinare in modo chiaro ed equilibrato i contratti di vendita internazionale.

Come si conclude un contratto di vendita internazionale di vino?

Nella maggioranza dei paesi (e secondo la CISG) il contratto si conclude con l’incontro delle dichiarazioni di volontà delle parti, ossia quando la parte che ha formulato la proposta (in genere con un ordine commerciale) riceve notizia dell’accettazione della proposta dell’altra parte (solitamente con la conferma d’ordine).

Proposta ed accettazione possono anche essere verbali e il contratto può anche concludersi tacitamente, ad esempio se il venditore invia la merce dopo avere ricevuto la proposta: per ragioni di chiarezza è fortemente consigliabile, però, che l’accordo venga concluso per iscritto, mettendo nero su bianco tutti i patti importanti.

Operando solo con accordi verbali o con lo scambio di ordini e conferme d’ordine, infatti, non si adottano alcune tutele importanti per il venditore, come ad esempio le conseguenze dei ritardi nella consegna, i tempi e le modalità di denuncia dei vizi dei prodotti da parte del compratore, i limiti della responsabilità del venditore in caso di inadempimento del contratto, le modalità di risoluzione delle controversie.

Qual è il contenuto di un contratto di vendita di vino all’estero?

Le clausole più importanti del contratto di vendita internazionale sono quelle che prevedono le modalità di trasporto, i termini di consegna (che è bene indicare espressamente come approssimativi a favore del venditore), le limitazioni della responsabilità del venditore in caso di inadempimento, i termini per la denuncia di eventuali vizi e i rimedi a disposizione del compratore, le attività necessarie all’ importazione del vino nel paese straniero, le modalità di risoluzione delle controversie.

Il Contratto Quadro di Vendita all’estero

Quando le parti intendono realizzare una serie di vendite di prodotti all’interno di un certo periodo di tempo, può essere utile utilizzare il contratto quadro di vendita. Si tratta di un accordo con il quale venditore e compratore definiscono i principali elementi delle future vendite: tipologia di prodotto, prezzo, termini di consegna e di pagamento, volumi riservati al compratore, tempistica di inoltro degli ordinativi. Dopo avere concluso questo accordo quadro le parti si scambiano poi gli ordinativi e le conferme d’ordine, richiamando e dando esecuzione ai patti iniziali.

Quando utilizzare il Contratto Quadro di Vendita?

Il contratto quadro di vendita consente di pianificare l’attività di un certo periodo, organizzare l’acquisto dei materiali necessari e gestire il magazzino in funzione del programma di vendite concordato.

Trattandosi di un accordo quadro, successivamente le parti concluderanno degli autonomi contratti di vendita, che dovranno richiamare le condizioni del contratto quadro e, se utilizzate, le condizioni generali di vendita.

Visto che il contratto quadro disciplina una serie di contratti di vendita futuri, è bene che si stabilisca in modo chiaro se le parti si obbligano a concludere i contratti di vendita durante la durata dell’accordo, oppure se si tratta di un programma non vincolante: nel primo caso è consigliabile indicare cosa accade se una parte non rispetta il programma di acquisti-vendite, ad esempio prevedendo una penale, oppure il diritto a risolvere il contratto o di non accettare futuri ordini.

Le condizioni generali di vendita internazionale

Una modalità molto efficace per inserire automaticamente le clausole più importanti in tutti i contratti di vendita con un compratore straniero è quella di richiamare l’applicazione delle condizioni generali di vendita del produttore.

Le condizioni generali di vendita sono, infatti, un testo che contiene la regolamentazione di dettaglio del contratto di vendita e possono applicarsi ad un singolo ordine oppure a tutte le future vendite a favore di un certo cliente.

Perché permettono di disciplinare in modo omogeneo e completo le vendite all’estero dei prodotti, riducendo le trattative tra le parti ai soli termini commerciali.

L’ordine e la conferma d’ordine, infatti, potranno contenere solo i principali elementi commerciali (tipologia di prodotto, quantità, prezzo, modalità di trasporto, termini di consegna), perché il dettaglio dei diritti e delle obbligazioni delle parti saranno disciplinati nelle Condizioni Generali, che dovranno essere allegate alla conferma d’ordine o richiamate sulla modulistica utilizzata per concludere i singoli contratti (ad esempio con un link sul sito web dell’azienda).

Per essere valide le condizioni generali di vendita devono essere conosciute dal compratore, che all’atto della conclusione del contratto le deve approvare espressamente (firmandole) o implicitamente (dando esecuzione al contratto che le richiama).

Se si applica la legge italiana, inoltre, alcune clausole contenute nelle condizioni generali sono valide solo se espressamente approvate per iscritto dal compratore (c.d. clausole vessatorie: ad esempio quelle che prevedono una limitazione di responsabilità o il diritto di sospendere l’esecuzione del contratto) quindi è bene prevedere un’accettazione espressa di tali clausole.

Infine, al fine di rendere le Condizioni Generali comprensibili al compratore è opportuno che siano redatte in lingua inglese e, nel caso in cui l’inglese non sia ben conosciuto dalla controparte, anche redatte nella lingua del paese in cui ha sede il compratore (ad esempio in cinese o in russo).

Il contratto di agenzia commerciale internazionale

Il contratto di agenzia commerciale per la vendita del vino all’estero

Il contratto di agenzia è l’accordo con il quale una parte (Agente) si obbliga a promuovere in maniera stabile le vendite dei prodotti dell’altra parte (Preponente) in un certo territorio e/o verso certi clienti.

L’Agente, sia che si tratti di una persona fisica, sia che si tratti di una società, è un soggetto indipendente, libero di organizzare la propria attività e di svolgerla facendosi carico dei relativi costi.

Le vendite sono effettuate direttamente dal Preponente ai clienti finali e l’attività dell’Agente è remunerata solitamente con una provvigione, calcolata sul prezzo delle vendite dei prodotti andate a buon fine.

Come si conclude un contratto di agenzia internazionale?

Vale anche per il contratto di agenzia quanto consigliato in precedenza. In genere il contratto è valido anche se concluso in forma verbale o tacitamente, con un comportamento concludente: è consigliabile però dotarsi di accordi scritti, che disciplinino in modo chiaro e completo i patti più importanti, tra i quali: la concessione dell’esclusiva all’Agente per la promozione delle vendite, il Territorio assegnato, l’eventuale patto di non concorrenza per prodotti simili a quelli del Preponente, la durata dell’incarico, le modalità dell’attività promozionale, la legge applicabile al contratto e come gestire e risolvere le eventuali controversie.

Che cos’è l’indennità di fine rapporto?

Si tratta di una somma di denaro che viene riconosciuta all’Agente alla fine del contratto, per compensare l’avviamento commerciale generato a favore del Preponente nel corso del rapporto. In Italia l’indennità è prevista dall’art. 1751 c.c., che indica i presupposti di questo diritto (l'aver procurato nuovi clienti o sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il fatto che il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) e stabilisce il tetto massimo dell’indennità (un anno di provvigioni, calcolato sulla media del fatturato dell’agente negli ultimi 5 anni) e dagli Accordi Economici Collettivi (cosiddetti AEC, che si applicano se entrambe le parti sono iscritte alle rispettive organizzazioni sindacali o se gli AEC sono richiamati in contratto) che prevedono i criteri di calcolo dell’indennità.

L’indennità di fine rapporto è prevista (con qualche importante differenza) nelle leggi di tutti i paesi membri della Unione Europea (che hanno recepito la Direttiva 86/533 CEE) ed è considerata una norma inderogabile a sfavore dell’Agente, quindi è importante conoscere quale legge è applicabile al contratto ed accantonare le somme che saranno dovute alla fine del rapporto.

Quali sono le differenze tra i contratti di Agenzia nell’Unione Europea e al di fuori della UE?

All’interno dell’Unione Europea le varie normative statali hanno una matrice comune e sono dunque molto simili tra loro: esistono però alcune differenze, ad esempio sul preavviso minimo per la risoluzione del contratto o sulle modalità di calcolo dell’indennità di fine rapporto, quindi è importante verificare caso per caso quale sia il contenuto delle norme applicabili.

Al di fuori della UE il contratto di agenzia è spesso un contratto atipico, ossia non disciplinato da una normativa specifica: ciò rafforza l’importanza di un contratto completo ed equilibrato e di conoscere le norme del paese straniero, che potrebbero non prevedere alcuni diritti che la normativa comunitaria considera inderogabili (ad esempio la legge russa non conferisce all’agente un diritto generalizzato all’indennità di fine rapporto).

La legge applicabile al contratto va dunque scelta in modo consapevole, per evitare di richiamare normative che prevedano tutele più onerose a favore degli agenti e per gestire in modo corretto situazioni che possono essere disciplinate in modo diverso rispetto a quanto previsto della legge italiana, come il termine di preavviso per il recesso dal contratto.

Per una panoramica delle caratteristiche del contratto di agenzia internazionale, redatta da legali esperti di Legalmondo in 24 paesi, rimandiamo alla Guida Pratica al Contratto di Agenzia Commerciale.

Il contratto di procacciamento di affari

Il contratto di procacciamento d’affari per la vendita del vino all’estero

Accade spesso che il produttore operi sui mercati stranieri tramite una rete di segnalatori o procacciatori di affari: si tratta di soggetti (definiti in inglese broker) che si occupano di altro e possono venire a conoscenza di clienti interessati all’acquisto dei vini: se l’affare segnalato va a buon fine accade il procacciatore ha diritto alla commissione stabilita nell’accordo.

Qual è la differenza tra Procacciatore e Agente di commercio?

Il Procacciatore è un intermediario diverso dall’agente di commercio perché la sua attività è caratterizzata dalla occasionalità delle segnalazioni, mentre l’Agente si obbliga a promuovere le vendite in maniera stabile e continuativa.

È importante tenere a mente la differenza tra le due figure, perché se si utilizza il contratto di procacciamento in maniera impropria, quando il contenuto dell’attività svolta è in realtà quello tipico dell’agenzia, si corre il rischio che al termine del rapporto l’intermediario rivendichi tutele ed indennità previste dalla normativa agenziale, come quella per il mancato preavviso o per l’avviamento commerciale.

Come scegliere tra procacciamento e Agenzia?

Occorre tenere a mente che il tipo di contratto (procacciamento o agenzia) deve corrispondere all’effettiva attività che verrà svolta dall’intermediario: per questo va verificato se la promozione delle vendite sarà stabile e continuativa (in tal caso è corretto scegliere il contratto di agenzia) oppure occasionale (che caratterizza il contratto di procacciamento) e adottare il tipo di accordo che è coerente con la tipologia del rapporto tra le parti.

È poi consigliabile di valutare la correttezza della scelta secondo la normativa e la giurisprudenza del paese in cui opera l’intermediario, per verificare se esistono norme inderogabili, che si applicano anche se il contratto è sottoposto alla legge italiana.

Il contratto di distribuzione commerciale internazionale

Gli accordi per la distribuzione commerciale del vino all’estero

Il contratto di distribuzione commerciale internazionale è l’accordo con il quale una parte (produttore) concede all’altra (distributore) il diritto di acquistare i prodotti e rivenderli, in nome e per conto proprio, in un certo paese e/o a favore di un certo gruppo di clienti, per un certo periodo di tempo.

Come l’accordo quadro di vendita, la distribuzione è un contratto che disciplina una serie di vendite future: rispetto all’accordo quadro la caratteristica della distribuzione è quella di prevedere una collaborazione più stretta tra le parti, che hanno interesse non solo a concludere una serie di contratti di vendita in un certo periodo, ma anche a dare stabilità al rapporto nel tempo e in relazione ad un certo territorio.

Come il contratto di vendita, anche il contratto di distribuzione può essere concluso verbalmente o per fatti concludenti (attraverso la vendita/rivendita dei prodotti ripetuta per un certo tempo) ma, per i motivi indicati in precedenza, è consigliabile che venga concluso per iscritto.

Rispetto alla vendita, inoltre, l’importanza di un contratto scritto e completo è rafforzata dal fatto che nella maggior parte delle normative statali (compresa quella italiana) la distribuzione è un contratto c.d. atipico, per il quale non esiste una disciplina specifica quindi, in assenza di un accordo scritto, può non essere agevole ricostruire quali fossero gli accordi tra le parti e quali diritti e obbligazioni preveda la legge applicabile, specie se straniera.

Il contratto di concessione di vendita internazionale del vino

Anche quando si parla di Concessione di vendita il rapporto è una distribuzione commerciale, tanto che i due termini vengono usati spesso in modo interscambiabile: la differenza è che con la concessione di vendita generalmente le parti vogliono ottenere un grado di integrazione maggiore, quindi concordano una serie di patti aggiuntivi all’attività di acquisto-rivendita, con l’obiettivo di promuovere al meglio le vendite nel territorio assegnato al concessionario.

Nella maggior parte degli ordinamenti statali le parti sono libere di concordare il contenuto del contratto di concessione di vendita: le clausole più importanti di un accordo di concessione di vendita sono:

  • l’esclusiva territoriale, a fronte della quale il concessionario si obbliga a sviluppare l’avviamento commerciale nel territorio;
  • l’eventuale patto di non concorrenza in capo al concessionario;
  • il diritto del concessionario di utilizzare i marchi e i segni distintivi del produttore al fine di rivendere i prodotti;
  • il coordinamento degli investimenti e delle modalità con le quali verrà svolta l’attività promozionale nel territorio assegnato al concessionario.

L’utilizzo del Marchio del Produttore da parte del Concessionario

Molto spesso con il contratto di concessione di vendita si autorizza il concessionario ad utilizzare il marchio e i segni distintivi del produttore per svolgere l’attività promozionale nel territorio.

Per questo è importante, in primo luogo, conoscere la normativa e le modalità di protezione del marchio raccomandate nel paese in cui opera il concessionario (ad esempio, vedi un approfondimento per la Cina).

È bene poi disciplinare le modalità di utilizzo dei marchi e i contenuti dell’attività promozionale svolta sul mercato, in modo da assicurarsi che siano in linea con i valori, l’immagine e le politiche commerciali del concedente e al contempo siano adatte al mercato di destinazione.

Un altro consiglio è di prevedere che il concessionario non possa registrare i marchi (o marchi simili) nel territorio e debba essere autorizzato dal concedente ad aprire e gestire siti web o account di social media che utilizzino i marchi del concedente: per un approfondimento rimandiamo al capitolo dedicato alla protezione della proprietà intellettuale del vino.

La durata del contratto di Concessione di Vendita

La durata dell’accordo può essere a tempo determinato (sino ad una certa data, rinnovabile o meno) o indeterminato (senza un termine finale, con previsione di un certo preavviso in caso di recesso).

L’esclusiva territoriale a favore del concessionario e la durata del contratto sono patti sui quali le parti si trovano spesso contrapposte nel negoziato: il concessionario è interessato ad un accordo di esclusiva e di lunga durata, per avere il tempo necessario ad ammortizzare gli investimenti nella promozione dei prodotti sui territorio, mentre il concedente preferisce non legarsi per un periodo troppo lungo e avere la possibilità di terminare la collaborazione se i risultati non sono quelli desiderati.

Un buon bilanciamento tra gli interessi contrapposti delle parti in materia di durata dell’accordo è quello di prevedere certi obiettivi minimi di fatturato annuale, al mancato raggiungimento dei quali il concedente ha diritto di recedere anticipatamente o di revocare l’esclusiva per il territorio.

Se si sceglie un accordo di durata indeterminata è necessario prevedere un periodo di preavviso prima del recesso: la parte che intende recedere dal contratto deve comunicarlo un certo numero di mesi prima del termine.

È bene che questa comunicazione sia fatta per iscritto e che il termine di preavviso minimo sia congruo in relazione alla durata del contratto: la funzione del preavviso è quella di consentire al concessionario un periodo sufficiente ad ammortizzare gli investimenti fatti e riposizionarsi sul mercato, trovando un altro partner commerciale, quindi è consigliabile che questo periodo non sia inferiore a sei mesi o, nel caso di rapporti pluriennali, persino maggiore.

Va anche considerato che il periodo di preavviso è il momento più delicato del rapporto commerciale, nel quale è più probabile che sorgano problematiche e contenziosi. Per questo motivo è consigliabile stabilire nel contratto regole specifiche per tale periodo, come: termini di pagamento anticipati o più brevi, limiti massimi di valore degli ordinativi, il diritto delle parti di ricercare altri partner commerciali, il diritto del concedente di riacquistare lo stock dei prodotti al termine del rapporto: qui un articolo di approfondimento.

Il Concessionario ha diritto ad una indennità di avviamento commerciale al termine del contratto?

Un altro tema molto importante è rappresentato dal fatto che le legislazioni o la giurisprudenza di alcuni paesi prevedono che al termine del contratto il concessionario abbia diritto, a certe condizioni, al pagamento di un’indennità di fine rapporto, come accade all’agente di commercio: si veda, ad esempio, il caso della Germania o della Spagna.

Il rischio è quello che il concessionario rivendichi il pagamento di somme anche molto elevate, solitamente neanche accantonate dal concedente.

È molto importante, per questo motivo, conoscere la normativa del paese in cui opera il concessionario e gestire nel contratto questa tematica, ad esempio escludendo espressamente il diritto all’indennità, e prevedendo l’applicazione della legge italiana e modalità di risoluzione delle controversie diverse dalla giurisdizione del paese del concessionario.

Esiste un modello di contratto di concessione di vendita internazionale?

Accade spesso che al momento di redigere il contratto si prenda come base di partenza un contratto già utilizzato in precedenza, adattandolo caso per caso al paese in cui si intende iniziare un nuovo rapporto di distribuzione commerciale.

Questo modo di procedere però non è consigliabile. Non esiste un modello universale di contratto di concessione di vendita che possa essere utilizzato per tutti i paesi: gli accordi devono tenere conto della normativa, della giurisprudenza, delle modalità di fare affari specifiche del paese in cui opera il concessionario.

Un contratto di concessione di vendita per la Cina (vedi un articolo di approfondimento) è molto diverso da un accordo per la distribuzione dei prodotti negli USA e usare un modello sbagliato può comportare – a seconda dei casi - un appesantimento inutile del contratto e dei negoziati, oppure l’omissione di patti molto importanti.

Rimandiamo per un approfondimento alla Guida International Distribution Agreements di Legalmondo.

Le modalità di risoluzione delle controversie

Come gestire i contenziosi internazionali?

Abbiamo visto che il miglior modo di prevenire i contenziosi commerciali è disciplinare i rapporti commerciali per iscritto, caso per caso, tenendo in considerazione le particolarità del mercato in cui si vende in vino o operano i collaboratori della rete commerciale.

Tra i patti importanti del contratto rientra sicuramente quello relativo alle modalità di risoluzione delle controversie con i clienti e con la rete commerciale (compratori, intermediari, agenti, distributori, consulenti, fornitori di servizi) all’estero.

Il consiglio è quello di prevedere espressamente nel contratto la legge che si applica al rapporto e le modalità di risoluzione delle eventuali controversie (giudice di un certo luogo, arbitrato, mediazione).

Se le parti non hanno concluso un accordo scritto, o non hanno espressamente previsto le modalità di risoluzione delle controversie, è comunque possibile determinare quale legge si applica al rapporto e a quale giudice rivolgersi, ma ciò può portare ad un risultato poco efficace, o del tutto inutile, o molto costoso.

Attenzione: non sempre il richiamo della legge e della giurisdizione italiana rappresentano la soluzione migliore. C’è il rischio, al contrario, che ciò renda impossibile o antieconomico tutelare i propri diritti o che la sentenza italiana non possa essere validamente eseguita nel paese straniero in cui opera la controparte.

È consigliabile dunque valutare caso per caso se sia preferibile applicare la legge italiana o quella del paese in cui opera la controparte straniera e quale sia la modalità di risoluzione delle controversie più idonea: rimandiamo a questo articolo di approfondimento.

Il recupero del credito all’estero

Il recupero del credito all’estero può essere molto complesso: i principali ostacoli sono rappresentati dalla difficoltà di provare il credito, da contratti incompleti, dalla mancanza di informazioni finanziarie e commerciali sul debitore, dal fatto che le azioni legali all’estero sono spesso molto costose, al punto da rendere non percorribile l’azione giudiziaria, specie per crediti commerciali di importo medio-basso.

Il modo migliore di limitare queste problematiche è prevenirli, ossia gestire i crediti in maniera corretta: ciò significa assumere le informazioni finanziarie sul cliente, valutare eventuali servizi di assicurazione dei crediti e pianificare le modalità di pagamento di conseguenza (ad esempio prevedendo un pagamento anticipato o l’emissione di una lettera di credito) ed inserire nel contratto una clausola di risoluzione delle controversie corretta ed efficace, da valutare caso per caso (non sempre conviene indicare la giurisdizione italiana e la soluzione può essere diversa a seconda che il compratore abbia sede all’interno della UE o al di fuori dell’unione).

Nel caso in cui sia necessario procedere al recupero di un credito all’estero, il consiglio è quello di rivolgersi ad un legale specializzato: per maggiori informazioni rimandiamo a questo articolo sul sito di Legalmondo.

La protezione della proprietà intellettuale del vino

Baccarelli - Legalmondo
Monia Baccarelli

La tutela del marchio nel mondo del vino

Perché è importante registrare e proteggere il marchio?

È fondamentale sapere come tutelare il proprio prodotto a livello sia nazionale sia internazionale.

Il settore vinicolo è infatti caratterizzato da una molteplicità di condotte illecite di vario tipo, che possono vanificare gli investimenti fatti per creare una reputazione e un avviamento commerciale all’estero: basti considerare, come esempio, il fatto che si stima che in Cina il 20% del vino in commercio sia contraffatto.

Forniremo qui di seguito alcune informazioni e consigli pratici in merito a come proteggere il proprio vino, la propria azienda e il proprio know-how da attacchi sleali della concorrenza, evitando brutte avventure e contenziosi giudiziari spesso complessi e molto costosi.

Il marchio è il segno distintivo che identifica i prodotti o servizi di un’impresa e può essere quindi nazionale (volto a tutelare il segno in ambito nazionale), europeo (avente efficacia in Europa) o internazionale (indicando alcuni Paesi al mondo sarà possibile con un unico deposito avere un'identica tutela nei diversi Paesi designati).

Il motivo di una tutela così ampia è da rinvenire nella rilevanza che il marchio assume nell’economia moderna, caratterizzata dall’offerta di prodotti similari da parte di molti concorrenti. Al marchio è infatti affidata una funzione di differenziazione dei prodotti, consentendo al cliente di riconoscere l’origine della produzione; costituisce perciò un importante fattore di collegamento tra produttori e consumatori, e ha un ruolo di spicco nel garantire la fidelizzazione del cliente e il rafforzamento nel mercato.

Una strategia vincente nel settore vinicolo, dunque, non può prescindere dalla protezione del proprio brand come marchio nel mercato di riferimento.

Il marchio può essere costituito da elementi denominativi, figurativi così come da suoni. Può inoltre consistere nella combinazione tra parole e simboli, o nella forma particolare del prodotto o della confezione.

Perché venga giuridicamente tutelato, un marchio deve soddisfare alcuni requisiti di validità:

  • liceità. È vietato l'uso di segni contrari alla legge, all'ordine pubblico e al buon costume. È anche proibito usare il nome o l'immagine di persone famose senza il loro consenso.
  • non ingannevolezza. È vietato inserire nel marchio segni idonei a ingannare il pubblico, in particolare per quanto riguarda l'origine geografica e la natura o qualità dei prodotti o servizi.
  • distintività. Il marchio deve avere capacità distintiva, e proprio per questo non sono ammesse denominazioni o figure generiche che richiamano al prodotto. Non sono ammesse inoltre indicazioni descrittive dei caratteri essenziali o segni di uso comune (per esempio super, extra). L’idea è quella di evitare che si creino situazioni di monopolio su simboli che nel linguaggio comune rappresentano genericamente il prodotto. È consentito invece utilizzare indicazioni generiche che non abbiano alcuna relazione con il prodotto. È concesso altresì di combinare denominazioni generiche in modo fantasioso. Tuttavia, in quest’ultimo caso, il marchio è definito “debole”, e basteranno piccole modifiche da parte di altri utenti per escludere la confondibilità di altri marchi e dunque la tutela. Si definiscono invece marchi forti quelli di pura fantasia, per cui anche modifiche notevoli non escludono la contraffazione.
  • novità. Un marchio già usato per prodotti identici o simili non è registrabile (questa previsione è estesa, nel caso dei marchi celebri, anche ai prodotti non affini).

Il titolare di un marchio rispondente ai suddetti requisiti ha diritto all’uso esclusivo dello stesso. La protezione accordata, tuttavia, varia sensibilmente a seconda che il marchio sia o meno registrato.

La registrazionediritto all'uso esclusivo del marchio su tutto il territorio nazionale/europeo e internazionale, e lo spettro della tutela copre sia i prodotti identici che quelli affini (ossia quelli che possono ritenersi destinati alla stessa clientela o al soddisfacimento di bisogni identici o complementari), qualora sussista un rischio di confusione per il pubblico. Nel caso dei marchi celebri, la tutela è estesa anche a prodotti totalmente diversi.

Il diritto all'uso esclusivo decorre dalla data di deposito della domanda all'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi italiano e all’EUIPO per il Marchio dell’Unione Europea. Ha durata di 10 anni ed è rinnovabile, a intervalli decennali, per un numero illimitato di volte.

Una volta intervenuta la domanda di registrazione, qualsiasi marchio identico o simile utilizzato o presentato per la registrazione sarà nullo, in quanto in difetto del requisito di novità.

Il marchio registrato è tutelato civilmente e penalmente. In particolare, in caso di violazione del diritto di esclusiva, il titolare può avviare un’azione di contraffazione volta a ottenere l’inibitoria alla continuazione degli atti lesivi e la rimozione degli effetti degli stessi, tramite la distruzione delle cose materiali per mezzo delle quali è avvenuta la contraffazione. Può altresì richiedere la pubblicazione della sentenza in uno o più giornali. In caso di dolo o colpa del contraffattore, sarà inoltre possibile richiedere il risarcimento del danno subito.

La decadenza dal marchio interviene in caso di volgarizzazione ovvero quando il marchio diventa denominazione generica di quel prodotto e il titolare non ne difende la capacità distintiva diffidando e agendo in giudizio contro i concorrenti, in caso di mancato utilizzo nei 5 anni successivi alla registrazione (o se l’utilizzazione è sospesa per ugual periodo senza un motivo legittimo), in caso lo stesso diventi ingannevole, ed in caso di mancato pagamento dei diritti di rinnovo a sei mesi dalla scadenza.

È prevista una tutela anche per i marchi non registrati, seppur notevolmente minore. Chi faccia uso di un marchio non registrato ha il diritto di continuare a usarlo, nonostante la registrazione ottenuta da altri, nei limiti del pre-uso.

L’ampiezza della tutela varia, dunque, a seconda della notorietà dello stesso.

Se il marchio è noto in tutto il territorio nazionale, il proprietario potrà impedire che altri lo utilizzino per gli stessi prodotti, ma non per i prodotti affini. Potrà inoltre far dichiarare nullo, per difetto del requisito di novità, un marchio confondibile successivamente registrato.

Se invece la notorietà è solo locale, il titolare non potrà impedire a un altro imprenditore di usare lo stesso marchio in un'altra zona del territorio nazionale, anche per gli stessi prodotti. Non potrà inoltre impedire la registrazione del marchio da parte di un concorrente, e dovrà limitarsi a continuare ad usarlo solo nei limiti della diffusione locale. Si tratta di una disposizione particolarmente pregiudizievole, perché impedisce al titolare di diffondere i suoi prodotti al di fuori dell'area territoriale precedentemente praticata. Inoltre, sarà suo onere fornire la prova sull'effettiva estensione del pre-uso, con evidenti svantaggi economici e pratici.

La registrazione nazionale è inoltre prerequisito per estendere la tutela a livello internazionale, attraverso la successiva registrazione presso l’OMPI (Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale). La registrazione del marchio europeo, invece, è indipendente dalla registrazione nazionale ed è gestita dall’EUIPO (Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale).

Partendo dal marchio internazionale, l'espressione indica un marchio che consente, con la presentazione di un’unica domanda, di ottenere protezione nei vari paesi designati tra quelli aderenti all’Accordo e/o al Protocollo di Madrid. Tale marchio avrà infatti, in ogni stato elencato nella domanda, lo stesso valore di un marchio nazionale. Giova inoltre ricordare che il rifiuto della registrazione internazionale, da parte di uno o più degli stati, non inficia l’efficacia della stessa per quanto riguarda gli stati in cui non si è invece avuta contestazione.

La disciplina si rinviene, come accennato, in due accordi internazionali: l'Accordo e il Protocollo di Madrid. Alcuni paesi hanno aderito solo all’uno o all’altro, mentre altri (come l'Italia) hanno aderito ad entrambi. La differenza principale tra le due normative sta nel fatto che l'Accordo stabilisce che il marchio internazionale possa essere ottenuto solo sulla base di una registrazione nazionale.

Di conseguenza, registrare il marchio a livello nazionale permette di elencare nella domanda sia i paesi aderenti all'Accordo che quelli aderenti al Protocollo, estendendone così la protezione.

Per quanto riguarda il marchio europeo, invece, la domanda è finalizzata ad ottenere un marchio valido in tutto il territorio dell'Unione Europea.

Sia il marchio internazionale che quello comunitario conferiscono al titolare il diritto all’uso esclusivo dello stesso per 10 anni, con possibilità di rinnovi decennali all’infinito.

La tutela del packaging come marchio tridimensionale

La forma delle bottiglie, dei prodotti vinicoli, del packaging e delle etichette può altresì essere oggetto di tutela come marchio tridimensionale.

Per essere tutelabile come marchio la forma deve richiamare l’azienda produttrice nella mente del consumatore.

Il marchio tridimensionale, alla stregua di tutti gli altri marchi, dovrà essere dotato di capacità distintiva ed essere nuovo.

Quindi anche in questo caso il marchio per essere considerato valido dovrà non essere descrittivo del prodotto e nel caso della forma appunto sarà una forma nuova che si distingue dal mercato e che è riconoscibile nel mercato come appartenente ad una data azienda.

Al titolare di un marchio, ed ai soggetti titolati, è riservato un diritto esclusivo quanto all'uso e sfruttamento economico dello stesso, sicché questi potrà vietare ai terzi qualsiasi forma di utilizzazione di marchi e/o altri segni distintivi identici o simili, nell'ambito delle categorie merceologiche per le quali il segno è stato registrato e/o utilizzato.

Il presupposto della tutela del marchio registrato ai sensi dell’articolo 20 CPI risiede nella circostanza che il pubblico possa confondersi sull’origine dei prodotti/servizi e ritenere erroneamente che il prodotto o servizio in relazione a cui è usato il segno contraffatto provenga dal titolare del marchio registrato o dall’impresa che con il titolare del marchio ha legami contrattuali.

Inoltre, come recita lo stesso art. 21, comma 2 CPI non è consentito usare il marchio in modo da "ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi altrui, o da indurre comunque in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato, o da ledere un altrui diritto di autore, di proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi".

Se quindi sussiste una forma distintiva nel settore vinicolo è consigliabile procedere al deposito del marchio di tridimensionale.

La tutela del packaging e delle bottiglie di vino come design

Il packaging ed in particolare le bottiglie e le etichette con cui viene venduto il vino possono essere oggetto di design nazionale, internazionale o comunitario.

Il Regolamento CE del 12 dicembre 2001 n. 6/2002 (“RDC”) intende per «disegno o modello»: “l'aspetto dell'intero prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale e/o dei materiali del prodotto stesso e/o del suo ornamento” (art. 3).

I titolari di un modello comunitario, come di un design nazionale, hanno il diritto esclusivo di utilizzare il modello o disegno vietandone l’utilizzo a terzi come previsto dall’art. 19 RDC e art. 41 del Codice della Proprietà Industriale CPI.

In merito all’estensione del diritto di privativa l’art. 10 RDC e l’art. 41 CPI specificano che i diritti esclusivi conferiti dalla registrazione di un design si estendono a qualunque disegno o modello che non produca nell’utilizzatore informato una impressione generale diversa.

Secondo il RDC e il CPI (art. 32 e 33) un disegno:

  • deve essere nuovo (“un disegno o modello si considera nuovo quando nessun disegno o modello identico sia stato divulgato al pubblico”: art. 5 RDC);
  • deve possedere un carattere individuale (“si considera che un disegno e modello presenti un carattere individuale se l’impressione generale che suscita nell’utilizzatore informato differisce in modo significativo dall’impressione generale suscitata in tale utilizzatore da qualsiasi disegno o modello che sia stato divulgato al pubblico”: art. 6 RDC).

Per comprendere adeguatamente i sopra menzionati requisiti a) e b) è utile chiarire due definizioni fondamentali:

  • disegni e modelli si reputano identici quando le loro caratteristiche differiscono solo per dettagli irrilevanti (art. 5, comma 2 Reg.6/2002);
  • nell’accertare il carattere individuale si prende in considerazione il margine di libertà dell’autore nel realizzare il disegno o modello (art. 6, comma 2, Reg.6/2002); ovvero, in settori di grande affollamento merceologico (dove sono presenti una quantità significativa di prodotti) è sufficiente modificare alcune caratteristiche del prodotto per creare un modello suscettibile di nuova registrazione e comunque un prodotto non interferente con la prima privativa.

Con un'unica domanda di design nazionale o comunitario si possono depositare più modelli e la durata della protezione è di 5 anni rinnovabili fino ad un massimo di 25 anni. La registrazione del design conferisce una certezza della data di deposito e della proprietà del titolo oltre ad una presunzione di validità del design depositato.

Il design nazionale e comunitario si può depositare entro un anno dalla data della prima divulgazione a differenza del brevetto che richiede la novità assoluta a partire dalla prima divulgazione in Unione Europea.

È possibile anche far valere un design di fatto, ovvero non registrato, ma la tutela è di soli 3 anni Un esempio di design di un’etichetta è reperibile sul sito EUIPO a questo link, per un design relativo ad un copri collo della bottiglia, il capsulone, si veda questo esempio, per un design comprensivo dell’intero aspetto della bottiglia si veda questo altro esempio, per un modello di apri bottiglia si veda questo link.

La tutela del vino per concorrenza sleale e “look alike”

Quali sono le condotte lesive della concorrenza?

Il settore alimentare ed in particolar modo quello del beverage e del vino si connota per condotte spesso lesive della leale concorrenza e del mercato.

Una bottiglia di vino connotata da una forma nuova, originale, individualizzante e indubbiamente diversa da quelle già presenti sul mercato può anche godere di una tutela per concorrenza sleale.

Di cosa si tratta? Secondo il legislatore italiano compie atti di concorrenza sleale chiunque usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente. Viene anche considerato concorrente sleale chi diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull'attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, si appropria di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente; si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda (art. 2598 c.c.).

La concorrenza sleale concede una tutela illimitata nel tempo e la formula molto ampia sopra indicata vi fa rientrare diverse fattispecie fra le quali le principali sono:

  • concorrenza sleale confusoria (ossia l’uso di segni ingannevoli, che possono sviare il cliente a favore dell’impresa imitatrice);
  • concorrenza parassitaria (l’imitazione sistematica di un concorrente, per trarne benefici economici);
  • concorrenza denigratoria (quando si diffondono notizie ed apprezzamenti negativi sui prodotti o l’attività di un concorrente);
  • appropriazione di pregi (quando si pubblicizzano come propri i prodotti o l’attività di un concorrente);
  • pubblicità ingannevole (quando la pubblicità rappresenta un prodotto in modo diverso dalla realtà, condizionando il consumatore).

Un rilievo particolare merita, nel settore vinicolo, il fenomeno del look-alike e concorrenza sleale per imitazione servile.

L'imitazione servile è rappresentata dalla riproduzione da parte del concorrente sleale di caratteristiche esteriori della forma del prodotto che siano dotate di efficacia individualizzante, e quindi idonee - in virtù della loro capacità distintiva -a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa, sempre che la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle caratteristiche funzionali del prodotto.

Pertanto, con riferimento ai requisiti di tutela della forma, la tutela concerne le forme aventi efficacia individualizzante e diversificatrice del prodotto rispetto ad altri consimili.

Si ha cioè concorrenza sleale quando l’imitazione riguardi le forme esteriori che, per la loro novità ed originalità, costituiscono l’individualità di un prodotto e ne denotano la provenienza di fronte alla specifica clientela cui esso è destinato.

Quanto al giudizio di confondibilità, esso deve essere condotto con riferimento alla capacità media di percezione e di memoria del consumatore dei prodotti in questione. Secondo la giurisprudenza l’imitazione è vietata quando determina una possibilità di confusione tra i prodotti secondo un giudizio fondato sull’impressione generale che deriva dal loro aspetto d’insieme, avendo riguardo più alle somiglianze che alle differenze tra i prodotti.

Viene quindi accertata la concorrenza sleale per look-alike quando la riproduzione di tratti caratterizzanti la confezione o la forma del prodotto comporta un agganciamento che richiama alla mente del consumatore il prodotto della concorrente.

La tutela per concorrenza sleale è illimitata nel tempo e non è sottoposta ad alcun adempimento amministrativo e registrazione.

La tutela del vino come copyright

Quando è tutelabile il copyright del vino?

La normativa italiana nell’attuare le disposizioni dell’Unione Europea ha introdotto il principio del cumulo di tutela del design dotato di carattere creativo e valore artistico anche sotto il profilo del diritto d’autore.

La giurisprudenza ha individuato una serie di parametri di natura oggettiva e soggettiva cui riferirsi per individuare la presenza del valore artistico in un’opera di design.

Come parametri soggettivi l’opera di design deve suscitare emozioni estetiche, deve essere dotata di uno spiccato carattere distintivo in relazione alle forme normalmente riscontrabili nei prodotti similari presenti sul mercato e la sua forma deve essere dotata di un’autonoma rilevanza.

Come parametri oggettivi invece dovranno essere dimostrate per l’opera di design la presenza di riconoscimenti in ambienti culturali e istituzionali circa la sussistenza delle qualità estetiche e artistiche e la presenza di un valore che trascende la stretta funzionalità e la mera eleganza delle forme, come l’esposizione in mostre, musei, riviste specialistiche di settore, la partecipazione a manifestazioni artistiche, eventuali conferimenti di premi, articoli di critica e vendita sul mercato artistico, non commerciale.

Se l’opera è venduta sul mercato, essa deve aver acquisito un valore particolarmente elevato che implica l’attribuzione di un valore artistico. Un ruolo importante può avere la notorietà dell’artista.

Per avere una tutela secondo il diritto d’Autore non si necessita di una registrazione e di un pagamento di tasse come avviene per marchi, brevetti, design e modelli di utilità. In capo all’autore si avranno i diritti morali non trasmissibili e trasferibili e i diritti di utilizzazione economica, trasferibili e trasmissibili con validità sino a 70 anni dopo la morte dell’autore.

Pertanto, una bottiglia dalla forma con carattere creativo e valore artistico potrà essere tutelata come design, marchio tridimensionale, brevetto ed anche diritto d’autore nonché sotto il profilo della concorrenza sleale e look-alike.

Come tutelarsi quando si partecipa ad una Fiera

Il problema della contraffazione negli eventi fieristici

Gli eventi fieristici hanno acquisito negli anni una valenza non solo commerciale ma anche strategica per la protezione della proprietà intellettuale per il mondo del vino. Nelle fiere di settore si presentano i nuovi prodotti e al contempo si sonda il mercato alla ricerca di potenziale clientela e si tengono d’occhio vecchi e nuovi concorrenti. Accade spesso che in queste occasioni si scoprano casi di contraffazione più o meno eclatanti.

Come agire, in questi casi? In Italia la tutela civilistica dei diritti di proprietà industriale non consente il sequestro di prodotti esposti nel corso di manifestazioni fieristiche; l’unico strumento a tutela del titolare del diritto, ai sensi dell’art. 129 co. 3 del CPI è la previa richiesta al Tribunale delle Imprese di emettere un provvedimento di descrizione da eseguire sul prodotto esposto o in transito da o per la fiera.

La situazione è diversa in altri Paesi comunitari. In Germania, ad esempio, è possibile anche il sequestro civilistico con la possibilità di deposito da parte del presunto contraffattore di memorie difensive preventive presso il tribunale/tribunali competenti.

Nel nostro Paese l’ottenimento di un decreto di sequestro è possibile solo quando la violazione del diritto di proprietà industriale sia considerato dal nostro ordinamento come reato e perciò meritevole di tutela penale.

Il vigente codice penale prevede agli articoli 473, 474 e 517 tre reati attinenti alla protezione di marchi o segni distintivi, brevetti, disegni e modelli industriali.

L’art. 473 c.p. (Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni) riguarda la contraffazione o alterazione prima che vi sia l’immissione in commercio o la circolazione del bene, punendo la condotta che già consiste nella violazione del diritto di proprietà industriale.

In particolare, la norma in questione punisce la condotta di chi, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi di prodotti industriali, brevetti, disegni o modelli industriali, ovvero chiunque fa uso di tali marchi, brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati, pur senza essere concorso nella contraffazione o alterazione altrui.

Affinché sia configurabile il reato occorre che vi sia stata una materiale contraffazione o alterazione (intesa quale modifica di un prodotto originale) del titolo tale da ingenerare confusione e nuocere al generale affidamento dei consumatori, non essendo sufficiente la mera possibilità di confusione tra i due segni.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, è richiesta la sussistenza del dolo che in questo caso consiste nella consapevolezza da parte dell’agente del fatto che il diritto di proprietà industriale è stato depositato, registrato o brevettato nelle forme previste dalla legge.

L’art. 474 c.p. (Introduzione nello Stato e commercio con segni falsi) al primo comma configura come reato – al di fuori dei casi di concorso nei reati di cui all’art. 473 c.p. – la condotta di chi introduce nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali contrassegnati da marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati. Inoltre, fuori dei casi di concorso con l’art. 473 e 474 primo comma, il secondo comma punisce chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione al fine di trarne profitto i prodotti di cui sopra.

Come il precedente articolo anche questa disposizione è posta a tutela della fede pubblica e richiede quale requisito la contraffazione o l’alterazione del titolo. Per il perfezionamento della fattispecie criminosa non rileva l’effettivo inganno al singolo consumatore o la consapevolezza della falsità (per la grossolanità della contraffazione o le modalità di vendita), ma occorre solo che la contraffazione o alterazione sia idonea a far apparire alla generalità dei soggetti potenzialmente destinatari il prodotto come falsamente proveniente da un determinato produttore.

L’introduzione nello Stato e il commercio con segni falsi è punito a titolo di dolo generico, essendo richiesto all’agente soltanto la coscienza e volontà di detenere le cose contraffatte destinate alla vendita e dunque, in sostanza, la consapevolezza della contraffazione o alterazione.

Le disposizioni degli artt. 473 e 474 c.p. specificano che “i delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale”. Dal momento che l’interesse tutelato dalle norme penali citate è la fede pubblica – intesa come affidamento dei consumatori sui segni distintivi in quanto indicatori di una particolare qualità e originalità dei prodotti messi in circolazione – la disposizione deve essere interpretata nel senso che il reato è configurabile solo qualora il segno di cui si chiede tutela sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge.

Dunque, la tutela penale non si estende alla domanda presentata e depositata ma non ancora registrata o concessa. Il giudice penale non può valutare la validità della registrazione ma solo la legittimità del procedimento di registrazione.

Da ultimo l’art. 517 c.p. (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci) prevede una fattispecie delittuosa a tutela dell’economia, intesa come interesse generale concernente l’ordine economico. La disposizione punisce chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali contraddistinti da segni distintivi atti a indurre in inganno il compratore circa l’origine, la provenienza o qualità dell’opera o del prodotto. Si tratta di un reato di pericolo, dunque non è necessario l’effettivo inganno del consumatore o la concreta induzione in errore dell’acquirente.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, il reato è punito a titolo di dolo generico, ossia in presenza della consapevolezza della natura mendace ed ingannevole del segno utilizzato.

L’espressione “mette altrimenti in circolazione” si riferisce a qualsiasi attività con cui l’opera o il prodotto viene fatto uscire dalla sfera di disponibilità del detentore.

Il sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.) si pone come istituto cautelare reale, volto all’imposizione di vincoli su locali, attrezzature e beni destinati all’illecita produzione o messa in circolazione delle cose pertinenti al reato ogniqualvolta vi è il pericolo che la libera disponibilità delle stesse possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati. Questo tipo di sequestro può intervenire ancora prima dell’esercizio dell’azione penale, assicurando dunque una tutela tempestiva ed efficace. Il sequestro preventivo è inoltre strumento funzionale alla successiva confisca dei prodotti contraffatti o alterati: l’art. 474bis c.p. dispone che sia sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto, il prodotto, il prezzo o il profitto nei casi in cui siano configurate le fattispecie di cui agli artt. 473 e 474 c.p. fatti salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento del danno.

I reati previsti dagli artt. 473, 474 e 517 c.p. sono procedibili d’ufficio, ciò significa che è sufficiente una denuncia anche non proveniente dalla persona offesa per portare la notizia di reato a conoscenza dell’autorità (pubblico ministero o ufficiale di polizia giudiziaria), a meno che il reato non sia stato già portato a conoscenza dell’autorità giudiziaria ad iniziativa del pubblico ministero o ufficiale di polizia stessi. Nel caso di contraffazione o alterazione di titoli brevettuali in ambito di esposizioni fieristiche, è la stessa persona offesa che più facilmente ha notizia del reato e informa la polizia giudiziaria tramite una denuncia/querela.

I provvedimenti cautelari nelle esposizioni fieristiche

Nell’ambito delle esposizioni fieristiche i provvedimenti cautelari – per la natura del reato e la situazione concreta in cui lo stesso viene perpetrato – assumono la caratteristica dell’urgenza.

Per questo motivo a seguito della denuncia/querela da parte dell’interessato potrebbero verificarsi due situazioni (art. 321 co.3bis):

a) il pubblico ministero che abbia acquisito notizia del reato, data l’impossibilità di attendere il provvedimento del giudice a causa della situazione di urgenza, dispone il sequestro con decreto motivato e chiede al giudice di emettere l’ordinanza di convalida entro 48 ore dal sequestro;

b) gli ufficiali di polizia giudiziaria, prima dell’intervento del pubblico ministero qualora ricorrano le medesime ragioni di urgenza, procedono al sequestro trasmettendone il verbale al pubblico ministero nelle 48 ore successive. Se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, il pubblico ministero chiede al giudice la convalida e l’emissione del decreto motivato di sequestro entro 48 ore dalla ricezione del verbale.

Nella prassi più consueta è l’ipotesi sub b).

Il nucleo della Guardia di Finanza competente territorialmente agisce autonomamente o su impulso del querelante e soprattutto nei casi di brevetti e design si avvale anche di un ausilio tecnico.

Fondamentale appare infatti allegare alla denuncia un parere tecnico a supporto delle proprie tesi argomentative.

Pur se quindi appellabile e revocabile il provvedimento di sequestro in fiera ha comunque una sua grande efficacia temporale: l’evento fieristico dura soltanto pochi giorni e una volta sequestrati i prodotti questi non vengono mai dissequestrati prima della fine della fiera.

Alla luce di quanto esposto il sequestro penale è un’arma molto efficace sotto molteplici aspetti, in primis in termini di immagine aziendale: un sequestro in fiera consente di neutralizzare il danno derivante dall’esposizione dei prodotti contraffatti agli utenti della manifestazione e la confusione che ne può derivare tra i prodotti originali e quelli contraffatti, evitando o limitando il conseguente danno in termini di perdita di avviamento commerciale a favore del concorrente-contraffattore.

Il sequestro penale è sicuramente consigliabile nei casi in cui si necessita di un intervento immediato con difficoltà di individuazione del soggetto contraffattore e/o recupero di eventuali somme correlate alla contraffazione.

I contenziosi sulla Proprietà Industriale ed Intellettuale in Italia

Quali sono i tribunali che si occupano di proprietà Industriale e intellettuale?

Le Sezioni specializzate con competenza in materia di Proprietà Industriale sono state istituite dal 2003, con decreto legislativo n. 168/2003, presso i Tribunali e le Corti d'Appello aventi sede nel capoluogo di ogni Regione.

I tribunali specializzati hanno giurisdizione esclusiva sulle controversie riguardanti i marchi nazionali, internazionali e comunitari, i brevetti, i brevetti di nuove varietà vegetali, i modelli di utilità, i disegni e i modelli, i diritti d'autore e i casi di concorrenza sleale che interferiscono con la protezione dei diritti di proprietà industriale.

Nel 2012 le sezioni Specializzate sono state sostituite dal Tribunale delle Imprese, sezioni che oltre a gestire i casi industralistici si occupano anche di alcune questioni societarie e antitrust.

I Giudici delle Sezioni di Imprese sono altamente specializzati e i procedimenti hanno una durata più breve rispetto ai giudizi avanti le Corti ordinarie.

Particolarmente interessanti, ai fini che interessano questa Guida, sono i procedimenti cautelari: si tratta di procedure che garantiscono una difesa immediata del diritto che, nelle more del giudizio ordinario, potrebbe essere pregiudicato.

I provvedimenti cautelari sono:

  • la descrizione, che è uno strumento processuale idoneo per la descrizione del prodotto presumibilmente contraffatto, dei mezzi adibiti alla produzione e degli elementi di prova, quali la documentazione tecnica e contabile, relativi alla presunta attività illecita;
  • il sequestro che è uno strumento processuale idoneo per impedire la circolazione del prodotto contraffatto, dei mezzi adibiti alla produzione e degli elementi di prova;
  • l’inibitoria che ha la funzione di ottenere un provvedimento del Giudice volto a impedire il proseguimento o la ripresa dell’attività illecita da parte del contraffattore.

Le sanzioni e le misure protettive che possono essere concesse con le azioni giudiziali sono quindi:

  • inibitoria e penalità di mora;
  • ritiro dal mercato;
  • rimozione e distruzione dei prodotti (solo nei giudizi di merito);
  • assegnazione in proprietà (solo nei giudizi di merito);
  • sequestro dei prodotti;
  • risarcimento del danno (solo nei giudizi ordinari);
  • pubblicazione della sentenza.

Gli Incoterms nel commercio internazionale del vino

scotti - legalmondo
Giuseppe Scotti

Cosa sono gli Incoterms®?

Definizione e funzione degli International Commercial Terms

Gli International Commercial Terms in breve Incoterms® (da corredare rigorosamente da R iscritta in un cerchio per segnalare che essi sono protetti da un marchio registrato) sono stati elaborati dalla Camera di Commercio Internazionale (CCI, in inglese ICC) per la prima volta nel 1936.

Gli Incoterms® in particolare trovano applicazione quando, nel contesto internazionale, si conclude un contratto di compravendita e risulta fondamentale accordarsi sul momento e sul luogo in cui i rischi e i costi legati al trasporto della merce passano dal venditore al compratore. All’interno degli Incoterms®, il passaggio dei rischi è tipicamente individuato nella “consegna” delle merci.

Essi rappresentano termini di resa con i quali appunto si individuano oltre il momento ed il luogo della consegna, la ripartizione dei costi connessi al trasporto, il momento in cui avviene il passaggio dei rischi e delle responsabilità da venditore a compratore anche altre obbligazioni delle parti tra cui la predisposizione della documentazione all’export ed all’import.

Gli Incoterms®, dunque, non sono il contratto di vendita, perché non trattano, tra l’altro: (i) se esiste un contratto di vendita; (ii) le specifiche dei beni venduti; (iii) il tempo, il luogo, il metodo o la valuta di pagamento del prezzo; (iv) i rimedi in caso di violazione del contratto; (v) le conseguenze dell’inadempimento; (vi) le eventuali penali; (vii) dazi e tasse ; (viii) la forza maggiore e l’eccessiva onerosità sopravvenuta; (ix) la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie; (x) il momento del trasferimento della proprietà dei beni venduti. Clausole queste ultime che sono regolate dalla legge applicabile al contratto o dal contratto stesso.

Gli Incoterms®2020

Attesa la crescente importanza dell’uso dei termini di resa negli scambi commerciali internazionali e anche in quelli nazionali, la Camera di Commercio Internazionale ha provveduto ad un’opera di aggiornamento degli Incoterms® a partire dal 1953 e poi successivamente nel, 1967, nel 1976, nel 1980, nel 1990, nel 2000, nel 2010 ed infine nel 2020 seguendo da vicino l’evoluzione delle pratiche invalse nel commercio estero.

L’ottava revisione, iniziata nel 2016 ha visto la luce nel settembre del 2019 ed è in vigore dal 1° gennaio 2020. Le precedenti edizioni restano valide e applicabili, se espressamente richiamate nel contratto.

Nella versione 2020 non si registrano grandi cambiamenti rispetto alle edizioni precedenti, da un punto di vista sostanziale, è stato introdotto il termine DPU (Delivered at Place Unloaded), che sostituisce il precedente DAT (Delivered at Terminal): la modifica estende il concetto di luogo di destinazione che non deve più essere inteso strettamente come un terminale specifico, ma può consistere in qualsiasi luogo concordato.

Attualmente i termini di resa nella edizione 2020 sono i seguenti:

  • EXW – Ex Works
  • FCA – Free Carrier
  • CPT – Carriage Paid to
  • CIP – Carriage and Insurance Paid to
  • DAP - Delivered at Place
  • DPU - Delivered at Place Unloaded
  • DDP - Delivered Duty Paid
  • FAS – Free Alongside Ship; FOB – Free on Board; CFR – Cost and Freight; CIF – Cost Insurance and Freight (Per il solo trasporto marittimo).

Il significato degli Incoterms® “E, F, C, D”

E sta per EX partenza, F per Free intendendosi con ciò che il costo del trasporto è a carico del compratore, C sta per Cost ovvero che i costi del trasporto sono a carico del venditore, D sta per Destination e i relativi termini di resa prevedono che, non solo il trasporto ma anche la consegna fino al luogo di destino sia a carico del venditore.

E e D rappresentano i due estremi su di una ipotetica linea orizzontale dove EXW configura il minimo pacchetto di obbligazioni a carico del venditore mentre DDP, l’esatto contrario, ovvero il pacchetto massimo di obbligazioni in capo al venditore. In mezzo stanno i termini F e C.

Così il luogo di consegna in EXW è il luogo individuato dalle parti per la messa a disposizione della merce indipendentemente dal luogo di destinazione della stessa e in EXW i rischi sono trasferiti al compratore addirittura prima che inizi l’intero ciclo del trasporto.

Nei termini EXW il venditore adempie alla propria obbligazione di consegna indipendentemente dal fatto che i beni giungano effettivamente a destinazione. Nei termini D consegna e destinazione finale coincidono.

Nei termini F e C il luogo di consegna si situa nella parte del ciclo del trasporto prossima al venditore e avviene in una fase ancora precoce dello stesso, cosicché, per esempio, nei termini CFR, CIF e FOB la consegna avviene quando la merce è a bordo della nave, in CPT e CIP quando la merce è consegnata al vettore, in FCA quando la merce è caricata sul mezzo fornito dal compratore. Anche nei termini F e C quindi il venditore adempie alla propria obbligazione di consegna indipendentemente dal fatto che i beni giungano effettivamente a destinazione.

Incoterms® e vendita internazionale del vino

Come regola generale, valevole in ogni contesto, l’inserimento nel contratto di un termine di resa appartenente agli Incoterms® va effettuato in modo da rendere chiara l'intenzione di avvalersene attraverso parole come: [il termine scelto] [porto, luogo o punto nominato] Incoterms® 2020. Per esempio CIF, Porto Genova, Incoterms® 2020. È importante quindi essere estremamente precisi nell’individuare uno specifico porto o luogo.

Va detto inoltre che tradizionalmente in Italia il termine di gran lunga più impiegato per l’esportazione del vino è quello EXW.

Se, da una parte, la scelta del termine EXW può essere associata alla volontà di limitare i costi di logistica e di trasporto, non è detto però che tale soluzione rappresenti l’opzione migliore per la valorizzazione del prodotto e per la buona conservazione dello stesso, soprattutto con riferimento al prodotto vino.

Immaginiamo una ipotesi in cui un produttore di lambrusco venda ad un importatore cinese una partita di vino con termine di resa EXW. In questo caso il compratore con la consegna della merce nel luogo indicato si libera da ogni obbligazione e lascia interamente nelle mani del compratore l’intero ciclo del trasporto. Pensiamo però ai danni che potrebbe causare un non avveduto compratore che non si curi correttamente della scelta idonea del container, sottovaluti gli eventi atmosferici cui potrebbe essere esposto il vino nel corso del trasporto (magari attraversando diverse zone climatiche) e preveda diversi transhipment e soste dei prodotti in zone esposte alle intemperie.

Va da sé che ove non sia stato impostato con cura il trasposto nelle varie fasi il vino rischia di arrivare a destinazione alterato o comunque in imperfette condizioni perché non adeguatamente conservato.

Per evitare i rischi collegati ad una non consona scelta del trasporto e delle relative modalità, anche in vista della corretta conservazione del prodotto, andrebbero presi in considerazione i termini di cui alla lettera C (CIF, CIP e CPT). Con tale scelta il venditore avrebbe il controllo sul trasporto e potrebbe ad esempio prevedere l’uso di container che mantengano costante la temperatura dell’ambiente in cui vengono conservate le bottiglie di vino per evitare gli sbalzi e così possibili alterazioni di qualità del vino, potrebbe curarsi che il vino non sia esposto alla luce e agli eventi atmosferici per evitare processi ossidativi pure causa di possibile alterazione del prodotto. Inoltre il venditore potrebbe pure assicurarsi che la posizione del prodotto sia corretta adottata nei diversi passaggi e che il vino sia trasportato in modo da evitare contaminazioni di odori e sapori.

Con l’adozione dei termini di cui alla lettera C si eviterebbero inoltre le complicazioni collegate all’import clearance previste nei termini di cui alla lettera D che resterebbe a carico del compratore ma si faciliterebbe lo stesso nella fase dell’export clearance dove è prevista l’assistenza da parte del venditore. Inoltre, l’uso dei termini di cui alla lettera C consentirebbe al venditore di controllare la fase del trasporto permettendo di scegliere quelle modalità che meglio consentano la conservazione della merce fino a destino. Profilo quest’ultimo tanto più delicato per un prodotto come il vino altamente sensibile alle variazioni atmosferiche.

Va da sé che invece l’opzione della resa EXW benché poco onerosa, può essere imprudente dal momento che la fase del trasporto sarebbe interamente gestita dal compratore. Ove il trasporto non risultasse adeguatamente curato ed effettuato con modalità non corrette i risultati e le conseguenze potrebbero essere deleterie. Da una parte, potrebbe sorgere una controversia sulla qualità del prodotto e, dall’altra, l’immagine del produttore potrebbe risultare compromessa con conseguente perdita di mercato e competitività.

In definitiva, alcuni investimenti di tipo logistico che permettano di maneggiare con adeguata professionalità le fasi dei termini di resa di cui alla lettera C consentirebbero all’imprenditore e soprattutto all’imprenditore del vino di meglio soddisfare le esigenze dei clienti e del mercato con un ritorno soddisfacente anche dal punto di vista economico.

Il trasporto internazionale del vino

Zucconelli - Legalmondo
Paolo Zucconelli

I contratti per il trasporto

Il trasporto del vino su strada: la Convenzione CMR

L’imprenditore che vende vino all’estero, indipendentemente dal luogo di destinazione, si trova sempre nella necessità di stipulare, in forma scritta, piuttosto che orale, un contratto di trasporto internazionale di merce.

Vediamo di seguito una serie di suggerimenti, per consentire anche all’operatore di conoscere (e prevenire) le principali “insidie” del trasporto internazionale.

È opportuno tenere presente che ogni trasporto internazionale, sia esso su strada, per mare, per via aerea, piuttosto che ferroviario, è – di regola – disciplinato da una convenzione internazionale, ossia da un complesso di norme che hanno la funzione di armonizzare ed uniformare ciascun trasporto, che attraversa – per sua natura - i territori di diversi Paesi.

Iniziando con la convenzione più importante, nel linguaggio operativo quotidiano della logistica, con il termine CMR si è soliti far riferimento a quel documento cartaceo, predisposto su specifici modelli e compilato all’atto di carico della merce sul semirimorchio, che accompagna le partite di vino – su strada - sino a destinazione (lettera di vettura); il trasporto su strada ancora rappresenta una delle tipologie più diffuse per la consegna di merce, perlomeno con destinazione continentale.

Mi concentrerò in particolare sul trasporto di merce su strada anche perché rappresenta la forma di trasporto che – di solito – l’imprenditore gestisce direttamente con il trasportatore stradale; per altre modalità di trasporto, tra cui quello marittimo, è frequente il mandato ad un’agenzia di spedizione, che si fa carico di tutte le necessarie formalità.

L’acronimo CMR, da cui la lettera di vettura internazionale ha preso impropriamente il nome, sintetizza la definizione in lingua francese della "Convention relative au contrat de transport international de marchandises par route” e cioè la Convenzione di Ginevra del 19 maggio 1956, resa esecutiva in Italia con L. 6 dicembre 1960, n. 1521, successivamente modificata con Protocollo di Ginevra del 5 luglio 1978, reso esecutivo in Italia con legge 27 aprile 1982 n. 242.

La Convenzione CMR si applica a ogni contratto per il trasporto a titolo oneroso di merci su strada per mezzo di veicoli, indipendentemente dal domicilio e dalla cittadinanza delle parti, quando il luogo di carico della merce ed il luogo previsto per la consegna indicati nel contratto (cioè nella lettera di vettura) sono situati in due Paesi diversi, di cui almeno uno sia parte della Convenzione.

L’Italia è firmataria e quindi parte della Convenzione CMR: di conseguenza, questa si applica ogni qual volta le partite di vino siano caricate in Italia sul veicolo del trasportatore ed anche se – paradossalmente – il veicolo con il carico di vino non dovesse mai superare il confine nazionale.

La corretta compilazione e conservazione della lettera di vettura CMR

La Convenzione CMR sorge per regolare in modo uniforme i documenti utilizzati per il trasporto e la responsabilità del trasportatore (vettore) per perdita od avaria della merce trasportata, oltre che per il ritardo di consegna. La Convenzione CMR è - in buona parte - inderogabile con accordo tra le parti: per questa - e per altre ragioni qui di seguito esposte – si raccomanda di prestare estrema attenzione alla corretta compilazione del modello di lettera di vettura CMR.

E’ pur vero che la mancanza, l'irregolarità o la perdita della lettera di vettura CMR non pregiudicano l'esistenza, né la validità del contratto di trasporto, che rimane disciplinato dalle disposizioni della Convenzione CMR: tuttavia, è altrettanto vero che il contenuto della lettera di vettura CMR, in termini di nominativo di mittente, trasportatore e destinatario, piuttosto che della descrizione e peso della merce e dell’esatto luogo di destinazione, tanto spesso vergati a mano in maniera estremamente approssimativa e lacunosa, costituisce una “presunzione”. Si presume, cioè, fino a prova contraria, che gli elementi del contratto di trasporto siano quelli descritti nella lettera di vettura CMR. Ciò significa che è sempre possibile dimostrare, con documentazione di segno contrario, che gli elementi essenziali del trasporto non sono quelli contenuti nella lettera di vettura CMR, ma in caso di carenza di detti documenti, la prova contraria non può essere data.

La lettera di vettura CMR, comunque, non ha valore rappresentativo della merce, nel senso che non costituisce uno strumento per far trasferire o meno la proprietà od altri diritti sui beni ivi descritti, al contrario di quanto avvenga con la polizza di carico nel trasporto marittimo (bill of lading).

La lettera di vettura CMR stabilisce il mero “insieme” delle istruzioni per il trasporto.

Si raccomanda al venditore di vino (che assume la qualifica di mittente) di acquisire la copia della lettera di vettura CMR munita di sottoscrizione del destinatario/acquirente. È infatti prassi molto frequente, ma altrettanto “pericolosa”, del venditore/mittente, di non richiedere una tempestiva restituzione della copia della lettera di vettura firmata dal destinatario, soprattutto se non sorgono impedimenti al momento di consegna della merce (ad esempio perché la merce non viene consegnata o c’è un rifiuto di tutto o parte della fornitura).

Può accadere che determinate contestazioni da parte dell’acquirente destinatario giungano al venditore solo dopo diversi mesi dalla consegna della merce. A quel punto diviene essenziale poter eccepire che la merce è stata ricevuta senza apposizione di “riserve” sulla lettera di vettura. Può però divenire complicato ricevere la lettera di vettura firmata, tenuto anche conto che in alcuni ordinamenti giuridici (la nazionalità del trasportatore può essere la più disparata), non vi è obbligo di conservare a lungo la documentazione del trasporto.

Un altro motivo per il quale è importante acquisire la lettera di vettura CMR con la firma del destinatario consiste, poi, nel fornire la prova diretta della “movimentazione” della merce, ai fini delle cessioni intracomunitarie, in regime di esenzione IVA. Anche se la prova del trasferimento può essere data “con documentazione equipollente” idonea a provare l’effettiva uscita dei beni dal territorio dello Stato, in genere è difficoltoso e comunque non rapido acquisire un’univoca documentazione equivalente.

Vendita “Ex Works”: attenzione al diritto di “contrordine”

Accade spesso nelle vendite con modalità “Ex Works” (si veda il capitolo sugli Incoterms) che sia il compratore e non il venditore ad assumere il ruolo di mittente, rispetto al trasportatore. Ebbene, secondo la Convenzione CMR il mittente ha un cosiddetto “diritto di contrordine” e cioè un diritto di disporre della merce, in particolare esigendo dal trasportatore la sospensione del trasporto, la modifica del luogo previsto per la riconsegna della merce, o la consegna ad un destinatario diverso da quello indicato nella lettera di vettura CMR. E’ però sempre più frequente una casistica di “furto di identità” del mittente/acquirente, che a quel punto avrà gioco facile nell’esercitare il diritto di contrordine e nel pilotare il trasportatore verso luoghi di scarico ben diversi da quello effettivo di destinazione, facendo volatilizzare la merce. Si suggerisce, per prevenire questo rischio, di inserire nella lettera di vettura CMR, al momento del carico di una partita di vino, seppur venduta “ex works”, la dicitura: “E’ escluso il diritto di contrordine rispetto al luogo di consegna a destinazione” (luogo da descrivere con estrema precisione).

L’entità del risarcimento in caso di perdita od avaria della merce oggetto di trasporto

Salvo che il trasportatore non versi in una responsabilità per “colpa grave”, con ciò intesa una grave ed inescusabile condotta, che spetta però ad un giudice stabilire in termini di effettiva sussistenza, il trasportatore risponde – secondo un principio di presunzione di responsabilità - per la perdita o l’avaria della merce trasportata entro il limite di 8.33 DSP (Diritti Speciali di Prelievo), per ogni kg lordo di merce. In termini molto pratici ed un po’ semplicistici, il limite di responsabilità equivale a circa € 10,00, per ogni kg lordo di merce perduta od avariata. Ovviamente, detto limite può non risultare adeguato per il trasporto di vini pregiati. Per poter ottenere un adeguato risarcimento in caso di danneggiamento della merce, è necessario pretendere che il trasportatore adegui la propria polizza assicurativa; in alternativa - pagando un supplemento di prezzo da convenirsi - il mittente può dichiarare nella lettera di vettura CMR un valore della merce superiore al limite indicato nella Convenzione CMR; in tale caso, l'ammontare dichiarato sostituisce detto limite.

Penali per il ritardo nella consegna del vino al compratore

Un’attenzione particolare deve essere poi posta all’entità del danno da ritardo nella consegna della merce al destinatario. Se il destinatario è operatore della GDO, come noto, può applicare penali elevate se la merce non viene ricevuta entro determinate tempistiche. Secondo la Convenzione CMR, invece, se ed in quanto il venditore/mittente riesca a provare di aver subito un pregiudizio, il trasportatore deve corrispondere un'indennità non eccedente il prezzo di trasporto e che – notoriamente - ammonta al massimo a qualche migliaia di euro.

Per superare questo rischio, nel contratto con il trasportatore può essere convenuta una determinata penale in caso di ritardo, sul presupposto che in caso di mancato rispetto di una certa tempistica di riconsegna, per un determinato acquirente/destinatario, il mancato rispetto del termine di consegna prestabilito equivale a “perdita” della merce.

L’azione risarcitoria nei confronti del trasportatore

Occorre tenere presente che secondo un certo orientamento giurisprudenziale dei Tribunali italiani, in tema di contratto internazionale di trasporto di merci su strada, la legittimazione ai reclami ed alle azioni contro il vettore, anche in caso di riconsegna parziale della merce, è attribuita esclusivamente al destinatario, se questo abbia ricevuto la merce o parte della stessa. Ciò significa che se il venditore/mittente non riceve il pagamento del prezzo da parte dell’acquirente/destinatario, poiché buona parte della partita di vino non è giunta a destinazione, questo non potrebbe agire contro il trasportatore per il risarcimento del danno, posto che la legittimazione contro il trasportatore spetterebbe solo al destinatario. Per superare questo rischio, il venditore – dopo l’accertamento di un danno alla merce - dovrà chiedere all’acquirente una formale “cessione” dei propri diritti risarcitori nei confronti del trasportatore.

Va poi ricordato che le azioni risarcitorie contro il trasportatore si prescrivono in un (1) anno (salvo il caso della già menzionata “colpa grave”, per cui il termine si prescrive in tre (3) anni). In caso di trasporto internazionale è necessario prestare estrema attenzione alle modalità di interruzione del termine di prescrizione, poiché dipendono dalla legge applicabile del Paese in cui è situato il Tribunale competente.

Salvo che le parti non abbiano previsto diversamente in contratto, se il luogo di carico della partita di vino è in Italia vi sarà competenza dei Tribunali italiani ed il termine di prescrizione potrà essere interrotto con una formale lettera di messa in mora, per iscritto.

Il trasporto via mare

La Polizza di carico nel trasporto marittimo di vino

Si accenna anche alla polizza di carico o bill of lading nel trasporto marittimo di cose, per metterne in rilievo le principali differenze con la lettera di vettura CMR. La polizza di carico documenta il trasporto marittimo riproducendone le condizioni (sul retro), costituisce prova scritta del contratto di trasporto di cose e fornisce indicazione di dichiarazione di scienza, descrittive delle merci, loro natura, qualità, quantità, stato apparente, soggetti, nave, destinatario. Al contrario della lettera di vettura CMR, la polizza di carico può essere titolo rappresentativo della merce ed è negoziabile (con la polizza di carico è possibile trasferire la proprietà della merce).

Dal punto di vista pratico, essa serve a far sì che la merce in viaggio possa essere venduta o usata come garanzia mediante il trasferimento della polizza. Ciò può costituire un fattore di rischio, se per errore la partita di vino viene consegnata al destinatario, senza che ci sia un’attenta e preventiva verifica se la polizza di carico sia “negotiable” o “non negotiable”, oppure se il destinatario sia l’effettivo titolare al diritto di riconsegna.

La polizza di carico deve essere prodotta in giudizio in originale, in caso di azione contrattuale contro il vettore per perdita o danno al carico. L’utilità della polizza di carico correttamente compilata e conservata consente l’agevole prova delle cessioni internazionali di vino, in regime di esenzione IVA.

Ora, perlomeno per mitigare, se non addirittura per scongiurare i rischi accennati, il suggerimento è il ricorso alle sempre più diffuse polizze di carico “in formato elettronico” (EBL: acronimo per Electronic Bill of Lading), che può essere trasmessa dal vettore al ricevitore o alla banca titolare di un pegno sulla merce in tempo pressoché reale, e i cui costi (di emissione, trasmissione e archiviazione) sono infinitesimali rispetto a quella cartacea.

Dogane e Logistica nel commercio internazionale del vino

Fraternali - Legalmondo
Privato: Elena Fraternali

La normativa doganale

La classificazione doganale delle bevande alcoliche

Nell’ambito del commercio internazionale e nazionale assume un ruolo centrale la normativa doganale che ha consentito e consente – tramite aggiornamenti continui – agli operatori di settore di “parlare la stessa lingua”, individuando i prodotti tramite i codici di classificazione, di conoscere le misure tariffarie e le eventuali restrizioni applicate alla cessione di determinati beni nonché di accedere alle semplificazioni pensate per agevolare i traffici internazionali (si pensi, ad esempio, agli Accordi di libero scambio sottoscritti dall’Unione europea con Paesi terzi).

In questo scenario globale, i soggetti che intendono acquistare e vendere i propri prodotti da/a clienti che si trovano in Stati extra-UE, o realtà radicate nel territorio unionale o nazionale, devono conoscere la materia doganale, che diventa un’importante chiave di gestione e pianificazione dei flussi.

Con riferimento alle bevande alcoliche e, in particolare, al vino, gli operatori si trovano davanti sfide che non riguardano soltanto la corretta individuazione della classifica doganale e l’accesso alle semplificazioni previste nei trattati internazionali, ma anche la gestione di un prodotto interessato da determinati adempimenti legati al mondo delle accise.

Al passaggio di ogni confine doganale sorge, in primo luogo, la necessità di qualificare la natura della merce oggetto di scambio per poter identificare tutte le formalità connesse all’importazione e all’esportazione della stessa.

La procedura di classificazione è indispensabile non solo per individuare il dazio applicabile a un determinato prodotto, ma anche per determinare le misure di carattere diverso dai dazi (misure di politica commerciale e divieti economici), individuare le aliquote IVA, eventuali altre misure impositive come le accise, nonché le restrizioni quantitative e le disposizioni sanitarie.

Il compito di determinare la classificazione doganale delle merci è demandato agli operatori economici che devono correttamente indicare, nella dichiarazione doganale, il codice della merce importata (o esportata).

Come noto, le voci doganali si basano su un sistema di codifica internazionale sviluppato in seno all’Organizzazione mondiale delle Dogane (World Customs Organization – WCO), denominato Sistema Armonizzato (Harmonized System - HS).

Tale sistema classifica ogni prodotto mediante una serie di numeri che corrispondono alla quasi totalità dei principali settori merceologici.

Il sistema di classificazione HS, che identifica i prodotti mediante un codice di sei cifre, è adottato da oltre 200 Paesi nel mondo come base per la tariffa doganale e viene aggiornato ogni cinque anni (ultimo aggiornamento: gennaio 2022).

Per soddisfare le esigenze di classificazione dei Paesi membri, tenendo conto della crescente complessità dei prodotti, l’Unione Europea ha affiancato al HS il sistema di Nomenclatura Combinata (NC), mediante l’inserimento di ulteriori due cifre alle sei già previste dal Sistema armonizzato (Reg. CEE 23 luglio 1987, n. 2658, e successive modifiche).

Sulla base della NC, la Commissione europea ha istituito una Tariffa Integrata dell’Unione Europea (Taric).

Tali strumenti, al servizio degli operatori, non sono sempre facili da utilizzare. Per agevolare la corretta individuazione delle merci all’interno della tariffa, dunque, sono previste note esplicative, ossia regole generali che forniscono indicazioni utili al fine di catalogare correttamente anche i prodotti per cui non si trova un immediato riscontro all’interno delle voci esistenti.

Ai fini doganali, le bevande alcoliche sono ricomprese nel Capitolo 22 rubricato “Bevande, Liquidi alcolici ed aceti”, articolato in voci doganali a 4 cifre dalla 2203 alla 2209.

In particolare, alla voce 2204 sono classificati i “Vini di uve fresche, compresi i vini arricchiti d'alcol; mosti di uva” e, alla voce 2205, sono classificati i “Vermut ed altri vini di uve fresche preparati con piante o con sostanze aromatiche”.

Una volta individuata, tra le varie sotto voci doganali, la corretta nomenclatura del prodotto, potranno essere verificate le misure tributarie applicabili a quest’ultimo ossia, in particolare, dazi, IVA e accise.

Il sistema delle accise applicabili al vino

Le accise a livello unionale

L'accisa (excise duty) è un'imposta indiretta applicata alla produzione o al consumo di determinati prodotti, tra cui le bevande alcoliche.

A livello unionale, il processo di armonizzazione delle accise è stato avviato con la Direttiva 92/12/CEE, successivamente sostituita dalla Direttiva 2008/118/CE, a sua volta rifusa nella Direttiva (Ue) 2020/262, con cui l’Unione Europea ha istituito il regime generale delle accise gravanti su prodotti energetici ed elettricità, alcol e bevande alcoliche e tabacchi lavorati, uniformando le aliquote e le modalità applicative.

Le accise sull'alcol, in particolare, sono disciplinate da due principali atti legislativi:

  • la Direttiva 92/83/CEE che ha istituito una struttura armonizzata per le accise su alcol e bevande alcoliche nonché le categorie di prodotti soggette ad accisa e la base di calcolo della stessa. Detta normativa è stata recentemente modificata dalla Direttiva del Consiglio 2020/1151, applicata dal 1° gennaio 2022;
  • la Direttiva 92/84/CEE che stabilisce le aliquote minime applicate a ciascuna categoria di bevande alcoliche nonché le aliquote ridotte per alcune regioni greche, italiane e portoghesi.

L'Unione europea stabilisce soltanto aliquote minime armonizzate: ciò significa che i Paesi membri sono liberi di applicare aliquote di accisa superiori ai minimi, in base alle proprie esigenze nazionali.

Attualmente, l’aliquota prevista a livello unionale per il vino tranquillo e il vino spumante è pari a 0.

Si noti che, al fine di individuare cosa si intende per vino tranquillo e vino spumante, la normativa unionale fa riferimento ai codici di nomenclatura combinata NC e, in particolare:

  • si intendono per «vino tranquillo» tutti i prodotti di cui ai codici NC 2204 e 2205:
    • aventi un titolo alcolometrico effettivo superiore all'1,2% vol, ma non superiore al 15 % vol, purché l'alcol contenuto nel prodotto finito derivi interamente da fermentazione;
    • aventi un titolo alcolometrico effettivo superiore al 15% vol, ma non superiore al 18% vol, purché siano stati prodotti senza arricchimenti e l'alcole contenuto nel prodotto finito derivi interamente da fermentazione;
  • si intendono per «vino spumante» tutti i prodotti di cui ai codici NC 2204 10, 2204 21 06, 2204 21 07, 2204 21 08, 2204 21 09, 2204 29 10 e 2205 che:
    • sono presentati in bottiglie chiuse con un tappo a «forma di fungo» tenuto da fermagli o legacci o hanno una sovrapressione dovuta all'anidride carbonica in soluzione di almeno 3 bar;
    • hanno un titolo alcolometrico effettivo superiore all'1,2% vol, ma non superiore al 15% vol, purché l'alcole contenuto nel prodotto finito derivi interamente da fermentazione.

Le accise sul vino in Italia

Il legislatore italiano ha recepito la normativa europea attraverso il Testo unico accise - TUA (d. lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 e ss.mm.) che individua i prodotti sottoposti ad accisa sulla base dei codici di classificazione NC.

Sono sottoposti ad accisa la birra, il vino, le bevande fermentate diverse dal vino e dalla birra, i prodotti alcolici intermedi e l'alcol etilico.

Le disposizioni generali in materia di alcol e bevande alcoliche sono contenute nel TUA agli artt. da 27 a 31, mentre le norme concernenti il vino sono racchiuse negli artt. 36, 37 e 37bis.

Per i prodotti sottoposti ad accisa l'obbligazione tributaria sorge al momento della loro fabbricazione ovvero della loro importazione e l’imposta diventa esigibile all’atto dell’immissione in consumo del prodotto nel territorio dello Stato (art. 2, comma 1 e 2, TUA).

È obbligato al pagamento dell'accisa (art. 2, comma 4, TUA):

  • il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l'immissione in consumo e, in solido, i soggetti che si siano resi garanti del pagamento ovvero il soggetto nei cui confronti si verificano i presupposti per l'esigibilità dell'imposta;
  • il destinatario registrato che riceve i prodotti soggetti ad accisa alle condizioni di cui all'articolo 8 TUA;
  • relativamente all'importazione di prodotti sottoposti ad accisa, il debitore dell'obbligazione doganale individuato in base alla relativa normativa e, in caso di importazione irregolare, in solido, qualsiasi altra persona che ha partecipato all'importazione.

Il deposito fiscale

I prodotti alcolici, fra cui il vino, sono ottenuti – salvo alcuni casi appositamente autorizzati – in impianti di lavorazione gestiti in regime di deposito fiscale (ad eccezione dei piccoli produttori).

Le attività di fabbricazione dei prodotti sottoposti ad accisa in regime sospensivo sono consentite, nel settore del vino e delle bevande fermentate, nelle cantine e negli stabilimenti di produzione, previa concessione di apposita licenza di esercizio, rilasciata dall’Amministrazione competente, e versamento della cauzione calcolata.

Il deposito fiscale è l’impianto in cui vengono fabbricati, trasformati, detenuti, ricevuti e spediti prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione dei relativi diritti alle condizioni stabilite dall’Amministrazione finanziaria.

Per l’apertura di un deposito fiscale, infatti, è necessaria l’autorizzazione. Per gli alcolici, l’esercizio del deposito fiscale è subordinato al rilascio di una licenza. Il procedimento parte con la richiesta di istituzione presentata dall’interessato e si conclude con l’emissione dell’autorizzazione alla gestione in regime di deposito fiscale dell’impianto, dopo l’attribuzione di un codice accisa.

Di norma per l’esercizio del deposito fiscale è richiesta una cauzione ma per quanto riguarda il vino, essendo al momento l’accisa pari a zero, la cauzione per il deposito non è prevista.

La regolamentazione dei depositi fiscali si differenzia in relazione agli specifici settori d’imposta. In particolare, il regime del deposito fiscale è consentito, per il vino e le bevande fermentate diverse dal vino e dalla birra, per le cantine e gli stabilimenti di produzione.

Per altre tipologie di impianti, il regime del deposito fiscale può essere autorizzato quando è funzionale a soddisfare oggettive condizioni di operatività dell'impianto stesso, che afferiscono a distinte tipologie di depositi di stoccaggio.

La circolazione del vino

Circolazione dei prodotti in regime sospensivo

Riguardo alla circolazione dei prodotti vitivinicoli, con riferimento alla regolamentazione fiscale prevista a livello unionale e nazionale, occorre distinguere tra:

  • circolazione di prodotti in regime sospensivo;
  • circolazione di prodotti ad accisa assolta.

Iniziando dalla prima, la circolazione di prodotti sottoposti ad accisa, in regime sospensivo, nello Stato e nel territorio dell'Unione europea può avvenire:

a) per i prodotti provenienti da un deposito fiscale verso un altro deposito fiscale, un destinatario registrato, un luogo dal quale i prodotti lasciano il territorio dell'UE, i soggetti di cui all'articolo 17, comma 1, TUA (Organizzazioni internazionali riconosciute, forze armate, etc.);

b) per i prodotti spediti da uno speditore registrato, dal luogo di importazione verso qualsiasi destinazione di cui al punto che precede.

La circolazione di tali prodotti inizia:

  • nelle ipotesi di cui alla lettera a): nel momento in cui essi lasciano il deposito fiscale di spedizione;
  • nelle ipotesi di cui alla lettera b): all'atto della loro immissione in libera pratica.

Il depositario autorizzato mittente o lo speditore registrato (ovvero altri soggetti previsti dalla legge) è tenuto a fornire garanzia del pagamento dell’accisa gravante sui prodotti spediti.

I documenti necessari per la circolazione dei prodotti in regime sospensivo è il documento amministrativo elettronico (DAA telematico e-AD), emesso dal sistema informatizzato previo inserimento dei relativi dati da parte del soggetto speditore. I prodotti devono viaggiare unitamente a una copia stampata dello stesso o di un documento commerciale che indichi, in modo chiaramente identificabile, il codice unico di riferimento amministrativo (ARC).

I piccoli produttori di vino non sono tenuti ad emettere il DAA telematico.

Ai sensi dell’art. 6, comma 6 e 7, TUA, la circolazione dei prodotti in regime sospensivo termina nel momento in cui gli stessi sono presi in consegna dal destinatario, in caso di circolazione nazionale o comunitaria, e quando lasciano il territorio dell’Unione europea in caso di prodotti destinati ad essere esportati.

Si segnala che tale previsione del TUA è stata oggetto di recente modifica da parte del d.lgs. 5 novembre 2021 n. 180 (che recepisce la direttiva (Ue) 2020/262), in forza della quale dal 1° febbraio 2023 i prodotti destinati a essere esportati, se provenienti da un deposito fiscale, potranno essere vincolati al regime di transito esterno dopo essere stati svincolati dal regime di esportazione.

Circolazione di prodotti ad accisa assolta

L’alcol, le bevande alcoliche e gli aromi alcolici assoggettati ad accisa o completamente denaturati devono circolare con il documento di accompagnamento semplificato (DAS).

Attualmente il DAS cartaceo si compone di tre copie: la prima conservata dal mittente, la seconda e la terza, che viaggiano con la merce, sono rispettivamente conservate dal destinatario e restituita al mittente ai fini dell’appuramento dell’operazione.

Si noti che, a seguito delle modifiche apportate al TUA dal d.lgs. 5 novembre 2021 n. 180 (che recepisce la direttiva (Ue) 2020/262), applicabili dal 13 febbraio 2023, il DAS cartaceo sarà sostituito dal e-DAS, documento telematico emesso dal sistema informatizzato previo inserimento dei dati da parte dello speditore certificato.

A tale proposito, è recentemente intervenuta l’Agenzia delle dogane con la Determinazione direttoriale 494575/RU del 24 dicembre 2021, ove è stato previsto, per il settore delle bevande alcoliche, l’obbligo di utilizzo dell’e-DAS a partire dal 30 giugno 2022.

Ai sensi dell’art. 30, comma 2, TUA, sono – tra gli altri – esclusi dall’obbligo di predisposizione del DAS:

a) l’alcol e le bevande alcoliche confezionati in recipienti di capacità non superiore a 5 litri e gli aromi alcolici per liquori o per vini aromatizzati confezionati in dosi per preparare non più di un litro di prodotto, muniti del contrassegno fiscale;

b) la birra, il vino e le bevande fermentate diverse dal vino e dalla birra, se non destinate, queste ultime, a distillerie;

c) i vini aromatizzati, liquori e acquaviti, addizionati con acqua gassata, semplice o di soda, in recipienti contenenti quantità non superiore a 10 centilitri ed aventi titolo alcolometrico effettivo non superiore all'11 per cento in volume;

d) i vini liquorosi destinati a stabilimenti di condizionamento o di trasformazione in altri prodotti.

I suddetti prodotti alcolici, esclusi dall'obbligo del DAS relativamente alla loro circolazione nazionale, è previsto l’obbligo di emissione di una bolla di accompagnamento (BAM/X-AB), eccezion fatta per il vino, a cui si applicano le norme in materia di tutela agricola, e per i prodotti contrassegnati e destinati ad usi esenti, i quali circolano il Documento di Trasporto - DDT.

In caso di spedizione occasionale di prodotti in un altro Paese membro dell’Unione Europea, lo speditore in possesso di licenza deve chiedere al competente Ufficio delle Dogane l’emissione del DAS e prestare cauzione di ammontare pari al 100% dell’accisa gravante nel Paese di destino.

In caso di spedizioni ricorrenti, oltre al possesso di idonea licenza, lo speditore potrà richiedere all’Amministrazione fiscale una autorizzazione all’emissione dei DAS e tenere un apposito registro vidimato con gli estremi degli stessi, nonché prestare cauzione di ammontare pari al 100% dell’accisa gravante nel Paese di destino.

Piccoli produttori di vino e modello MVV

Per la spedizione di vino da parte dei piccoli produttori verso gli altri Stati membri dell’Unione europea, è necessario l’utilizzo del modello MVV (Movimenti dei prodotti VitiVinicoli), istituito dal Regolamento 314/2012/UE.

Il documento in parola deve essere emesso nei confronti di un deposito fiscale autorizzato, di un destinatario registrato (munito di codice di accisa) ovvero di un destinatario registrato che intende ricevere solo occasionalmente prodotti soggetti ad accisa e che abbia garantito o pagato l’imposta nel Paese di destinazione.

Con il DM n. 338 del 13 aprile 2018 è stata introdotta la versione elettronica del modello MVV: E- MVV, obbligatoria dal 1° gennaio 2021.

Ai sensi dell’art. 37 TUA, i piccoli produttori di vino devono informare gli uffici dell'Agenzia delle dogane, competenti per territorio, delle operazioni intracomunitarie effettuate, assolvere agli obblighi prescritti dal Regolamento delegato (UE) 2018/273, nonché tenere il registro di scarico e sottoporsi a controllo.

Le semplificazioni doganali per favorire il commercio internazionale del vino

L’origine delle merci

Per favorire il commercio internazionale dei prodotti originari, l’Unione europea ha concluso svariati accordi con i Paesi terzi, in forza dei quali sono reciprocamente riconosciute agevolazioni e abbattimenti daziari per i beni originari delle parti contraenti. L’accesso a tali semplificazioni si basa su la nozione doganale di origine delle merci e sulla prova dell’origine preferenziale. L’origine delle merci è uno degli elementi essenziali dell’obbligazione doganale e deve essere correttamente individuata al fine di:

  • consentire al consumatore finale di identificare il Paese in cui è stato realizzato un prodotto (c.d. Made in);
  • verificare le eventuali misure di politica commerciale europea applicabili (es. dazi antidumping);
  • individuare il trattamento daziario applicabile e le eventuali agevolazioni.

L’origine delle merci si distingue in:

  • non preferenziale (artt. 59-62 del CDU; artt. 31-36 del RD; artt. 57-59 del RE): costituisce la regola generale e connota i prodotti importati da Paesi con cui l’UE non ha stipulato specifici accordi, per cui l’aliquota applicabile è quella riportata in tariffa doganale;
  • preferenziale (artt. 64-66 del CDU; artt. 37-70 del RD; artt. 60-126 del RE): consiste in un trattamento daziario agevolato (riduzione o esenzione) concesso in forza di accordi o di preferenze unilaterali stabilite dall’UE.

L’attribuzione dell’origine non preferenziale

Per attribuire l’origine non preferenziale alla merce (Made In) è necessario rispettare determinate condizioni.

In particolare, il Codice doganale dell’Unione (Reg. (UE) n. 952/2013 - CDU) qualifica come originarie di un determinato Paese o territorio le merci il cui intero processo produttivo/economico è ivi svolto.

Nel caso in cui, invece, alla produzione della merce contribuiscono due o più Paesi, i beni sono considerati originari del paese in cui hanno subìto l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata presso imprese attrezzate, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

Per un ampio novero di beni classificati nel Sistema Armonizzato, poi, l’Allegato 22-01 del RD individua specifiche regole di lista per l’attribuzione dell’origine non preferenziale, in base ai capitoli e alle voci doganali (cambio di voce tariffaria, regola del valore aggiunto, regole specifiche per particolari tipologie di prodotti).

Per le merci ricomprese nell’allegato 22-01 del RD, pertanto, si ritiene che esse abbiano subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale nel paese o territorio in cui le regole (primarie o residuali) contenute nel citato allegato sono soddisfatte o che è identificato dalle stesse.

L’attribuzione dell’origine preferenziale

L’origine preferenziale si sostanzia in un trattamento daziario più favorevole concesso a prodotti originari di Paesi con i quali sono in vigore accordi bilaterali e/o concessioni unilaterali.

Il CDU stabilisce le regole da applicare per l’acquisizione dell’origine preferenziale al fine di poter beneficiare delle misure tariffarie preferenziali.

Per le misure tariffarie preferenziali contenute in accordi che l’Unione Europea ha concluso con alcuni Paesi o territori o con gruppi di Paesi e territori occorre applicare le norme sull’origine preferenziale contenute in tali accordi.

In ciascun accordo, la regolamentazione delle norme di origine è inserita in un’apposita sezione, c.d. Protocollo di origine.

L’elenco degli accordi conclusi dalla UE con paesi terzi e i relativi aggiornamenti, sono consultabili sul sito internet della Commissione Europea: https://ec.europa.eu/trade/policy/countries-and-regions/negotiations-and-agreements/

Esportatore autorizzato ed Esportatore registrato: a cosa servono questi status?

In forza delle vigenti disposizioni unionali e degli accordi preferenziali sottoscritti tra l’Unione e i Paesi terzi, l’Esportatore autorizzato e l’Esportatore registrato nella banca dati REX possono certificare l’origine dei prodotti da esportare tramite una dichiarazione su fattura, evitando la richiesta dei certificati all’Agenzia delle dogane e snellendo di molto il processo documentale legato alle esportazioni.

Al fine di conseguire le qualifiche di Esportatore autorizzato ed Esportatore registrato, gli operatori devono essere in grado di provare, in qualsiasi momento, il carattere originario della merce da esportare. Ciò presuppone la conoscenza delle regole di origine applicabili e il possesso di tutti i documenti giustificativi.

L’azienda, poi, a seconda del tipo di autorizzazione da richiedere e dei Paesi verso i quali normalmente commercializza i propri prodotti, dovrà presentare apposita domanda scritta all’Ufficio delle dogane competente per territorio e seguire il relativo iter amministrativo.

La tassazione delle società vitivinicole non residenti in Italia

Di Cesare - Legalmondo
Federico Di Cesare

L’attività di impresa tassabile

La stabile organizzazione

Il reddito complessivo delle società non residenti è formato dai soli redditi prodotti nel territorio dello Stato, secondo i criteri stabiliti dalla normativa di settore. Non concorrono alla formazione del reddito, quelli esenti da imposta e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva.

Per quanto riguarda il reddito d’impresa è necessaria (ai fini IRES e IRAP) la presenza di una stabile organizzazione perché il reddito si consideri prodotto in Italia: in altri termini, in assenza di stabile organizzazione, non c’è tassazione dell’attività di impresa del soggetto non residente in Italia.

Il reddito complessivo della stabile organizzazione si determina in base agli utili e alle perdite risultanti da un apposito rendiconto economico e patrimoniale, da redigere secondo i previsti principi contabili previsti.

La normativa di settore designa, quale stabile organizzazione, designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita, in tutto o in parte, l’attività in Italia.

Casi che configurano, tra gli altri, una stabile organizzazione (c.d. “positive list”):

  • sede di direzione;
  • succursale (inquadrabile, sul piano interno, nella sede secondaria con rappresentanza stabile);
  • ufficio (ad es. ufficio di direzione per il coordinamento di una determinata area geografica);
  • laboratorio.

Casi che, tra gli altri, non configurano una stabile organizzazione (c.d. “negative list”):

  • l’uso di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di beni o merci appartenenti all’impresa;
  • la disponibilità di beni o merci appartenenti all’impresa immagazzinati ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna;
  • la disponibilità di beni o merci appartenenti all’impresa immagazzinati ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra impresa;
  • la disponibilità di una sede fissa di affari utilizzata ai soli fini di acquistare beni o merci o di raccogliere informazioni per l’impresa.

Configura, inoltre, una stabile organizzazione un soggetto (persona fisica o giuridica) che (c.d. “agente dipendente”):

  • agisce nel territorio dello Stato per conto di un’impresa non residente;
  • abitualmente conclude contratti, ovvero opera ai fini della conclusione di contratti senza modifiche sostanziali da parte dell’impresa.

L’agente dipendente non configura una stabile organizzazione se l’attività svolta è limitata allo svolgimento di attività elencate nella c.d. “negative list” e aventi carattere preparatorio o ausiliario.

Le Operazioni internazionali infragruppo

Che cos’è il transfer pricing?

In deroga al principio generale di valutazione in base ai corrispettivi pattuiti, le operazioni internazionali infragruppo, ossia tra imprese associate, sono determinate con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili se ne deriva un aumento del reddito imponibile. Una variazione in diminuzione può avvenire solamente in talune specifiche circostanze (procedure amichevoli, contratti effettuati nell’ambito di attività di cooperazione internazionale, ecc.).

La norma è tesa sostanzialmente ad evitare che, manovrando i corrispettivi, i redditi vengano attribuiti a società del gruppo situate in Paesi a bassa fiscalità o che venga distorto il regime di libera concorrenza.

L’assicurazione dei rischi connessi alla vendita internazionale del vino

Rinaldi - Legalmondo
Francesco Rinaldi

La mappa dei rischi esistenti nella filiera del vino

Quali sono i rischi assicurabili nella filiera del vino?

I rischi connessi al mondo del vino sono molteplici e si sviluppano durante un arco temporale molto ampio che parte dal vigneto sino a giungere alla commercializzazione del prodotto finito. Alcuni di essi sono trasferibili al mercato assicurativo ed altri no.

Tra i primi troviamo:

  • la pianta ed il suo frutto possono subire danni per effetto di eventi naturali (principalmente atmosferici);
  • danni da errata manipolazione (manuale o meccanica) e incidenti durante il trasporto delle uve nelle fasi della vendemmia;
  • danni o guasti danni ai macchinari durante la spremitura o pigiadiraspatura, con relativa perdita del semilavorato e della materia prima;
  • guasti agli impianti di termoregolazione per la vinificazione a causa sbalzi di tensione, con conseguenze sia nei fruttai che durante la lavorazione dei fermentini;
  • rischio derivante da incendio e conseguente sprigionamento di fumo, sostanze tossiche o contaminanti, che possono rendere il prodotto inutilizzabile, così come i guasti o cedimenti di cisterne, silos e relativi impianti;
  • problemi di rottura delle bottiglie, di etichettatura, di tappatura e/o dei macchinari della linea di imbottigliamento nonché la miscelazione accidentale di prodotti;
  • rischi di eventi atmosferici e catastrofali (sovraccarico da neve, terremoto, inondazioni e alluvioni, allagamenti) durante l’affinamento e maturazione;
  • rischi relativi allo stoccaggio del prodotto finito, come i danni causati dal cedimento delle strutture di stoccaggio, manuali od automatiche, da guasti o cedimento di cisterne o silos, dalla movimentazione interna, dagli eventi naturali e catastrofici (eventi atmosferici in primis, negli ultimi anni), dall’incendio dei pallets e degli imballaggi, dal furto;
  • rotture, furti, danneggiamenti ed alterazioni del prodotto sono i rischi che il trasporto porta in dote con sé;
  • rischi relativi all’integrità del prodotto nel corso della vendita, ovvero le conseguenze dirette ed indirette di un prodotto difettoso nonché l’eventuale suo ritiro dal mercato.

Da evidenziare che in tutte le fasi sopracitate incombono sempre:

  • il rischio di atti vandalici o dolosi con conseguenti danni al prodotto (semilavorato e finito) od alla sua integrativa, ovvero il rischio da contaminazione accidentale o dolosa;
  • i danni derivanti da interruzione dell’attività in conseguenza di un danno materiale, ovvero un fermo di attività parziale o totale a seguito di evento tra quelli sopra citati, le cui conseguenze economiche potrebbero rilevarsi devastanti per il produttore.

Il rischio derivante da difetto di prodotto

In ogni Paese del mondo esiste una legislazione a tutela dei consumatori, che definisce precise responsabilità in capo ai produttori e fornitori.

Ad esempio, in Italia, le normative di riferimento sono:

  • il Codice Civile - con gli Artt. 1218/1229, 2043/2059 - tipico nel mercato B2B – Business to Business;
  • il Codice del Consumo - D.Lgs. 206/2005 - tipico del mercato B2C – Business to Consumer.

Se il Codice del Consumo ha avuto la finalità di armonizzare e riordinare le normative concernenti la tutela dei consumatori e degli utenti in conformità alla normativa Comunitaria nonché ai trattati Internazionali, le normative di riferimento dei Paesi Extra UE vertono su medesimi principi ma con applicazioni molto differenti tra loro.

Il Codice del Consumo

Alcune nozioni tratte dal Codice del Consumo possono aiutare a capire la portata delle responsabilità in capo al produttore e quindi i rischi connessi alla commercializzazione del vino.

Il produttore deve immettere sul mercato solo prodotti sicuri ed il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto.

Prodotto è ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile mentre produttore è il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente o della materia prima. Per i prodotti agricoli del suolo e per quelli dell'allevamento, della pesca e della caccia, sono considerati produttori rispettivamente l'agricoltore, l'allevatore, il pescatore ed il cacciatore. Un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze, tra cui il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite; l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere; il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

Nei confronti del danneggiato consumatore, è nullo qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente la responsabilità. Per attribuire al produttore la responsabilità per i danni provocati da propri prodotti difettosi, il danneggiato deve provare il difetto, il danno e la connessione che collega il primo al secondo, intesa come effetto/conseguenza.

La responsabilità da prodotto difettoso ha natura presuntiva nei confronti del produttore, ovvero prescinde dall’accertamento della colpevolezza dello stesso, ma non dalla prova del difetto del prodotto e di quella specifica del nesso tra difetto e danno.

Il produttore deve dimostrare fatti e circostanze idonei a escludere la propria responsabilità.

In mancanza di specifiche disposizioni comunitarie che disciplinano gli aspetti di sicurezza, un prodotto si presume sicuro quando è conforme alla legislazione vigente nello stato membro in cui il prodotto stesso è commercializzato e con riferimento ai requisiti cui deve rispondere sul piano sanitario e della sicurezza.

Il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e dell'identità del responsabile, mentre il diritto al risarcimento si estingue alla scadenza di dieci anni dal giorno in cui il produttore o l'importatore nella Unione europea ha messo in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno.

Le conseguenze di un Prodotto Difettoso

I rischi connessi alla distribuzione discendono principalmente dal difetto del prodotto, inteso non solo dal vino ma comprensivo di tutti gli elementi che lo compongono (bottiglia, tappi, etichettatura, confezioni, etc.) e le cui conseguenze possono essere sia di natura economica, sia non patrimoniali.

Tra i danni economici rientrano le spese legali in caso di vertenze giudiziarie, i risarcimenti dovuti ai danneggiati, i costi di eventuali campagne di richiamo e/o rimpiazzo prodotto, l’interruzione dell’attività di vendita del prodotto difettoso.

Tra i danni di tipo non-patrimoniale rientrano la perdita d’immagine e prestigio, la perdita di quote mercato a discapito di concorrenti, la compromissione di certificazioni di qualità e dei rapporti con i fornitori nonché l’eventuale difficoltà di accesso al mercato del credito.

La prevenzione del rischio

Il difetto del prodotto può nascere in qualsiasi momento, non solo in fase produttiva.

Le coperture assicurative sono la naturale conclusione di un processo di analisi del rischio che deve partire dalla progettazione del prodotto attraverso l’analisi di qualità delle materie prime e l’affidabilità dei fornitori, per toccare tutti i processi di produzione tramite programmi di qualità, con particolare attenzione all’etichettatura, sino a giungere alla distribuzione con controlli in uscita, adeguati imballaggi, severe politiche di tracciamento del prodotto e dei canali di distributivi.

Tenuto conto che nel caso di danno si applicano le leggi del luogo in cui lo stesso è avvenuto, il produttore non può esimersi dal conoscere le norme e le regole dei paesi in cui esportano i prodotti e come esse vengano interpretate ed applicate dai giudici locali.

La Polizza di Responsabilità Civile Prodotti

La soluzione del mercato assicurativo a tutela dei rischi da prodotto difettoso è la polizza di Responsabilità Civile Prodotti con cui l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l'Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare quale civilmente responsabile, ai sensi di legge, a titolo di risarcimento (capitale, interessi, spese) dei danni involontariamente cagionati a terzi da difetto dei prodotti descritti in polizza per i quali l'Assicurato rivesta in Italia la qualifica di produttore dopo la loro messa in circolazione, per morte, per lesioni personali e per distruzione o deterioramento materiale, di cose diverse dal prodotto descritto in polizza, rivelatosi difettoso.

Dalla lettura dell’oggetto dell’assicurazione si può evincere che la copertura:

  • discende dalle conseguenze del difetto. L’effetto pregiudizievole (nocivo, dannoso) ne determina l’operatività. Di riflesso, la mancata rispondenza all’uso del prodotto, non è oggetto di copertura[1];
  • non opera per il prodotto stesso, ovvero non prevede il rimborso per il rimpiazzo del prodotto difettoso, che rimane in capo al produttore.

Ricordiamo che i soggetti considerati produttori a termini di legge, oltre a colui che produce o trasforma sia beni mobili finiti che componenti, sono: l’importatore (che acquista da paesi extra UE), il titolare del marchio (che appone il proprio marchio su prodotti fabbricati da altri), il fornitore (se è sconosciuto il produttore) ed in genere chiunque possa essere chiamato in causa partecipando al processo produttivo.

Viste le responsabilità in capo alla figura del produttore, è opportuno che la copertura assicurativa estenda il concetto di difetto del prodotto anche:

  • agli errori nella concezione e/o progettazione;
  • agli errori e/o difetti di produzione, anche se eseguita da terzi su incarico dell’assicurato;
  • ai vizi e/o le difformità dei materiali e/o di sostanze utilizzati;
  • all’impiego e/o utilizzo di materiali e/o sostanze non idonee;
  • agli errori nelle istruzioni scritte per l’uso;
  • all’errato o difettoso confezionamento e ai relativi imballaggi;
  • all’errata o difettosa conservazione del prodotto.

È anche importante prevedere che i danni risarcibili - in conseguenza di difetto del prodotto – siano non solo quelli derivanti:

  • dalla lesione o morte di persone;
  • dal deterioramento materiale di cose diverse dal prodotto assicurato;

ma anche:

  • i danni patrimoniali consecutivi al danno materiale risarcibile, ad esempio i danni da interruzione di esercizio di attività professionali di terzi, nel caso di mercato B2C;
  • i danni patrimoniali non conseguenti a pregiudizi materiali e/o lesioni a persone, ma delle quali il produttore deve comunque rispondere, come ad esempio i danni conseguenti ad errori nell’etichetta con conseguenti vendite ad un prezzo inferiore o perdita di vendite del cliente/distributore.

Da porre infine molta attenzione alle esclusioni di polizza, ovvero alle limitazioni di operatività della copertura definite nel contratto di assicurazione, in particolare a quelle che tendono ad escludere i danni riconducibili a manifeste violazione di leggi, norme o regole tecniche ai fini della sicurezza dei prodotti in vigore al momento della messa in circolazione del prodotto che, ricordiamo, sono quelle del Paese dove avviene il danno.

[1] Il contatto con l’aria dovuto a tappatura che perde la propria ermeticità può provocare fenomeni ossidativi, che possono portare ad un cambiamento di colore o sapore. In questo caso non vi è alcun danno a persone o beni di terzi.

L’ambito temporale e territoriale delle coperture

Inizio e termine della garanzia

A differenza di quanto previsto dal nostro ordinamento, l'assicurazione di Responsabilità Civile Prodotti opera in formulazione “Claims made” ovvero per le richieste di risarcimento – relative ad un prodotto difettoso – avanzate nei confronti dell’Assicurato per la prima volta durante il periodo di efficacia dell'assicurazione stessa.

Il trigger che fa scattare l’operatività della polizza non è pertanto il momento in cui si è verificato l’evento dannoso ma la data ricezione della richiesta danni.

La denuncia di danno deve avvenire durante il periodo di efficacia della polizza e l’evento dannoso può essere accaduto anche in un periodo antecedente dello stesso, salvo eventuali limitazioni sul periodo di retroattività definito dall’assicuratore. Se non diversamente concordato con pattuizione speciale, successivamente alla cessazione del contratto, l'assicurazione perde ogni efficacia anche per gli eventi accaduti durante il periodo di validità del contratto.

Deve essere posta quindi molta attenzione al periodo di copertura che si intende acquistare, soprattutto nelle fasi di cambio assicuratore ed alla puntuale segnalazione di ogni richiesta danni e/o circostanza che possa generare una richiesta danni.

Territorialità

Come già anticipato nella gestione del rischio dei danni da prodotto difettoso è determinante l'ambito nel quale avviene il negozio di compravendita (B2C o B2B) nonché la legge applicabile nel paese di accadimento sinistro.

Le coperture assicurative R.C. Prodotti suddividono il mondo di due macroaree geografiche:

  • Usa, Canada, ed a volte Messico – (U.C.M.);
  • tutto il resto del Mondo – Rest of the World (R.O.W.).

La copertura assicurativa per danni afferenti l’area U.C.M. è oggetto di particolari pattuizioni e prevede usualmente delle limitazioni sulla retroattività, nonché franchigie e costi molto più elevati rispetto all’area R.O.W..

La discriminante per l’applicazione delle differenti tassazioni e franchigie è usualmente la vendita/fatturazione diretta verso i paesi di una o dell’altra area. Un danno avvenuto in U.C.M., dovuto ad un prodotto venduto in R.O.W., verrà considerato secondo le disposizioni previste per quest’ultima area.

Tale differenziazione di costi e condizioni è data principalmente da:

  • la complessità della legislazione e degli standard che regolano la produzione e la vendita di prodotti[2];
  • la diversità di legislazione di ogni singolo Stato americano;
  • l’esistenza dei c.d. Danni Punitivi, che possono sanzionare il produttore di un prodotto pericoloso in misura che può raggiungere importi molto elevati;
  • vertenze instaurate anche se il danno deriva per un uso irragionevole del prodotto qualora tale utilizzo scorretto fosse comunque prevedibile;
  • l’elevato costo delle spese legali e la differente ripartizione delle stesse (che non sono a carico della parte soccombente come accade in Italia).

[2] Negli USA esistono 3 tipi di reclamo contro un fabbricante di un prodotto: Strict Liability, Negligence e Breach of Warranty. Il fabbricante di un prodotto difettoso può essere ritenuto responsabile per i danni provocati da prodotto anche se è in grado di dimostrare che ha utilizzato “ragionevole cura” (reasonable care) nella progettazione, produzione, distribuzione e vendita del prodotto.

Estensioni di copertura assicurativa per il settore Wine

Ritiro Prodotti

Tra le principali estensioni di garanzia che è consigliabile acquistare per gli addetti del settore Wine, vi è sicuramente la Ritiro Prodotto a copertura delle spese sostenute per tali attività a seguito di: danni a terzi, documentata probabilità che essi possano accadere, o per ordine dell’Autorità. Sono generalmente indennizzate anche le spese di comunicazione, di trasporto del prodotto ritirato nonché della sua distruzione. La garanzia può essere estesa anche al ritiro di prodotto indiretto ovvero effettuato da terzi, scenario frequente nel caso di produttore intermedio.

L’estensione territoriale e temporale – specialmente per il mercato nordamericano - devono essere oggetto di pattuizione speciale con l’assicuratore.

Inquinamento accidentale

Questa estensione è relativa alla copertura dei danni da spargimento accidentale del prodotto, con contaminazione del suolo o delle acque/falde. In abbinata con la copertura di Responsabilità Ambientale tutela il danneggiante anche da richieste di sanitizzazione, ed eventuale smaltimento in rispondenza alla normativa Europea sulla responsabilità ambientale, che ha stabilito un regime di responsabilità basato sul principio "chi inquina paga".

Tampering

A garanzia della contaminazione accidentale o dolosa del prodotto: può essere inserita in una copertura RC Prodotti o può essere acquistata separatamente.

La polizza copre la presunta, minacciata o reale manipolazione del prodotto assicurato da parte di terzi (inclusi i dipendenti), sia quella dolosa, attuata con l’intenzione di rendere il prodotto pericoloso per la salute del consumatore, sia quella accidentale quale, ad esempio, l’involontaria contaminazione di prodotti biologici o la presenza di corpi estranei nel prodotto. Questa estensione di polizza generalmente copre problematiche che esulano dal mero danno cagionato a terzi, attraverso una serie di garanzie mirate che vanno dal rimborso delle spese di consulenza della crisi, comprese quelle per contrastare gli effetti dell’eventuale pubblicità negativa, ai costi affrontati per il ritiro dei prodotti difettosi, all’informazione da fornire ai consumatori, ai costi per la redistribuzione di prodotti integri ed infine – forse la più importante - alla copertura della perdita di profitto originata dalla contaminazione.

Perdite non solo immediate ma, anche e soprattutto, nel periodo successivo ad un evento che, se di rilevante portata mediatica, potrebbe causare pesanti ricadute sugli ordini e sui volumi di vendita.

La copertura assicurativa della filiera distributiva del vino

Garanzie del venditore (Vendor’s Liability)

Tipica estensione del mercato anglosassone (d’uso comune non solo area U.C.M.) in favore dei distributori e concessionari che vendono nel territorio i prodotti dell’assicurato, o di altri soggetti che possono essere ritenuti responsabili per la difettosità del prodotto.

Di regola l’estensione è oggetto di richiesta specifica da parte del distributore, in quanto i rivenditori non hanno controllo sulla realizzazione del prodotto e la richiesta di risarcimento viene invece spesso indirizzata nei confronti del distributore locale.

Con questa estensione sono considerati "Assicurati" anche le persone ed organizzazioni specificate in polizza per la loro responsabilità civile derivante esclusivamente dalla distribuzione o vendita dei prodotti fabbricati dall'assicurato e garantiti dalla polizza (esclusa qualsiasi attività anche di re-imballaggio).

Programmi internazionali

Nel caso in cui il produttore abbia una propria produzione all’estero e/o una rete distributiva con proprie filiali/società estere è possibile realizzare un progetto assicurativo finalizzato alla tutela delle attività in tutte le parti del mondo.

Una volta identificate le aree di rischio, l’interesse da garantire, la definizione delle condizioni economiche e normative, sarà emessa una copertura assicurativa strutturata tramite:

  • una Master Policy, emessa nel Paese dove è localizzata la sede principale dell’Azienda;
  • contratti locali direttamente nei Paesi esteri interessati, nel rispetto delle locali normative vigenti.

In questo modo si potrà:

  • standardizzare il livello di protezione per tutte le società nel mondo con razionalizzazione delle garanzie e ottimizzazione dei costi;
  • rispondere alle particolari esigenze assicurative richieste dai clienti esteri (in particolare del mercato Nordamericano), avendo un servizio sinistri strutturato, con monitoraggio centralizzato.

Il rischio trasporti e le coperture delle Merci Trasportate

Un’ultima e breve annotazione sul rischio correlato al trasporto del vino.

A seconda dei termini di resa (Incoterms – vedi qui un approfondimento) convenuti in qualunque spedizione nazionale e internazionale, sorgono obblighi e rischi a carico del venditore e del compratore.

Nel caso in cui tali termini prevedano obblighi e rischi di trasporto in carico al produttore/venditore è bene ricordare che la normativa prevede che il risarcimento dovuto dal vettore nei trasporti nazionali non può essere superiore ad € 1,00/ per Kg di peso lordo della merce perduta o avariata, salvo il caso di dolo o colpa grave. Per i trasporti internazionali via terra, resta in vigore la Convenzione CMR (per un approfondimento rimandiamo a questa sezione della Guida).

La responsabilità del vettore marittimo si limita, in caso di danneggiamento merci, ed escluso il dolo e colpa commerciale, a 2 D.S.P. per ogni chilogrammo o 666,67 D.S.P. per unità o collo (equivalenti a circa € 1,22 alla data del 01.01.2022). Spetta al danneggiato, individuabile in base al termine di resa, individuare il valore a lui più conveniente.

Nel caso vi sia un rischio, totale o parziale, a proprio carico (od anche solo se vi è un interesse affinché i beni siano assicurati durante il trasporto, ovvero se la merce non è ancora stata pagata – contingency clause) è utile valutare un’assicurazione merci al fine di non sottostare, in caso di danno, ai limiti indicati nella convenzione dell'Aja-Visby sopra indicati o dei più stringenti limiti previsti dal Carriage of Goods by Sea Act in caso di trasporti per e da USA di USD 500,00 per collo (inteso come container).

Per le imprese che hanno esposizioni regolari sui rischi di trasporto, la soluzione di una copertura in proprio oltre ad elevare il livello di copertura, si rivela generalmente anche economicamente più conveniente rispetto all’occasionale acquisto di estensione proposta dagli incaricati del trasporto.

La polizza copre i danni ai prodotti in fase di trasporto, comprese le operazioni di carico e scarico, sia per gli acquisti, sia per la vendita che per le spedizioni non soggette a fatturazione quali movimentazioni interne tra depositi propri o di terzi, spedizioni di merce in conto lavorazione, conto vendita e simili, trasferimenti interni, partecipazioni a fiere e manifestazioni, inclusa la giacenza presso le stesse.

La copertura opera in formulazione All Risks (può coprire i rischi di terremoto, scioperi, tumulti e sommosse, guerra) riguarda il trasporti di qualunque tipologia o formato di prodotto (bottiglie, damigiane, cisterne), comprende le giacenze di transito ed opera in tutto i paesi del mondo ed esclusione di quelli in stato di belligeranza od oggetto di sanzioni internazionali (sono possibili eventuali deroghe).

Il rischio Crediti Commerciali

Come abbiamo potuto constatare, i rischi in capo al produttore non si esauriscono con la vendita. Oltre al rischio da prodotto difettoso, un ulteriore importante area di rischio post-produzione è rappresentata dal mancato pagamento delle fatture, i cui effetti possono essere numericamente più contenuti ma altrettanto lesivi per la continuità aziendale.

La polizza tutela le transazioni commerciali tra imprese (B2B) con pagamento differito, a copertura del rischio di credito a breve termine - inferiore ai 12 mesi - derivante dal mancato pagamento delle fatture commerciali alla loro scadenza.

La copertura opera non solo per insolvenza di diritto (dove il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali) ma anche per accertata l’incapacità del cliente di adempiere alle proprie obbligazioni di pagamento, la c.d. insolvenza di fatto.

L’azienda assicurata non sarà quindi esposta a rischi di sovra-indebitamento per mancanza di liquidità, potendo fare affidamento sull’indennizzo dell’assicuratore in caso di insolvenza dei propri clienti.

La tutela dei dati e della privacy nel commercio internazionale del vino

Montanari - Legalmondo
Filippo Montanari

Il GDPR e la sua applicazione nel commercio del vino

Cosa prevede la normativa sui dati personali e sulla privacy

Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati n. 679/2016 è entrato in vigore il 25 maggio 2018 e si pone l’obiettivo di stabilire come i dati personali debbano essere trattati, raccolti, utilizzati, protetti e trasferiti. Il grande cambiamento (a livello nazionale) rispetto alla previgente normativa (il “codice privacy”) è che si passa da un sistema di autorizzazione preventiva da parte del Garante privacy ad un impianto basato sulla responsabilizzazione da parte di chi tratta dati personali.

La protezione dei dati dovrebbe essere presa in considerazione, infatti, sin dall’inizio della progettazione e dello sviluppo dei processi e delle infrastrutture aziendali. In altri termini, la compliance e l’impianto privacy dovrebbero essere pensate da subito al fine di garantire un livello di protezione elevato e, a tal fine, dovrebbero essere messe in atto misure che garantiscano la protezione dei dati (i famosi concetti di privacy by design e by default).

Il GDPR si applica unicamente ai dati delle persone fisiche (o alle ditte individuali, pensando alla normativa italiana societaria), quindi, ad esempio, un contratto che non preveda il trattamento di dati personali se non quelli strettamente necessari (i dati di contatto delle parti) non richiede particolari cautele dal punto di vista privacy.

Un punto di partenza fondamentale è capire quando si applica il GDPR, sia a livello materiale (a quali trattamenti) che territoriale. Le casistiche sono le seguenti:

  • la base operativa di chi effettua il trattamento si trova in UE (a prescindere da dove avviene il trattamento dei dati);
  • l’organizzazione (a prescindere da dove si trova) offre beni o servizi a cittadini europei;
  • l’organizzazione (a prescindere da dove si trova) monitora il comportamento delle persone risiedono in UE, a patto che tale comportamento abbia luogo in UE.

In sostanza, quindi, un ambito di applicazione molto ampio che mira a tutelare qualsiasi persona o trattamento dei dati che avvenga all’interno del territorio dell’UE o che sia effettuato da un soggetto residente in UE. Dal punto di vista territoriale, di conseguenza, si può escludere l’applicazione del GDPR nel caso si verifichino (congiuntamente) le seguenti condizioni:

  • il titolare (o il responsabile) del trattamento non ha sede nell’UE (nemmeno secondaria);
  • il trattamento non riguarda l’offerta di beni o servizi o il monitoraggio di cittadini UE;
  • il titolare/responsabile non si trova in un luogo dove si applicano le leggi UE.

Facciamo un esempio: la società italiana Gamma vende i prodotti vinicoli sul mercato cinese tramite una sua società controllata Delta con sede in Cina, anche attraverso piattaforme di e-commerce: ha necessità di essere conforme al GDPR solo perché è possibile che un cittadino residente nell’UE acquisti i prodotti tramite e-commerce?

La risposta dipende dal flusso di informazioni tra le due società: se, ad esempio, la controllata gestisce informazioni sui clienti e le trasmette in Italia, allora dovranno essere applicate le norme del GDPR. Occorre, quindi, prestare particolare attenzione alle proprie attività e quelle svolte dai propri partner commerciali, in quanto questi ultimi potrebbero essere soggetti alle norme del GDPR nonostante a prima vista così non sembri.

Titolare e responsabile: come identificarli correttamente?

Un secondo punto cruciale per quanto riguarda il trattamento dei dati è la corretta identificazione di titolare e responsabile, specie quando sono in gioco più figure. Al contrario di come normalmente avviene in un rapporto contrattuale, infatti, non sono le parti che stabiliscono in anticipo quali ruoli ricopriranno, ma è la realtà dei fatti che va inquadrata secondo quanto previsto della normativa sulla privacy.

Partiamo dalle definizioni: il titolare è “la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali” mentre il responsabile è “la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento”.

Quindi il titolare è il soggetto che decide, in autonomia i mezzi e gli scopi del trattamento. Ciò che rileva è l’autonomia decisionale che non dev’essere per forza assoluta, ma relativa agli elementi essenziali del trattamento, ossia:

  • finalità: sono i motivi per cui vengono trattati i dati; dunque, il titolare sarà il soggetto che stabilisce lo scopo e l’obiettivo da raggiungere attraverso il trattamento;
  • mezzi: il titolare dovrà determinare anche quali dati verranno trattati, il periodo di conservazione, le categorie di interessati da cui raccoglierli, chi avrà accesso ai dati, i destinatari dei dati ecc...

Ovviamente può esserci più di un titolare: si parlerà in tal caso di titolarità autonoma (se ciascuno decide indipendentemente) o di contitolarità (se le attività vengono svolte assieme).

Per quanto riguarda il responsabile (che dev’essere un soggetto esterno all’organizzazione), l’accento viene sempre posto sul concetto che lo stesso agisca “per conto del titolare”: di conseguenza le azioni del responsabile sono in un rapporto di diretta dipendenza e necessitano di istruzioni da parte del titolare.

Il responsabile svolge le proprie funzioni in forza di un contratto, nell’interesse e secondo le istruzioni del titolare, per quanto riguarda le finalità e i mezzi del trattamento (come sopra indicato). Ad ogni modo, ciò non determina una subordinazione totale, posto che si può riservare al responsabile un ampio margine di autonomia nella determinazione degli elementi non essenziali del trattamento.

Qui è dove il confine diventa labile: quest’autonomia rischia di trasformare il responsabile in un titolare; è importante, quindi, prevedere in modo chiaro che l’eventuale indipendenza nelle attività deriva da una decisione del titolare.

In sostanza, il responsabile può godere di autonomia nel normale ambito di discrezionalità a sua disposizione stabilito dal contratto. Nel caso in cui, invece, il responsabile dovesse violare il contratto e quindi procedere ad un autonomo trattamento non previsto e non autorizzato, si configurerà una titolarità autonoma in capo al soggetto a cui è stata esternalizzata l’attività di trattamento (e una possibile responsabilità in capo al titolare per mancati controlli).

Facciamo un esempio: una cantina vinicola decide di aprire un sito di e-commerce per vendere i suoi prodotti sul territorio nazionale e all’estero, incaricando una società specializzata di creare e gestire sito. In questo caso la cantina decide le finalità e le modalità di trattamento mentre la società informatica agisce per conto della prima; dunque, la Cantina sarà qualificabile come titolare e la società di informatica agirà in qualità di responsabile.

Come si inquadra, invece, il caso di un agente o distributore che promuova o venda i prodotti della cantina

Non esiste una risposta univoca e dipende molto dalla realtà concreta dell’attività svolta dall’intermediario commerciale. Proviamo a fare alcuni esempi “mirati” da inquadrare nei vari ruoli privacy:

  • responsabile del trattamento: agente che opera con proprio pc e cellulare, proprio database clienti, ma che utilizza moduli per gli ordini dalla mandante, con relativa informativa. In questo caso è evidente che le finalità e i mezzi sono decisi dal preponente e che l’agente, seppur con un grado di autonomia, soggiace alle istruzioni del titolare;
  • titolare del trattamento: agente che opera con un proprio data base di clienti e autonoma organizzazione di mezzi e la modulistica, sia contrattuale che privacy è dell’agente. In questo caso l’agente opera in modo autonomo ed è da qualificarsi come titolare, mentre Il ruolo del preponente può variare a seconda del fatto che sia esso stesso titolare o meno.

Per quanto riguarda i distributori, invece, generalmente per la loro attività sono più autonomi degli agenti, acquistando direttamente il prodotto e vendendolo a propri clienti. Per tale motivo generalmente gli stessi vanno inquadrati come titolari del trattamento e quindi nel contratto non sarà necessario alcun adempimento privacy, limitandosi alla mera vendita.

Sarà compito del distributore, eventualmente, prevedere nei propri documenti privacy la possibilità, di comunicare il nominativo del cliente finale persona fisica al produttore (anche se spesso questi casi riguardano obblighi di legge – questioni di garanzia o reclami ad esempio). Tale adempimento può essere previsto anche come obbligazione nel contratto di distribuzione.

Relativamente, infine, ad eventuali ulteriori attività (promozionali, trasferimento di dati tra i soggetti) le stesse dovranno sempre essere descritte sia a livello contrattuale che nei documenti privacy forniti all’utente finale, che ha diritto di sapere come verranno utilizzati i suoi dati e a chi potranno essere trasferiti.

Occorre, in conclusione, prestare molta attenzione all’inquadramento dei ruoli privacy in un sistema di distribuzione commerciale, per configurare un impianto corretto: è importante ricordare che il Garante ha il potere, all’esito delle proprie attività ispettive, di riqualificare i rapporti tra due soggetti, sanzionando l’eventuale titolare che cerca di “scaricare” le proprie responsabilità su altri soggetti con un inquadramento non corretto.

La gestione degli adempimenti sulla Privacy nei contratti

Quali clausole o documenti vanno creati per essere in regola con la normativa in materia di protezione dei dati personali?

Dipende dal tipo di rapporti tra i soggetti coinvolti:

  • se il rapporto è di titolare/responsabile, il titolare dovrà predisporre una nomina a responsabile del trattamento. Tale documento, separato dal contratto principale, dovrà contenere tutte le prescrizioni previste dal GDPR, oltre alla descrizione specifica di quali dati il responsabile andrà a trattare, come dovrà trattarli e così via. La nomina si intende a titolo gratuito (nessun ulteriore compenso oltre a quello stabilito nel contratto principale) e con durata legata al contratto (se viene meno quello viene meno anche la nomina);
  • se il rapporto invece è di titolare/titolare oppure non prevede alcun trattamento particolare di dati, non è necessario formalizzare alcun documento aggiuntivo. Sarà sempre opportuno inserire, in ogni caso, nel contratto principale, una clausola privacy di impegno reciproco al rispetto della normativa in materia;
  • dal lato dell’azienda titolare del trattamento è poi consigliabile inserire una clausola di manleva, che preveda il risarcimento dei danni provocati dalla violazione e l’inadempimento del contratto da parte del responsabile nominato. Un esempio di tale clausola potrebbe essere “Il responsabile garantisce di aver posto in essere tutti gli adempimenti necessari ad operare in modo conforme alla normativa in materia di dati personali, nonché si impegna a manlevare e tenere indenne il titolare da qualsiasi danno o pretesa derivante dall’esecuzione del presente contratto e che dovesse provenire dai soggetti coinvolti, da terzi o da Autorità Pubbliche in caso di violazione della normativa in materia di trattamento dei dati personali da parte del responsabile”.

Il trasferimento dei dati fuori dallo Spazio Economico Europeo

Gli strumenti di di trasferimento

Un punto (spesso critico) è infine quello relativo al trasferimento dei dati personali fuori dallo Spazio Economico Europeo (in altre parole l’UE più Norvegia, Liechtenstein e Islanda).

Il GDPR dedica un intero Capo dedicato a tali trasferimenti, in particolare per quanto riguarda le corrette modalità: si verifica un trasferimento “extra UE” quando i dati passano da un soggetto che soggiace al GDPR a un altro che invece risiede in un paese dove tale normativa non si applica. Esportatore e importatore devono essere soggetti diversi: il fattore determinante è la collocazione geografica dei soggetti, che devono essere, rispettivamente, all’interno e al di fuori del territorio dell’UE. La semplice pubblicazione di dati su un sito Internet non può considerarsi trasferimento, ma solo la comunicazione diretta a destinatari specifici rientra nella nozione di "flusso transfrontaliero".

In generale, un trasferimento fuori dal SEE è vietato, perché si è ritenuto che fuori da tale ambito territoriale non sia garantita un’adeguata tutela dei dati personali. Dato che ciò comporterebbe, di fatto, un grande ostacolo alle attività commerciali internazionali, il regolamento disciplina una serie di strumenti che possono garantire un livello di tutela paragonabile a quello del GDPR.

Tali strumenti sono:

  • decisioni di adeguatezza: la Commissione europea ha il potere di giudicare conforme il livello di protezione offerto da un determinato paese terzo. Alcuni esempi sono Regno Unito, Argentina, Canada. Con riferimento agli USA, nel 2020 la Corte di Giustizia ha ritenuto non più adeguata la tutela offerta dalla normativa privacy statunitense, rendendo inefficace la decisione di adeguatezza. Ad oggi quindi i trasferimenti verso gli USA richiedono altre misure di garanzia;
  • SCCs (Clausole contrattuali standard): Il titolare del trattamento può stipulare un contratto le cui clausole garantiscano un livello di protezione adeguato. La Commissione ha recentemente pubblicato le nuove SCCs che, se inserite nel contratto, permettono il trasferimento verso paesi terzi. Le nuove SCC prevedono specificamente la valutazione del rischio e dell'impatto del trasferimento (TIA).

È anche possibile creare delle clausole ad hoc basandosi (o meno) su quelle emanate dalla Commissione, ma in tal caso occorrerà sottoporle al vaglio del Garante privacy.

Va ricordato che il semplice inserimento di una SCCs non garantisce un’immunità al titolare del trattamento. Nel rispetto del principio dell’accountability il Titolare deve sempre monitorare che i propri responsabili o i soggetti ai quali trasferisce i dati siano affidabili; in caso contrario e di violazione del regolamento rischia di subire una sanzione.

  • Norme vincolanti di impresa (binding corporate rules): Il GDPR prevede uno specifico strumento per il trasferimento dei dati tra società facenti parti dello stesso gruppo d'impresa. Le BCR sono, in sostanza, un documento contenente una serie di clausole che fissano i principi vincolanti per tutte le società appartenenti allo stesso gruppo. In questo caso le clausole devono essere sottoposte alle autorità di controllo, ma è possibile elaborare clausole sulla base di quelle già esistenti e sulle quali già si siano pronunciati i garanti, in modo da avere sufficiente certezza che siano accolte.

Il regolamento prevede, inoltre, alcune ipotesi nelle quali il trasferimento extra UE può avvenire in deroga a quanto sopra descritto. Quelle più rilevanti ai fini della presente guida sono:

  • l’esplicito consenso dell’interessato, che dev’essere informato dei rischi di un trasferimento senza adeguate garanzie. Il consenso può essere utilizzato se la relativa finalità di trattamento risulti accessoria e non obbligatoria a quella principale (ad esempio nel caso di vendita del prodotto e richiesta del consenso anche per finalità promozionali, con trasferimento fuori UE);
  • un trasferimento occasionale e necessario all’esecuzione di un contratto (o la prestazione di un servizio) concluso tra l’interessato e il titolare del trattamento o con un soggetto che opera a favore dell’interessato (un esempio può essere l’acquisto di vino sul sito web di una Cantina/Venditore che si trova fuori UE, che poi viene spedito in UE. Il trasferimento di dati è occasionale in quanto verranno utilizzati unicamente ai fini della spedizione delle necessarie attività amministrative/di pagamento).

Le deroghe, quindi, possono essere utilizzate solo per trasferimenti occasionali e non ripetitivi. Non sono utilizzabili per i trasferimenti di convenienza (cioè se un'azienda preferisce, ad esempio per ragioni economiche, trasferire i dati degli europei su server negli Usa, pur potendo fare diversamente).

Si ricorda, in ogni caso, che nell’informativa fornita per i trattamenti che comportano trasferimenti di dati fuori dall’UE è necessario indicare il paese di destinazione e la base giuridica del trasferimento, nonché le eventuali misure di garanzia adottate.

Il trasferimento dei dati negli USA

A seguito dell’invalidazione del Privacy Shield non è più ammesso il trasferimento dei dati negli USA basato sulla convenienza (specialmente economica) dell'azienda titolare. Ad esempio, un'azienda che offre servizi cloud non potrà trasferire i dati dall'Europa negli Usa solo perché ha maggiore convenienza a tenere i dati sui server Usa piuttosto che europei.

L'azienda può avvalersi, quindi, delle SCCs ma deve garantire che i dati non siano utilizzati in contrasto con le norme europee: ciò è problematico, perché, come detto sopra, le agenzie di sicurezza americane possono accedere ai dati e non esiste un rimedio ad una violazione dei dati da parte di tali agenzie. Sarà necessario, quindi, valutare sempre attentamente a quali soggetti USA i dati vengono trasferiti e quali misure di sicurezza aggiuntive si possono applicare per garantire la tutela dei dati personali (le SCCs sono uno “scheletro” ma nulla vieta che vengano integrate con previsioni ulteriori).

È, poi, necessario che chi trasferisce i dati verso gli USA si assicuri che siano cifrati, in modo da tutelarsi da eventuali controlli da parte delle agenzie.

Tornando agli esempi su agenti e distributori, si configurano vari scenari:

  • se i dati vengono trasferiti tra preponente e agente/distributore, a qualsiasi titolo, dall’UE agli USA occorrerà che il titolare del trattamento adotti una delle misure di garanzia previste dal regolamento per poter trasferire i dati al responsabile (e quindi poterli anche conservare negli USA);
  • se i dati vengono trasferiti tra preponente e agente/distributore, a qualsiasi titolo, dagli USA all’UE occorrerà che chi riceve i dati in UE rispetti il GDPR per quanto riguarda la conservazione, le misure di sicurezza e la corretta gestione dei dati.

Il trattamento dei dati e le norme sulla privacy in Cina

La Cina ha approvato di recente la Personal Information Protection Law (“PIPL”), una nuova legge che regola il trattamento dei dati personali, che è entrata in vigore il 1° novembre 2021. Il nuovo testo di legge ha molto in comune con il GDPR e si spera possa aprire la strada ad un flusso di dati più agevole tra UE e Cina.

L’art. 38 della PIPL stabilisce la possibilità di un trasferimento dei dati fuori dalla Cina se si ottengono i seguenti requisiti:

  • ottenere il consenso, informato, separato, dell’interessato, laddove il consenso sia la base giuridica del trattamento;
  • effettuare una valutazione dell’impatto;
  • soddisfare una delle quattro condizioni speciali.

Le condizioni speciali individuare dal legislatore sono le seguenti:

  • valutazione di sicurezza da parte del Cyberspace Administration of China (“CAC”);
  • certificazione che attesti la conformità con le disposizioni CAC;
  • conclusione di un contratto in conformità allo standard contrattuale elaborato dal CAC;
  • altre condizioni previste da leggi, regolamenti amministrativi del CAC.

Il “titolare dei dati”, deve anche comunicare una serie di informazioni molto simili a quelle previste dall’art. 13 del GDPR.

Per quanto riguarda i trasferimenti di dati verso la Cina dall’UE, visto che al momento la Cina non possiede una decisione di adeguatezza e si dubita che la stessa potrà arrivare in tempi brevi (anche se la PIPL è un passo in avanti rispetto al passato), rimangono gli altri strumenti relativi alle garanzie adeguate di trasferimento. Sarà quindi necessario procedere a valutazioni specifiche riguardo a ogni trasferimento, con l’obiettivo di garantire una protezione adeguata per i diritti e le libertà degli interessati.

La soluzione consigliata è predisporre dei contratti dove vengono inserite le SCCs della Commissione europea (oppure utilizzare il consenso, sempre se applicabile).

Le aziende UE che hanno in essere (o che intendono intraprendere) relazioni commerciali con la Cina che comportano un trasferimento di dati devono dunque dare la giusta attenzione sia alla nuova normativa cinese che al GDPR, in modo da adottare misure adeguate alla tutela dei dati personali.

Il Metodo per l’Internazionalizzazione

Gallu - Legalmondo
Pierantonio Gallu

I 6 step del processo di internazionalizzazione

Perché è necessario lavorare con metodo?

Internazionalizzazione è una parola difficile da pronunciare, ma soprattutto è una strategia di sviluppo d’impresa che, come ormai dimostrato da tutte le statistiche, le aziende che vogliono crescere non possono non intraprendere.

Nell’affrontare i mercati esteri molte aziende, soprattutto le PMI, hanno però spesso il problema di trasformare in un percorso chiaro e attuabile tutte le informazioni che hanno magari acquisito da libri, corsi e seminari sull’internazionalizzazione, e questo rende difficoltoso mettere in pratica la teoria acquisita.

Per questo è necessario un metodo di lavoro che costituisca una guida per l’azienda nel processo di internazionalizzazione, e che fornisca una logica e degli strumenti concreti che possano essere applicati da chi lavora in azienda per entrare e operare sui mercati esteri.

Nella mia esperienza un metodo di internazionalizzazione efficace si basa su 6 step fondamentali e sequenziali:

  • l’analisi della struttura organizzativa dell’azienda ai fini di supportare una strategia di internazionalizzazione;
  • la raccolta ed elaborazione strutturata di informazioni sui mercati esteri;
  • la definizione dei paesi più attrattivi e dei mercati prioritari;
  • la scelta di una modalità strategica di entrata e sviluppo nei paesi target;
  • la formulazione di un Business Plan per l’internazionalizzazione;
  • lo sviluppo dei canali distributivi nei nuovi mercati.

Vediamo sinteticamente queste fasi una per una, soffermandoci – visto che questa Guida tratta di distribuzione commerciale internazionale – su quella dedicata alla costruzione e allo sviluppo dei canali distributivi.

Chi fosse interessato ad approfondire i 6 passaggi citati sopra con i relativi strumenti operativi può fare riferimento al seguente link: GO ABROAD (channelmarketing.it).

L’analisi della struttura organizzativa dell’azienda

Prima di pensare di sviluppare una strategia di internazionalizzazione l’azienda deve chiedersi se la propria struttura organizzativa può supportare questa strategia. Per fare questo deve valutare in modo approfondito le risorse di cui dispone, in termini di persone, di competenze, di prodotti, di processi e di risorse finanziarie. Questo le consentirà di individuare quali sono i punti deboli da correggere, se vuole praticare con successo la strada dell’internazionalizzazione.

Per le PMI, la prima e fondamentale valutazione da fare è quella sul commitment della Proprietà, di chi guida l’azienda, riguardo l’importanza strategica dell’internazionalizzazione. “Andare all’estero” richiede fatica ed investimenti, e solo con l’impegno convinto e perseverante che deriva da una Proprietà commited si riusciranno a superare i momenti difficili che inevitabilmente arriveranno.

La raccolta ed elaborazione strutturata di informazioni sui mercati esteri

Questa è la fase più lunga e laboriosa, perché comporta la raccolta e l’aggiornamento sistematico di tutte le informazioni necessarie a supportare una strategia di internazionalizzazione.

La prima cosa da fare è decidere quali sono gli indicatori utili per valutare quanto un Paese estero può essere interessante lo specifico business dell’azienda. È importante scegliere bene questi indicatori, dai più generali di carattere demografico ed economico a quelli più specifici per il settore in cui opera l’azienda, e limitarli a non più di una dozzina per non rendere la raccolta e l’analisi troppo complicate.

È fondamentale, inoltre, che la raccolta dei dati sia sistematica, e che i dati vengano raccolti in un database da aggiornare almeno annualmente.

Oltre alle informazioni quantitative, che permettono di avere una prima panoramica su un gran numero di nazioni, sarà necessario raccogliere anche delle informazioni qualitative su quei paesi che l’azienda ritiene più appetibili per il suo business.

Sono quelle informazioni mirate a capire meglio le opportunità e i rischi che può comportare il fare business in un determinato paese, come per esempio la situazione politica ed economica, l’imposizione fiscale, il livello della concorrenza, i canali distributivi.

Un esempio eclatante nel mondo del vino è quello che è successo in Cina nella prima metà del 2021, quando il governo cinese a fronte di tensioni commerciali con l’Australia ha imposto dazi sul vino australiano tra il 116,2% e il 218,4%, quando fino ad allora erano esenti da dazi come i vini cileni. Questo ha fatto crollare la quota di mercato dei vini australiani, primi esportatori in Cina, dal 40% al 7%, con una perdita del 81% in valore e del 84% in volume. Si è aperta così un’opportunità enorme, di diverse centinaia di milioni di dollari, per i vini europei. Opportunità sfruttata in primis dalla Francia, che è diventata leader nelle importazioni, ma anche dall’Italia che è passata dal quinto al terzo posto, scavalcando appunto Australia e Spagna.

La definizione dei paesi più attrattivi e dei mercati prioritari

Questa è una fase cruciale, il primo snodo decisionale della strategia di internazionalizzazione: la definizione dei mercati prioritari per l’azienda.

In questa fase si devono passare al setaccio tutti i mercati analizzati nella fase precedente e, come fanno i cercatori d’oro che separano le pepite dalla sabbia e dai sassi, trovare i mercati potenzialmente più preziosi.

In tutte le decisioni di marketing, come lo è la scelta dei mercati prioritari, vi è una parte di scienza, basata su dati e metodo, e una parte di arte, basata sull’intuito e l’esperienza. Quanto più intuito ed esperienza si avvalgono di dati che supportano le decisioni tanto migliori sono le scelte che si fanno.

Partendo dagli indicatori che si sono scelti nella fase precedente, per ognuno di essi si dovrà stabilire un peso e definire dei range di attrattività identificati da dei punteggi da assegnare ai diversi range. Valutando con questo metodo tutti i mercati potenzialmente interessanti si arriva a definire una prima graduatoria di attrattività.

A questo punto, per scegliere su quali mercati concentrare le risorse in maniera prioritaria, la graduatoria ottenuta va pesata con tutte le informazioni di tipo non quantitativo riguardanti i diversi mercati.

Questo metodo consente di fare delle scelte non più basate solo su dei giudizi soggettivi o delle opportunità estemporanee, come purtroppo spesso accade, ma su dei dati oggettivi e delle informazioni affidabili.

La scelta di una modalità strategica di entrata e sviluppo nei paesi target

Questa fase fa da ponte fra la fase analitica e quella strategica del processo di internazionalizzazione.

La definizione della modalità di entrata o di sviluppo nei diversi paesi, per esempio tramite esportazioni dirette o istituendo una filiale propria o in joint venture con un operatore locale, è una decisione che influenza tutta la strategia che si metterà in atto nel paese stesso. È una decisione complessa, che deve tenere conto di molti fattori e che richiede una attenta valutazione di costi, benefici e rischi.

La decisione sulla modalità di entrata viene presa mediante una serie di approssimazioni o deduzioni successive, che derivano sia dalle fasi precedenti di analisi che da quelle successive, soprattutto dallo sviluppo del Business Model che vogliamo adottare nel nuovo mercato.

Può però essere d’aiuto uno strumento di analisi costituito da una matrice che mette in relazione l’attrattività dei mercati che abbiamo definito nella fase precedente, con la valutazione della capacità competitiva dell’azienda negli stessi mercati.

La valutazione della capacità competitiva richiede di considerare diversi aspetti, i più importanti dei quali sono:

  • le linee di prodotto offerte;
  • la qualità del prodotto;
  • la conoscenza del brand;
  • la competitività di prezzo;
  • i segmenti di utilizzatori target;
  • i canali di distribuzione.

Anche per la capacità competitiva si dovrà definire un indice per ogni paese, con un metodo simile a quello adottato per la definizione dell’attrattività, assegnando un peso e dando una valutazione numerica ai diversi parametri.

La matrice attrattività/competitività che risulta da questa analisi, come si vede dal grafico seguente, dà una indicazione di quale potrebbe essere la modalità di entrata più adatta nel medio/lungo periodo, a seconda dell’area della matrice in cui ogni paese oggetto di analisi è posizionato.

Dopo avere effettuato l’analisi attrattività/competitività, per giungere a una definizione delle strategie di sviluppo internazionale nei vari paesi target sarà importante porsi le domande corrette, per arrivare a delle scelte ben ponderate e condivise.

La formulazione di un Business Plan per l’internazionalizzazione

È fondamentale mettere per iscritto la strategia di internazionalizzazione, definire gli obiettivi e gli investimenti nel medio termine e tradurli in azioni e responsabilità operative. Inoltre, coinvolgendo nella formulazione del Business Plan tutte le funzioni aziendali si condividono gli obiettivi, le strategie e le azioni, con il risultato che tutti sanno quello che devono fare e come la loro attività si coordina con quella degli altri.

La strategia che si sviluppa in ogni mercato è influenzata da quello che l’azienda intende fare negli altri mercati, perché le sue risorse sono limitate. Per questo l’azienda deve riportare in un unico Business Plan la sua strategia di internazionalizzazione su tutti i mercati.

Chiarito il Business Model, occorre definire un preciso posizionamento competitivo attuale e prospettico, rispetto ai concorrenti.

Il Business Plan che scaturisce da queste analisi sarà poi declinato in un Piano di Marketing, un Piano Organizzativo, un Piano delle Operations e un Piano Finanziario.

Lo sviluppo dei canali distributivi nei nuovi mercati

La gestione dei canali distributivi è una delle 4 P del marketing mix di Philip Kotler: Product, Price, Promotion e Place. Sul marketing mix si fonda tutto il marketing operativo.

Nell’ambito del marketing mix da implementare nei mercati target, esplicitato nel Piano di Marketing, lo sviluppo dei canali distributivi ha un’importanza fondamentale nella strategia di internazionalizzazione. Soprattutto per le PMI che operano sui mercati internazionali prevalentemente tramite una rete di intermediari commerciali.

Per l’azienda è necessario avere una rete di distributori forti, fedeli e che trasmettano correttamente agli utilizzatori finali il valore che l’azienda ha sviluppato per loro.

Perché questo avvenga è necessario un processo strutturato di analisi, qualificazione e sviluppo dei distributori, in base a un sistema di indicatori e obiettivi definiti insieme con il personale commerciale dell’azienda e con le persone che sono a diretto contatto con i distributori. Saranno infatti questi ultimi ad avere in prima battuta la responsabilità di raggiungere gli obiettivi previsti per ciascun mercato.

Inoltre, il coinvolgimento della forza vendita costruisce le competenze per gestire in modo più professionale i clienti, in modo che diventino patrimonio aziendale per operare in modo più efficace sui mercati esteri.

Caso di studio

La ricerca di un distributore sul mercato cinese

Per la stragrande maggioranza delle PMI, soprattutto se parliamo di B2B, il canale per eccellenza per entrare e fare business nel mercato cinese sono i distributori.

Alle aziende che si affacciano per la prima volta sul mercato cinese, io consiglio sempre un approccio graduale per la ricerca e lo sviluppo dei distributori

  • parti con il trovare uno o due buoni distributori, nelle aree che hai definito come prioritarie da una precedente ricerca di mercato;
  • gestiscili con cura per qualche tempo, per prendere confidenza con il mercato;
  • se poi le cose procedono bene inizia ad allargare la rete dei distributori coprendo altre province e magari considera degli investimenti diretti.

Ma come puoi fare per trovare dei buoni distributori in Cina? Tradizionalmente le nostre PMI si affidano a metodi del tutto destrutturati e basati più sulle opportunità che su una ricerca mirata. Il caso tipico è l’incontro in fiera con aziende cinesi, che si spacciano per leader di mercato in Cina e promettono risultati mirabolanti, per poi fallire miseramente alla prova dei fatti.

Il caso della Cina è particolarmente complesso, perché è difficile verificare le informazioni societarie dei candidati e il loro track record, con il rischio di affidarsi a soggetti che vantano un avviamento commerciale in realtà inesistente e prospettano obiettivi commerciali del tutto fuori dalle loro capacità.

Il mercato del vino in Cina, inoltre, è molto volatile e popolato ad un gran numero di intermediari che spesso non hanno esperienza specifica nel settore e si occupano di vino solo come business secondario.

Affidarsi ad un distributore sbagliato può significare perdere tempo ed opportunità nel migliore dei casi, andare incontro ad inadempimenti e vere e proprie truffe, nel peggiore.

Ma il problema non è solo individuare il candidato giusto: è necessario condividere il piano di sviluppo sul mercato, le azioni necessarie gli investimenti, l’attività promozionale: vendere uno (o tanti) container e sperare che del resto si occupi il distributore è un comportamento molto frequente, che però non aiuta a costruire una relazione solida di lungo termine.

Per questo, per la ricerca di distributori io consiglio di dotarsi di un metodo strutturato, che parte dalla definizione del profilo del tuo distributore ideale in Cina. In questo modo è possibile attirare i candidati giusti, gestire al meglio gli incontri con i potenziali distributori e soprattutto a valutare in seguito con obiettività le aziende che incontri.

Per tracciare il profilo ideale è necessario ragionare su questi aspetti:

  • che tipo di azienda mi interessa;
  • come deve essere organizzata;
  • quali prodotti deve distribuire;
  • quale deve essere la sua area di copertura commerciale;
  • a che tipo di clienti si rivolge;
  • quale deve essere la sua esperienza nel trattare con aziende internazionali;
  • qual è il suo approccio di marketing e commerciale al mercato.

Con il profilo del distributore ideale in mano, e soprattutto in testa, sarà molto più facile cercare e valutare i potenziali distributori in Cina.

Schede paese

L’UE: un mercato unico del vino con sfumature diverse

Roberto Luzi Crivellini

L’Unione Europea (EU) è un’unione economica e politica, di 28 stati membri (mentre scriviamo, la Brexit non è ancora entrata in vigore), che garantisce la libera circolazione di merci, servizi, capitali e lavoro all’interno del mercato unico il quale, al momento, costituisce approssimativamente il 25% del PIL nominale mondiale.

Il mercato dell’UE è governato da un insieme di regole che permette ai produttori di avere facile accesso al mercato comune e di distribuire i prodotti in tutti i 28 stati senza che vengano applicati dazi e con un sistema uniforme.

La regolamentazione uniforme dell’UE governa diversi settori legati alla distribuzione vinicola, fatta esclusione delle norme sui limiti di età per l’acquisto o il consumo di bevande alcoliche, di quelle riguardanti la pubblicità o vendita al dettaglio del vino, o di altri aspetti relativi alle politiche sanitarie e sociali dei singoli stati membri dell’UE.

L’UE è il più grande produttore di vino al mondo, e la maggior parte di tale produzione è concentrata nei paesi meridionali (ad esempio: Francia, Italia e Spagna). I principali importatori (ad esempio: Germania, Olanda, Austria e Danimarca) sono, storicamente, paesi nei quali la produzione interna non è sufficiente a soddisfare la domanda. Il mercato del vino dell’Europa dell’est è ancora piuttosto limitato in termini di vendite, ma sta recentemente prendendo slancio grazie al miglioramento della qualità della vita.

Ultima, ma non meno importante, è la maturità del consumatore medio: è questa la caratteristica chiave per la quale il consumatore è sempre più attento alla qualità e sostenibilità del prodotto.

Il Mercato europeo rimane, quindi, uno dei mercati di riferimento, offrendo notevoli vantaggi in termini di: regole uniformi, libera circolazione delle merci, potere d’acquisto e maturità dei consumatori. Il mercato è, però, molto competitivo, e richiede una strategia di distribuzione chiara. 

Il marchio UE: (quasi) sempre la scelta giusta

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Giuliano Stasio

Nonostante la contraffazione non sia un fenomeno esteso, è, tuttavia, consigliabile, registrare il marchio prima di entrare nel Mercato europeo, in modo tale da proteggerlo da contraffazioni e da tentativi di registrazione o di uso di marchi simili.

Nell’UE, lo stesso marchio può essere registrato a livello comunitario e/o a livello nazionale; è, pero, raccomandabile – soprattutto per i produttori extra-UE – registrarlo presso l’UE, dato che, attraverso questa sola registrazione, il produttore acquisisce diritti esclusivi in tutti i 28 paesi.

In generale, le procedure si completano nel giro di 10 mesi (5, qualora vi siano certe condizioni), ed il diritto di precedenza sul marchio viene acquisito al momento di presentazione della relativa domanda. La registrazione ha una durata di 10 anni e si può rinnovare indefinitamente.

Un altro dei vantaggi della registrazione presso l’UE sono le tariffe: il costo della domanda per registrare un marchio europeo è di gran lunga inferiore di quanto lo sarebbe presentare le domande a livello nazionale in tutti i paesi membri. La registrazione a livello nazionale sarebbe, dunque, da valutare solo nel caso in cui si operasse in meno di tre o quattro paesi comunitari.

Il lato negativo della registrazione del marchio UE è che, data la grandezza dell’UE, la probabilità che sorgano conflitti con marchi preesistenti aumenta: la miglior prassi da seguire è affidarsi ad un professionista qualificato, che, attraverso ricerche di anteriorità, cercherà nomi e marchi prima di presentare la domanda. 

Le categorie di qualità del vino in UE

Roberto Luzi Crivellini

Fino al 2008 i vini europei erano divisi in due macro-categorie di qualità: vini da tavola e vini di qualità prodotti in regioni determinate. Nel 2008 l’UE ha deciso di uniformare la categorizzazione delle diverse qualità di vino (e delle altre bevande alcoliche) a quella degli altri prodotti alimentari e, pertanto, ha distinto tra i vini a Origine Geografica e i vini non a Origine Geografica: i primi (a loro volta distinti tra DOP e IGP) sono quelli che possiedono un legame territoriale e un disciplina-re, i secondi non hanno né un legame territoriale, né disciplinare di produzione e corrispondono, in sostanza, a quelli che precedentemente venivano definiti “vini da tavola".

Ad oggi, esistono 1306 denominazioni di origine in UE (di cui 474 in Italia, 380 in Francia e 102 in Spagna) e 460 indicazioni geografiche protette (di cui 129 in Italia, 116 in Grecia e 75 in Spagna).

Anche stati extra-UE possono richiedere l’utilizzo di queste categorie di qualità, tant’è vero che l’UE riconosce due vini con denominazione di origine protetta (1 in Brasile, 1 negli USA) e 442 vini con indicazione geografica (di cui 153 in Sud Africa, 78 in Australia, 37 in Svizzera e 36 in Albania).

Le informazioni nell'etichetta del vino

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Giuliano Stasio

Le informazioni contenute nelle etichette si dividono in obbligatorie e facoltative: la lista varia a seconda della categoria del vino, e viene specificata in maniera diversa per certi tipi speciali di vini. Ciononostante, tutte le etichette devono fornire almeno le seguenti informazioni:

  • la denominazione di vendita del prodotto (le informazioni saranno diverse, a seconda del vino);
  • il volume nominale;
  • il titolo alcolometrico volumico reale, seguito dal simbolo “% vol” e preceduta, facolta-tivamente, dalle espressioni “titolo alcolometrico effettivo” o “alcole effettivo” o dall’abbreviazione “alc”;
  • il numero di lotto;
  • la presenza di solfiti, nel caso vi fossero;
  • per i vini d’importazione: il paese di origine, il nome originale e, nel caso di prodotti ot-tenuti da una miscela di vini o di uva vendemmiata in un paese terzo, l’indicazione di queste informazioni.


Tutte le informazioni obbligatorie devono essere indicate nel medesimo campo visivo della bottiglia, oltre a dover essere chiaramente leggibili. Tuttavia, i riferimenti riguardo agli ingredienti, il numero di lotto e l’importatore, ove applicabili, possono figurare fuori del campo visivo.

Le informazioni facoltative devono essere chiaramente distinguibili dalle informazioni obbligato-rie di cui sopra.

Come visto in precedenza, la legislazione dell’UE definisce anche l’uso delle denominazioni, dei termini che si riferiscono a determinati metodi di produzione, alla dolcezza (da secco a dolce), alla varietà dell’uva ed all’annata, a certe forme della bottiglia e tipi di chiusura; categorie, queste, che conformano i prodotti a requisiti strettamente determinati.

Le informazioni obbligatorie devono figurare in un linguaggio di facile comprensione per il consumatore dello stato membro nel quale il prodotto è commercializzato, ed ogni stato può stabilire che le informazioni siano fornite in una o più lingue. 

Importare vino da paesi extra CE: il documento VI1

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Giuliano Stasio

Gli esportatori di paesi terzi devono presentare un attestato ed un bollettino d’analisi (entrambi redatti da un organo competente del paese d’origine) che dimostrino la conformità dei vini esportati con le pratiche enologiche permesse dall’UE: si tratta del cosiddetto "documento VI1", che, al ricorrere di determinate circostanze, può essere anche prodotto dall’esportatore mediante auto-certificazione (c.d. "versione semplificata").

L’attestato ed il bollettino d’analisi non sono richiesti per prodotti etichettati in contenitori di meno di 5 litri muniti di chiusura non riutilizzabile e che formino parte di una spedizione il cui totale non superi i 100 litri.

Il vino all'interno del mercato UE

Roberto Luzi Crivellini

L’UE è un’Unione Doganale, il che significa che non vi sono barriere doganali tra i paesi membri e che tutti questi hanno in una tariffa doganale comune per le merci importate. Inoltre, una volta pagati i dazi doganali e superata l’ispezione per l’ottemperanza delle condizioni per l’importazione, le merci importate sono libere di circolare all’interno del resto dell’UE senza ulteriori controlli doganali.

Tutti i prodotti sono classificati mediante un codice tariffario doganale, contenente informazioni sulle aliquote dei dazi e su altre imposte connesse all’importazione ed esportazione, così come qualsiasi misura di protezione applicabile (per esempio l’antidumping), le statistiche del commer-cio estero, le formalità di importazione ed esportazione ed altri requisiti non tariffari.

Per lo sdoganamento, devono essere presentati i seguenti documenti:

  • fattura commerciale, contenente tutte le informazioni di base, come: nome ed indirizzo dell’importatore e dell’esportatore, descrizione delle merci (nome, qualità, ecc.), quantità delle merci, valore unitario, valore complessivo degli articoli, valore complessivo fatturato e moneta usata per il pagamento, termini dello stesso, consegna e mezzo di trasporto.
  • dichiarazione di valore in dogana, che deve essere presentata qualora il valore delle merci importate ecceda i 20.000,00 €.
  • documenti di trasporto.
  • elenco degli imballaggi, che è un documento commerciale che contiene informazioni sugli articoli importati e dettagli sull’imballaggio di ogni spedizione (peso, dimensioni, problemi di gestione).
  • dichiarazione doganale d’importazione: tutte le merci importate nell’UE devono essere dichiarate alle autorità doganali dei rispettivi stati membri attraverso questo documento, che deve essere redatto in una delle lingue ufficiali dell’UE. Il modulo per la dichiarazione d’importazione comune a tutti gli stati membri è denominato “Documento Amministrativo unico” (SAD), nel quale vanno inserite le seguenti informazioni: dati dei soggetti che prendono parte alle operazioni (importatore, esportatore, rappresentante, ecc.); regime o controllo doganale; dati identificativi delle merci (codice Taric, peso, unità), ubicazione ed imballaggio; informazioni riguardo ai mezzi di trasporto; dati sul paese d’origine, sul paese di esportazione e di destinazione; informazioni commerciali e finanziarie (Incoterms, valore fatturato, moneta di fatturazione, tasso di cambio, assicurazione, ecc.); lista dei documenti associati al SAD (licenze di importazione, attestato d’ispezione, documento d’origine, documento di trasporto, fattura commerciale, ecc.); dichiarazione e metodo di pagamento delle tasse d’importazione (dazi, IVA, accise, ecc.).


La tassazione - esclusi i dazi doganali - è stabilita dagli stati membri, con l’unico limite - riguardante il mercato interno (ovvero: esportazioni all’interno dell’unione doganale) - di non imporre, direttamente o indirettamente, sui prodotti degli altri stati membri, nessuna tassazione interna superiore a quella imposta, direttamente o indirettamente, su prodotti interni simili.

Dazi doganali: sono calcolati sulla base della dichiarazione del valore in dogana e dipendono dal tipo di vino e dal tipo di imbottigliamento. Alcuni paesi terzi (per esempio il Cile) con il quale l’UE ha concluso accordi bilaterali, godono di esenzioni o riduzioni dei dazi (qui l’elenco).

Accise: Il vino diventa soggetto ad accisa non appena viene prodotta o importato nell'UE. L’imposta, però, può essere sospesa e non va pagata fino a quando il prodotto è immesso al consumo, ossia fino al momento in cui i prodotti non sono più in regime di sospensione dell'accisa. Si noti che per poter produrre, tenere in deposito o trasportare prodotti soggetti ad accisa senza essere tenuti a pagare l'imposta (in regime di sospensione dell'accisa) occorre un'autorizzazione speciale del paese in questione. Le accise vengono pagate da:

  • la persona o l'impresa che è il depositario autorizzato del luogo in cui la merce è prodotta, spedita o ricevuta;
  • qualsiasi altra persona che ha determinato l'uscita dei prodotti dal regime di sospensione dell'accisa;
  • la persona che dichiara l'importazione, se le merci sono importate e non immediatamente poste in regime di sospensione.


Per poter trasportare le merci mantenendo la sospensione dell'accisa (che verrà pagata dall'ac-quirente nel paese di destinazione in base alle aliquote previste in tale paese), il venditore deve: (i) fornire una garanzia contro i rischi di trasporto; (ii) inviare all'autorità competente un documento amministrativo elettronico attraverso il sistema informatizzato per il controllo dei movimenti (EMCS); al contempo l’acquirente deve (iii) confermare nel sistema EMCS entro 5 giorni la-vorativi il ricevimento della merce.

Chi vende vino a consumatori nel proprio Stato membro è tenuto ad applicare i diritti di accisa secondo le aliquote del proprio Stato; mentre se lo vende via internet ad un consumatore in un altro Stato, è tenuto a pagare i diritti di accisa secondo le aliquote del paese in cui vive il consumatore.

La legislazione UE non impone aliquote minime di accise sul vino (diversamente da quanto accade, ad esempio, con la birra), il che significa che gli Stati membri sono liberi di applicare, o meno, le accise. La quantificazione dettagliata delle accise sul vino in ogni stato UE si trova qui.

Imposta sul Valore Aggiunto (IVA): le aliquote variano da un paese UE all’altro; è, quindi, necessario controllare caso per caso. Al momento, le aliquote IVA variano da un minimo del 17 % (Lussemburgo) ad un massimo del 27% (Ungheria).

I contratti per la distribuzione internazionale del vino

Roberto Luzi Crivellini

I contratti per la distribuzione di prodotti all’interno dell’UE, con la sola eccezione del Belgio, sono atipici, quindi non sono codificati nelle normative statali, il che rende evidente la necessità di negoziare ed eseguire contratti completi e ben bilanciati, dato che questi saranno la principale fonte di diritti e obbligazioni delle parti.

Altro importante punto da tenere in considerazione è che, in alcune giurisdizioni (Portogallo, Spagna, Germania), il distributore, al ricorrere di determinate condizioni, può avere diritto all’indennità di fine rapporto simile a quella riservata agli agenti di commercio e ciò può portare a richieste di indennità particolarmente elevate, specialmente nei casi di contratti di lunga durata e con alti fatturati (per maggiori informazioni sull’argomento, si fa riferimento al relativo articolo su Legalmondo).

Prendendo in esame i sistemi di distribuzione degli stati membri dell’UE, bisogna anche tenere presente la legislazione comunitaria vigente in materia di concorrenza, che proibisce contratti fra due o più operatori del mercato che abbiano l’effetto di limitare la concorrenza (soprattutto con riferimento agli accordi verticali tra aziende che operano a livelli diversi, come il caso di un contratto tra il produttore vinicolo e il suo distributore(i) nel Mercato europeo).

In breve, sono proibiti i seguenti patti, in virtù della legislazione EU in materia di concorrenza:

  • fissare il prezzo di rivendita da parte del distributore ai clienti;
  • vietare la vendita di prodotti a clienti residenti fuori dal territorio assegnato al distributore (mentre è lecito il divieto di azioni promozionali dirette a clienti residenti fuori dal territorio);
  • vietare al distributore di vendere prodotti attraverso il commercio elettronico e/o sul mercato di terzi (per maggiori informazioni sull’argomento: Legalmondo).


A seguire, i nostri consigli su come negoziare un contratto di distribuzione in Europa:

  • definire in maniera chiara il modello di business. Agenzia commerciale, vendite una tantum, distribuzione, licenza per aprire negozi monomarca o vendita online attraverso un virtual store: è essenziale avere ben chiaro come il distributore o il partner commerciale opererà nel mercato ancor prima di cominciare a negoziare un contratto, soprattutto nel caso vi sia la necessità di armonizzare la distribuzione di più operatori in aree geografiche o canali commerciali diversi. 

  • concedere l’esclusiva solo a certe condizioni. L’esclusiva a favore del distributore deve essere una scelta attentamente ponderata e, se necessario, può essere limitata a determinate aree geografiche o a certi canali di distribuzione (per esempio, su un mercato online), nelle quali è bene prevedere che il distributore garantisca – come contropartita per la concessione dell’esclusiva - di raggiungere un certo fatturato minimo. Inoltre, è fondamentale definire un piano di azione “omnichannel” (online ed offline) per evitare conflitti d’interesse nella rete di distribuzione. 

  • diritto applicabile e giurisdizione in materia. La scelta deve essere inserita nel contratto in maniera esplicita, tenendo sempre in considerazione eventuali precedenti giurisprudenziali riguardo l’indennità di fine rapporto a favore del distributore in certi stati. L’arbitrato rappresenta una valida alternativa, dato che tutti gli stati membri della UE fanno parte della convenzione di New York del 1958 e l’esecuzione di un lodo arbitrale è, nella maggior parte dei casi, più facile e veloce rispetto al procedimento di riconoscimento di una sentenza di un tribunale extra-UE. Per maggiori informazioni sull’argomento, leggere l’articolo su Legalmondo.

Contratti di agenzia per la promozione della vendita del vino

stasio - legalmondo
Giuliano Stasio

Le relazioni fra gli agenti commerciali ed i preponenti sono soggette alla direttiva CE 86/653, che definisce un sistema armonizzato, recepito dalle normative nazionali degli stati membri.

L’agente commerciale è definito come un intermediario indipendente che ha l’incarico permanente di negoziare la vendita o l’acquisto di merci in nome di un’altra persona.

Nonostante le parti di un contratto di agenzia siano libere di scegliere la legge applicabile al rapporto contrattuale, è bene specificare che, nel caso in cui un agente commerciale svolge la propria attività all’interno dell’UE, non è possibile derogare ad alcuni diritti concessi dalla Direttiva a protezione dell’agente (in particolare il diritto all’indennità di fine rapporto e ad un periodo minimo di preavviso per il recesso dal contratto), anche nel caso in cui il preponente avesse la propria sede fuori dall’UE (mentre nel caso in cui l’agente operasse fuori dall’UE, invece, sarebbe possibile derogare a queste tutele, sul punto si veda questo articolo su Legalmondo).

È inoltre importante ricordare che gli stati membri hanno recepito la direttiva in modi diversi riguardo ai criteri per il calcolo dell’indennità o dei diversi termini minimi di preavviso in caso di risoluzione: tali disposizioni sono, in genere, obbligatorie nello stato in questione e non possono essere derogate. Si consiglia, quindi, nel momento della stesura del contratto, di verificare con attenzione le caratteristiche della normativa ed i precedenti giurisprudenziali dello stato nel quale l’agente svolge la sua attività. 

Austria: un mercato piccolo, ma interessante

Con 2.32 milioni di ettolitri di vino, l’Austria produce circa l’1% della produzione di vino globale in un’area di 45.439 ha. Player di nicchia, ma con una qualità in continua crescita: i produttori austriaci rappresentano alcuni dei migliori Riesling e Sauvignon Blanc al mondo. Il principale partner nel settore export austriaco è la Germania (47%), seguita da Svizzera (11%) e Stati Uniti (9%). Le importazioni di vino sono dominate principalmente dai vini rossi italiani e in buona parte dai vini frizzanti italiani. Visto che gli austriaci consumano una quantità leggermente superiore di vino rispetto a quella prodotta localmente, il mercato del vino offre un gran numero di opportunità per il commercio di vino internazionale.

Come proteggere il proprio marchio in Austria

La scelta del giusto ambito di tutela per un marchio è fondamentale e dipende in gran parte dal mercato di destinazione.

La protezione del marchio è aperta a tre possibile opzioni: registrazione di: (i) un marchio UE, (ii) un marchio nazionale; e (iii) un marchio internazionale. Il marchio UE offre diversi vantaggi (si veda qui in dettaglio), sebbene le attività che si concentrano soltanto in pochi paesi UE potrebbero trarre maggiori benefici da registrazioni di marchi nazionali su misura.

La procedura di registrazione di un marchio nazionale in Austria costa all’incirca € 280,00 e dura generalmente 2-3 mesi, ma esiste anche una procedura semplificata (disponibile solo per certe registrazioni) che dura soltanto una decina di giorni. È preferibile compilare online la richiesta di registrazione attraverso il sito web dell’Ufficio brevetti austriaco.

Prima di procedere alla registrazione, è fondamentale effettuare le opportune ricerche di anteriorità per scongiurare possibili conflitti con altri marchi, anche se potrebbero non essere (ancora) attivi sul mercato austriaco. L’Ufficio brevetti austriaco offre una piattaforma di ricerca gratuita online, ma anche un servizio di ricerca similarità di marchio al costo di 105 euro, con consegna dei risultati entro 24 ore. 

L'etichetta del vino secondo le norme austriache

In aggiunta alla normativa UE, la legge austriaca in materia non solo definisce una serie di standard sulla produzione del vino, ma specifica anche il contenuto dell’etichetta.

Le informazioni da inserire obbligatoriamente sull’etichetta (in lingua tedesca o inglese) sono:

  • nome del prodotto
  • nome della denominazione d’origine protetta o indicazione geografica protetta o del paese produttore
  • volume nominale
  • nome e indirizzo dell’imbottigliatore
  • contenuto di alcol (limite di tolleranza +/- 0,5%vol)
  • contenuto di zucchero (obbligatorio solo se il vino è prodotto in Austria)
  • allergeni (solo se vengono superati certi limiti)
  • (in caso di vino importato): nome dell’importatore


L’uso di termini specifici (ad es. Classico, Selezione, Tradizione) è limitato ai Vini di Qualità (Qualitätswein), altri termini (ad es. Reserve, Premium) così come le indicazioni geografiche sono legate a rigidi requisiti. Alcuni termini sono vietati in generale, ad esempio: senza istamina, basso contenuto di istamina, vino vegano, naturwein (ma è consentito l’uso del termine vino naturale sull’etichetta di un vino all’arancia realizzato da specifici produttori biologici sulla base di determinate condizioni); ma in generale sono vietati tutti i termini fuorvianti.

Come ulteriore complicazione, l’Austria ha due sistemi di classificazione dei vini: un sistema di classificazione qualità (che è simile a quello tedesco, ma con significati e categorie leggermente differenti) e un sistema di aree designate attraverso l’uso dell’abbreviazione DAC (=Districtus Austriae Controllatus) che indica vini tipici di una certa regione. Attualmente l’Austria ha 15 regioni DAC (ognuna di esse con regole differenti). 

Le regole per la pubblicità del vino in Austria

L’Austria ha un doppio sistema di regolamentazione della pubblicità di bevande alcoliche, caratterizzato da restrizioni stabilite dalla legge e un codice di “autolimitazione”.

Le norme di legge austriache sono conformi alla direttiva europea sui servizi di media audiovisivi e vietano la promozione di bevande alcoliche (bevande distillate contenenti il 15% o più di alcol). Di conseguenza, alcune restrizioni legali per la pubblicità di bevande alcoliche si applicano alle trasmissioni pubbliche e alle radiotelevisioni private.

Il codice di autolimitazione è governato dall’Austrian Advertising Council e si basa sulla European Advertising Self-Regulation Chart e sulla European Advertising Standards Alliance. 

Export del vino in Austria: operazioni doganali, dazi e tassazione

Per informazioni sulle operazioni doganali rimandiamo alla sezione UE di questa Guida. Diversamente dal nord Europa e dagli stati membri anglosassoni, l’Austria non intende ridurre la disponibilità generale di alcol e si concentra invece su specifiche criticità connesse al consumo di bevande alcoliche, come la guida in stato di ebbrezza o la diffusione tra i minori di età.

In Austria è prevista unicamente la tassazione di vini frizzanti per un importo di € 100,00 per ettolitro, anche se è attualmente sospesa fino a nuove indicazioni in forza della normativa emergenziale introdotta per fare fronte alla pandemia da COVID-19.

È prevista un’imposta sul fatturato del 20% su tutte le vendite di vino in Austria. 

Le opportunità di mercato sul mercato del vino austriaco

L’eccellenza del vino è profondamente radicata nella cultura austriaca. Nel 1860, venne fondata a Klosterneuburg una delle prime scuole mondiali di viticoltura. A seguito dei problemi di qualità riscontrati all’inizio degli anni ‘80, l’Austria adottò alcune delle leggi sul vino più rigide al mondo, che portarono alla comparsa di un’ampia gamma di produttori di vino con competitor nazionali e internazionali. La richiesta di vini locali è molto alta, ma a causa del crescente focus dei vinificatori locali su vini di fascia alta, il mercato austriaco offre grandi opportunità agli esportatori di prodotti di fascia medio-bassa. Inoltre, siccome la produzione nazionale si concentra sul vino bianco (70% della produzione totale), vi sono grandi possibilità per chi esporta vino rosso e frizzante.

A causa del Germanic Wine System (diversamente dal Romanic System utilizzato in Spagna, Italia, Francia), il focus dei consumatori è sulla varietà di uva e non sulla tipicità regionale del vino. I venditori al dettaglio preferiscono i cuvée (ossia vini composti da blend di diverse uve) perché sono facili da sostituire con prodotti dal medesimo sapore.

In Austria non vi sono restrizioni amministrative al commercio di vini, pertanto è sufficiente una generica licenza al commercio e i negozi di beni alimentari hanno il permesso di vendere vino e alcol.

Per quanto riguarda la ristorazione, le licenze sono genericamente vincolate ad una prova di competenza dell'operatore commerciale, ma non è richiesta alcuna licenza aggiuntiva per la somministrazione di bevande alcoliche. 

Contratti per la distribuzione commerciale del vino in Austria

La distribuzione commerciale del vino avviene principalmente attraverso contratti di agenzia (qui una guida sui contratti internazionali di agenzia in Austria) e contratti di distribuzione: mentre i primi sono disciplinati dalla Direttiva UE 86/653 (qui maggiori informazioni), i secondi sono contratti atipici, senza una normativa di dettaglio. Qui di seguito, allora, alcuni suggerimenti pratici da tenere in considerazione al momento della redazione di uno di questi contratti.

Oggetto del contratto: si suggerisce di definire in modo chiaro e completo nel testo contrattuale i diritti e gli obblighi in capo a ciascuna parte, specialmente nei contratti di distribuzione, che – come visto – non hanno una disciplina normativa di dettaglio.

Remunerazione: Agli agenti spetta una commissione durante la vigenza del contratto e, in casi speciali, anche nel periodo immediatamente successivo alla terminazione. La legge fissa delle regole sulle modalità di calcolo che possono essere modificate dalle parti, a condizione di non violare le norme inderogabili poste a tutela dell'agente.

Indennità di fine rapporto: Gli agenti di commercio hanno generalmente diritto ad un’indennità di fine rapporto, che non può essere esclusa pattiziamente e che è quantificata – in linea con la Direttiva UE in materia (qui maggiori informazioni) – in un importo massimo corrispondente alla media di un anno di commissioni. Nei contratti di distribuzione non è prevista alcuna indennità di fine rapporto, ma il distributore può chiedere un indennizzo per gli investimenti realizzati sulla base del contratto di distribuzione, non ammortizzati durante il rapporto con il fornitore.

Termine: I contratti con un termine indefinito possono essere portati a termine da ognuna delle due parti tramite comunicazione di recesso (accordandosi su un adeguato periodo di preavviso e sulla forma più appropriata, nel caso dell’agenzia occorre rispettare un periodo di preavviso minimo previsto dalla legge). I contratti con un termine fisso finiscono automaticamente alla data concordata e vi si può porre termine solo per giusta causa.

Clausola di non concorrenza: Secondo la legge austriaca, l’agente commerciale è legato da un obbligo di non concorrenza per tutta la durata del contratto. Inoltre, è consigliabile valutare se aggiungere una clausola di non concorrenza post-contrattuale.

Legge applicabile e foro competente: Le parti sono libere di scegliere per iscritto la legge applicabile e il foro di competenza. Le clausole di arbitrato devono essere concordate per iscritto.

Brasile: Un vasto potenziale da esplorare

Katz - Legalmondo
Felipe Katz

Il mercato brasiliano del vino nel 2021 ha registrato una crescita del 38,8% in termine di volumi e del 44,4% del valore, raggiungendo 489,4 milioni di litri. Le importazioni sono aumentate del 4,8% in quantità e dell'11,8% in valore rispetto al 2020 che era già un record, raggiungendo 17,6 milioni di casse da 9 litri, con un valore totale di 467,7 milioni di dollari. I rapporti mostrano che tale aumento si è verificato non solo sulla quantità, ma anche sul valore aggregato dei vini importati, a dimostrazione della crescente consapevolezza dei consumatori brasiliani. I principali paesi esportatori verso il Brasile nel 2021 sono stati: (1) Cile, (2) Portogallo, (3) Argentina, (4) Italia, (5) Francia, (6) Spagna e (7) Uruguay.

Come proteggere il tuo marchio in Brasile

Katz - Legalmondo
Felipe Katz

È consigliabile che i produttori con l'intenzione di distribuire i loro prodotti in Brasile proteggano i loro marchi registrandoli in modo adeguato. Nonostante il deposito in malafede dei marchi da parte di terzi ("trademark squatting") sia un fenomeno piuttosto contenuto, è comunque consigliabile registrare i marchi prima ancora che i prodotti entrino nel mercato brasiliano.

Ci sono due procedure disponibili per registrare un marchio in Brasile:

  • depositare la domanda direttamente presso l'Ufficio brasiliano dei brevetti (INPI); o
  • registrare un marchio internazionale presso l'OMPI e chiedere la sua estensione al Brasile, entro un anno dalla data della registrazione iniziale.

Anche se il Brasile sta gradualmente digitalizzando i processi amministrativi, la registrazione del marchio richiede ancora tempistiche molto lunghe (fino a 36 mesi), ma la priorità viene comunque acquisita al momento del deposito della domanda.

La registrazione ha una durata di 10 anni e può essere rinnovata.

La contraffazione dei vini non è una pratica comune in Brasile, mentre si verifica frequentemente con il whisky e altri alcolici.

Il sigillo con la denominazione d'origine o l’indicazione geografica, quando applicabile, è un'aggiunta molto apprezzata. Ulteriori informazioni sulla storia, sui metodi di produzione e i vini biodinamici sono anche molto apprezzati dai consumatori brasiliani.

Regole di etichettatura per il vino in Brasile

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Felipe Katz

I requisiti di etichettatura per la vendita di vino in Brasile sono i seguenti:

  • marchio del prodotto;
  • contenuto alcolico;
  • volume della bottiglia.

Sul retro della bottiglia devono essere riportate le seguenti informazioni, in lingua portoghese:

  • tipo di vino: classificato secondo la gradazione alcolica e il livello di zucchero residuo;
  • elenco degli ingredienti (principalmente il mosto d'uva fermentato è ottenuto da uve fresche), compresi i conservanti, paese d'origine, nome e indirizzo del produttore e del distributore;
  • nome dell'importatore, indirizzo, codice fiscale federale, registro dell'importatore presso il Ministero dell'Agricoltura brasiliano;
  • paese di origine del prodotto;
  • vintage.

La legge brasiliana prevede specifiche diciture obbligatorie, posizionamento delle informazioni e codici. Per evitare qualsiasi potenziale problema, si consiglia di consultare un importatore locale prima di spedire i prodotti, al fine di evitare costi aggiuntivi, in quanto potrebbero essere richiesti dati aggiuntivi o modifiche al momento dell'ispezione doganale.

Registrazioni obbligatorie per il vino nel mercato brasiliano

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Felipe Katz

Tutti i produttori ed esportatori stranieri di vino devono registrare i prodotti presso il Ministero dell'Agricoltura brasiliano.

Il vino deve essere certificato con un certificato di origine e analisi (COCA). La certificazione di origine deve essere firmata e timbrata da un organismo ufficiale del paese in cui il vino è stato prodotto. L'analisi deve essere firmata da un laboratorio di analisi anch’esso certificato, elencato nel database del Ministero dell'Agricoltura brasiliano.

All'arrivo in Brasile, una controprova deve essere presentata per un confronto con i dati forniti al COCA, al fine di confermare che le condizioni siano le stesse dal momento della spedizione. Se vengono rilevate discrepanze, il vino può avere bisogno di una rietichettatura che indichi i risultati del confronto tra l'analisi originale e la controprova. Di conseguenza, il Ministero dell'Agricoltura rilascia il Certificato di Ispezione (CI), permettendo all'importatore di vendere i vini nel territorio brasiliano.

Per l’invecchiamento, la tipicità o l’indicazione geografica, è necessario fornire i relativi attestati.

L'importazione di bottiglie di capacità superiore a 5 litri non è consentita. L'importazione singola di piccoli volumi (fino a 12 litri) è esente dalle autorizzazioni del Ministro dell'Agricoltura. Le importazioni di volumi maggiori (oltre i 12 litri) per esposizioni, promozione commerciale, degustazioni e concorsi e per il proprio consumo necessitano di autorizzazione ma possono essere effettuate senza il certificato di analisi e di origine.

Al fine di intraprendere un processo senza intoppi, si consiglia di far verificare tutti i requisiti insieme all'importatore per evitare ulteriori ritardi.

È da ricordare che qualsiasi incongruenza comporterà probabilmente il trattenimento del carico alla dogana. Anche se questi costi devono essere sostenuti dall'importatore, i vini possono essere esposti a rischi (luce solare eccessiva, calore) se non sono immagazzinati correttamente, mettendo in pericolo la qualità del prodotto.

Tutti i requisiti dettagliati e le registrazioni con il Ministero dell'Agricoltura per la produzione e l'importazione di vini sono stabiliti in una specifica Normativa Interna nº1/2019 ("NORMA INTERNA DIPOV/SDA Nº 01, DE 24 DE JANEIRO DE 2019").

Sdoganamento, dazi e tasse per vendere il suo vino in Brasile

Katz - Legalmondo
Felipe Katz

È importante sapere che la tassazione del vino importato in Brasile è alta, raggiungendo il 70% sul prezzo finale di vendita.

Al fine di stimare l'impatto fiscale sull'importazione dei vini, si prega di trovare le tasse applicabili qui sotto:

Tariffa doganale - tassa d'importazione ("II") - 27%: calcolata sul valore dichiarato della merce. Tale tassa è esente per i prodotti Mercosul (Argentina, Cile, Uruguay e Paraguay).

Imposta sui prodotti industrializzati ("IPI") - 10%: Imposta federale calcolata sul valore dichiarato delle merci. Tale imposta è applicata a tutti i prodotti.

Contributi sociali ("PIS/COFINS") - 9,65%+2,10% [11,75%]: Imposta federale calcolata come un'imposta sul valore aggiunto, ma visto che l'importatore è il primo partecipante alla catena di distribuzione, l'importo è calcolato sul valore dichiarato della merce.

Imposta sul valore aggiunto ("ICMS") - 25%: Imposta statale, raccolta dallo stato in cui viene effettuato lo sdoganamento. È calcolata come un'imposta sul valore aggiunto, ma visto che l'importatore è il primo partecipante alla catena di distribuzione, l'importo è calcolato sul valore dichiarato della merce. Inoltre, nella maggior parte degli stati, l'importatore è considerato il sostituto dell'intera catena di distribuzione e, come tale, la base di calcolo è stimata e determinata dall'autorità fiscale statale.

Per sdoganare, l'importatore deve ottenere l'IC.

Strategia omnichannel per la vendita di vino nel mercato brasiliano

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Felipe Katz

Anno dopo anno, il Brasile sta crescendo anche nelle vendite online di vino. I supermercati sono ancora in testa alle vendite per la quantità venduta, ma l'e-commerce ha mostrato una crescita vigorosa con negozi online come Evino.com.br (www.evino.com.br), wine.com.br (www.wine.com.br) insieme a una vasta gamma di wine club. Anche gli importatori tradizionali di vini più sofisticati hanno strutturato le loro piattaforme di e-commerce, come Mistral (www.mistral.com.br), World Wine (www.worldwine.com.br) e Grand Cru (www.grandcru.com.br), che è stato acquisito da Evino nel 2021.

Considerando la complessità delle procedure di importazione, la tassazione, la promozione commerciale, lo stoccaggio e la logistica e i canali già stabiliti, entrare direttamente nel mercato brasiliano può essere un'impresa difficile.

Per questo, il modello ideale per vendere vini in Brasile è un formato di distribuzione, avendo l'importatore che lavora anche come distributore. D'altronde, la definizione di una strategia - volume con piccolo margine vs vini boutique con margine alto, è cruciale per determinare quale canale scegliere.

Contratti per la distribuzione di vino in Brasile

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Felipe Katz
Qui sotto potete trovare i nostri consigli principali per negoziare un contratto di distribuzione:
  • trovare e controllare l'importatore. Assicurarsi un partner locale di fiducia è fondamentale per qualsiasi tentativo di distribuzione. Oltre a verificare la conoscenza del mercato applicabile e la reputazione, è importante fare un controllo del background commerciale e legale dell'importatore (reputazione, focus, strategia coerente con i piani del produttore in Brasile, buona reputazione fiscale, stato di qualsiasi reclamo giudiziario identificato, reclami dei consumatori, conformità con le autorità governative, specialmente il Ministero dell'Agricoltura) è altamente raccomandato. La maggior parte delle informazioni sono di dominio pubblico, ma la consultazione di professionisti renderà questo controllo preliminare più veloce e sicuro;
  • validità dei contratti in Brasile. I contratti privati sono validi con la firma delle parti (firmatari autorizzati) e, per accelerare l'esecutività giudiziaria, la firma di due testimoni. Il contratto può essere redatto ed eseguito in formato bi-colonna, portoghese e inglese (o qualsiasi altra lingua) per evitare i costi dei traduttori pubblici. L'autenticazione della firma del rappresentante legale dell'importatore brasiliano nei contratti non è una misura necessaria per la validità dei contratti, anche se è una misura raccomandata. Anche la firma elettronica è valida in Brasile e riconosciuta dai tribunali;
  • commercio elettronico. Nonostante l'estensione geografica del paese, il mercato del vino è ancora concentrato nelle grandi città brasiliane (San Paolo rappresenta circa il 30% del mercato del vino). I canali di e-commerce stanno permettendo ai consumatori ricchi delle città di seconda fascia di ricevere comodamente i vini a prezzi competitivi;
  • esclusività. È comunemente richiesto dagli importatori e garantisce il loro controllo sulla distribuzione. Una strategia online e offline senza soluzione di continuità, al fine di evitare conflitti di interessi tra i diversi attori della rete di distribuzione è una pratica raccomandata;
  • legge applicabile e giurisdizione. Il Brasile è un sistema di diritto civile, con leggi codificate e statuti. L'indennizzo potenziale per una violazione del contratto si basa generalmente sulle perdite effettive subite come conseguenza della violazione. I danni liquidati o il massimale per l'indennizzo sono limiti comunemente accettati per il calcolo delle indennità da pagare da una parte all'altra. Vale la pena ricordare che il Brasile è anche firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di beni - CISG, che si applica a meno che non sia stato espressamente escluso nei contratti di vendita.

A seconda delle dimensioni dell'operazione, può essere conveniente che il contratto di distribuzione contenga una clausola arbitrale per le controversie tra produttore e importatore/distributore: questo permette una procedura più rapida, con arbitri competenti e ha il vantaggio della riservatezza. È anche importante ricordare che il Brasile è membro della Convenzione di New York del 1958 e l'esecuzione di un lodo arbitrale internazionale è, nella maggior parte dei casi, più facile e veloce del processo di riconoscimento di una decisione giudiziaria straniera. Se le parti desiderano avere la sede dell'arbitrato in Brasile, la legge brasiliana sarebbe la legge più conveniente da scegliere.

Canada: uno stato con diversi regimi regolamentari

La regolamentazione legata alla distribuzione del vino in Canada è complessa e si basa sia sulle normative federali che su quelle provinciali. I regimi provinciali spaziano da sistemi “chiusi” in cui una corporazione della Corona opera come commissione designata (“liquor board”) e responsabile dell’importazione e delle vendite al dettaglio nella provincia, a sistemi “aperti”, in cui le vendite vengono effettuate attraverso una rete commerciale privata. Alcuni di questi regimi normativi provinciali subiranno probabilmente delle modifiche significative nei prossimi quattro anni a seguito di una recente risoluzione parziale della controversia dinanzi al WTO con l'Australia ("Controversia WTO").

Come proteggere il proprio marchio in Canada

In Canada, è possibile registrare un marchio soltanto a livello nazionale e coprire con quest’ultimo l’intero Canada. La registrazione dura 10 anni e può essere rinnovata per un intervallo di altri 10 anni a pagamento. Le richieste possono essere inoltrate all’Office of the Registrar of Trademarks online o via posta. Chiunque può opporsi a una domanda di registrazione di un marchio depositando una dichiarazione di opposizione dopo che la domanda è stata pubblicata sul Trademarks Journal. Ciò fa scattare il procedimento di opposizione, che consiste in un processo simile a quello di un procedimento giudiziario. I motivi più comuni per un'opposizione sono che il marchio richiesto si confonde con un marchio che (1) è già stato utilizzato in Canada, (2) è già stato richiesto in Canada e/o (3) è già stato registrato in Canada.

Inoltre, ai sensi del Trademarks Act, il Canada offre una protezione speciale per le indicazioni geografiche ("IG") dei vini, identificando il vino come originario di una specifica regione o territorio. Il Canadian Intellectual Property Office detiene un elenco di IG registrate in Canada. La richiesta di questo tipo di registrazione deve essere presentata da o per conto di una "autorità responsabile" per il vino in questione, identificata come persona o entità sufficientemente collegata e con una conoscenza adeguata di quel vino.

La registrazione delle IG offre vantaggi aggiuntivi. Ad esempio, un terzo può opporsi a una IG soltanto dimostrando che non si tratta di fatto di una IG. Questo alleggerisce alcuni tradizionali motivi di contestazione specifici delle domande di marchio, come la confusione con un marchio registrato.

Le regole di etichettatura del vino in Canada

L’etichettatura delle bevande alcoliche vendute in Canada è regolata dal Food and Drugs Act e dal Safe Food for Canadians Act e dalle norme ad esso connesso. Le etichette dei vini devono essere conformi al Consumer Packing and Labelling Act, che stabilisce alcuni requisiti generali legati al packaging, all’etichetta e alla pubblicizzazione dei prodotti preconfezionati (inclusi i prodotti vinicoli). Esistono poi regolamenti provinciali contenenti altri requisiti di etichettatura validi per i prodotti venduti all’interno di quella provincia.

Gli esportatori sono tenuti a verificare che le loro etichette siano conformi alle leggi e alle normative canadesi, prestando particolare attenzione alla normativa locale, dato il suo livello di complessità e la non corrispondenza con gli standard globali.

In generale, tutte le informazioni obbligatorie devono essere inserite in entrambe le lingue ufficiali, ovvero francese e inglese. Il contenuto dell’etichetta e i reclami vengono rigidamente monitorati. In particolare, le illustrazioni e le scritte che pubblicizzano ingredienti o processi produttivi “naturali” o contenuti “biologici” sono attualmente nel radar delle diverse autorità regolatorie.

Nello specifico, le regole di etichettatura legate al vino regolano aspetti quali:

  • l’uso del nome comune (ad esempio, il nome comune del vino importato dovrebbe apparire in grassetto e non in corsivo), comprese le IG;
  • presenza di allergeni, glutine e solfati;
  • gradazione alcolica (comprese le modalità per indicare quest’informazione);
  • affermazioni e dichiarazioni volontarie sull’etichetta (età, certificazione di autenticità, uso del termine “secco” o “leggero” ecc.);
  • affermazioni sulla quantità netta;
  • affermazioni sul paese di origine.

Il mercato canadese del vino

Il Canada adotta un approccio molto restrittivo nella distribuzione e la vendita di bevande alcoliche. Solitamente il vino deve essere importato in Canada attraverso un liquor board o commissione della provincia in cui verrà venduto. Per poter vendere vino in quella provincia, gli esportatori devono prima far sì che venga “inserito nelle liste” dalla liquor board locale. Le liste sono legate alla provincia e la liquor board funge da importatore.

Nella maggior parte delle province, si viene inseriti nelle liste della liquor board tramite un agente locale o un rappresentante che ha ricevuto l’incarico dal board di riferimento. Gli agenti ricevono o sollecitano ordini per la vendita di prodotti alcolici, anche se in molti casi gli è proibita la vendita diretta di questi prodotti. Gli agenti possono anche espletare le pratiche inerenti all’etichettatura e assistere il produttore nelle altre questioni regolatorie. Di norma, l’agente che si occupa della registrazione coordina l’importazione del prodotto in collaborazione con la commissione o il board provinciale.

La promozione di bevande alcoliche in Canada ha delle forti limitazioni. I messaggi commerciali non possono incoraggiare o incentivare il consumo da parte di minorenni, suggerire che il consumo del prodotto è fondamentale per il godimento di un’attività o ritrarre il consumo in situazioni illegali (come durante la guida), ecc. Basti pensare che le campagne di marketing globale spesso non sono consentite in Canada ed è necessario sviluppare spot pubblicitari e copie stampate appositamente per il mercato canadese. 

Sdoganamento, dazi e tasse per la vendita di vino in Canada

Come indicato sopra, l’importazione di vino in Canada viene condotta quasi esclusivamente attraverso un liquor board provinciale che regola l’acquisto, la distribuzione e la vendita di tutti gli alcolici. Alla dogana, la fattura(e) deve indicare come importatore il board provinciale e (se applicabile) identificare la cantina come destinatario. È necessario, inoltre, avere copia dei visti di conformità alle regolamentazioni locali di modo da poterle presentare alla Canada Border Services Agency, in caso di necessità.

In Canada anche la tassazione è disciplinata in modo concorrente tra la normativa federale e quella provinciale. A livello federale vi sono le seguenti tasse sui prodotti a base di bevande alcoliche, incluso il vino:

  • accise: riscossa su tutti i prodotti alcolici. Dal 1° aprile 2020 le aliquote applicabili al vino variano da 0,021 dollari a 0,665 dollari al litro. Attualmente, l'accisa non si applica ai vini prodotti in Canada, ma probabilmente questa esenzione sarà rimossa nei prossimi due anni, come parte dell’accordo raggiunto a chiusura della Controversia WTO.
  • dazi doganali: l'aliquota varia a seconda del tipo di vino importato e della sua origine.
  • GST/HST: l’imposta sui beni e servizi (Goods and Services Tax - "GST") ammonta al 5% del prezzo al dettaglio. Il Canada ha stipulato accordi con alcune province per la riscossione armonizzata di un’imposta unica sulle vendite (Harmonized Sales Tax "HST") con un'aliquota totale del 13%. 

Aperture di mercato in arrivo per i vini stranieri

A gennaio 2018 l’Australia ha presentato un reclamo all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o, usando l’acronimo inglese, WTO) sostenendo che vi fossero una serie di misure canadesi in materia di distribuzione, licenze e vendite che discriminavano il vino di importazione. Tra queste l’Australia segnalava: le politiche di accesso al mercato e di quotazione, i mark-up sui prodotti, i dazi e le differenti tassazioni applicate sia a livello federale che provinciale.

Nel luglio 2020 è stato trovato un accordo che ha parzialmente risolto la Controversia WTO ed avrà conseguenze di vasta portata per l'industria vinicola canadese e per quella d’importazione. In particolare, il Canada e le province dell'Ontario e della Nuova Scozia si sono impegnate ad attuare le seguenti misure:

  • abrogare l'esenzione dall'accisa federale sul vino nazionale entro giugno del 2022;
  • eliminare le differenze nella tassazione tra il vino dell’Ontario e il vino non proveniente dall’Ontario venduto nei negozi al dettaglio delle cantine fuori sede entro giugno 2023;
  • modificare le norme provinciali dell'Ontario che limitano l'accesso al vino d’importazione nei negozi di alimentari;
  • eliminare gradualmente la politica di mark-up applicata dalla Nuova Scozia al vino delle regioni vinicole emergenti locali. L'eliminazione graduale inizierà non più tardi della fine di giugno 2021.

I contratti per la distribuzione del vino in Canada

Come visto, ogni provincia canadese ha un regime di distribuzione e vendita differente, con una propria commissione (o altra autorità governativa) responsabile. La maggior parte delle province hanno ciò che viene definito un sistema “chiuso”, in cui la corporazione della Corona è responsabile dell’importazione del prodotto nella provincia, ma anche della maggior parte delle vendite al dettaglio. Alcune province, come l’Alberta, fanno uso di una rete commerciale privata, mentre altre, tra cui l’Ontario, la British Columbia e il Québec usano una combinazione di punti vendita al dettaglio privati e pubblici. Il Liquor Control Board of Ontario è attualmente il più grande importatore/acquirente mondiale di bevande alcoliche.

Le misure standard di approvvigionamento comprendono i processi interni fissati dalle corporazioni della Corona che contemplano i profili dei prodotti, incorporando modelli di acquisto storici e nuove tendenze di consumo. Il Liquor Control Board dell’Ontario, ad esempio, ha un manuale di procedure e politiche di gestione del prodotto che stabilisce le regole di accesso e vari altri processi attraverso i quali i nuovi prodotti vitivinicoli possono essere valutati, approvati e infine introdotti nel mercato dell'Ontario. Generalmente viene stipulato un contratto tra il produttore e la corporazione della Corona, che stabilisce gli obblighi di fornitura, la disciplina dei prezzi, la compensazione tra le parti, ecc. Il prodotto deve spesso soddisfare i test di analisi chimica e gli audit di garanzia della qualità, deve essere conforme agli standard di imballaggio e di etichettatura applicabili e, in molti casi, deve essere spedito in contenitori con marcature specifiche della provincia per facilitare lo stoccaggio.

Nonostante molti si assomiglino, ogni provincia ha un proprio processo di scelta indipendente, pertanto i produttori che desiderano entrare nel mercato canadese dovranno considerare ogni provincia come un territorio separato.

Spesso sono gli agenti a fornire consulenza in relazione ai processi di approvvigionamento provinciali, consulenza che può rivelarsi particolarmente utile sin dalla fase iniziale delle trattative il board provinciale.

Il processo di approvvigionamento canadese per le bevande alcoliche – molto diverso dalla maggior parte dei principali stati mondiali – è stato frequentemente argomento di discussione e contestazione a livello internazionale dal punto di vista commerciale, sia in seno al WTO, sia in seno a convenzioni regionali, come l'Accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA). Come già visto in precedenza, è lecito aspettarsi che, a seguito della risoluzione della Controversia WTO questo processo subisca cambiamenti significativi, per renderlo conforme ai principali accordi internazionali di libero scambio. 

La distribuzione del vino italiano in Cina

Roberto Luzi Crivellini

La Cina è un territorio immenso con un mercato estremamente poliedrico. Offre enormi opportunità, ma trovare il partner giusto è arduo e la concorrenza tra i marchi stranieri è agguerrita, soprattutto nelle città di primo livello (Pechino, Shanghai, Shenzhen e Guangzhou).

La consapevolezza del consumatore medio è ancora molto bassa, pertanto tende a scegliere prevalentemente marchi internazionali conosciuti, che sono presenti da anni sul mercato cinese. La barriera linguistica e le differenze culturali rappresentano le principali criticità per i produttori stranieri che vogliono accedere a questo mercato, sia nelle pratiche amministrative che nella cura delle relazioni con i distributori ed i partner commerciali ed, infine, nella promozione e nella vendita dei prodotti.

Come proteggere il marchio del vino in Cina

Roberto Luzi Crivellini

Un tasto dolente del mercato cinese è la contraffazione: le autorità cinesi stimano che oltre il 20% del vino in circolazione sia contraffatto e che 30.000 bottiglie di vino falsificato siano vendute ogni ora… e si tratta di dati probabilmente sottostimati.

Il fenomeno del c.d. “trademark squatting” costituisce un’ulteriore criticità: ovverosia l’accaparramento di marchi internazionali da parte di cittadini cinesi, i quali procedono alla registrazione del marchio in Cina prima che lo faccia il legittimo titolare. Purtroppo, questa pratica è molto diffusa e ottenere l’annullamento della registrazione è assai difficile e richiede un contenzioso complesso e costoso.

Ancor prima di affacciarsi sul mercato cinese, dunque, la è fortemente consigliabile registrare i marchi denominativi dell’azienda e dei vari vini (ad es. “Cantina Rossi”) e figurativi (il logo o l’etichetta nel suo complesso, se hanno un carattere distintivo).

Per registrare un marchio in Cina è possibile seguire due diverse procedure, tra loro alternative:

  1. depositare la domanda direttamente all’ufficio marchi cinese – Chinese Trademark Office (CTMO) – oppure
  2. effettuare una registrazione internazionale all’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale e richiederne l’estensione in Cina. Il nostro consiglio è quello di registrare il marchio direttamente presso il CTMO, perché il sistema cinese non corrisponde esattamente a quello internazionale e l’estensione di una registrazione internazionale rischia essere poco efficace.


La procedura si completa entro 15/18 mesi, ma la priorità sul marchio si ottiene al momento del deposito della domanda. La registrazione dura 10 anni ed è rinnovabile.

È inoltre opportuno valutare se registrare contestualmente una versione in caratteri cinesi del marchio, ossia la sua translitterazione in ideogrammi cinesi. Questo può prevenire eventuali tentativi di registrazione in malafede di marchi assonanti in caratteri cinesi e può garantire una maggiore riconoscibilità del marchio presso il pubblico.

Oltre alla registrazione del marchio, al fine di contrastare il problema della contraffazione delle bottiglie o del loro contenuto, è bene valutare le soluzioni tecnologiche disponibili sul mercato, tra le quali l’apposizione di un QR code, con la scansione del quale il consumatore ha modo di collegarsi al sito web (o ancor meglio all’account WeChat) del produttore, verificando l’originalità del prodotto ed ottenendo informazioni che possono guidarlo e coinvolgerlo nell’acquisto: caratteristiche del vitigno, organolettiche, abbinamenti consigliati etc.

Per approfondire il tema della tutela e della registrazione del marchio in Cina rimandiamo a questo articolo su Legalmondo.

Le etichette del vino sul mercato cinese

Roberto Luzi Crivellini

La normativa in materia è molto complessa e soggetta a continue modifiche. Al momento richiede che l’etichetta dei prodotti vinicoli contenga le seguenti informazioni minime:

  • nome e tipologia del vino;
  • volume, grado alcolico ed elenco degli ingredienti;
  • paese di origine, nome e indirizzo del produttore e del distributore; 
  • data d’imbottigliamento e modalità di conservazione;
  • numero di licenza dell’importatore e codice a barre originale;
  • avvertimenti sui rischi del consumo (minorenni e donne in stato di gravidanza).

Per ognuno di questi requisiti sono stabilite specifiche modalità di scrittura, di posizionamento e dei codici da utilizzare. Inoltre, le norme vengono interpretate dalle varie autorità in maniera difforme, per cui è consigliabile confrontarsi con un importatore locale ed essere pronti ad apportare eventuali modifiche alle etichette, inserendo ulteriori dati che – seppur non previsti obbligatoriamente dalla legge – possono essere richiesti al momento dei controlli doganali.

È necessario (generalmente se ne occupa l’importatore/distributore) sottoporre le etichette al controllo della China Inspection and Quarantine (CIQ), depositando una domanda contenente copia dell’etichetta in caratteri cinesi, copia della business license dell’importatore ed eventuali documenti a prova di premi/certificazioni/marchi di origine riportati sull’etichetta.

La procedura – interamente in lingua cinese – prevede che entro 10/15 gg il CIQ verifichi le etichette ed esprima un parere: se negativo, conterrà le motivazioni del rigetto; se positivo porterà al certificate of import food labelling verification, valido per due anni.

Come esportare il vino italiano in Cina

Roberto Luzi Crivellini

Tutti i produttori e gli esportatori stranieri di vino sono tenuti a registrarsi sulla piattaforma web dell’Administration of Quality Supervision, Inspection and Quarantine (parzialmente in lingua cinese). Dovranno quindi inserire una serie di dati inerenti alla propria società ed all’importatore, la tipologia di bene prodotto/esportato e le modalità di produzione/esportazione.

Prima di procedere con l’esportazione, è consigliabile verificare che anche l’importatore sia correttamente registrato nel database, perché una sua mancata o erronea registrazione può portare ad un blocco della merce in dogana.

Dogane, dazi e tasse d’importazione del vino in Cina

Roberto Luzi Crivellini

Prima dell’arrivo delle merci in dogana, l’importatore dovrà aver già predisposto e depositato la domanda di sdoganamento. Quando i prodotti giungono al porto di destinazione, sono sottoposti all’ispezione doganale (di regola richiede da 1 a 3 settimane), che deve verificarne sia il contenuto che l’etichettatura.

La normativa è piuttosto complessa, ma in estrema sintesi la tassazione complessiva dei prodotti vinicoli in Cina ammonta all’incirca al 50% del valore dei beni, ed è suddivisa nelle seguenti tre voci:

  • Dazi Doganali (14%): La dogana cinese quantifica i dazi di tutte le merci importate, verificandone i prezzi. Nel caso di una divergenza significativa tra il prezzo indicato dall’importatore e quello presente nel database della dogana, sarà quest’ultima a stimare il valore della merce e quantificare i dazi.
  • IVA (13%): Viene calcolata sul prezzo d’importazione comprensivo dei dazi doganali, ed è riscossa non appena le merci entrano in Cina.
  • Tassa di consumo (10%): Gli alcolici sono soggetti alla tassa di consumo.

Strategia omnichannel per la vendita del vino sul mercato cinese

Roberto Luzi Crivellini

Il mercato cinese si sta spostando sempre più verso il mondo digitale, e anche quello del vino è popolato da importanti player dell’online. Le piattaforme si possono suddividere tra marketplace generali, nei quali si vendono tutte le categorie merceologiche, e verticali, specializzati per il settore vinicolo.
Limitandoci agli attori principali, tra le prime i due soggetti dominanti sono Tmall (gruppo Alibaba, detiene circa il 58% del mercato) e JD.com (22%), mentre Yesmywine.com, Jiumei.com, GJW.com, Vinehoo.com e 99mi.com sono i principali siti specializzati.

Omni-channel non è un sinonimo di e-commerce ma descrive un sistema molto più complesso, che richiede una chiara strategia di comunicazione, promozione e vendita dei prodotti integrata su vari canali, tra i quali rimane fondamentale quello “tradizionale” o fisico.

Aprire oppure disporre di un virtual store su Tmall o JD.com senza aver prima elaborato una strategia omni-channel comporta spesso costi altissimi per l'avvio e la gestione, insostenibili a medio termine, soprattutto se le vendite, come spesso accade, stentano a decollare.

È imprescindibile, dunque, avere le idee chiare ed una strategia solida, che si traduca in un business plan focalizzato sulla distribuzione omni-channel, messo a punto con consulenti esperti del mercato cinese. Infatti, ci sono molti aspetti da tenere in considerazione: protezione del marchio, importazione dei prodotti, magazzinaggio e logistica, accordi con il gestore del negozio virtuale e distributori (sia online che offline), gestione di attività promozionali su internet e social media, assistenza clienti, etc.. Per qualche considerazione ulteriore rimandiamo a questo articolo su Legalmondo.

I contratti per la distribuzione del vino in Cina

Roberto Luzi Crivellini

Negoziare e redigere un contratto per la distribuzione del vino in Cina richiede una specifica conoscenza del paese, le cui caratteristiche e dinamiche rappresentano un unicum rispetto agli altri mercati internazionali.

Questi sono i principali punti a cui prestare maggiore attenzione durante la negoziazione di un contratto di distribuzione:

  • chi è il tuo distributore? Le imprese cinesi si presentano spesso con una denominazione sociale in caratteri latini, la quale, tuttavia, non ha alcun valore ufficiale: l'unica denominazione valida resta quella in caratteri cinesi. Utilizzando quest’ultima è possibile verificare la licenza commerciale e verificare i dati fondamentali relativi alla società e il nome del rappresentante legale. Lo stesso vale nel caso in cui il produttore promuova la vendita dei suoi vini in Cina attraverso agenti commerciali: rimando a questa Guida su Legalmondo per approfondire il punto.
  • attenzione alle truffe via internet. Accade spesso che i produttori ricevano manifestazioni di interesse per i loro prodotti da parte di potenziali clienti cinesi, che entrano in contatto tramite i social media o il sito web dell’azienda. Purtroppo, molte di queste richieste nascondono tentativi di truffa. L’ordine di grandi partite di vino in realtà è solo un mezzo per entrare in contatto con il produttore, senza un vero interesse a dare adempimento all’accordo. In questi casi l’obiettivo del fantomatico compratore cinese è quello di estorcere al produttore straniero una serie di pagamenti per adempimenti amministrativi preliminari all’ordine, come l’anticipo di spese di notaio, spese doganali, costi di registrazione del marchio in Cina. Occorre prestare molto attenzione a questi contatti spontanei: la cartina di tornasole è la richiesta di pagamenti anticipati al produttore. Rimandiamo a questo articolo per un approfondimento sul tema.
  • Una volta verificata la serietà e le credenziali del potenziale cliente / distributore, occorre essere consapevoli che il negoziato per un contratto in Cina è spesso un’esperienza molto differente da quella di altri mercati internazionali. La trattativa è generalmente lunga e complessa e richiede pazienza e idee chiare sugli obiettivi che si vogliono realizzare. L’importanza di raggiungere un buon contratto, scritto in maniera corretta e completo, è spesso sottovalutata, in primis dalla parte cinese: questo è un errore che si può pagare molto caro, in questo articolo un approfondimento con qualche consiglio utile su come negoziare un contratto in Cina.
  • definire chiaramente il modello di collaborazione. Vendita, distribuzione, licenza di aprire negozi monomarca o di vendere attraverso un virtual store: è essenziale avere chiaramente definito in che modo il distributore o il business partner opererà sul mercato prima di iniziare a negoziare qualsiasi contratto, specialmente se ci possono essere vari distributori sul mercato cinese che operano in aree o tramite canali diversi.
  • redigere il contratto in inglese e cinese. Il contratto è validamente concluso anche solo in lingua inglese, ma un testo a fronte in mandarino può essere molto utile sia per escludere incomprensioni sul contenuto dell’accordo, sia nel caso il contratto debba essere in qualche momento utilizzato in Cina (ad esempio per adempiere a determinati oneri di registrazione o in contenziosi in tribunale o in dogana), posto che l’unica lingua ufficiale è il mandarino. Il modo migliore di procedere è preparare un contratto standard ad hoc per il mercato cinese con l’ausilio di un legale specializzato, per poi proporlo alla controparte e lavorare su quel testo.
  • Al fine di una maggior cautela, si consiglia di richiedere sempre non solo la firma della controparte ma anche l’apposizione del timbro societario sul contratto: il timbro della società è infatti un pezzo unico consegnato al momento del rilascio della business licence e consuetamente è nel possesso del legale rappresentante.
  • conferire l’esclusiva territoriale solo a certe condizioni. La Cina è un mercato di dimensioni continentali: l'esclusiva a favore di un singolo distributore è un’opzione che dovrebbe essere considerata attentamente e limitata a determinate aree geografiche o a certi canali di distribuzione (ad esempio un determinato marketplace online), nei quali il distributore garantisca di ottenere un certo fatturato minimo. È inoltre essenziale elaborare un’armonica strategia per online e offline, al fine di evitare conflitti di interesse tra i diversi attori della rete di distribuzione.
  • legge applicabile e giurisdizione. Spesso non conviene insistere per ottenere che nel contratto di preveda il foro italiano per eventuali dispute. In generale in Cina il livello di preparazione della magistratura è migliorato, i costi di un contenzioso sono contenuti ed i tempi di un giudizio di primo grado rapidi (circa 6 mesi). Si dovrebbe, dunque, valutare l’opzione di prevedere la giurisdizione cinese e l’applicazione della legge cinese in contratto, soprattutto se è prevedibile che la sentenza andrà eseguita in Cina, come nel caso di azioni di recupero del credito, di contraffazione o di concorrenza sleale. L'arbitrato può rappresentare una valida alternativa, in quanto la Cina è membro della Convenzione di New York del 1958 e l'esecuzione di un lodo arbitrale si rivela nella maggior parte dei casi più facile e veloce rispetto al processo di riconoscimento di una decisione di un tribunale straniero. Per ulteriori informazioni su questo argomento, fai riferimento a questo articolo su Legalmondo.


Vuoi approfondire l’argomento degli accordi di distribuzione commerciale in Cina? Puoi consultare questo articolo dal blog di Legalmondo.

Francia: un produttore tradizionale amante del vino rosso

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Marika Devaux

Con 46,4 milioni di ettolitri di vino prodotto nel 2018 – pari al 16,4% della produzione mondiale –, la Francia è il secondo produttore mondiale, alle spalle solo dell’Italia.
Il valore medio dei vini prodotti è, tuttavia, molto alto e la Francia è il primo paese per fatturato, con un valore commerciale di scambi pari a 9,1 miliardi di € (41% dell’UE), davanti all’Italia (6 miliardi) e la Spagna (2,9 miliardi).
Tutto questo rende la Francia un mercato di difficile accesso per gli esportatori stranieri, poiché il consumo interno è principalmente orientato verso la produzione locale. Malgrado ciò, tuttavia, è un mercato che offre diverse possibilità per gli esportatori che sappiano come soddisfare le sue richieste e particolarità.
Tra queste, basti pensare che il consumo è dominato dai vini rossi (54%), anche se il rosé sta vivendo un vero e proprio periodo d’oro, con un grande aumento dei consumi negli ultimi anni. I 100,2 milioni di casse vendute nel 2017 rendono la Francia il più importante consumatore di rosé nel mondo. Questo valore è all’incirca il doppio del consumo di vini bianchi, che rappresentano solo un quarto del consumo totale. Si segnala, da ultimo, anche il sostanziale aumento dei vini IGP, il consumo dei bag-in-box e il costante aumento delle vendite online, per un volume d'affari globale stimato pari a € 500 milioni nel 2019.

La classificazione del vino in Francia

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Marika Devaux

I vini francesi sono classificati secondo la loro qualità come di seguito:

AOP (Appellation d'Origine Protégée): Questa categoria include le AOC (Appellation d’Origine Contrôlée) e le VQPRD (Vins de Qualité Produits dans des Régions Déterminées).
Si tratta della denominazione più prestigiosa e richiede che il vino sia prodotto in un aerea geografica strettamente delimitata, attraverso standard di produzione di elevato livello.

Vin IGP – Indication Géographique Protégée (ex- Vin de Pays). Anziché stile e tradizione, questa categoria si concentra sulle origini geografiche, offrendo ai viticoltori una maggior libertà dell’AOC;

Vin sans IG de France (ex- Vin de Table) questa denominazione fa riferimento ai vini di fascia inferiore.

Protezione della proprietà intellettuale: non solo la registrazione del marchio

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Marika Devaux

La contraffazione è un fenomeno marginale in Francia, tuttavia la protezione degli asset immateriali resta una della priorità per gli operatori del mercato. Basti pensare che alcuni grandi vini francesi (es: Pomerol, Margaux e Pauillac) sono stati oggetto di contraffazione, e la bottiglia di Château Mouton Rothschild 1946 resta una delle più riprodotte al mondo.

Il primo passo per la protezione dei diritti di proprietà intellettuale è la registrazione del marchio. Come visto nella sezione UE di questa guida, infatti, è possibile scegliere tra la registrazione del marchio nazionale (valido solo in Francia) e la registrazione europea, che offre protezione in tutti gli Stati Membri.
Il registro Nazionale Francese (INPI) garantisce ai proprietari del marchio i diritti esclusivi sul marchio nei beni e servizi identificati al momento della registrazione. Siccome una domanda di registrazione di un marchio identico o simile ad un altro già registrato in precedenza è considerata una violazione di un marchio, si consiglia di effettuare una ricerca di anteriorità prima di depositare la domanda di registrazione, al fine di diminuire la possibilità di rigetto della stessa.
La registrazione del marchio costa € 190 per 1 classe (si utilizza la Classificazione di Nizza) + € 40 per ciascuna classe aggiuntiva. Dura 10 anni dalla data di deposito, rinnovabile di ulteriori 10 anni attraverso una dichiarazione, da inviare all’INPI nei sei mesi antecedenti la scadenza del termine. La registrazione definitiva avviene entro circa 4-5 mesi dalla data di deposito della richiesta.

Eventuali opposizioni alla registrazione possono essere presentate nei due mesi successivi alla pubblicazione della domanda, con un costo indicativo di € 400.

Per fortuna, oltre alla registrazione del marchio, la tecnologia ha fornito diversi strumenti per combattere la contraffazione, come i bubble codes, RFID (Radio-Frequency Identification) e i sigilli anti-contraffazione. A volte visibili, a volte nascosti, sono posizionati strategicamente sull’etichetta o sul collo della bottiglia e consentono di tracciare possibili mercati grigi e attività di falsificazione.

Etichettatura del vino: qualche particolarità francese

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Marika Devaux

La Francia ha una legislazione sul vino complessa e consolidata, che applica e integra i regolamenti dell'UE (in particolare: 607/2009 e successive modifiche), già visti nella guida dell'UE. In questa guida, allora, riportiamo alcune peculiarità della legislazione francese

  • Nome ed indirizzo della società di imbottigliamento seguito da "embouteilleur" ou "mis en bouteille par". Quando il nome oppure l'indirizzo dell'imbottigliatore contiene o consiste in una appellation d'origine oppure in una indicazione geografica (e si tratta di un vino senza indicazione geografica), queste informazioni devono essere codificate. In questo caso, sull’etichetta dovrà essere indicato chiaramente il nome e l’indirizzo degli altri soggetti protagonisti della commercializzazione (distributore, venditore, ecc.), ad esempio: mise en bouteille par EMB XX XXX France - Distribué par X.
  • La denominazione esatta di AOP è “appellation d’origine protégée”, nonostante ciò è possibile scrivere sull’etichetta: “appellation d’origine controlee” oppure “Appellation X controlee”, ma non “appellation X protégée”. 
  • Metodo di produzione: “élèvé en fût” o « vieilli en fût » possono essere utilizzati solo se il vino è stato prodotto in Francia e se la metà della produzione è stata fermentata per almeno 6 mesi in botte di legno.
  • Le denominazioni tipo “Chateau”, “Domaine”, “Clos”, “Mas” sono utilizzabili per i vini che:
    • Hanno un’Indicazione Geografica; 
    • Sono prodotti esclusivamente dal proprietario della cantina; 
    • Sono vinificati interamente nella cantina del produttore. 
  • Le denominazioni “Clos”, “Cru”, Château” sono solo utilizzabili per i vini AOP.

Le informazioni da riportare obbligatoriamente sull’etichetta (si veda anche la guida UE) devono essere indicati in una o più lingue ufficiali dell'UE, con due eccezioni: (i) le informazioni sugli allergeni e sui solfiti devono essere fornite in francese o inglese; e (ii) “appellation d’origine controlée”, “vendanges tardives “, “mise en bouteille à la propriété” devono essere in francese.

Le regole di etichettatura degli allergeni si applicano alle bevande contenenti più dell'1,2% in volume di alcol e prevedono che sia obbligatorio riportare la presenza di tracce di latte o uova se superiori ai 0,25 mg / litro.
Le bevande alcoliche contenenti anidride solforosa e solfiti a concentrazioni superiori a 10 mg / kg o 10 mg / litro devono essere etichettate con "Contiene solfiti" o "Contiene anidride solforosa". Non è permesso sostituire la parola "solfiti" con “SO2”o “E220”.

Le norme sulla produzione di vino biologico sono stabilite dal Regolamento (CE) 834/2007 e Regolamento (CE) 889/2008. Sull’etichetta dovranno contenere i riferimenti alle materie prime (uva, zucchero, mosto concentrato rettificato, ecc.) e l’indicazione di “Vino ottenuto da uve biologiche”; mentre non sarà possibile indicare semplicemente “Vino biologico”. Le etichette dei vini possono anche includere menzione del tipo “bio-dinamico”, a patto che tale termine non induca in inganno il consumatore.
Qui un esempio di etichettatura corretta.

Pubblicità del vino: attenzione alle limitazioni!

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Marika Devaux

In Francia, le limitazioni alle comunicazioni pubblicitarie delle bevande alcoliche derivano dalla legge del 01.10.1991 - Loi Evin codificata nell'articolo L. 3323-2 del codice della sanità pubblica (Code de la santé publique), che autorizza la pubblicità del vino solo attraverso i seguenti media:

  • Stampa, salvo pubblicazioni per i minori;
  • Radio, durante determinate ore stabilite da un decreto legge; 
  • Manifesti ed immagini in tutto il territorio;
  • Oggetti promozionali relativi al consumo del prodotto: bicchieri, cestelli e tappi; 
  • Messaggi su veicoli utilizzati per le operazioni classiche di consegna delle bevande devono però rimanere entro i limiti della sobrietà;
  • Documenti commerciali.

Vale la pena ricordare che le sponsorizzazioni e la pubblicità televisiva e cinematografica sono espressamente vietate in Francia; e che, in tutti i casi, le comunicazioni commerciali aventi ad oggetto prodotti vinicoli devono precisare che "l'abuso di alcol è dannoso per la salute"

Sdoganamento e accise per l'export del vino in Francia

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Marika Devaux

Come già visto nella sezione UE della guida, il Mercato Unico dell’UE consente agli operatori il libero movimento delle merci all’interno dello Spazio Economico Europeo, senza costi o restrizioni quantitative, attraverso la semplice presentazione su di una solo una dichiarazione mensile denominata Intrastat Declaration (denominata in Francia come “DEB”), che copre tutti gli scambi intracomunitari.

Tutte le società di paesi terzi sono soggette alle formalità specifiche quando esportano merci nell'UE già viste nella guida dell'UE.

La tassazione del vino in Francia

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Marika Devaux

Dazi Doganali: la Francia fa parte dell'Unione doganale dell'Unione europea, pertanto si rimanda alla sezione UE di questa guida.
Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) (20%): l'equivalente francese dell’IVA si chiama "Taxe sur la Valeur Ajoutée" e l'aliquota ordinaria del 20% si applica all'acquisto del vino, tranne se è consumato in un bar o ristorante, dove l'aliquota fiscale è del 10% (in linea con il cibo consumato all’interno di queste strutture). Accisa sull’alcol: dal 2019, il consumo di vino è soggetto alle seguenti accise: € 3,82/hl per il vino fermo e € 9,44/hl per lo spumante.

Contratti di distribuzione del vino in Francia

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Marika Devaux

Non esiste una legislazione specifica in Francia per quanto riguarda i contratti di distribuzione, ma solo alcune disposizioni specifiche riguardanti le informazioni precontrattuali e la terminazione del rapporto.

Oltre a ciò che è già stato visto nella parte UE di questa guida, qui di seguito una rapida panoramica delle clausole che meritano un'attenta revisione prima della firma del contratto. 

  • Recesso unilaterale. L'articolo L. 442-6, I, 5 ° del codice di commercio francese, in caso di recesso improvviso di una parte da un contratto di durata rilevante, concede all’altra parte un risarcimento dei danni sofferti. Si tratta di una disposizione di "ordine pubblico" e pertanto non può essere in alcun modo derogata. Suggeriamo, quindi, di prestare particolare attenzione al periodo di preavviso al momento del recesso contrattuale: solitamente i tribunali francesi richiedono almeno 1 mese per anno di relazione contrattuale. In questo articolo di Legalmondo, abbiamo analizzato in dettaglio questo aspetto particolare della legge francese. 
  • Territorio & Esclusiva. Il territorio deve essere definito con precisione ed il contratto può prevedere che l'esclusiva possa essere revocata unilateralmente dal produttore se il distributore non raggiunge determinate quantità di vendita ("Minimo di ordini"). 
  • Durata & Stock. Analogamente al settore della moda, il contratto deve considerare le specificità di produzione di ciascun annata, legate all'andamento del raccolto. Il contratto, quindi, può avere un termine fisso di durata, con opzione di rinnovo sottoposta a determinate circostanze. Nella stesura del contratto, è anche necessario tenere in considerazione eventuali residui di stock ed i metodi di riacquisto dei prodotti invenduti.
  • Vendite online. Vendere vino online sul mercato francese è piuttosto complesso per i produttori stranieri, perché la legge richiede il possesso di diverse licenze, stabilite dagli articoli L3332-1-1, L3331-4 e R3332-4 del codice sanitario pubblico francese

Considerando la complessità della legislazione francese, suggeriamo di richiedere la consulenza di un avvocato esperto per la stesura di un contratto di distribuzione con un partner commerciale francese.

Vendere il vino tramite agenti di commercio in Francia

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Marika Devaux

Creare una rete di agenti commerciali è sicuramente uno dei modi più facili per entrare nel mercato francese. Questi contratti sono disciplinati principalmente dalla Direttiva CE 86/653, che ha armonizzato la disciplina in tutti gli Stati Membri (cf. parte UE di questa guida).

Anche in questo caso, tuttavia, la legge francese presenta alcune particolarità, già esaminate in questo articolo di Legalmondo, al quale si fa riferimento per esaustività, ma che si sintetizza qui di seguito: 

  • Indipendenza: l’agente di commercio deve essere indipendente, quindi – nella redazione del contratto e nella gestione del rapporto con l’agente – consigliamo di essere particolarmente attenti a questo aspetto, di modo da non avvicinare la figura dell’agente a quella del rappresentante di vendita, poiché quest’ultimo è considerato – ai sensi della legge francese – un lavoratore dipendente e, in quanto tale, ha diritto a vedere riconosciuti tutti i diritti e riconoscimenti economici tipici dei contratti di lavoro. 
  • Registro. L’agente deve essere iscritto al registro degli agenti di commercio della cancelleria del tribunale di commercio del luogo dove è domiciliato. 
  • Fine del contratto. Preavviso di recesso (Articolo L134-11 alinea 3 del codice di commercio) deve essere di almeno 1 mese per il primo anno, 2 mesi per il secondo anno e 3 mesi per i rapporti più duraturi. 
  • Indennità di fine rapporto: dopo la cessazione del contratto, l’agente ha diritto ad un indennità di fine rapporto (Articolo L134-12 del codice di commercio). Si tratta di una norma d’ordine pubblico, di conseguenza qualunque eventuale clausola che la escluda o riduca sarà considerata come non apposta. L’agente ha 1 anno per far valere questo diritto all’indennità. L’ammontare dell’indennità è quantificata, in misura massima, a 2 anni di provvigioni (lorde) percepite dall’agente. Spetterà però al mandante dimostrare la ragione per la quale l’agente avrebbe diritto a un’indennità inferiore

Anche in questo caso, consigliamo di richiedere la consulenza di un avvocato esperto per la stesura di un contratto di agenzia, in modo tale che tenga in considerazione le necessità delle parti e sia conforme alla normativa europea e francese.

Il mercato tedesco del vino

Benedikt Rohrssen

A differenza dei suoi tre principali concorrenti nella vinificazione – U.S.A., Francia ed Italia – la Germania non è altrettanto patriottica quando si tratta di consumo di vino, bensì di vedute piuttosto internazionali. Poiché la produzione nazionale fatica a soddisfare il consumo della popolazione, la Germania è uno dei maggiori importatori di vino in Europa – seconda soltanto al Regno Unito – con importazioni di valore pari a € 2,6 miliardi (corrispondente al 20% del flusso totale di importazioni degli Stati membri dell’Unione Europea). Questo aspetto offre ottime opportunità ai produttori e fornitori intenzionati ad accedere al mercato europeo.

Come proteggere il marchio

Benedikt Rohrssen

I produttori di vino possono proteggere al meglio i propri marchi mediante la registrazione. In Germania, tale protezione è disponibile grazie a marchi europei (disciplinati dal Regolamento (UE) 2017/1001) e, in alternativa o in aggiunta, a marchi tedeschi. Questi ultimi sono registrati presso l’Ufficio tedesco marchi e brevetti – semplicemente online, via DPMAdirektPro o DPMAdirektWeb (in tedesco). I costi sono piuttosto bassi: il prezzo di base è di € 290,00 per la trasmissione elettronica e di € 300,00 per l’invio cartaceo. Una volta registrato, il marchio è protetto per dieci anni senza che siano dovuti ulteriori oneri. Detto periodo di protezione può essere esteso per un ulteriore decennio previo pagamento di un prezzo di rinnovo. Il processo di registrazione è breve e, in particolare, occorre meno tempo rispetto alla registrazione di un marchio europeo. Previa richiesta, la protezione di un marchio tedesco può essere altresì estesa ad altri Paesi, presentando istanza alla WIPO.

L'etichetta del vino secondo le regole tedesche

Benedikt Rohrssen

I Paesi vitivinicoli, inclusa la Germania, hanno una lunga tradizione nell’ambito della disciplina dell’etichettatura, riconosciuta dal legislatore europeo. Infatti, la regolamentazione europea dell’etichettatura del vino (ossia, il Regolamento delegato (UE) 2019/33 della Commissione riguardante le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l'etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli) lascia agli Stati membri vinificatori una certa libertà d’azione.

Se, da un lato, i sistemi di classificazione del vino della maggior parte dei Paesi europei si basano sul sistema francese AOC (“Appellation d’Origine Contrôlée”), ossia sul luogo di origine del vino, corrispondente al logo europeo “PDO”, “Protected Designation of Origin”, la Germania attribuisce il maggior valore alle uve più mature. In condizioni climatiche così rigide come quelle che si registrano in Germania è difficile raggiungere alti livelli di maturità, che viene appositamente misurata con un rifrattometro. Pertanto, ai vini ottenuti dalle uve più mature viene attribuito il valore più alto.

Questo diverso sistema di classificazione influenza la disciplina dell’etichettatura che è stata a suo tempo considerevolmente modificata dal Regolamento 753/2002 (abrogato dal Regolamento 607/2009, a sua volta abrogato dal Regolamento delegato (UE) 2019/33 della Commissione). Quest’ultimo ha sostituito il precedente “principio di divieto” (in base al quale qualsiasi informazione non espressamente previsa dalla legge non poteva essere menzionata sulle etichette dei vini) con un approccio più liberale che esclude soltanto le informazioni fuorvianti o fraudolente. Inoltre la nuova disciplina in materia di etichettatura ha distinto tra informazioni obbligatorie (quale la qualità del vino, classificata in ordine ascendente dal comune “Wein” al “Landwein”, per arrivare al “Qualitätswein” e, infine, ai vini di miglior qualità, noti come “Prädikatswein”) e dettagli facoltativi, quale l’anno di raccolta. Ne consegue che le etichette tedesche, contenenti specifiche sul livello di qualità (o grado di maturità delle uve), varietà di uve e regione d’origine, sono note per essere alcune delle più intricate al mondo.

Come esportare il vino in Germania

Benedikt Rohrssen

All’interno del mercato unico UE le procedure per la vendita di vini sono semplificate dalla fondamentale libertà di circolazione delle merci (cfr. art. 28 TFUE) e da una normativa tendenzialmente armonizzata. Gli adempimenti doganali e commerciali che i produttori europei devono espletare per poter importare vino in Germania si distinguono a seconda dei soggetti tra cui avviene la vendita: da un lato il produttore, agevolato se di piccole dimensioni (ossia, con una produzione di vino inferiore a 1.000 hl/anno) e dall’altro, tipicamente, un importatore grossista oppure un consumatore finale (acquirente tramite corrispondenza, catalogo, e-commerce, etc.).

L’importazione di vino proveniente da Paesi extra-UE sul mercato tedesco, invece, è sempre soggetta al rilascio di una conferma di commerciabilità e di una relazione analitica da parte di uno dei laboratori ed agenzie specificamente approvati e riconosciuti dai Paesi extra-UE. Il rilascio di un permesso di importazione di vini in Germania avviene quando esami ufficiali ivi condotti dimostrano che il prodotto vinicolo nel suo complesso (che comprende il vino stesso ma anche la sua funzione, il contenitore, l’etichettatura e l’imballaggio) è conforme ai regolamenti europei ed alla normativa tedesca (ex art. 32 del regolamento tedesco WeinÜV).

Inoltre, in base alla nuova legge tedesca sugli imballaggi (Verpackungsgesetz , “VerpackG”), entrata in vigore l’1 gennaio 2019, i produttori di materiali di imballaggio B2C, sia europei che extra-europei, prima di immettere sul mercato tedesco detti materiali, devono registrarsi:

A tal proposito occorre specificare che la definizione di “produttore” è alquanto ampia ed include importatori e distributori che introducono imballaggi sul mercato tedesco per la prima volta. Anche gli imballaggi B2C sono definiti in modo altrettanto ampio, come il materiale tipicamente smaltito come rifiuto presso:

Sdoganamento, imposizione e tassazione del vino sul mercato tedesco

Benedikt Rohrssen

I consumatori di vino hanno un notevole vantaggio in Germania, rispetto ai consumatori di altre bevande alcoliche: il consumo è esente da accise. Invece, le bevande a base di vino frizzante sono soggette ad accise sin dal 1902, quando l’Imperatore Guglielmo II le ha introdotte per finanziare la propria flotta: attualmente, esse ammontano a € 51/hl (ettolitro) se la percentuale di volume alcolico del vino frizzante è inferiore a 6% ed a € 136/hl se è superiore a 6% (ex art. 2 della legge Schaumwein- und Zwischenerzeugnissteuergesetz, “SchaumwZwStG”). Esenti da accise sono altresì i vini frizzanti chiusi con tappo e gabbietta.

L’imposta sul valore aggiunto (“IVA”) si applica al consumo di tutti i tipi di vino, con l’aliquota ordinaria del 19%. L’aliquota minima del 7% si applica soltanto alle vendite di generi di prima necessità (ad es. acqua e latte), in base all’art. 12 della legge sull’IVA (Umsatzsteuergesetz, “UstG”).

Il vino biologico in Germania

Benedikt Rohrssen

La viticoltura tedesca sta attraversando uno sviluppo molto dinamico, portato avanti soprattutto da una giovane generazione di vinificatori nota come “Generazione Riesling”, introdotta dall’Istituto Tedesco del Vino (DWI) dodici anni fa e che conta oggi oltre 500 componenti. Forti della propria tradizione, essi utilizzano nei vitigni e nelle cantine tecniche speciali che agiscono in modo delicato sul vino e sull’ambiente, unitamente a sistemi di comunicazione e di marketing all’avanguardia, applicati dal design delle etichette alle moderne enoteche ed agli eventi, per mirare alla qualità ed attrarre anche consumatori più giovani.

Un numero crescente di produttori di vino tedeschi presta oggi sempre maggiore attenzione ai principi di coltivazione biologica e biodinamica, estesa attualmente ad un’area di oltre 8.000 ettari, più che triplicata rispetto a dieci anni fa. Questo nuovo trend ha incrementato la consapevolezza dei consumatori e la domanda per la qualità, la regionalità e l’autenticità. I consumatori in Germania sono particolarmente attenti all’impatto della produzione di cibo e bevande sull’ambiente. I commercianti all’ingrosso ed al dettaglio, dall’altro lato, mirano altresì a prevenire qualsiasi danno all’immagine che una cooperazione con una produzione non sostenibile potrebbe comportare. Per questo motivo, anch’essi sono sempre più coinvolti nella gestione sostenibile delle risorse naturali da parte dei loro fornitori.

Le disposizioni normative applicabili sono previste, inter alia, dai Regolamenti (CE) 606/2009 sui prodotti vitivinicoli e 834/2007, relativo alla produzione biologica.

I contratti per la distribuzione del vino in Germania

Benedikt Rohrssen

Di seguito sono elencati i punti chiave per la negoziazione di un contratto per la distribuzione del vino:

  • Scegli la rete di vendita più efficace. Il diritto tedesco consente di utilizzare qualsiasi tipo di canale distributivo, inclusi l’agenzia, la concessione di vendita (o distribuzione), la commissione ed il franchising. La scelta tra queste strutture dipende dalle proprie esigenze, in particolare se: 
    • si desidera avere l’intermediario alle proprie dipendenze e/o tenerlo sotto stretto controllo, ad es. stabilendo il prezzo di rivendita (allora si opti per un dipendente o un agente),
    • si vuole mantenere un margine alto (allora occorre scegliere un dipendente, un agente o un commissionario),
    • si intende minimizzare il rischio (allora è bene esternalizzarlo ad un concessionario o ad un franchisee),
    • si mira ad estendere la distribuzione dei propri prodotti senza investire proprio capitale, staff o tempo, ricorrendo ad un supporto esterno ma con il proprio marchio e know-how (anche in questo caso, la scelta migliore sarebbe per un concessionario od un franchisee).

Per un quadro generale, si veda l’articolo "Germany – Distribution agreements".

  • Attenzione alle indennità. Al momento della fine del rapporto, potrebbe essere – obbligatoriamente – previsto il pagamento di un’indennità dovuto a fronte dei benefici sostanziali tratti dai clienti apportati dall’intermediario di commercio. Tale indennità è dovuta per legge agli agenti, in certi casi viene riconosciuta anche al distributore / concessionario: rimandiamo al proposito all’articolo "Germania – Indennità di fine rapporto del distributore").
  • Legge applicabile e giurisdizione. Le parti hanno libertà di scelta in entrambi i casi. In mancanza di tale scelta, ad un contratto per la distribuzione con un intermediario tedesco si applica la legge tedesca (art. 4 del Regolamento Roma I), mentre ai singoli contratti di vendita conclusi in adempimento al contratto di distribuzione si applicherebbe la legge del paese in cui ha sede l’esportatore, ivi inclusa la Convenzione sui contratti per la vendita internazionale di beni mobili. Prima di adire un giudice, le Parti possono pattuire il ricorso alla mediazione o, in alternativa, all’arbitrato, soprattutto se desiderano mantenere riservatezza sulla questione.
  • Requisiti formali. Un accordo per la distribuzione di vino può essere concluso in forma scritta o orale e può anche derivare da un comportamento concludente. Non vi è obbligo di registrare tale accordo con un’autorità pubblica per garantirne la validità.
  • Esclusività. Le parti sono libere di stabilire l’estensione e l’eventuale esclusività dei diritti dell’intermediario di commercio. Per maggiore chiarezza, si suggerisce di stabilire espressamente nel contratto se, ad esempio, è previsto un diritto di esclusiva a favore del distributore. In tal caso, sarebbe opportuno che il contratto specificasse altresì se il diritto di esclusiva impedisce al produttore / fornitore di vendere il proprio vino nell’ambito del territorio convenuto soltanto tramite un altro distributore / agente o anche direttamente.
  • Clausola di non concorrenza. Il produttore di vino ha diritto di chiedere all’intermediario di commercio di vendere soltanto i propri prodotti (e non anche quelli dei concorrenti). Tale clausola di non concorrenza richiede, comunque, la verifica delle leggi antitrust, soprattutto per quanto concerne il limite quinquennale previsto dall’art. 5, co. 1° del "Regolamento (UE) sugli accordi verticali e le pratiche concordate".
  • Obiettivi di vendita / Fatturato minimo. L’accordo di distribuzione dovrebbe contenere altresì determinati obiettivi di vendita e prevedere le conseguenze in caso di inadempimento di tali obblighi, come il diritto del produttore di recedere anticipatamente al contratto o di revocare l’esclusiva concessa.
  • Durata e Risoluzione. È bene stabilire espressamente nel contratto la durata e il periodo minimo di preavviso per lo scioglimento del rapporto contrattuale. Tali accordi dovranno essere verificati alla luce della legge applicabile al contratto, poiché potrebbero esservi norme inderogabili, quale il termine di preavviso (in particolare nel contratto di agenzia, ma anche nell’ipotesi di concessione di vendita). Per ulteriori dettagli rimandiamo all’articolo "Germany – Distribution agreements".

Grecia: un mercato complesso

Stefanos Tsimikalis

La Grecia è senza dubbio un'economia complessa; il che ha enormi ripercussioni sul suo mercato. Il paese registra scarsi punteggi su molti dei più usati parametri per la valutazione dell’appetibilità per gli investimenti stranieri, punteggi che sono il riflesso di un contesto commerciale tormentato per gli affari, le importazioni e le esportazioni. Ciononostante, il mercato offre notevoli opportunità a coloro che sanno come entrare nel mercato con le giuste modalità.

Si può descrivere il consumatore greco medio, in generale, come esigente e con un livello medio di consapevolezza sulle scelte di acquisto. I consumatori greci tendono a rimanere fedeli ai marchi di cui si fidano, prestando particolare attenzione all'origine e alla qualità dei prodotti. Tuttavia, è degno di nota il fatto che, a causa della recente crisi, i consumatori greci hanno cambiato radicalmente le loro abitudini di spesa e sono diventati estremamente attenti ai prezzi.

Per quanto riguarda i livelli di consumo di alcolici, la Grecia occupa il 28° posto rispetto a 53 Paesi europei, con un consumo di vino del 47,3% in individui oltre i 15 anni. La produzione media annua di vino è diminuita significativamente, soprattutto nell'ultimo decennio, con oltre il 60% dei vini prodotti senza una specifica indicazione di origine (D.O.P. o I.G.P.).

Il mercato del vino in Grecia: attenzione alla contraffazione

Stefanos Tsimikalis

L'industria vinicola greca è un'industria tradizionale del settore primario nazionale, che comprende alcune grandi aziende vinicole, molte di medie dimensioni, ma anche cantine locali e associazioni di cooperative agricole. Le importazioni di vino dall'estero sono limitate, mentre nel mercato interno le grandi cantine controllano la maggior parte delle vendite di vino in bottiglia, offrendo i loro prodotti attraverso ampie reti di distribuzione in tutto il paese.
La contraffazione è un problema, anche quando si tratta di bevande alcoliche. Soprattutto nel settore vinicolo, la vendita, l'import-export e la distribuzione di "vini falsi" sono abbastanza comuni. La registrazione e l'applicazione del marchio sono naturalmente considerate le soluzioni più efficaci contro la contraffazione, pertanto, la registrazione dei marchi è di fondamentale importanza.

Avendo un ambito d’applicazione territoriale, un marchio registrato in Grecia sarà valido e protetto solo all'interno del paese. Tuttavia, si può acquisire una protezione nei 28 paesi dell'UE con un'unica domanda all'EUIPO, o – a livello internazionale – mediante la registrazione presso l’OMPI.

Nel caso si richieda la registrazione di un marchio nazionale, la procedura si conclude di norma entro 6-9 mesi, e le tasse per una domanda di marchio ammontano a € 110,00 per la prima classe e a € 20,00 per ogni sottoclasse. La registrazione può essere a tempo indeterminato, a condizione che il marchio venga rinnovato ogni 10 anni dopo il deposito. Per evitare il rigetto della domanda, il marchio deve avere caratteristiche distintive e descrittive, cioè non riguardanti solo la natura, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica o il momento della produzione dei prodotti o altre caratteristiche dei prodotti o servizi da proteggere, e non deve essere divenuto di uso comune nella lingua corrente o in buona fede e negli usi commerciali consolidati.

In Grecia, la contraffazione è proibita e punibile sia in ambito civile che penale. Una volta registrato il marchio, il titolare acquisisce il diritto esclusivo di apporre il segno sui prodotti e/o sugli imballaggi, di immettere i prodotti sul mercato e di impedire a tutti i terzi che non abbiano il suo consenso di utilizzare nel commercio qualsiasi segno identico al marchio registrato, nonché di vietare anche solo il mero transito sul territorio greco di prodotti contraffatti che hanno come destinazione finale un altro paese.

La legislazione in materia di diritti di proprietà intellettuale prevede, in presenza di fondati sospetti di violazione della proprietà intellettuale, che le autorità doganali possano trattenere le merci o procedere alla loro distruzione se viene accertata la violazione dei diritti di proprietà intellettuale.

Le regole sull'etichettatura del vino in Grecia

Stefanos Tsimikalis

In generale, l'attuale legislazione in materia di etichettatura in Grecia richiede che i prodotti abbiano sulla confezione o su un'etichetta, nel momento in cui arrivano al consumatore, almeno le seguenti informazioni:

  • Il nome della categoria/tipo del prodotto vitivinicolo; (es. vino, spumante, ecc.).
  • La quantità NETTA del prodotto (volume del contenitore) (cioè 0,75 l, 750 ml, ecc.).
  • Il titolo alcolometrico volumico effettivo (cioè 12% vol., alc 12% vol., ecc.).
  • L'eventuale presenza di alcune sostanze allergeniche (cioè SO2), scritte in greco.
  • Un indicatore di provenienza (cioè prodotto in Grecia, prodotto bulgaro, vino greco, ecc.). 
  • Informazioni sull'imbottigliatore (nome e indirizzo) e, nel caso di vini spumanti, il nome del produttore o del venditore. 
  • Il nome e l'indirizzo dell’importatore.
  • Per i vini spumanti, l'indicazione del tenore zuccherino (cioè Brut, Sec, Demi-sec ecc.).
  • Per i vini protetti come D.O.P. o I.G.P., il segno "D.O.P." o "I.G.P." e il nome della denominazione di origine protetta o dell'indicazione geografica protetta (quest'ultima scritta in greco): (cioè INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA, ΘΕΣΣΑΛΙΑ GEOGRAFICA PROTETTA, TESSALIA, ecc.).
  • I numeri di lotto.

Possono essere, inoltre, previsti ulteriori requisiti a seconda del tipo e delle caratteristiche di ogni vino.

La tassazione del vino in Grecia

Stefanos Tsimikalis

La legislazione fiscale in Grecia è alquanto complessa e in costante evoluzione. Le aliquote dei dazi vengono spesso riviste e sono soggette a modifiche senza preavviso. Attualmente, la tassazione dei prodotti vitivinicoli in Grecia comprende:

IVA: Attualmente, l'imposta sul valore aggiunto per i vini è del 24%. L'autorità indipendente delle entrate pubbliche e i competenti uffici doganali e fiscali sono gli organi responsabili della riscossione dell'imposta.

Accise - L'accisa sulle bevande alcoliche è di "0 EUR" per i semplici "vini fermi" e “vini spumanti”.

Tariffa doganale comune: Dalla creazione del mercato interno, le merci possono circolare liberamente tra gli Stati membri. La "tariffa doganale comune" (TDC) si applica quindi all'importazione di merci attraverso le frontiere esterne dell'UE. La tariffa è comune a tutti i membri dell'UE, ma le aliquote dei dazi sono diverse da un tipo di importazione all'altra a seconda di cosa sono e da dove provengono. Le aliquote dipendono dall’impatto economico dei prodotti.

Tendenze del vino in Grecia: La sete di conoscenza

Stefanos Tsimikalis

Le caratteristiche dei consumatori di vino in Grecia si sono evolute a pari passo con la produzione di vini di qualità. Per il consumatore medio greco, la certificazione, la provenienza e la tracciabilità hanno un impatto significativo sulla scelta, tant’è che le degustazioni di vino sono diventate un fenomeno di tendenza. Corsi, eventi ed esperienze di degustazione del vino sono più richiesti che mai, proprio perché i consumatori greci vogliono saperne di più sul vino che bevono, il che ha portato alla comparsa di un gran numero di wine bar, che sono diventati molto popolari, in quanto offrono esperienze di degustazione di vini e introducono i consumatori ai vini. Lo stesso si può dire del turismo del vino, dato che i tour delle cantine in Grecia sono diventati un’attrazione per i visitatori, che sono, per lo più, viaggiatori nazionali, essendo più dei 2/3 del totale dei visitatori delle cantine in Grecia.

Sulla base di queste tendenze e per entrare in un mercato in cui i consumatori optano per la qualità a prezzi accessibili, è essenziale prestare particolare attenzione all'origine e alla qualità dei prodotti, alla protezione del marchio, nonché alla creazione di forti relazioni con i distributori e i partner commerciali per la riuscita promozione e la vendita dei prodotti.

Contratti per la vendita e distribuzione del vino in Grecia

Stefanos Tsimikalis

Per quanto riguarda i contratti di distribuzione, premesso che si suggerisce sempre di rivolgersi ad un legale di fiducia, qui di seguito si riportano alcune indicazioni di primo livello.

ELEMENTI FONDAMENTALI: il contratto deve disciplinare tutti gli elementi fondamentali (i dati delle parti, la durata, i casi di risoluzione/recesso dal contratto, i diritti concessi, il pagamento, le garanzie, i prodotti interessati, il territorio e l'esclusiva). Con riferimento a quest’ultima è fondamentale definire in modo chiaro quali prodotti, territori e canali di distribuzione riguarda e, inoltre, si suggerisce di vincolarla ad un fatturato minimo, onde evitare che il distributore esclusivo “blocchi” alcuni canali o territori senza promuovere e sviluppare attivamente le vendite dei prodotti.

MARCHI COMMERCIALI: Il contratto deve indicare esplicitamente che i diritti sui marchi in base ai quali i prodotti sono venduti rimangono di proprietà assoluta del fornitore e che il distributore riconosce che non acquisirà alcun diritto, titolo o interesse sui marchi, né li utilizzerà come parte della sua azienda o ragione sociale, ma solo per distinguere i prodotti. Inoltre, è importante che il distributore si impegni a dare tempestiva comunicazione scritta al proprietario qualora venga a conoscenza di eventuali violazioni da parte di terzi.

DIRITTO APPLICABILE E GIURISDIZIONE: è difficile dare un’indicazione generale sul punto, perché ci sono molteplici fattori da tenere in considerazione. Il parere di un avvocato sul punto, quindi, è fondamentale per capire se sia conveniente scegliere la legge greca e la competenza dei tribunali ellenici.

DISPOSIZIONI SPECIALI: Un'altra importante disposizione che opera a favore dei fornitori, è quella di consentire ai distributori di applicare la propria politica commerciale, specificando che non sarà soggetta alle istruzioni del fornitore. Siffatta disposizione é normalmente prevista nei contratti di distribuzione in Grecia al fine di escludere la responsabilità del fornitore e di sollevare il fornitore dall'obbligo legale di risarcire il distributore in caso di risoluzione del contratto.

L’Ungheria, un paese dalla rinomata tradizione vinicola

Halmos - Legalmondo
Balint Halmos

L’Ungheria vanta un’antica e rinomata tradizione vinicola. Dall’inizio degli anni ‘90, dopo la caduta del muro di Berlino, il numero di aziende vinicole è aumentato e queste, anche grazie a investimenti stranieri, sono significativamente progredite anche dal punto di vista tecnologico e qualitativo.
Se prima degli anni novanta la produzione era improntata principalmente sulla quantità, oggi, con lo sviluppo economico del Paese, vi è sempre una maggiore ricerca per una produzione di qualità.

Tra il 2010 e il 2018 la produzione è stata di circa 350 milioni di litri, di cui il 65% di vini bianchi e 35% di vini rossi.

Il vino è un prodotto fondamentale per l’Ungheria anche dal punto di vista dell’import, e l’Italia storicamente è stata il primo fornitore di vino al paese magiaro. Un giro d’affari da 15 milioni di euro circa secondo i dati del 2018, una fetta di mercato del 46%, che raggiunge l’88% se consideriamo i vini da tavola.

Vi sono svariate riviste specializzate nel settore, ad esempio “Borigo”, “Bor es Piac”, “Gisto” “VinCE”, inoltre le principali testate giornalistiche in ambito economico hanno inserti e sezioni dedicate al vino.

La protezione del marchio

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Balint Halmos

Step 1: scegli il tuo marchio. Prima Step 1: scegli il tuo marchio. Prima Un antico proverbio inglese recita: “un buon vino non ha bisogno di pubblicità”. Tuttavia il marchio è diventato sempre più importante nei nostri giorni a causa della agguerrita concorrenza, così i produttori necessitano dell’etichetta per differenziarsi dai concorrenti.
Proprio come negli altri Stati Membri dell’Unione Europea, è possibile sia registrare un marchio nazionale (eventualmente anche tramite il procedimento WIPO), sia registrare un marchio europeo, valido in tutta l’Unione Europea (per quest’ultimo si rimanda alla scheda UE).
I seguenti paragrafi brevemente descrivono il procedimento per registrare il marchio Nazionale in Ungheria.
Step 1: scegli il tuo marchio. Prima di tutto devi decidere che tipologia marchio vorresti registrare. I Marchi possono essere di svariata natura ad esempio possono consistere in suoni, segni grafici, imballaggi, parole, colori etc.
In Ungheria i marchi vinicoli più comuni attengono 1) al nome del produttore; 2) alla regione di produzione (anche attraverso il profilo delle colline d’origine del vino); 3) nomi di fantasia
Step 2: la ricerca di anteriorità consentono di verificare se in precedenza sono già stati registrati marchi simili o identici, che coprano beni o servizi identici o simili a quello che si intende registrare, poiché ciò potrebbe costituire un problema per la registrazione. Le ricerche di anteriorità, quindi, sono un ottimo strumento per evitare potenziali violazioni di marchi di terzi e consentono di ridurre la possibilità di rigetto della domanda di registrazione. La ricerca può essere fatta sia dal diretto interessato sia da un consulente legale nei database nazionali ed europei che raccolgono i marchi registrati. Per una ricerca efficace consigliamo di avvalersi di un esperto, vista la natura tecnica dell’operazione.
Step 3: registrazione. La richiesta deve essere inoltrata all’ufficio nazionale della proprietà intellettuale. Dalla presentazione della domanda si apre una finestra temporale di 3 giorni entro i quali chiunque può opporsi alla registrazione, notificando l’opposizione al richiedente e all’ufficio di proprietà intellettuale, che le terrà in considerazione per la registrazione del marchio.
Step 4: la registrazione del marchio. Se l’istanza è conforme a tutti i requisiti, l’ufficio registrerà il marchio e la data di registrazione coinciderà con la delibera di approvazione. La tassa di registrazione deve essere pagata all’Ufficio ungherese della proprietà intellettuale e varia tra i 50.000 e i 150.000 HUF.

Indicazione geografica

L’indicazione geografica è la nomenclatura generalmente utilizzata per indicare il luogo d’origine di beni. La protezione dell’indicazione geografica copre nomi di aree, specifici luoghi e solo in casi eccezionali interi paesi, nella misura in cui siano idonei a identificare un prodotto agroalimentare. Per ottenere l’IGP, l’intero prodotto deve per tradizione essere interamente lavorato (e perciò s’intende preparato, elaborato e prodotto) all’intero di quella specifica regione, in modo tale da acquisire proprietà uniche (ad esempio il Tokaj).
A differenza dell’etichetta, l’indicazione geografica conferisce diritti collettivi: tutti i produttori cioè all’interno della specifica area hanno diritto di utilizzare l’indicazione per un periodo illimitato. La tassa per richiedere il riconoscimento IGP è di 107.000 HUF, a prescindere dal numero di prodotti interessati alla domanda.

Le specialità ungheresi

Proteggere i propri prodotti sta diventando sempre più importante per i produttori di vino ungheresi: già attorno ai primi anni 2000, circa 400 domande di registrazione di etichette sono state inoltrate ogni anno.
Il caso che ha riguardato Ungheria e Slovacchia per la regione di produzione del vino Tokaj rappresenta un perfetto esempio di tutela della denominazione di origine controllata e di etichetta. Una piccala porzione posta a nord del luogo di produzione del Tokaj è stata ceduta alla Slovacchia a seguito del trattato di Trianon, e così anche i produttori vinicoli slovacchi ritenevano di aver diritto all’utilizzo della nomenclatura “Tokajská/Tokajské/Tokajský vinohradnícka oblast” (poi sostituita dalla dicitura “Vinohradnícka oblasť Tokaj”) all’interno del database E-Bacchus. Il problema con l’ultima indicazione era l’utilizzo della parola “Tokaj”, che – secondo la posizione dell’Ungheria – avrebbe potuto confondere il consumatore.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha risolto il caso affermando la titolarità della Slovacchia ad utilizzare tale espressione nel catalogo E-Bacchus, affermando tuttavia che la mera dicitura “Tokaj” può essere utilizzata solo dall’Ungheria.

La contraffazione del vino

La legge ungherese obbliga gli operatori a etichettare e classificare il vino prima di immetterlo sul mercato. In base alla normativa, il vino può essere esportato dal paese solo se l’autorità enologica nazionale abbia effettuato test in laboratorio per verificare le proprietà organolettiche e le altre qualità del vino. Grazie a questa procedura, attualmente il problema della contraffazione del vino è drasticamente diminuito.

Le regole del mercato ungherese del vino

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Balint Halmos

L’Ungheria è un paese membro dell’Unione Europea, dunque tutti gli operatori del mercato devono adeguarsi alle norme comunitarie, per le quali si rimanda alla guida UE. Oltre a queste, si precisa qui di seguito che:

Etichettatura: L’agenzia nazionale responsabile per l’etichettatura è il NÉBIH, e può essere contattata al sito web: www.nebih.gov.hu.
Certificato d’origine e di analisi: La presentazione di questo certificato non è obbligatorio per la spedizione. Tuttavia, in caso di controlli, deve essere presentato all’autorità nazionale di sicurezza alimentare appena menzionata (NÉBIH).

Dogane, imposte e tassazione per l'export del vino in Ungheria

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Balint Halmos

Dichiarazione doganale di importazione: I produttori ungheresi devono disporre di una valida certificazione e di una autorizzazione per l’attività di importazione; devono inoltre avere un magazzino per lo stoccaggio temporaneo della merce di almeno 100 metri quadrati, registrato all’autorità in conformità con la normativa prevista in materia di accise. L’importatore di vini frizzanti (ad esempio: Spumante, Prosecco, ecc.) e di altri alcolici deve depositare una cauzione di 20 milioni di fiorini (pari a circa 65.000 €), che viene ridotta del 50% dopo due anni di operatività.

Sistema di calcolo delle accise: Il vino è esente da accise, mentre lo spumante è soggetto ad un’accisa di 16.460 HUF (pari a circa 55€) per ettolitro.

L’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) è al 27%.

Caratteristiche del consumo e relazioni con il mercato italiano

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Balint Halmos

Il consumo totale di vino ungherese ammonta a circa 2,5 milioni di ettolitri l’anno, ma il consumo di vino di qualità è ancora basso, intorno al 7% del consumo totale.
Il prezzo al consumo di un litro di vino economico, spesso tagliato con vini stranieri (prevalentemente italiani), è di circa 260-500 fiorini (pari a circa 0,8 cent – 1,5 €).

I vigneti situati nella Pianura Ungherese producono principalmente vini da tavola, di qualità medio-bassa. In questa categoria i vini stranieri (soprattutto quelli importati dall’Italia) riescono ad avere un prezzo più conveniente rispetto a quelli ungheresi, perché i metodi utilizzati dai produttori di vini da tavola ungheresi sono meno profittevoli rispetto a quelli delle grandi aziende italiane.
Le cantine ungheresi che producono vini di qualità premium, invece, utilizzano tecnologie moderne, in linea con gli altri produttori UE concorrenti.

Con specifico riferimento alle importazioni dall’Italia, rispetto al passato, quando il consumatore ungherese non faceva alcuna distinzione tra i prodotti delle varie regioni italiane, ultimamente il livello di conoscenza in materia è cresciuto di molto, pertanto alcuni consumatori – principalmente di fascia alta – hanno un buon livello di conoscenza del prodotto e iniziano a richiedere vini con specifiche qualità o provenienti da determinate regioni di produzione (es. vini toscani). L’Italia, inoltre, ha un buon vantaggio concorrenziale dettato dal “made in Italy”, che – anche grazie alla conoscenza del Bel Paese come meta turistica – rappresenta un plus rispetto a vini provenienti da altri stati.

Contratti di distribuzione del vino in Ungheria

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Balint Halmos

In aggiunta rispetto alle considerazioni presenti nella guida UE riguardo i contratti di distribuzione e i contratti di agenzia, suggeriamo altresì di considerare i seguenti aspetti al momento delle trattative e della stesura di un contratto di distribuzione in Ungheria:

  • Chi è il distributore? Verificare l’affidabilità di un potenziale partner commerciale è il primo passaggio fondamentale. Per fare ciò, suggeriamo di rivolgersi ad un legale esperto nel settore, che estrarrà una visura semplice, pertanto è consigliabile rivolgersi ad un legale esperto del settore, il quale, estraendo la documentazione disponibile nel registro della camera di commercio, potrà verificare la correttezza dei dati societari e lo status finanziario del potenziale partner commerciale.
  • Controllo di qualità. Nella redazione del contratto di distribuzione è opportuno tenere in considerazione che, per poter immettere un prodotto nel mercato ungherese, la legge richiede una verifica delle qualità del vino attraverso prove di laboratorio, che vengono svolte dal NÉBIH. La domanda di controllo della qualità e la distribuzione può essere proposta anche in via elettronica dopo essersi registrati nel Portale dei consumatori (Ügyfélkapu). Per il vino di importazione proveniente da altri stati membri dell’Unione Europea, faranno fede le analisi svolte delle autorità locali.
  • Contratto in doppia lingua. Ai sensi della normativa ungherese, un contratto è valido anche se redatto in lingua straniera. Nonostante ciò, è consigliabile avere almeno il testo a fronte in ungherese, di modo da non necessitare di traduzione in caso di presentazione dinanzi ad autorità amministrative o in giudizio. 
  • Legge applicabile e giurisdizione. In quanto Stato membro dell’UE, la scelta di legge e la giurisdizione sono disciplinate dai regolamenti UE in materia (Roma I e Bruxelles I bis), quindi le sentenze emesse da giudici di altri Stati membri trovano riconoscimento automatico. L’Ungheria, inoltre, è uno degli stati che hanno ratificato la Convenzione di New York del 1958, quindi i lodi arbitrali stranieri vengono generalmente riconosciuti senza grossi problemi. L’arbitrato, dunque, resta una buona scelta nel caso di contratto con una controparte situata in uno stato extra-UE.

Indonesia: conservatorismo orientale e musulmano contro influenza occidentale

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Marshall Situmorang


Dal punto di vista commerciale, la distribuzione e il consumo di vino in Indonesia continuano a essere dominati principalmente da aziende vinicole straniere, con Stati Uniti, Italia, Singapore, Australia e Francia nella top five dei Paesi con le maggiori quote di mercato in Indonesia. Le aziende vinicole locali, infatti, non riescono a coprire una quota rilevante di mercato, giacché il clima prevalentemente tropicale e la morfologia del terreno non consentono una produzione interna consistente. Ci sono eccezioni rilevanti a Bali e Lombok, dove il suolo vulcanico e il clima più fresco offrono un ambiente favorevole alla coltivazione della vite, mostrando un potenziale promettente per la produzione di vino.

Lo sviluppo dell'e-commerce ha reso gli acquisti di vino più accessibili alla popolazione indonesiana, che ha ora accesso a svariate tipologie e provenienze di prodotti, senza dover ricorrere eccessivamente ai punti vendita fisici. Secondo la ricerca condotta da Statista, i consumatori di vino indonesiani tipici appartengono principalmente alle fasce di reddito medio-alte, rispettivamente il 61,5% e il 30,8%, con un'età media di 25-34 anni. È importante notare che la maggior parte dei consumatori di vino in Indonesia è di sesso femminile piuttosto che maschile. Dei 442,75 milioni di litri di vino consumati in Indonesia, circa 340,50 milioni di litri sono di vino fermo, 110,50 milioni di litri di vino spumante e 1,75 milioni di litri di vino liquoroso. Il volume totale del consumo di vino riflette il fatturato generato dai produttori di vino, che raggiunge i 12,29 miliardi di dollari. Si prevede che il settore crescerà costantemente in futuro.


Proteggete i vostri prodotti vinicoli: come registrare il vostro marchio in Indonesia.

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Marshall Situmorang


L’Indonesia adotta il principio del first-to-file, pertanto il primo consiglio è quello di registrare il marchio. Il processo di registrazione viene incardinato presso la Direzione Generale della Proprietà Intellettuale ("DGIP"), l’autorità locale competente in materia di proprietà intellettuale, e consta dei seguenti step:

  1. deposito della domanda: La domanda di registrazione del marchio può essere presentata online attraverso il sito ufficiale della DGIP (merek.dgip.go.id) o con mezzi non elettronici. 
  2. periodo di opposizione: Successivamente, il marchio sarà pubblicato sul sito web del Ministero della Legge e dei Diritti Umani ("MoLHR") per 2 (due) mesi. Durante questo periodo, eventuali terzi possono opporsi alla registrazione, presentando le proprie obiezioni.
  3. esame sostanziale: In mancanza di opposizioni, la domanda passa alla fase di esame sostanziale, che verifica i requisiti per la registrazione e dura 150 giorni.
  4. rilascio del certificato di marchio: Se la domanda supera l'esame sostanziale, la DGIP rilascia un certificato di marchio, valido per 10 anni e rinnovabile


Nella pratica comune, l'intero processo di registrazione del marchio può richiedere da 1 a 1,5 anni circa, a condizione che siano disponibili i documenti/informazioni e che la procedura sopra descritta si svolga senza intoppi.

Requisiti per l'etichettatura, la licenza e la pubblicità del vino

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Marshall Situmorang


Requisiti di etichettatura: Un’etichetta deve riportare le seguenti informazioni:

  • nome del prodotto;
  • elenco degli ingredienti;
  • peso netto;
  • nome e indirizzo del produttore o dell'importatore; e
  • percentuale di alcol


Licenza per la vendita: le bevande alcoliche possono essere commercializzate o distribuite in Indonesia solo dagli operatori commerciali in possesso di una licenza specifica.

Inoltre, le bevande alcoliche possono essere vendute solo in luoghi specifici come hotel, bar, ristoranti, negozi di prodotti gratuiti e altri luoghi stabiliti dal governo locale ("Luoghi consentiti").

Requisiti pubblicitari: in Indonesia vi è un generale divieto di pubblicizzare i prodotti alcolici attraverso i mass media, con la sola esclusione dei Luoghi Consentiti, dov’è generalmente possibile promuovere le bevande alcoliche. La violazione di queste limitazioni comporta sanzioni amministrative molto severe, che possono anche portare alla revoca della licenza alla vendita.

Come entrare nel mercato indonesiano

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Marshall Situmorang


Gli investitori stranieri non sono autorizzati ad aprire cantine o industrie vinicole in Indonesia, poiché è un settore chiuso agli investimenti stranieri.

È, invece, possibile distribuire i prodotti alcolici stranieri in Indonesia, ma per farlo è necessaria la nomina di un importatore o un distributore locale.

Prima di nominare un importatore o un distributore locale, è fondamentale assicurarsi che la parte locale abbia ottenuto tutte le licenze richieste per il commercio e la distribuzione del vino in Indonesia. Queste licenze includono:

  • Licenza per il commercio di bevande alcoliche: Prima di iniziare l'importazione, la distribuzione o la vendita di prodotti vinicoli, l'operatore commerciale deve ottenere la licenza rilasciata dal governo indonesiano.
  • Licenza di importazione: in Indonesia, ogni importatore di beni commerciali deve essere in possesso di un numero di identificazione aziendale, che servirà come numero di identificazione generale delle importazioni (Angka Pengenal Importir Umum o "API-U"). Oltre a questa licenza, è necessaria anche una successiva approvazione all'importazione, rilasciata dal Ministero del Commercio.
  • Certificato di registrazione come distributore: Infine, qualsiasi distributore di bevande alcoliche deve ottenere un certificato di registrazione (Surat Tanda Pendaftaran o "STP"), che può essere richiesto al Ministero del Commercio presentando il contratto di distribuzione firmato e legalizzato (si veda in dettaglio al punto 6).


Una volta che il distributore locale ha soddisfatto i requisiti di cui sopra, il produttore straniero può stipulare un accordo di distribuzione con il distributore locale.


Sdoganamento, dazi e tasse

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Marshall Situmorang
  • Dazi: L’importazione di vino è sottoposta a dazi, che variano a seconda della tipologia di vino importato. Dato l'approccio restrittivo del governo alla distribuzione del vino in Indonesia, non sorprende che i dazi all'importazione imposti sui prodotti vinicoli possano raggiungere il 90%.
  • Imposta sul valore aggiunto ("IVA") e imposta sul reddito: La rivendita del vino è inoltre soggetta all’IVA (pari all’11%), oltre all’imposta sul reddito a carico degli operatori economici (pari al 7,5%).
  • Sdoganamento: Oltre ai dazi e alle tasse, l'importatore di vino deve dichiarare le merci importate presentando una Dichiarazione di Importazione (Pemberitahuan Impor Barang o "PIB"). Il PIB è necessario per lo sdoganamento delle merci che arrivano nei porti indonesiani, e si aggiunge al resto delle procedure di sdoganamento, che includono la presentazione della documentazione e l'ispezione fisica delle merci importate.
  • Accise: In Indonesia, le bevande alcoliche, compreso il vino, sono soggette alle seguenti accise:
    1. Categoria A: qualsiasi bevanda nazionale o importata con un contenuto alcolico fino al 5% è soggetta a un’accisa di 15.000 IDR.
    2. Categoria B: qualsiasi bevanda di produzione nazionale con un contenuto alcolico compreso tra il 5 e il 20% è soggetta a un'accisa di 33.000 IDR. Al contrario, qualsiasi prodotto importato di questa categoria è soggetto a un'accisa di 44.000 IDR.
    3. Categoria C: le bevande nazionali e importate con un contenuto alcolico superiore al 20% sono soggette a un'accisa di 80.000 IDR e 139.000 IDR, rispettivamente.

Contratti per la distribuzione di vini in Indonesia

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Marshall Situmorang


Un produttore straniero che intende distribuire i propri prodotti vinicoli in Indonesia può stipulare un contratto con il distributore indonesiano individuato.

L’articolo 1338 del Codice Civile Indonesiano ("CPI") riconosce il principio generale della libertà contrattuale.

La legge, però, oltre a definire i classici requisiti di validità dei contratti (consenso, capacità delle parti contraenti, oggetto e causa), prevede che qualsiasi accordo che coinvolga una parte o un oggetto in Indonesia debba essere redatto in lingua Bahasa Indonesia. Se una delle parti dell'accordo è straniera, l'accordo può essere redatto in forma bilingue - e le parti possono scegliere che la versione in lingua straniera prevalga in caso di discrepanze tra le due versioni linguistiche.

Con riferimento ai contratti di distribuzione commerciale, la legge elenca le disposizioni essenziali che devono essere indicate dalle parti nell’accordo:

  • nome e indirizzo delle parti;
  • oggetto del contratto;
  • natura dell’accordo (agenzia o distribuzione);
  • tipologia merceologica dei beni oggetto del contratto;
  • territorio dove i beni vengono promossi;
  • diritti e obblighi di ciascuna parte;
  • autorizzazioni e licenze in capo alle parti;
  • durata;
  • procedura di risoluzione del contratto;
  • procedura di risoluzione delle controversie;
  • legge applicabile; e
  • periodo di grazia per la risoluzione.


Poiché i prodotti vinicoli sono originari di altri Paesi, l'accordo di distribuzione deve essere legalizzato da un notaio e apostillato o legalizzato dall'autorità competente del Paese di origine.


Israele: un mercato vinicolo in rapida ascesa quantitativa e qualitativa

Benjamin Leventhal - Legalmondo
Benjamin Leventhal

Israele è uno dei paesi più piccoli al mondo in termini di dimensioni, eppure negli ultimi 10-15 anni ha sviluppato uno straordinario settore vinicolo, grazie ad un paesaggio molto vario, che presenta diverse colline caratterizzate dalla produzione vinicola fin dai tempi biblici.

Il settore è fiorente e ancora piuttosto giovane, e, sebbene originariamente vedeva 3-4 società dominanti con un prodotto piuttosto mediocre, oggi il settore vinicolo israeliano comprende vari vigneti prestigiosi ed aziende vinicole che hanno vinto premi internazionali. Ad oggi sul territorio operano circa 300 aziende.

Nonostante i vecchi marchi dominanti continuino a mantenere una buona fetta di mercato, gran parte della popolazione si è aperta al vino contemporaneo e di qualità. Le vendite su larga scala sono tuttora rappresentate da vini di qualità mediocre, eppure la quota di mercato del vino di qualità è in aumento, così come la consapevolezza del consumatore medio. Parallelamente, molti vini italiani e spagnoli sono venduti nel paese e godono di buona popolarità, soprattutto alla luce di una politica dei prezzi piuttosto bassa.

Per quanto riguarda la distribuzione è possibile lavorare in accordo con i principali importatori e distributori, oppure aggirando questi ultimi, al fine di creare una linea diretta di approvvigionamento e penetrare così il mercato israeliano.

La protezione del marchio in Israele

Benjamin Leventhal - Legalmondo
Benjamin Leventhal

Anche se un marchio figurativo o denominativo potrebbe, in assenza di registrazione sia del logo che del nome del produttore o del prodotto, essere, comunque, protetto dalla legge israeliana, è vivamente consigliato procedere alla registrazione onde evitare ostacoli alla difesa del marchio o del prodotto – ad esempio nella prova della malafede ecc.; il che in assenza di registrazione può costituire un problema arduo da risolvere.

Pertanto, registra il tuo marchio denominativo ed il marchio figurativo (il logo o l’etichetta nel suo complesso, se ha un carattere distintivo), precedentemente o all'atto di ingresso nel mercato israeliano, prestando attenzione a registrare nella corretta sezione dei marchi registrati.

Per registrare un marchio in Israele il procedimento è piuttosto semplice e non comporta passaggi burocratici dispendiosi; una volta ottenuta la registrazione, questa deve essere confermata una volta ogni 5 anni e deve essere versata una quota annuale.

Le regole sull'etichettatura del vino in Israele

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Benjamin Leventhal

La normativa concernente la produzione di vino o l'importazione di vino è abbastanza scarna, include tuttavia la previsione di specifiche autorizzazioni e disposizioni su cosa possa essere contenuto nel prodotto e cosa no. Nel 2017 sono state introdotte nuove norme sulla produzione di bevande alcoliche, destinate principalmente a regolamentare le nuove, cantine vinicole di qualità; le norme prevedono autorizzazioni commerciali obbligatorie e requisiti alla produzione, come ad esempio l’estensione al prodotto vinicolo delle norme sula produzione dei beni alimentari, disponendo così alcuni controlli sul vino prodotto da effettuare in appositi laboratori autorizzati.

A tutt’oggi sono previste le seguenti regole di base in materia di etichettatura e distribuzione, seguite da una normativa fortemente limitativa della pubblicità sin dal 2012.

L'etichetta della bottiglia di vino deve includere il nome e il tipo di vino; il grado alcolico, l'elenco degli ingredienti; il paese di origine, il nome e l’indirizzo del produttore e del distributore; la data di imbottigliamento e le modalità di conservazione.

La legge – al fine di tutelare le fasce più deboli della popolazione, come i minori – prevede diverse limitazioni alle comunicazioni promozionali del vino. Alcune restrizioni si applicano anche alla pubblicità da parte di figure iconiche, sportivi famosi, modelli ecc. Inoltre i produttori non possono fornire bevande alcoliche come premi in programmi televisivi o radiofonici o essere menzionati come produttori. La pubblicità consentita deve contenere un messaggio di avvertimento sui rischi del consumo.

Pertanto, è consigliabile consultare un distributore locale o un importatore per poter rispettare l’intera normativa prevista.

Sarà inoltre necessario fornire un'adeguata etichettatura in lingua ebraica.

La vendita del vino sul mercato israeliano

Benjamin Leventhal - Legalmondo
Benjamin Leventhal

Tutti i produttori e gli importatori di vino devono ottenere una licenza di distribuzione (sia per la distribuzione che per le vendite a clienti finali) presentando varie informazioni in relazione a: società, produttore e importatore, tipo di beni prodotti/importati e metodi di produzione/importazione.

Le leggi sulle bevande alcoliche forniscono definizioni e limiti riguardo a cosa possa essere incluso nella bevanda e cosa no - ad esempio, non sono ammessi estratti aromatici.

Prima di procedere con l’esportazione, è consigliabile verificare che l’importatore sia correttamente registrato, perché una sua mancata o erronea registrazione può portare ad un blocco della merce in dogana.

Dogane, dazi e tasse d’importazione del vino in Israele

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Benjamin Leventhal

Prima dell’arrivo delle merci in dogana, l’importatore dovrà aver già predisposto e depositato la domanda di sdoganamento. Quando i prodotti giungono al porto di destinazione, sono sottoposti all’ispezione doganale, che deve verificarne sia il contenuto che l’etichettatura.

La legislazione fiscale è alquanto complessa, e Israele è membro del GATT ma, in generale, la tassazione dei prodotti vitivinicoli in Israele varia per vino locale o importato - ed è diverso per il vino rispetto ad altre bevande alcoliche.

I dazi doganali per il vino d’importazione sono del 12%, mentre il vino domestico non è soggetto a tale imposizione, tuttavia questa tassazione può variare in base all'origine del vino, poiché alcuni paesi hanno specifici trattati con Israele che dispongono un esenzione per determinati quantitativi annui.

Tuttavia, altri tipi di tassazione si applicano a tutte le bevande alcoliche, incluso il vino, come l'eventuale imposta sulle vendite del 45% (anche se ci sono alcune esenzioni) e quindi è fortemente consigliato ottenere consigli specifici per ogni singola importazione o produzione - prima di importare o investire nella produzione domestica.

Inoltre, l'imposta sul valore aggiunto del 17% si applicherà in base al prezzo di importazione/vendita.

Strategia omnichannel per la vendita del vino sul mercato israeliano

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Benjamin Leventhal

Il mercato israeliano si sta orientando sempre più verso l'esportazione di vino israeliano di qualità all'estero, con l'obiettivo di raggiungere importanti consumatori di vino in tutto il mondo. Piuttosto che importare vino in Israele, un mercato relativamente piccolo (popolazione di 8 milioni in totale) e con una media pro capite di soli 7 litri all'anno, consigliamo la partecipazione all'esportazione di vino israeliano di qualità, la quale sembra offrire un notevole potenziale.

I contratti per la distribuzione di vino in Israele

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Benjamin Leventhal

Questi i punti a cui prestare maggiore attenzione durante la negoziazione di un contratto di distribuzione:

  • Conosci la tua controparte - che tu voglia importare o investire per l'esportazione di vino israeliano, è molto importante avere ben chiaro chi è esattamente la tua controparte e quale sia la sua autorità: si tratta di un intermediario, un distributore, un proprietario, un partner o altro? - in Israele questo potrebbe rivelarsi piuttosto fuorviante e a volte poco chiaro, specialmente a causa del generale clima d’affari poco formale. 
  • L'importanza di definire chiaramente l’affare - quando si tratta in Israele, è consigliabile non lasciare nulla al caso, ed ogni parte del rapporto contrattuale dovrebbe essere adeguatamente redatta per iscritto, al fine di evitare equivoci comunemente dovuti a differenti aspettative riguardo al rapporto commerciale istaurato. Probabilmente incontrerai la controparte e discuterai di persona, prima che venga concluso un qualsiasi contratto, questo è la consuetudine israeliana. Si raccomanda, in ogni caso, di richiedere la redazione di un contratto prima di intraprendere il rapporto commerciale.
  • Assicurati di definire un diritto di esclusiva completo - Israele è un piccolo mercato, quindi, se sei un importatore, devi cercare di aver garantita l'esclusività su tutto il territorio dello stato, cercando di vincolarla nel contratto nel modo più stringente possibile. Al contrario, se sei un esportatore straniero, dovresti assicurarti di concedere l'esclusività solo se sei sicuro che il distributore disponga dei mezzi adeguati per coprire adeguatamente tutto il territorio. 
  • Legge applicabile e giurisdizione – In linea di principio, e salvo diversa disposizione contrattuale, al contratto o al rapporto commerciale concernente un’attività d’impresa in Israele o al contratto che prevede Israele come luogo in cui la prestazione va eseguita, si applica la legge israeliana ed è competente la giurisdizione dello Stato di Israele. Questo è conforme, inoltre, ai principi di diritto internazionale privato sulla giurisdizione.

I Tribunali di Stato israeliani sono generalmente equi e produttivi, e tendono a decidere in base ai fatti piuttosto che in base ai soggetti coinvolti. I costi sono relativamente bassi e generalmente il procedimento è efficiente, sebbene possa richiedere fino a due anni. Al fine di evitare controversie sulla legge e sulla giurisdizione applicabili, l'arbitrato può essere una soluzione adeguata, in quanto, Israele è membro della Convenzione di New York del 1958 e l'esecuzione di un lodo arbitrale si rivela nella maggior parte dei casi più facile e veloce (anche se non più economica); inoltre, al fine di evitare controversie sulla legge applicabile, all'interno di tale arbitrato è possibile concordare l'applicazione di principi generali quali i principi UNIDROIT.

Per quanto riguarda la risoluzione del rapporto d’affari o di un contratto sarebbe meglio stabilire, da principio, sia la relazione contrattuale specifica che le casistiche di risoluzione, poiché, se ciò è lasciato vago, la lite in materia di risoluzione contrattuale ed il conseguente risarcimento potrebbero rivelarsi importante e produrre un esito piuttosto drammatico – ulteriori dettagli sul tema in questo articolo di Legalmondo.

Italia: il paese del vino

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Giuliano Stasio

Con le sue 6 miliardi di bottiglie l’anno, l’Italia è il più grande produttore al mondo (2° stato per fatturato alle spalle della Francia) e il vino, oltre ad essere una voce economica di assoluta rilevanza, è anche un fenomeno culturale. Basti pensare che in Italia ci sono 310.000 viticoltori e 45.000 aziende imbottigliatrici e vengono consumate all’incirca 340.000 bottiglie all’ora.

Il mercato italiano, quindi, è un mercato estremamente concorrenziale, nel quale la produzione interna svolge un ruolo dominante sui prodotti di fascia media e bassa, aventi un rapporto qualità-prezzo difficilmente eguagliabile da prodotti di importazione.

Vi sono, invece, tre fattori che – se sfruttati correttamente – possono giocare a favore dei produttori stranieri di vini di fascia medio-alta: innanzitutto (i) il consumo medio di vino pro capite è tra i più elevati al mondo (circa 35 lt a testa), e ciò spinge il consumatore, mediamente molto consapevole, a variare molto le sue scelte. Ciò ha portato (ii) all’apertura di diversi negozi specializzati (sia online che offline), nei quali sono spesso presenti vini stranieri di qualità, per i quali il consumatore è disponibile a spendere cifre tutto sommato elevate. Da ultimo (iii) in Italia sono presenti molte fiere ed eventi di settore (dal Vinitaly fino alle piccole rassegne di paese) nei quali si può far conoscere il proprio vino a operatori del settore e distributori già strutturati sul mercato.

Insomma: non un mercato facile, ma un mercato che offre diverse possibilità per chi ha una strategia di distribuzione chiara e un prodotto di qualità.

Marchio Italiano o Europeo?

stasio - legalmondo
Giuliano Stasio

Mentre i produttori italiani devono prestare particolare attenzione alla contraffazione quando si affacciano su mercati stranieri, sul mercato italiano interno si tratta di un fenomeno piuttosto trascurabile. Nonostante ciò, la registrazione del marchio resta un passo fondamentale per proteggere i propri segni distintivi, soprattutto in caso di contestazioni o conflitti con altri soggetti. Non registrando il marchio, infatti, si rischia di vanificare gli investimenti promozionali fatti, poiché imprese concorrenti potrebbero dotarsi di un marchio simile, confondendo i consumatori e danneggiando la reputazione del marchio.

Come visto in precedenza nella scheda sull’Unione Europea, quando si registra un marchio in uno degli Stati Membri è opportuno innanzitutto chiedersi se non sia meglio registrare un marchio Europeo, che, con un’unica domanda, garantisce una tutela in tutti gli Stati Membri, a fronte di costi tutto sommato non eccessivi e tempistiche molto rapide.

È consigliabile procedere alla registrazione nazionale in Italia solo se si pianifichi di operare unicamente nel mercato italiano o se in un altro Stato membro sia già stato registrato un marchio molto simile, che possa portare al rigetto della domanda Europea. La domanda di registrazione di marchio italiano si deposita presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) del Ministero dello Sviluppo Economico. La registrazione dura 10 anni (rinnovabile – di 10 anni in 10 anni – a tempo indeterminato) e costa all’incirca 150,00 €, oltre a 34,00 € per ogni altra classe aggiuntiva e altri 50,00 € in caso di presentazione della domanda da parte di un mandatario.

Siccome le tempistiche per la registrazione sono piuttosto lunghe (fino a 18 mesi), è bene fare delle ricerche di anteriorità approfondite prima di depositare la domanda, al fine di verificare che non esistano registrazioni precedenti di marchi identici o molto simili.

Prima di entrare sul mercato, oltre alla registrazione del marchio, è consigliabile registrare il proprio nome a dominio, al fine di evitare che terzi si approprino del nome a dominio (cd. cybersquat-ting) e impediscano al titolare di utilizzarlo.


Etichettatura e classificazione: normativa UE con poche particolarità

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Giuliano Stasio

L’etichettatura dei vini commercializzati sul mercato italiano è disciplinata dalla normativa Europea, già vista nella scheda apposita, che in Italia è stata recepita ed applicata da specifiche disposizioni di legge (il D.M 13/08/2012 è sicuramente il più importante), che riguardano principalmente: la dimensione e il formato dei caratteri da utilizzare sulle etichette; le modalità di abbreviazione della ragione sociale dell’imbottigliatore, produttore, venditore ed importatore; l’utilizzo dei nomi dei vitigni con riferimenti a specifici DOP/IGP; le menzioni tradizionali, e altri aspetti di dettaglio.

Regime doganale per l’import ed export del vino

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Giuliano Stasio

L’Italia è parte dell’Unione Doganale Europea, pertanto le procedure di import da paesi extra-UE seguono le regole UE, mentre i vini provenienti da altri stati UE (o già sdoganati in altri stati UE) sono liberi di entrare nel mercato italiano senza ulteriori controlli doganali.

Per l’esportazione del vino extra-UE occorre vincolare i beni destinati ad uscire dal territorio unionale allo specifico regime mediante presentazione della dichiarazione doganale di esportazione, accompagnata dai documenti commerciali e dalle eventuali licenze, autorizzazioni o titoli qualora obbligatoriamente richiesti per l’esportazione di quel tipo di prodotto vitivinicolo.


Tassazione del vino e delle società vinicole in Italia

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Giuliano Stasio

Le società italiane sono assoggettate all’imposta sul reddito delle società (IRES), nonché all’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). Le imposte sono dovute per periodi di imposta (esercizio sociale), a ciascuno dei quali corrisponde, generalmente, una obbligazione tributaria autonoma.

L’IRES è commisurata al reddito complessivo netto con l’aliquota del 24%. L’aliquota IRAP può variare da regione a regione ed è generalmente pari al 3,9%.

Accise: In Italia il vino non è sottoposto ad accise, a differenza di altre bevande alcoliche come la birra.

Imposta sul Valore Aggiunto (IVA): in Italia è al 22%. Qualora i prodotti siano consumati all’interno di un bar o ristorante, è prevista l’applicazione dell’aliquota ridotta del 10% (in linea con la somministrazione del cibo all’interno di queste strutture).

I limiti alla pubblicità

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Giuliano Stasio

È possibile promuovere il vino attraverso messaggi pubblicitari, ma Il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale prevede alcuni limiti alle modalità promozionali, volti a favorire l’affermazione di modelli di consumo degli alcolici ispirati a misura, correttezza e responsabilità. In particolare la comunicazione commerciale non deve:

  • incoraggiare un uso eccessivo e incontrollato;
  • rappresentare situazioni di attaccamento morboso al prodotto e, in generale, di dipendenza dall’alcol o indurre a ritenere che il ricorso all’alcol possa risolvere problemi personali o aumentare l’efficienza fisica e sessuale o che il mancato consumo comporti una condizione di inferiorità fisica, psicologica o sociale;
  • rivolgersi o fare riferimento, anche indiretto, ai minori, e rappresentare questi ultimi o soggetti che appaiano evidentemente tali intenti al consumo di alcol;
  • associare la guida di veicoli con l’uso di bevande alcoliche;
  • rappresentare come valori negativi la sobrietà e l’astensione dal consumo di alcolici;
  • utilizzare come tema principale l’elevato grado alcolico di una bevanda.


In Italia, inoltre, vige il divieto assoluto di somministrazione e vendita di alcolici ai minori di 18 anni. I negozi, inoltre, hanno dei limiti di orari di vendita e somministrazione di alcolici: dalle 3 alle 6 per pubblici esercizi e circoli privati; dalle 24 alle 7 per distributori automatici e negozi; dalle 2 alle 6 per le aree di servizio sulle strade (dalle 22 alle 6 per i superalcolici).

Contratti per la distribuzione del vino

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Giuliano Stasio

La distribuzione del vino e degli alcolici avviene principalmente attraverso contratti di distribuzione e di agenzia, due contratti che si inseriscono all’interno della stessa grande famiglia (la distribuzione commerciale dei prodotti), ma che presentano differenze molto marcate.

Come in quasi tutti gli stati europei, anche in Italia il contratto di distribuzione è un contratto atipico, senza una specifica disciplina legislativa e, pertanto, disciplinato ricorrendo a norme dettate per fattispecie similari, come la vendita e la somministrazione. Per questo motivo è fondamentale negoziare e redigere il contratto in modo completo, bilanciando correttamente gli interessi delle due parti e regolamentando i molteplici aspetti del rapporto.

Oltre alle considerazioni in materia di limiti all’operato dei distributori e rivendita dei prodotti su internet, per i quali rimandiamo alla scheda UE di questa Guida, suggeriamo di tenere in considerazione anche i seguenti temi al momento della negoziazione e della redazione di un contratto di distribuzione in Italia:

  • avere ben chiaro il modello di business che si vuole costituire e, di conseguenza, definire chiaramente gli aspetti fondamentali dell’accordo (territorio, durata dell’accordo, listino prodotti);
  • tenere presente che la legislazione UE vigente in materia di concorrenza vieta diverse clausole (fissazione del prezzo di rivendita da parte del produttore, divieto di rivendita online, divieto di rivendita a consumatori provenienti da altri stati) che contengono limitazioni alla libertà del distributore di rivendere i prodotti, ritenute lesive per la concorrenza da parte dell’UE;
  • anche in Italia l’e-commerce sta conquistando una fetta importante del mercato: è bene avere ben chiaro come strutturare la vendita online dei prodotti e disciplinarla di conseguenza (ad esempio riservando al produttore la vendita su certi canali di e-commerce);
  • in Italia ci sono diversi eventi fieristici e rassegne a tema vino: nel contratto sarà opportuno definire bene chi sosterrà le spese per l’attività promozionale e a quali eventi il distributore sarà tenuto a presenziare.
  • diritto applicabile e giurisdizione in materia. Per i produttori la legge italiana è una buona scelta, perché tende a favorire il venditore e non si segnalano (a differenza di altri stati come Spagna, Portogallo e Germania) casi giurisprudenziali che riconoscano un’indennità di fine rapporto in favore del distributore. Le sentenze dei tribunali di uno stato membro della UE trovano riconoscimento ed esecuzione automatica in Italia e negli altri Stati membri in forza del Regolamento UE 1215/2012. L’arbitrato resta una valida alternativa, soprattutto in contratti di valore elevato e quando vi sia esigenza di riservatezza sull’eventuale contenzioso: l’Italia è membro della Convenzione di New York del 1958 e i lodi arbitrali stranieri trovano immediato e rapido riconoscimento.

Contratti di agenzia per la promozione della vendita del vino

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Giuliano Stasio

L’Italia ha recepito all’interno del codice civile (artt. 1742 ss.) la direttiva CE 86/653, che disciplina le relazioni fra gli agenti di commercio ed i preponenti. Se per la disciplina di quest’ultima si rimanda a quanto visto nella Scheda sull’UE di questa Guida, al quale aggiungiamo alcuni consigli pratici per la redazione del contratto di agenzia e la gestione del rapporto tra preponente e agente:

  • una peculiarità tutta italiana è costituita dagli Accordi Economici Collettivi (“AEC”) stipulati tra le organizzazioni sindacali delle due parti (agenti e preponenti), che contengono disposizioni che vanno ad integrare la disciplina europea e codicistica. Questi accordi trovano applicazione quando: (i) agente e preponente aderiscono alle associazioni sindacali stipulanti o (ii) gli AEC sono espressamente o tacitamente richiamati nel contratto. Nella redazione del contratto bisognerà valutare con estrema attenzione se richiamare gli AEC o meno, tenendo in considerazione – preferibilmente grazie a un parere di un legale esperto in materia – vantaggi e svantaggi della scelta (gli AEC disciplinano in maniera uniforme una serie di aspetti del rapporto di agenzia, come: spese promozionali, calcolo provvigioni, variazioni del territorio, patto di non concorrenza, malattia, infortuni, gravidanza, durata preavviso, indennità di fine rapporto, ecc.);
  • gli agenti italiani o stranieri che operano in Italia per conto di preponenti italiani o stranieri sono tenuti ad iscriversi alla fondazione Enasarco, ente previdenziale di categoria che si occupa della gestione delle posizioni contributive degli agenti ed eroga i trattamenti pensionistici ed assistenziali. L’Enasarco svolge anche azioni di vigilanza, volte a verificare l’osservanza degli obblighi contributivi e la corretta qualificazione dei rapporti di agenzia;
  • esistono figure contrattuali affini all’agenzia commerciale, come i contratti di procacciamento di affari o i contratti di mediazione, che rischiano, in presenza di determinati fattori (es: obblighi promozionali, stabilità del rapporto, vincoli nei confronti del preponente, clausole di esclusiva, patti di non concorrenza, determinazione del territorio), di essere riqualificate come rapporti di agenzia. Ove questo accada, i rapporti verranno sottoposti a posteriori a tutti gli obblighi inderogabili previsti per il contratto di agenzia, tra cui il versamento dei contributi previdenziali dell’Enasarco e il pagamento dell’indennità di fine rapporto;
  • scelta della giurisdizione. Quando l'agente è una persona fisica (o una società di persone in cui l'attività personale dell'agente risulti prevalente) domiciliata in Italia, non si può derogare alla competenza del tribunale del luogo ove ha il proprio domicilio l'agente-persona fisica. In casi simili, inoltre, sarà competente il giudice del lavoro del luogo dove l’agente ha il suo domicilio. Al contrario, per gli agenti costituiti sotto forma societaria, si applicheranno le norme ordinarie in materia di giurisdizione e competenza;
  • scelta della legge applicabile. In un contratto internazionale di agenzia il diritto italiano è applicabile quando viene esplicitamente scelto dalle parti o, in mancanza di scelta, quando l’agente ha il suo domicilio abituale in Italia. È opportuno però segnalare che, nel caso di controversia in Italia avente ad oggetto un contratto di agenzia sottoposto a legge straniera, i giudici saranno comunque tenuti ad applicare le norme italiane di applicazione necessaria, ossia quelle cd. “internazionalmente imperative”, tra cui vi rientrano le disposizioni previste in materia di indennità di fine rapporto.

La Lettonia: un mercato liberale per l'imprenditoria

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Elina Girne

La Lettonia è un mercato piccolo, ma che vanta un’attenzione particolare alle esportazioni, che contribuiscono a più della metà del suo PIL. Grazie alla sua posizione geografica, infatti, la Lettonia ha sviluppato in modo particolare il settore dei trasporti, oltre a quelli più tradizionali (e.g.: la trasformazione del legname e l'agricoltura), e ad alcuni più innovativi (e.g.: produzione di macchinari e industria elettronica).

Dal punto di vista macroeconomico, in Lettonia è ripresa una crescita economica stabile, che attualmente supera il livello medio dell'UE. Dal 2011-2017, il PIL è aumentato in media del 3,5% l'anno e il PIL pro capite della Lettonia, nell'ultimo decennio, è cresciuto del 9,06% che colloca il paese al 99esimo posto nel mondo.

È essenziale proteggere il design, lo stile e il marchio di qualità

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Elina Girne

Registrazione di un marchio

In Lettonia la registrazione di un marchio è, in generale, soggetta agli stessi requisiti e allo stesso approccio procedurale degli altri paesi. Qualsiasi marchio può essere registrato a livello nazionale e internazionale.

Per la registrazione locale di un marchio deve essere presentata una domanda all'Ufficio Brevetti della Repubblica di Lettonia, includendo le informazioni del richiedente (proprietario del marchio), il logo (immagine) da registrare, lista di prodotti e/o servizi (secondo la classificazione di Nizza - WIPO) relativa alla richiesta di registrazione del marchio. Una singola domanda può richiedere la registrazione di un marchio per un solo prodotto o servizio, o per più prodotti o servizi. Va notato però che, per quanto riguarda i vini, non è possibile registrare un logo (simbolo) che includa un'indicazione geografica o che consista in un'indicazione geografica dell’origine del vino, se la domanda di registrazione ha per oggetto vini d’origine diversa.

La tassa per la registrazione del marchio dipende dal numero delle classi di prodotti e/o servizi per cui viene richiesto il marchio. Vale a dire, la presentazione della domanda di registrazione costerà 90 EUR, più 30 EUR per ogni classe di prodotti o servizi richiesti, entrambe le tasse devono essere pagate al momento della domanda. Mentre la tassa per la registrazione del marchio 95 EUR dovrà essere pagata una volta che il marchio è stato riconosciuto valido dall'Ufficio Brevetti per la registrazione. La domanda e il processo di registrazione sono gestiti esclusivamente in lingua locale (lettone), quindi qualsiasi documento in lingua straniera può essere presentato all'Ufficio Brevetti se viene allegata una traduzione certificata in lettone.

La data in cui la domanda è stata ricevuta dall'Ufficio Brevetti è considerata la data di deposito della stessa. Nel caso in cui tutti i documenti siano presentati ma, una parte del pagamento è ritardata, la data del regolamento dei pagamenti richiesti è considerata la data di deposito.

La registrazione internazionale di un marchio è soggetta agli stessi requisiti della registrazione di un marchio locale, a meno che le leggi e i regolamenti internazionali non prevedano diversamente. In questo processo, quando la domanda di registrazione di un marchio internazionale viene presentata in Lettonia, l'Ufficio Brevetti della Lettonia funge da intermediario. Le tasse per la registrazione di un marchio internazionale saranno più alte e una parte di esse sarà calcolata durante la procedura.

Un marchio locale viene registrato in media entro 2-3 mesi. Mentre, nel caso in cui la domanda abbia dei criteri per l'esame accelerato, la domanda può essere rivista, e il marchio può essere registrato entro 15 giorni lavorativi. Tuttavia, la registrazione internazionale di un marchio viene compiuta in 6-9 mesi.

Un marchio può essere proprietà congiunta di più persone. Il marchio registrato è valido per 10 anni, e può essere rinnovato su richiesta. Nel caso in cui la registrazione venga cancellata o annullata, la tassa di domanda e la tassa di registrazione non saranno rimborsate. Se, entro 5 anni dalla data di registrazione del marchio, non viene utilizzato, le autorità statali possono richiederene la sua cancellazione (si prega di fare riferimento a: Legge sui marchi).


Contraffazione

La lotta contro l'importazione e la distribuzione di merci contraffatte è soggetta alle leggi e ai regolamenti dell'Unione Europea e l'autorità nazionale di controllo competente in materia è l'Agenzia delle Entrate della Repubblica di Lettonia. Se il proprietario della proprietà intellettuale, o il suo rappresentante autorizzato, presenta al Dipartimento delle Dogane un parere riguardo alla violazione dei diritti della sua proprietà intellettuale, l’autorità ha il diritto di sospendere l'immissione sul mercato di tali merci sospette. Se le merci risultassero contraffatte sono soggette alla distruzione (si prega di fare riferimento a: Regolamento (UE) n. 608/2013).

Etichettatura delle merci

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Elina Girne

L'etichettatura delle merci in Lettonia è soggetta sia alle leggi locali che ai regolamenti dell'Unione Europea (si prega di fare riferimento a: Legge sulla circolazione delle bevande alcoliche, Regolamento (UE) n. 1308/2013, Regolamento (UE) n. 251/2014). Considerando che i requisiti e la conformità di tali leggi i sono piuttosto dettagliate e complicate, il LATSERT, ossia il centro di certificazione della Lettonia, aiuta le aziende che importano e vendono merci a capire i requisiti, facendo la valutazione della qualità e dell'etichettatura delle merci. L'autorità di supervisione di questa materia è il Servizio alimentare e veterinario della Lettonia.

I requisiti di etichettatura differiscono a seconda della tipologia di vino fruttato, da bacche, i vini d'uva e i vini d'uva aromatizzati. Tuttavia, secondo le regole generali, l'etichetta di un prodotto deve includere informazioni sufficienti affinché un consumatore possa capire che tipo di prodotto sta acquistando quindi saranno presenti le caratteristiche principali del prodotto, volume della confezione, robustezza del vino, informazioni sul produttore e sul distributore/venditore del prodotto (nome, indirizzo, numero di telefono). Un requisito obbligatorio da rispettare per i prodotti distribuiti sul mercato lettone è l'etichettatura in lingua lettone o perlomeno deve essere data priorità all’etichetta in lingua lettone (si prega di fare riferimento a: Legge sulla protezione dei diritti dei consumatori).

La distribuzione e la commercializzazione del vino sono aree regolamentate

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Elina Girne

Permesso di vendere

Come regola generale, la vendita al dettaglio e all'ingrosso di bevande alcoliche, compreso il vino, è soggetta a licenza. Per ottenerla gli imprenditori devono essere iscritti al Registro Commerciale del Registro delle Imprese della Lettonia, può essere un imprenditore individuale, una società di persone, una società a responsabilità limitata (con un capitale sociale 1-2.800,00 EUR) o una società per azioni (con un capitale sociale 35. 000,00EUR). La procedura per l’ottenimento della licenza è piuttosto dettagliata e necessita che il richiedente assicuri alle autorità statali coinvolte di avere le infrastrutture e le risorse necessarie per vendere i prodotti in questione; può essere richiesta la presentazione dei risultati finanziari e la giustificazione delle operazioni. La licenza viene rilasciata dall'Agenzia delle Entrate della Repubblica di Lettonia entro un periodo di 2 settimane fino a un mese dal ricevimento della domanda. La licenza viene rilasciata elettronicamente ed è a tempo indeterminato (si prega di fare riferimento a: Legge sulla circolazione delle bevande alcoliche, Regolamento del Gabinetto dei Ministri n. 662 Procedura sulla circolazione delle merci soggette ad accisa). La licenza può essere usata solo dal destinatario della licenza.

L'Agenzia delle Entrate ha il diritto di rifiutare il rilascio della licenza se: il richiedente ha perso la licenza a causa della violazione dei requisiti di legge nell’anno precedente alla domanda, il richiedente ha mancato il pagamento delle tasse nei 3 anni prima della presentazione della domanda, il richiedente ha presentato con la domanda di licenza informazioni false o se il richiedente ha operato con prodotti soggetti ad accisa senza licenza appropriata.

I comuni possono imporre ulteriori requisiti e regole per la produzione e la vendita di bevande alcoliche sul loro territorio (si prega di fare riferimento a: Legge sulla procedura di circolazione delle merci soggette ad accisa). Ad ogni modo, ogni caso specifico dovrebbe essere valutato individualmente per trovare le normative applicabili e la soluzione migliore per il produttore o venditore.


Pubblicità

Le bevande alcoliche sono soggette a requisiti pubblicitari molto severi.

In primo luogo, almeno il 10 per cento della quantità di un annuncio deve includere un avvertimento dell’impatto negativo che ha il consumo di alcol sulla salute, così come deve citare che la vendita, l'acquisto e la consegna di bevande alcoliche ai minori è vietata. L'informazione deve essere fornita in lettere nere su una base bianca, a condizione che il testo occupi più spazio possibile della sezione utilizzata per il testo.

In secondo luogo, c'è un certo numero di elementi, immagini e informazioni che non possono essere utilizzati nella pubblicità delle bevande alcoliche (persone che consumano alcol, dichiarazione che l’utilizzo dell'alcol sia per scopi medici, dare l'impressione che il consumo di alcol aiuti nella vita sociale ecc.).

In terzo luogo, ci sono diverse restrizioni rispetto alla sponsorizzazione. Ad esempio, gli annunci agli eventi sportivi o di intrattenimento per bambini non dovrebbero includere informazioni sulle bevande alcoliche che sponsorizzano l'evento. Infine, ma non meno importante, la pubblicità di bevande alcoliche è proibita sui trasporti pubblici, sui media all'aperto e sulla copertina esterna di libri e riviste.

Dogana

girne - legalmondo
Elina Girne

Lo sdoganamento viene eseguito in conformità con le leggi e i regolamenti quadro dell'UE, allo stesso modo sono fissati i tassi dei dazi doganali (si prega di fare riferimento a: Regolamento (UE) n. 952/2013, Regolamento di esecuzione (UE) 2018/1602 della Commissione). L'Agenzia delle Entrate della Repubblica di Lettonia è l'autorità nazionale di supervisione di questa materia.

Tassazione del vino in Lettonia

girne - legalmondo
Elina Girne

Il vino come la maggior parte delle merci in vendita è soggetto all'imposta sul valore aggiunto e soggetto ad accisa. I contribuenti delle accise sono gli importatori e altre persone elencate per legge che acquistano, importano e vendono prodotti soggetti ad accisa. C'è un meccanismo di calcolo stabilito dalla legge per l'aliquota dell'accisa, in particolare il vino è soggetto all'imposta per un importo di 111 euro per 100 litri (si prega di fare riferimento a: Legge sulle accise). La frequenza dei pagamenti dell'imposta dipende dallo status di contribuente del detentore della merce. Tutte le bevande alcoliche devono essere contrassegnate da timbri di accisa, a meno che non sia esplicitamente previsto diversamente dalla legge applicabile (si prega di fare riferimento a: Legge sulle accise).

L'aliquota IVA standard applicata alle merci è del 21%. In caso di importazione possono essere applicabili altre regole IVA (si prega di fare riferimento a: Legge sull'imposta sul valore aggiunto).

Messico: un mercato del vino in crescita

Joaquin Rodriguez

Nonostante, a prima vista, il consumo di vino pro capite può sembrare inferiore rispetto ad altri mercati, da una più attenta analisi emerge che le vendite di vino in Messico crescono, mediamente, dell’8% all’anno. Questo rende quello messicano un mercato giovane ed in netta espansione, che quindi rappresenta una grande occasione per i commercianti vinicoli internazionali; prova ne è che, nel 2018, stando alle statistiche del consumo di vino, solo il 29% del consumo era coperto dalla produzione nazionale, mentre il 71% dei vini era importato. Questo perché il consumatore medio è caratterizzato da una scarsa consapevolezza, pertanto tende a fidarsi dei vini provenienti da paesi che, tradizionalmente, sono produttori vinicoli, come l’Italia, la Francia, la Spagna ed altri paesi emergenti in questo mercato, come gli USA, il Cile e l’Argentina.

Come proteggere il marchio in Messico

Joaquin Rodriguez

Alla luce dell’espansione del mercato, il legislatore ha cercato di evolvere la normativa per proteggere sia i consumatori che i produttori vinicoli locali, ed evitare l’uso di marchi che possano generare confusione sul mercato. Da ultimo si segnala la legge del 2018 – per la promozione dell’industria vinicola – e la nuova normativa (NOM-199-SCFI-2017) che disciplina l’uso dell’indicazione “vino messicano”, limitandolo è limitata ai vini prodotti al 100% da uva messicana, ed il cui contenuto totale è fermentato ed imbottigliato nel territorio.

Per quanto riguarda la tutela della proprietà intellettuale, si raccomanda di registrare la denominazione (“Vida Amora”, ad esempio) o la denominazione insieme al logo (qualora fosse il caso) nel momento in cui si accede al mercato messicano. La registrazione del marchio prevede due procedure alternative, in Messico: (1) presentazione diretta della relativa domanda all’ufficio marchi (IMPI); oppure (2), presentazione della domanda internazionale ai sensi del protocollo di Madrid.

La procedura all’IMPI, però, risulta più spedita: l’iter nazionale, infatti, può durare dai 4 ai 6 mesi (salvo richiesta di ulteriore documentazione), a fronte dei 12/18 mesi necessari per una registrazione internazionale.
Una volta presentata la domanda, si acquisisce la precedenza sul marchio. Gli atti ufficiali dell’IMPI saranno pubblicati sulla gazzetta ufficiale della proprietà industriale. La registrazione dura 10 anni ed è rinnovabile, ma – in alcuni casi – possono essere richieste dichiarazioni d’utilizzo del marchio per mantenere la validità della registrazione.

Recenti modifiche alla legislazione in materia di proprietà industriale hanno ampliato il campo d’azione della tutela legislativa, fino ad includere i marchi sonori e olfattivi, i marchi olografici, i marchi di certificazione e le immagini commerciali (il cosiddetto “trade dress”), e questi elementi sono stati inseriti nella nuova legge federale sulla protezione della proprietà industriale, che entrerà in vigore il 5 novembre 2020.

Oltre alla registrazione del marchio (requisito imprescindibile affinché il consumatore possa verificare l’autenticità del prodotto; ma anche a fini fiscali, di lotta alla contraffazione e di salute pubblica), è necessario che le bevande alcoliche in bottiglia rechino l’etichetta ed il sigillo rilasciati del ministero delle Finanze.

Regole sull’etichettatura del vino in Messico

Joaquin Rodriguez

La normativa e la regolazione secondaria in materia sono costante oggetto di modifiche. La disposizione ufficiale messicana (NOM-142-SSA1-SCFI-2014) impone l’obbligo di indicazione in spagnolo delle seguenti informazioni:

  • tipo di prodotto e relativo marchio; 
  • nome/ denominazione sociale e domicilio fiscale del responsabile del prodotto;
  • paese di provenienza e dati della partita; 
  • gradazione alcolica 
  • informazioni sanitarie (ad esempio, didascalie con avvertenze)
  • informazioni commerciali (come il contenuto), fra le altre.

La suddetta normativa prevede requisiti specifici riguardo l’indicazione scritta, la posizione e la simbologia per ognuna di queste informazioni. Le direttive ufficiali messicane sono disponibili online nel catalogo ufficiale (Catalogo Oficial) del ministero dell’Economia.

Le etichette saranno sottoposte alla verifica di conformità da parte della commissione per la prevenzione di rischi sanitari (COFEPRIS) e si raccomanda, inoltre, di ottenere l’approvazione dell’agenzia per la protezione del consumatore (PROFECO). Queste formalità potranno essere espletate dal produttore attraverso un rappresentante sul territorio.

Una volta verificata l’osservanza dei requisiti normativi, Il ministero delle Finanze autorizzerà il rilascio delle etichette e dei sigilli da affiggere sulle bottiglie (siano esse importate o nazionali), per certificarne la produzione avvenuta in conformità alle leggi e l’ottemperanza degli obblighi fiscali.

Le registrazioni necessarie per l’importazione del vino in Messico

Joaquin Rodriguez

Per poter importare vini in Messico, è necessaria l’iscrizione al registro degli importatori presso l’amministrazione tributaria (SAT) del ministero delle Finanze. Il richiedente deve avere un numero di identificazione del contribuente (RFC), un domicilio fiscale accertato (o deve esserne stato richiesto l’accertamento) e la firma elettronica per esigenze fiscali; deve essere, inoltre, in regola con gli adempimenti fiscali ed avere un indirizzo di posta elettronica valido per le diverse verifiche, incluse quelle fiscali. È consigliabile fare riferimento ad un rappresentate presente sul territorio, di modo da agevolare l’ottenimento di queste autorizzazioni.

L’importatore deve anche essere registrato al COFEPRIS, che rilascerà l’autorizzazione sanitaria per l’importazione solo a seguito della presentazione dell’avviso di attività (“aviso de funcionamiento”), nel quale deve essere indicato il tipo di prodotto che si intende immettere sul mercato.

Essendo il Messico uno Stato federale, oltre alle autorizzazioni e documenti richiesti (vedi paragrafo successivo), vi possono essere leggi statali che impongono altre regole per la vendita e distribuzione di alcolici, pertanto – prima di immettere i prodotti sul mercato – è sempre opportuno fare una verifica con un legale del luogo, esperto in materia.

La pubblicità delle bevande alcoliche subisce alcune limitazioni, pertanto deve essere, in ogni caso, oggetto di autorizzazione da parte del COFEPRIS.

Sdoganamento, dazi e tassazione del vino nel mercato messicano

Joaquin Rodriguez

Prima dell’arrivo delle merci alla dogana, l’importatore dovrà aver presentato la domanda per lo sdoganamento. I documenti e le autorizzazioni più importanti per l’importazione sono: la dichiarazione d’importazione, la fattura commerciale, la polizza di carico ed il certificato di origine. Il prodotto deve, inoltre, essere conforme alla normativa messicana in materia (ad esempio: regole sull’etichettatura).

La legislazione tributaria è complessa e in costante evoluzione, ma, in sintesi, le imposte sui prodotti vinicoli in Messico corrispondo, approssimativamente, al 40-50 % del valore delle merci, e sono composte da:
Imposta generale sull’importazione (% Variabile): Secondo la normativa in materia di import/export, l’imposta generale su vini di uve fresche è del 20%. Vi sono, però, varie eccezioni, come il vino frizzante. Possono, inoltre, essere applicate anche delle imposte statali per le procedure doganali (ad esempio, dell’8x1000). Tariffe ridotte sono applicate in presenza di accordi di libero commercio.
Imposta sul Valore aggiunto (IVA) (16%): L’aliquota generale del 16% si applica all’importazione di vini ed alla loro commercializzazione. Alle transazioni al confine settentrionale possono essere applicati riduzioni sull’IVA.
Imposta speciale sulla produzione e servizi (IEPS) (% Variabile): L’imposta prevede l’applicazione di aliquote diverse in base alla gradazione alcolica del prodotto da immettere sul mercato: 1) fino a 14 gradi, il 26,5%; 2) tra i 14 ed i 20 gradi, il 30%; 3) superiore ai 20 gradi, il 53%.

I contratti per la distribuzione del vino in Messico

Joaquin Rodriguez

Ecco i nostri consigli per le trattative di un contratto di distribuzione: 

  • Con chi condurre le trattative? Prima di instaurare un rapporto d’affari con un partner commerciale messicano, è fondamentale verificarne l’organizzazione e la sua regolarità. Inoltre, è importante accertarsi che il firmatario abbia, effettivamente, il potere di vincolare la società. É, dunque, importante controllare i seguenti documenti: atto di costituzione iscritto al registro pubblico del commercio; mandati degli avvocati; documenti d’identità del rappresentante legale; certificato di residenza recente; certificato di registrazione fiscale (RFC); certificato di registrazione all’istituto messicano per la previdenza sociale (IMSS) e relativo certificato di osservanza degli obblighi imposti dall’IMSS, rilasciato dall’amministrazione fiscale e dall’IMSS. Nel caso di persone fisiche, bisogna fare riferimento solo agli ultimi 4 documenti. La documentazione previdenziale dell’IMSS non serve se il distributore non dispone di lavoratori subordinati.

  • Definire i termini e le condizioni dei contratti. Si raccomanda di stabilire nel contrato i termini essenziali della distribuzione, ovvero lo schema di business ed i termini e condizioni negoziati, come ad esempio: i processi di acquisto e consegna, prezzi e date dei pagamenti, volumi minimi d’acquisto, politiche di rimborso e sostituzione, canali di vendita, attività promozionali, ecc.

    Oltre ai consigli appena visti, di natura puramente commerciale, vi sono alcune clausole che suggeriamo di inserire nel contratto per evitare possibili contenziosi, come ad esempio: termini di cessazione del contratto e rimedi esperibili, obblighi di riservatezza (NDA), tutela della proprietà intellettuale, limitazioni di responsabilità nei confronti del consumatore finale, modalità di trattamento dei dati personali, clausole di esclusiva e non concorrenza, ecc.

  • Diritto applicabile e giurisdizione. Le parti possono liberamente accordarsi sulla legge applicabile al contratto e sul foro o arbitrato ai quali adire. Se la distribuzione ha luogo in Messico, consigliamo di scegliere la legge ed i tribunali messicani, in modo tale da far rispettare l’osservanza del contratto senza la necessità di procedure internazionali, particolarmente lunghe e costose.

    Nel caso si opti per una normativa diversa, è necessario verificare che le clausole non siano contrarie al diritto messicano, così da evitare eventuali problematiche, ad esempio, in materia di antitrust. Consigliamo, pertanto, di consultare un legale esperto per verificare la validità delle clausole più delicate, come quelle di esclusiva e non concorrenza .

    Il centro messicano di arbitrato (CAM) è un’istituzione rinomata specializzata nella gestione di procedimenti di arbitrato commerciale, e ha regole e clausole standard e può nominare arbitri, periti e fornire consulenze riguardo le procedure di arbitrato.

  • Il contratto può essere redatto nella lingua scelta dalle parti. Tuttavia nel caso si scelgano gli organi giurisdizionali commerciali per la risoluzione di eventuali contenziosi, sarà necessaria la traduzione giurata allo spagnolo del contratto e degli altri documenti. Raccomandiamo, quindi, di redigere il contratto in spagnolo o, quantomeno, con una traduzione in spagnolo a fronte, ricordando che, in caso di controversia, sarà quest’ultima a prevalere.

Il maturo mercato olandese: un’interessante opportunità

Constant Van Tuyll - Legalmondo
Privato: Constant Van Tuyll

Il mercato olandese di alcolici è particolarmente maturo, e, come succede in molti altri mercati maturi, il consumo di vino pro capite è in leggera diminuzione. La popolarità del vino, però, sembra essere in aumento nei Paesi Bassi, anche perché il cambiamento climatico ha permesso ai produttori locali di coltivare alcuni vitigni come l'Auxerrois, anche se ancora su scala molto ridotta. Un’inchiesta riguardante l’industria delle bevande alcoliche ha inoltre evidenziato un trend verso il consumo di vini a basso contenuto alcolico, scelti, appunto, come preferenza dal 30 % degli intervistati. Anche la vendita di vini analcolici è in crescita, con una crescente varietà di tipologie.

Il consumatore medio ha una conoscenza di vini notevole ed è anche incline a sperimentare; inoltre, il mercato sembra prediligere il brand della bottiglia rispetto alla sua provenienza o alla casa produttrice. Trovare soci per il business in Olanda è facile, data la maturità del mercato, l’eccellente padronanza delle lingue ed l’innata inclinazione al commercio. Altro fattore da tenere in considerazione è la facilità con la quale si può accedere agli altri mercati europei attraverso un importatore olandese.

Come tutelare il marchio sul mercato olandese

Constant Van Tuyll - Legalmondo
Privato: Constant Van Tuyll

I titolari di proprietà intellettuale (ivi compresi marche, disegni, marchi, denominazioni commerciali e d’origine, domini web, ecc.) godono di una forte tutela, non solo in virtù della legislazione comunitaria, ma anche grazie alla normativa olandese in materia di proprietà intellettuale, che permette ai giudici di agire rapidamente, condannando anche al risarcimento integrale risarcimento delle spese del giudizio e disponendo il sequestro dei prodotti che violano la proprietà intellettuale. In Olanda si applica la legge sui marchi denominata “Benelux” (Benelux Verdrag voor de Intellectuele Eigendom), che fornisce tutela per la proprietà intellettuale in Olanda, Belgio e Lussemburgo. La procedura per la registrazione di marchi, modelli e brevetti dura, in media, 3 mesi. Il prezzo di base è di 244 euro IVA esclusa e varia in base al numero di classi per le quali si richiede la tutela. Dal 1 marzo del 2019 vige una distinzione tra due tipi di marchi: collettivi e certificati, ove i primi sono i marchi in senso tradizionale, ed i secondi sono marchi che possono essere usati per contraddistinguere prodotti che seguono determinati criteri.

Le regole di etichettatura e d’imbottigliamento del vino in Olanda

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Privato: Constant Van Tuyll

Oltre alle regole d’etichettatura comunitarie (per le quali si rimanda alla scheda UE), vi sono requisiti imposti dalla normativa olandese in materia di dimensione delle bottiglie ed etichettatura di solfiti. Per maggiori informazioni, consultare il sito See https://www.rvo.nl/sites/default/files/2019/05/Overzicht-regels-wijnetiket.pdf (al momento disponibile solo in olandese).

L’obbligo di inserire il cosiddetto “pittogramma di gravidanza” è stato più volte oggetto di discussione in parlamento, ma non è ancora requisito legale. Tuttavia, si consiglia agli esportatori di inserirlo, vista l’alta probabilità che diventi obbligatorio.

La regolamentazione della vendita di vino in Olanda

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In Olanda vige il codice di regolamentazione pubblicitaria per le bevande alcoliche (il “Reclame Code voor Alchoholhoudende Dranken”), la normativa locale in materia più importante. Il codice esiste da più di 30 anni ed è regolarmente aggiornato in modo tale da rispecchiare i cambi riguardo la visione del consumo di alcol nella società, che si riverberano, poi, in modifiche legislative, come il recente aumento dell’età minima (passato da 16 a 18 anni) per il consumo di bevande alcoliche.

Legge in materia di alcolici e ristorazione (Drank en Horecawet)

La legge in materia di alcolici e ristorazione prevede che, per la vendita di bevande alcoliche (ossia, con un tasso alcolico superiore allo 0.5%), è obbligatoria la relativa autorizzazione. Inoltre, è necessario che le campagne pubblicitarie siano conformi con il codice di regolamentazione di cui sopra, che, nonostante non sia una legge in senso stretto, è prassi consolidata, e può, quindi, essere il fondamento per eventuali azioni in giudizio con le quali concorrenti e/o organizzazioni di consumatori richiedono agli organi giurisdizionali provvedimenti in caso di violazioni del codice.

Sdoganamento, dazi e accise per la vendita del vino in Olanda

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Dazi d’importazione e imposta sulle vendite

L’importazione di vino da un paese extracomunitario è soggetta a dazi calcolati sul valore delle merci, ossia sul valore di acquisto del vino, oltre ai costi di assicurazione e trasporto sostenuti fino al porto d’entrata all’UE. Se, tuttavia, il paese in esame ha raggiunto accordi commerciali con l’Unione Europea, i dazi da pagare saranno meno elevati. Si paga è anche un’imposta sugli affari (“turnover tax”) calcolata sul valore doganale e sui dazi.

L’IVA in Olanda sulle importazioni è al 21%.

Per quanto riguarda l’imposta sulle vendite, la legge fa una distinzione tra acquisti effettuati fuori e dentro dell’UE: in entrambi i casi, bisognerà pagare l’imposta nazionale sull’importazione in Olanda, ma vi sono differenze di procedure con l’amministrazione fiscale. L’acquisto da un fornitore proveniente da un altro stato membro si chiama transazione intracomunitaria. Può anche essere richiesta l’inversione contabile per evitare il pre-pagamento dell’IVA, con il relativo trasferimento all’erario del paese d’origine.

Accise

L’accisa è un’imposta nazionale sugli alcolici, sugli oli minerali e sui prodotti del tabacco. Per l’importazione di merci assoggettate ad accisa da un altro paese comunitario, vi sono due opzioni: 

  • Merci soggette ad accisa ricevute durante la sospensione dell’obbligo di pagamento dell’imposta

Nel caso in cui si ricevano regolarmente merci soggette ad accisa (ancora non pagata) da un altro paese UE, prima della ricezione delle merci, è necessaria un’autorizzazione da parte del destinatario registrato.

Se, invece, si ricevono merci soggette ad accisa (ancora non pagata) occasionalmente da un altro paese comunitario, si dovrà presentare, prima della ricezione delle merci, un’autorizzazione provvisoria da parte del destinatario registrato. Diversa è l’ipotesi di ricezione delle merci soggette ad accisa da un deposito fiscale o da un mittente registrato in un altro stato membro: in questo caso, è richiesta la presentazione di un documento amministrativo elettronico (e-AD) per il trasporto delle merci. Al momento della ricezione si dovrà pagare l’accisa olandese tramite una dichiarazione fiscale elettronica settimanale.

Qualora le merci arrivano da un altro paese UE e l’accisa è già stata pagata nel paese di origine, non saranno necessarie autorizzazioni. Sarà, comunque, necessario, darne prima notizia alla dogana, ed è richiesta solo la presentazione di una documentazione amministrativa semplificata. Come nel caso precedente, al momento della ricezione, si dovrà pagare l’accisa olandese tramite una dichiarazione elettronica, entro 1 giorno feriale dalla ricezione.

Anche nel caso di importazione di alcolici da paesi extracomunitari bisognerà pagare l’accisa, con alcune eccezioni, se si è in possesso di una licenza di mittente registrato. Per le importazioni di vino da paesi extra UE è richiesto il documento VI-1, rilasciato da determinati organismi comunitari.

Qualora, invece, le merci importate dal paese (sia UE o extra) fossero birre analcoliche, dovrà essere pagata l’imposta sul consumo, non l’accisa.

  • Deposito delle merci soggette ad accisa

Se si desidera depositare le merci durante la vigenza della sospensione dell’accisa, è necessario avere un’autorizzazione per il deposito di merci soggette ad accisa (AGP). La quantità minima per richiedere l’autorizzazione è di 40.000 litri di birra e 10.000 di vino, fatta eccezione per i trasferimenti ingenti di merci da altri stati comunitari.

É qui disponibile una visione panoramica a livello comunitario in materia: here.

Scegliere la giusta strategia omnichannel per il mercato olandese

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Privato: Constant Van Tuyll

in Olanda è wijvoordeel.nl.Il mercato olandese si sta spostando verso il mondo digitale, come molti altri mercati, ed il settore vinicolo non è un’eccezione, e riflette la tendenza in modo particolare rispetto alla comunicazione, promozione e vendita dei prodotti, nonostante i punti vendita fisici rimangono un elemento fondamentale della catena distributiva.

Vista la maturità del mercato e la forte posizione rivestita dai grandi operatori, è importante assicurarsi di avere partner commerciali competenti, che facilitino l’ingresso nel mercato. In particolare, le grandi aziende produttrici di birra hanno un controllo notevole sui mercati delle bevande alcoliche, nonostante la presenza importante di altri operatori indipendenti. La scelta del partner dipenderà in gran misura, quindi, dal segmento del mercato al quale è destinato il prodotto.

Sono vari gli importatori e le organizzazioni di commercianti che lamentano crescenti difficoltà per mantenersi al passo con le capacità che hanno i canali digitali per la raccolta dati e per la distribuzione attraverso algoritmi. In Olanda, si stima che le vendite online rappresentino il 5% del mercato vinicolo (2015), anche vi sono aspettative di crescita. Il maggior rivenditore di vino online (ed opera esclusivamente online) in Olanda è wijvoordeel.nl.

Si vendono online anche vini di qualità, dato che è in aumento il numero di consumatori disposto a pagare prezzi più alti per vini più esclusivi non acquistabili in negozi fisici.

Infine, il mercato online risulta particolarmente interessante per i produttori di paesi con minore tradizione vinicola, perché permette loro di presentare il prodotto ai consumatori, fornendone una descrizione accurata e dei dettagli che altrimenti non sarebbe possibile raccontare.

I contratti per la distribuzione di vino in Olanda

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Ecco i nostri consigli per le trattative di un contratto di distribuzione:

  • Chi è il tuo distributore? É facile reperire informazioni attraverso i canali ufficiali per assicurarsi sull’affidabilità del partner commerciale. Le ambasciate (ed i grandi consolati) possono fornire consigli agli esportatori sui canali da usare per trovare i giusti partner commerciali per il proprio business.
  • Redigere il contratto in inglese. I contratti redatti in inglese sono perfettamente validi. Non è necessario, né consigliato, redigerli in doppia lingua. Non è, infine, nemmeno necessario il bollo, per la validità del contratto, in quanto è sufficiente solo che questo sia firmato da rappresentanti autorizzati.
  • È opportuno avere sin da subito un modello di business chiaro, che preveda modalità e obiettivi per l’ingresso nel mercato olandese; inoltre è consigliabile rivolgersi ad un avvocato locale, che sappia redigere accuratamente i contratti necessari per raggiungere gli obiettivi di mercato. A tal proposito, il contratto di distribuzione è un contratto piuttosto comune, pertanto sarà facile e veloce ottenere un preventivo da un legale per la consulenza nella redazione. Inoltre, qualora l’esportatore si sia già rivolto ad un legale di un altro stato Europeo per la redazione del contratto (frequentemente accade con il proprio legale di fiducia), è consigliabile farlo rivedere ad un legale olandese, che potrà fare un rapido controllo ad un costo molto contenuto. 
  • Come in tutte le giurisdizioni UE, l’esportatore deve tenere ben presente la differenza tra fare affari con un importatore e farli con un agente commerciale. A quest’ultimo, infatti, è conferita una protezione legislativa sia durante la vigenza del contratto, che alla fine del rapporto, con il pagamento dell’indennità. Inoltre, si ricorda che in Olanda una relazione d’affari di lunga durata non necessita di un contratto scritto per essere regolamentata dalla legge (alla stregua dei contratti “scritti”). Pertanto, il recesso da una siffatta relazione richiede comunque la consulenza di un avvocato locale, al fine di evitare l’insorgere di controversie. 
  • Essendo l’Olanda uno Stato membro dell’UE, i contratti saranno sottoposti alla normativa anti-trust europea (per la quale si rimanda alla panoramica fatta nella scheda UE), che dovrà essere tenuta in dovuta considerazione, perché negli ultimi anni vi sono stati numerosi contenziosi in materia. Le limitazioni, ad esempio, alle vendite online, sono possibili solo in certa misura, e possono essere legate a requisiti di qualità. Si raccomanda, allora, una consulenza qualificata nella redazione degli accordi commerciali per evitare violazioni della legge che possano influenzare l’esecuzione del contratto, o, ancor peggio, azioni legali promosse dalla controparte contrattuale o accertamenti (e relativi contenziosi) da parte dell’autorità antitrust.
  • L’Olanda vanta un sistema giudiziario relativamente veloce ed efficiente, che fornisce tutela paritaria ad operatori nazionali e stranieri. Nella maggior parte dei casi, le corti ammettono prove in giudizio, specialmente in procedimenti cautelari, anche nelle lingue straniere maggiormente parlate (inglese, tedesco o francese).
  • Come in molti altri paesi europei, anche l’Olanda ha delle sezioni commerciali che consentono giudizi svolti interamente in lingua inglese, in caso di controversie a livello internazionale. L’organo vanta una serie di giudici selezionati in base all’esperienza in materie commerciali e per conoscenze linguistiche. L’Olanda è, infine, firmataria della Convenzione di New York del 1958, pertanto l’esecuzione dei lodi arbitrali è facile, come lo è il riconoscimento delle sentenze di tribunali stranieri.

Polonia: un mercato molto promettente

Jan Rolinski

Quello polacco è un mercato del vino molto promettente. I polacchi si stanno avvicinando sempre di più al mondo del vino, e ciò è sicuramente connesso allo sviluppo della cultura culinaria, all'adozione dello stile di vita occidentale e al reddito crescente. Ciò ha portato il vino da tavola ad essere attualmente al quarto posto in Polonia nelle categorie di alcool maggiormente vendute, ma non è l’unico settore in crescita. Si è notato uno sviluppo molto rapido anche nella categoria spumanti, tant’è vero che le varietà di Prosecco e Cava hanno ottenuto un autentico successo, registrando un aumento particolarmente elevato delle vendite e in parallelo c'è una tendenza evidente verso il settore premium, ossia verso l’acquisto di prodotti di qualità medio-alta.

Come proteggere il marchio in Polonia

Jan Rolinski

Per registrare un marchio in Polonia è necessario presentare una domanda di registrazione del marchio all'Ufficio Brevetti polacco. La tassa di registrazione è di 450 PLN (circa 110 EUR) se il prodotto viene registrato in una sola classe, più 400 PLN (circa 100 EUR) per ogni classe aggiuntiva. Il richiedente deve pagare anche 90 PLN (circa 23 EUR) per la pubblicazione delle informazioni sulla concessione della protezione del marchio nel bollettino dell'Ufficio Brevetti.
Se l'Ufficio Brevetti non rileva alcun motivo per rifiutare la registrazione, la domanda è pubblicata nel bollettino dell'Ufficio Brevetti ed entro 3 mesi da tale pubblicazione, i terzi possono presentare opposizione alla domanda. Se non viene presentata alcuna opposizione o l'opposizione viene giudicata inammissibile o rifiutata, l'Ufficio Brevetti registra il marchio. La procedura di registrazione del marchio dura mediamente all’incirca 6 mesi. Un'applicazione correttamente preparata riduce significativamente la durata del procedimento di esame, pertanto quando si registra un marchio vale la pena ricorrere ai servizi di un avvocato o di un consulente in materia di brevetti. La protezione di un marchio nazionale ha una durata di 10 anni e può essere rinnovata per periodi successivi previa pagamento delle relative tasse.
Va ricordato che registrando un marchio nell'Ufficio Brevetti polacco, questo marchio gode di protezione solo nel territorio della Polonia. Per ottenere una protezione più ampia, occorre prendere in considerazione la registrazione del marchio a livello europeo (EUIPO) (si veda in dettaglio la scheda UE) o internazionale (OMPI). L'industria vinicola ha finora registrato in Polonia marchi denominativi, marchi figurativi e marchi sia denominativi che figurativi.

L'etichettatura del vino in Polonia

Jan Rolinski

L'etichettatura del vino deve essere effettuata secondo la normativa europea, pertanto si rimanda alla scheda sull’UE di questa stessa guida.
A livello nazionale, le regole per l'etichettatura dei prodotti vitivinicoli sono definite nelle disposizioni sulla qualità commerciale dei prodotti agroalimentari. Questa disciplina prevede che il vino messo in commercio in Polonia deve essere etichettato quantomeno in lingua polacca. La correttezza dell'etichettatura del vino, compresa l'inclusione di eventuali informazioni obbligatorie sull'etichetta, è soggetta al controllo di ispezioni specializzate che, nel caso di etichettatura errata, possono portare a sanzioni.

Le regole per la vendita del vino sul mercato polacco

Jan Rolinski

La vendita di vino in Polonia può essere soggetta al controllo di numerose autorità, quali in particolare: Ispettorato Commerciale, Ispettorato Sanitario ed Ispettorato di Controllo di qualità dei Prodotti Agricoli e Alimentari (IJHARS).
Ai sensi della legge sull'educazione alla sobrietà e contro l'alcolismo, le vendite di vino in Polonia richiedono l'ottenimento di un'autorizzazione (per i prodotti con un tasso alcolico compreso tra il 4,5% e il 18%). Sono richiesti permessi separati per il commercio del vino all'ingrosso (sono emessi dal “maresciallo del Voivodato”) e per il commercio del vino al dettaglio (sono emessi dall'organo esecutivo di ciascun Comune). I Consigli comunali sono autorizzati a determinare il numero di punti di vendita di alcolici all’interno del territorio comunale e le regole dettagliate per la concessione dei permessi di vendita al dettaglio.
La procedura di rilascio dell'autorizzazione richiede circa 1 mese. La tariffa per il rilascio dell'autorizzazione per il permesso di commercio all'ingrosso è di 4.000 PLN (1.000 EUR), mentre la tariffa per il permesso di commercio al dettaglio è di 525 PLN (130 EUR). Le tariffe per l'uso continuato dell'autorizzazione dipendono dal valore effettivo delle vendite.
L'attività imprenditoriale nel settore del commercio del vino richiede anche la notifica all’Ispettorato Provinciale di Controllo commerciale di qualità dei Prodotti Agricoli e Alimentari (WIJHARS).
Nel caso in cui si stabilisca una cooperazione con un'entità polacca, pertanto, è opportuno verificare se essa dispone di un'opportuna autorizzazione, per limitare il rischio che le merci vengano sequestrate dall'ufficio doganale.
Da ultimo si segnala che in Polonia è proibito pubblicizzare e promuovere la vendita del vino.

Sdoganamento e tassazione per l'export del vino in Polonia

Jan Rolinski

È necessario che un'entità che gestisce un'impresa in Polonia si registri come soggetto passivo IVA (l'obbligazione diventa effettiva una volta raggiunto l'ammontare del fatturato specificato dalla normativa applicabile) e come soggetto passivo per accise.

La registrazione come soggetto tenuto al versamento delle accise comporta l'obbligo, tra l’altro, di tenere una registrazione dei prodotti soggetti ad accisa e di registrare le fascette.

La Polonia fa parte dell’Unione Doganale Europea, pertanto per il regime delle accise e per la circolazione delle merci all’interno dello Spazio Economico Europeo si rimanda alla scheda sull’UE.

La vendita di vino in Polonia è soggetta alla seguente tassazione:

  • Accise - l'accisa per il vino è di 158 PLN per 1 ettolitro di prodotto finito, 
  • Imposta sul valore aggiunto (IVA) (23%).

L'Associazione degli Imprenditori del settore delle bevande alcoliche ha calcolato che, in caso di vendita di una bottiglia di vino (0,75 lt) per un importo di 15 PLN (circa 3,5 €), le tasse ammontano all’incirca al 26% del prezzo di vendita (1,11 PLN - accise e 2,80 PLN - IVA).
La Polonia è uno dei pochi stati membri dell'UE in cui vi è ancora l'obbligo di apporre un bollo d’importazione di accisa, vale a dire una fascetta, sui vini. Gli operatori del settore hanno proposto l’abolizione di quest’obbligo da diverso tempo, ma il legislatore non ha ancora provveduto.

La vendita del vino via e-commerce

Jan Rolinski

La legge polacca definisce un elenco chiuso di luoghi in cui sono ammesse vendite al dettaglio di alcolici. La legge, tuttavia, non regola esplicitamente la vendita di alcol via Internet, il che porta a interpretazioni divergenti sulla possibilità di vendere vino online in Polonia, al punto che neanche la giurisprudenza è uniforme a questo riguardo. I rivenditori stessi, allora, stanno affrontando la questione in modi diametralmente opposti: alcuni rinunciano a tale canale di vendita, altri ricercano delle soluzioni per vendere online minimizzando il rischio. Una di queste consiste nel prevedere che la vendita (seppur pattuita online) avviene presso il luogo di vendita fisico del negozio, mentre il sito web è semplicemente una piattaforma dove gli alcolici vengono prenotati, che poi dovranno essere ritirati fisicamente in negozio.
Nell’incertezza normativa, ci sono anche negozi che vendono vino online e lo spediscono direttamente nel luogo indicato dal consumatore, limitando semplicemente la possibilità di effettuare tali acquisti ai maggiorenni (tramite registrazione al sito web). Si segnala, tuttavia, ceh tale soluzione è molto rischiosa per il venditore, perché, se questo sistema di vendita dovesse essere ritenuto non conforme alla legge, l’autorità potrebbe revocare il permesso di vendere alcolici.
L'industria del settore alcolici ha già proposto in passato di modificare la legge di modo da disciplinare le vendite online, ma il legislatore non è ancora intervenuto.

I contratti per la distribuzione di vino in Polonia

Jan Rolinski

Suggerimenti per la negoziazione dei contratti di distribuzione in Polonia:

  • Analizza il mercato. Sebbene il consumo pro-capite di vino in Polonia sia ancora uno dei più bassi dell'UE, la concorrenza sul mercato del vino è già piuttosto forte. Gli operatori che entrano nel mercato polacco dovrebbero quindi basare la propria attività di export sulla base di un solido business plan, con dei target chiari che permettano di pianificare correttamente la distribuzione. Attualmente, il più grande canale di distribuzione del vino è rappresentato dai supermercati e dai discount (oltre il 60%) e la quota di mercato rimanente è suddivisa tra negozi specializzati e settore HoReCa (hotel e ristoranti).

  • Verifica il tuo partner commerciale. Verifica se il tuo partner commerciale è debitamente iscritto nel “registro degli imprenditori” (KRS - per le aziende) o nel “registro centrale e informazioni sulle attività commerciali” (CEIDG - per le persone fisiche). Entrambi i database sono disponibili via Internet gratuitamente, pertanto è possibile trovare e verificare facilmente lo stato corrente del proprio partner, controllare l'indirizzo registrato o il codice fiscale (NIP), verificare il modo di rappresentazione della società e verificare se la società ha presentato i rendiconti finanziari richiesti.

  • Firma un contratto anche in polacco (si consiglia la versione bilingue). Può essere utile in caso di necessità di rendere pubblico il contratto davanti alle autorità competenti o davanti al tribunale.

  • Stai attento alla pubblicità. Ricorda che la pubblicità e la promozione del vino in Polonia sono proibite. Il divieto riguarda sia la distribuzione pubblica di marchi di bevande alcoliche o simboli grafici ad essi associati, che nomi e simboli grafici di imprenditori che producono bevande alcoliche. Pertanto, non si può imporre al distributore l’obbligo di condurre campagne pubblicitarie. A tal proposito, si consiglia di gestire la negoziazione di questi aspetti con un consulente legale specializzato nel settore.

  • Esclusiva solo a determinate condizioni. Si noti che, indipendentemente dalla propria quota di mercato, non è possibile imporre al proprio distributore alcuna restrizione relativa alle vendite passive [vale a dire vendite in risposta alle richieste dei singoli clienti] che, come visto nella scheda sull’UE ai sensi della normativa europea anti-trust non possono essere limitate o vietate. Le vendite attive, invece, possono essere limitate se la quota di mercato delle parti non superi la soglia del 30% della quota di mercato. Eventuali patti contrari alla normativa antitrust possono essere soggetti ad indagini da parte dell'Autorità garante della concorrenza ed eventuali sanzioni finanziarie.

  • Controlla la qualità in caso di dubbi. Sfortunatamente, sul mercato ci sono anche dei prodotti che vengono contraffatti mediante l’aggiunta di altre sostanze, come acqua, zucchero, alcol o estratti di frutta. In caso di dubbi, è sempre opportuno fare della analisi e verificare l’autenticità del prodotto e, a questo scopo, lo scorso anno in Polonia è stato lanciato uno speciale laboratorio di autenticazione del prodotto, in cui importatori e produttori possono verificare l'autenticità e la qualità dei vini importati.

  • Pensa al costo finale. Gli esportatori di vino stranieri potrebbero considerare la possibilità di imbottigliare il vino direttamente in Polonia. Il trasporto di vino sfuso è molto più economico rispetto al trasporto di vino in bottiglia, ed in Polonia sono disponibili moderni impianti di imbottigliamento. Tale risparmio sui costi inoltre può ridurre il prezzo finale del vino sullo scaffale del negozio, specialmente nel segmento dei vini da tavola, dove il costo del trasporto costituisce un elemento importante del prezzo del vino. Non bisogna parimenti dimenticare l’obbligo di apposizione dell’etichetta per il pagamento delle accise.

Romania: un mercato da scoprire

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Alexandra Ologu

La Romania detiene un terzo del totale dei vigneti dell'UE, ma si colloca solo al sesto posto come produttore di vino nell'UE, ed esporta meno del 5% della sua produzione locale.

Grazie al suo territorio favorevole, alle vaste aree di vigneti poco sfruttate e ai prezzi contenuti dei terreni, la Romania rappresenta uno dei paesi dell'UE più attraenti per gli investimenti greenfield (creazione ex novo un’attività produttiva all’estero) e brownfield (per il controllo di un'impresa estera già esistente) nell'industria del vino e del turismo enologico, tant’è vero che gli inve-stitori stranieri hanno definito questo stesso vino come "una gemma nascosta che aspetta di es-sere scoperta da molti mercati di esportazione".

In termini di consumo, le importazioni di vino rumeno sono in costante aumento, ma l'attenzione si concentra sui vini di qualità inferiore, a basso prezzo, e soprattutto sugli assortimenti bianchi. Tuttavia, i Millennials sono più interessati ai vini di alta qualità e si prevede che questo settore crescerà nel prossimo periodo.

La tutela del marchio in Romania

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Alexandra Ologu

Il diritto di marchio viene acquisito e tutelato mediante la registrazione presso l'Ufficio di Stato per le invenzioni e i marchi secondo le disposizioni della Legge n. 84/1998 relativa alla registra-zione dei marchi e delle indicazioni geografiche. La registrazione può essere richiesta presentando una richiesta che sarà pubblicata in un registro elettronico entro massimo 7 giorni. Nel termine di 2 mesi dalla data di pubblicazione, i terzi possono presentare opposizioni.

Precisiamo che un marchio può incorporare una DOC o una IGT solo se i prodotti per i quali il marchio è registrato rispettano la specificità della DOC/IGT, in caso contrario la registrazione sarà rifiutata.

La categorizzazione dei marchi segue la classificazione di Nizza, e l'Ufficio di Stato per le inven-zioni e i marchi è l’organo incaricato di esaminare la richiesta entro 6 mesi dal deposito. In caso di esito positivo della verifica, il marchio sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dei Diritti di Pro-prietà Intellettuale e sarà registrato nel Registro dei Marchi.

I diritti di marchio sono validi per un periodo di 10 anni a partire dalla data di presentazione della richiesta e possono essere rinnovati per periodi di ulteriori dieci anni senza limite massimo. I marchi registrati presso l'Ufficio di Stato per le invenzioni e i marchi sono protetti solo sul territorio rumeno.

Essendo il sistema nazionale complementare a quello dell'Unione Europea, la protezione del marchio dovrebbe essere garantita anche a livello europeo. Pertanto, il marchio deve essere registrato presso l'Ufficio della Proprietà Intellettuale dell'Unione Europea. Una volta registrato, lo stesso godrà di protezione in tutti gli Stati dell'Unione Europea ed è valido per un periodo di 10 anni, con possibilità di rinnovo. Si veda la scheda UE per ulteriori dettagli.

Etichettatura e classificazione del vino in Romania

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Alexandra Ologu

L'etichettatura dei vini venduti sul mercato rumeno è disciplinata sia dalla Legge Europea, che dalla legislazione nazionale, la quale stabilisce requisiti aggiuntivi per le etichette rispetto a quelli previsti nel Regolamento (CE) NR. 491/2009, già visti nella sezione UE di questa guida.

Elementi aggiuntivi obbligatori per l'etichetta:

  • Volume nominale della bottiglia/confezione;
  • Indicazioni relative al numero di lotto che consentano di identificare la data di imbotti-gliamento;
  • Nel caso dei vini spumanti gassificati e dei vini frizzanti gassificati l'indicazione delle modalità di produzione: “ottenuta con l'aggiunta di anidride carbonica”;
  • Indicazioni relative alla presenza di: "solfiti" o "anidride solforosa", "uova", "proteine dell'uovo", "prodotti a base di uova", "lisozima d'uovo" o "ovoalbumina", "latte", "prodotti caseari”, "proteine del latte "o pittogrammi corrispondenti, se del caso;
  • Per i vini spumanti, i vini spumanti gassificati e i vini spumanti aromatizzati, il tipo di prodotto, considerando la concentrazione zuccherina. Se, in funzione del tenore di zucchero del vino, quest'ultimo può rientrare in 2 categorie, si potrà scegliere quale delle categorie utilizzare.

Ricordiamo che il contenuto di zuccheri non può variare di oltre 3 gr/litro rispetto alla concentrazione indicata in etichetta.

Nel caso dei vini imbottigliati in Romania, il titolo alcolometrico dev’essere indicato sull'etichetta con caratteri di almeno 5 mm se il volume nominale è superiore a 100 centilitri, e di almeno 3 cm se il volume è inferiore o uguale a 20 centilitri.

Ulteriori elementi facoltativi dell'etichetta:

  • Per quanto riguarda l’anno di raccolta - almeno l'85% delle uve utilizzate nella produzione deve essere stato raccolto in quello stesso anno.
  • I marchi.
  • Eventuali premi vinti dal vino in concorsi ufficiali, specificamente da quel lotto.
  • Colore specifico.

Alcuni elementi sono obbligatori e devono essere raggruppati nello stesso campo visivo in modo da essere chiaramente distinguibili da altre scritte o disegni.

Per i prodotti vinicoli prodotti in Romania, gli elementi dell'etichetta dovranno essere esposti in una o più lingue ufficiali dell'Unione Europea. Da sottolineare che una di esse deve essere obbligatoriamente la lingua rumena.

Il mancato rispetto delle norme relative all'etichettatura dei vini può portare al loro ritiro dal mercato.

Secondo le disposizioni previste dalla Legge del vino e dei vigneti, i vini rumeni devono essere imbottigliati in una delle forme di imballaggio utilizzate sul mercato internazionale per questi tipi di prodotti. Possiamo avere, quindi: vino in bottiglia, vino venduto sfuso, o vini bag-in-box.

Il caso particolare dei vini sfusi e bag-in-box

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Alexandra Ologu

I vini venduti sfusi o in confezioni di tipo bag-in-box sono soggetti a particolari regole di vendita e commercializzazione. Ad esempio, i vini venduti sfusi trasportati in recipienti di capacità superiore a 60 litri devono essere accompagnati dal bollettino di analisi rilasciato dai laboratori autorizzati.

I vini spumanti, spumanti gassificati, vini frizzanti gassificati, vini frizzanti, vini spumanti gassificati DOC, ed i vini IGT non possono essere venduti ai consumatori come sfusi, ma solo imbottigliati.

Inoltre, la vendita di vini sfusi senza IGT o DOC o indicazione del tipo può essere effettuata in lo-cali dove non vengono venduti altri prodotti sfusi e solo dopo aver ottenuto una particolare auto-rizzazione in tal senso.

Denominazione di origine protetta e indicazioni geografiche protette in Romania

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Alexandra Ologu

L'acquisizione della DOP e dell'IGT per i vini nazionali avverrà attraverso un certificato rilasciato annualmente dall'Ufficio Nazionale Vini e Vigneti.

Dal 1° aprile 2019 la Commissione Europea ha lanciato la piattaforma elettronica denominata eAmbrosia, una banca dati che contiene le indicazioni geografiche dei vini protetti in tutta l'Unio-ne Europea e che ha lo scopo di garantire una facile identificazione dei vini.

Al momento, la Romania ha più di 50 indicazioni geografiche nel Registro dei vini che sono già protette, oltre a più di 15 in attesa e 34 DOC che sono state riconosciute.

Pubblicità del vino sul mercato rumeno

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Alexandra Ologu

In Romania, sono vigenti diverse disposizioni di legge che regolano la pubblicità di alcolici. Così, attraverso la legge n. 148/2000 relativa all'attività pubblicitaria, è vietata la pubblicità esplicita dei prodotti vitivinicoli sulla prima e sull'ultima pagina della stampa scritta e sui biglietti del tra-sporto pubblico. Inoltre, è vietato pubblicizzare i prodotti vinicoli in prossimità di scuole, ospedali o in luoghi pubblici destinati ai minori.

In aggiunta, il consiglio audiovisivo nazionale (organo nazionale regolatore del market audiovisivo “Consiliul Național al Audiovizualului”, CNA) stabilisce che tra le 6.00 e le 20.00 sono proibiti gli spettacoli televisivi in cui si consumano prodotti vinicoli, ed i programmi televisivi dedicati ai mi-nori non possono essere sponsorizzati da persone o aziende la cui attività principale sia legata alla produzione o alla commercializzazione dei prodotti vitivinicoli.

Sdoganamento, dazi e tasse per l'export del vino in Romania

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Alexandra Ologu

Tassazione

La vendita di vino in Romania non è soggetta ad accisa, con un’esenzione, cioè quella del vino spumante, per la quale l’accisa è di circa 10,28 EUR/hl. Il Ministero delle Finanze modifica con cadenza annuale il valore della stessa.

L'IVA applicabile al vino, indipendentemente dalla categoria, è del 19%.

Licenze ed autorizzazioni

La vendita di bevande alcoliche in Romania può essere effettuata solo da enti che abbiano una licenza per la vendita all’ingrosso o al dettaglio. Le condizioni per ottenere la licenza sono:

  • l'esistenza di un magazzino in condizioni adeguate, dove le merci sono custodite;
  • disporre di mezzi per verificare se i prodotti sono contraffatti;
  • avere i codici NACE (classificazione statistica delle attività economiche nella Comunità eu-ropea) relativi alla vendita di bevande alcoliche.

Per quanto riguarda il regime di sospensione dei dazi, è lo stesso presentato nella sezione UE di questa Guida, e prevede che il vino non possa essere trasportato in regime sospensivo a meno che l'acquirente rumeno non abbia ottenuto una delle seguenti autorizzazioni:

  • deposito fiscale per lo stoccaggio
  • destinatario registrato

Il rilascio delle due autorizzazioni di cui sopra è altamente regolamentato e subordinato al rispetto di determinati requisiti minimi di capitale sociale e di volume di vendite. Poiché, nella pratica, le autorità statali stabiliscono anche requisiti che non sono previsti dalla normativa fiscale, ma solo sulla base della prassi, raccomandiamo vivamente di affidarsi a consulenti in loco specializzati in materia.

I contratti per la distribuzione del vino in Romania

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Alexandra Ologu

I contratti di distribuzione non sono espressamente regolati dalla legislazione rumena, pertanto le parti hanno una maggiore libertà di stabilire i parametri per la cooperazione. Ciononostante, ai produttori stranieri che vogliano accedere al mercato rumeno attraverso un distributore suggeriamo di prestare attenzione sui seguenti aspetti, che potrebbero essere decisivi nel lungo termine:

  • Avere un contratto scritto
    Sebbene un gentlemen's agreement (accordo informale) tra le parti non sia mai fuori moda, nel caso di un rapporto commerciale ricorrente, un contratto scritto è un autentico must, e dovrebbe contenere, almeno, le clausole elencate di seguito.

  • Assicurarsi che il distributore abbia le autorizzazioni e i permessi richiesti
    In generale, ciascuna parte è responsabile delle proprie imposte e accise relative al prodotto ven-duto, e l'entità che vende vino in regime sospensivo di accise in Romania può ritenere che la sua responsabilità cessa nel momento in cui i diritti di proprietà sul prodotto passano al distributore. Tuttavia, secondo la normativa fiscale rumena, in alcuni casi specifici, i venditori e rivenditori sono responsabili in solido per il pagamento delle accise. Così, ad esempio, il magazzino fiscale auto-rizzato che vende vino spumante in un regime doganale sospensivo, potrebbe essere obbligato a pagare l'accisa nel caso in cui il suo cliente non rispetti le disposizioni fiscali.
    Per questo motivo si consiglia di includere l'obbligo per il distributore di fornire al venditore copie delle sue autorizzazioni/permessi e di informare immediatamente lo stesso distributore in caso di scadenza o revoca.

  • Pagamento
    Il modello di business preferito dai venditori è quello in cui il distributore paga la merce in antici-po e ne assume immediatamente la proprietà. Tuttavia, in pratica, i venditori forniscono ai distri-butori termini di pagamento piuttosto lunghi, il che significa che per ridurre tale rischio di insol-venza i venditori spesso contraggono polizze di assicurazione del credito, oppure richiedono al di-stributore assegni in bianco a garanzia del pagamento. In alternativa, il venditore può mantenere i diritti di proprietà sui beni, ma trasferire il rischio al distributore in modo che, in caso di mancato pagamento, il venditore possa chiedere la restituzione dei prodotti.

  • Clausole sensibili
    Le clausole più delicate nei contratti di distribuzione sono: l’esclusiva, la fissazione dei prezzi che, in certi casi e a seconda del modello di business, potrebbero essere proibite dalle leggi rumene sulla concorrenza. Secondo il Consiglio della concorrenza rumeno (Consiliul Concurenţei, organo di controllo romeno della concorrenza), bisogna evitare l’applicazione delle seguenti disposizioni:
    • Disposizioni che regolano il prezzo di rivendita / il valore degli sconti e in generale l'inter-ferenza di qualsiasi tipo nelle politiche di prezzo/sconto del distributore 
    • Disposizioni che istituiscono un sistema di monitoraggio del prezzo di vendita del distribu-tore 
    • Disposizioni che regolano la possibilità del venditore di interferire con le campagne pro-mozionali e di marketing dell'acquirente, ecc.

  • Diritto applicabile e giurisdizione
    È essenziale che il contratto di distribuzione contenga non solo la scelta della legge applicabile, ma anche l’indicazione del tribunale o istituzione arbitrale competente.
    Il motivo per cui è importante definire la legge applicabile – nonostante il contratto contenga già tutti i termini commerciali – è che la legge scelta disciplinerà l'interpretazione del contratto, la sua formazione e la sua risoluzione, la responsabilità delle parti. In altre parole, le disposizioni previste dalla legge applicabile coprono tutti gli aspetti che le parti non hanno disciplinato nel contratto, oltre a sostituire automaticamente le disposizioni del contratto contrarie a norme inde-rogabili.
    La regola non scritta è che la parte che si assume il rischio commerciale più elevato, si assicura di conoscere la legge applicabile e di avere facile accesso al foro competente per la risoluzione delle eventuali controversie.
    Si tenga tuttavia presente che in caso di vendita internazionale di merci, se sia il paese di residen-za dell'acquirente che quello del venditore hanno ratificato la Convenzione sui contratti per la vendita internazionale di beni mobili del 1980, si applicherà quest'ultima in assenza di un'espres-sa deroga delle parti in tal senso. Ciò costituisce un dettaglio rilevante, perché la CISG contiene disposizioni speciali riguardanti (tra l'altro) la responsabilità delle parti o i rimedi che esse hanno a disposizione, che sono diversi dalla normativa del codice civile rumeno.

Contratto di agenzia per la vendita di vino

ologu - legalmondo
Alexandra Ologu

A differenza dei contratti di distribuzione, i contratti di agenzia sono espressamente regolati dal codice civile rumeno, cioè dagli articoli 2072-2095.

Nel caso della vendita del vino, i contratti di agenzia sono comuni solo nel caso dei preponenti che abbiano una presenza in loco e che possano ottenere le autorizzazioni necessarie per la vendita e lo stoccaggio del vino, e, soprattutto per l'accesso del vino al mercato rumeno in un regime so-spensivo di accise, perché, generalmente, l'agente – agendo come mero intermediario – non ha capacità di stoccaggio, né di ottenere le autorizzazioni richieste dalla legge rumena per la vendita.

Per i preponenti che non sono presenti in Romania, il contratto d'agenzia non rappresenta la scel-ta migliore e dovrebbero, invece, valutare la possibilità di concludere un contratto di distribuzione, lasciando così la maggior parte dei rischi commerciali e gli obblighi di ottenere l'autorizzazione in capo distributore.

Il contratto di agenzia ha una serie di particolarità:

1. La clausola di esclusività

Sia in teoria che in pratica il contratto di agenzia dovrebbe contenere una clausola relativa al ca-rattere esclusivo (o non esclusivo) del rapporto tra le parti in quel particolare territorio. In man-canza di tale clausola, il rapporto si presume a titolo non esclusivo.

L'esclusività può essere unilaterale, vale a dire solo per l'agente di essere obbligato a non agire per conto di altri preponenti sullo stesso territorio e per gli stessi beni o prodotti. In tal caso, la clausola deve essere formulata in modo da limitare la possibilità dell'agente di fornire servizi concorrenti ad altri non solo attraverso un contratto di agenzia, ma anche attraverso un contratto di lavoro o un contratto di intermediazione.

2. Il patto di non concorrenza

È quello con cui il preponente la possibilità dell'agente di promuovere la vendita dello stesso tipo di beni dopo la fine del contratto.

Secondo il codice civile rumeno, il patto di non concorrenza può riguardare solo il territorio incluso nel contratto di agenzia e solo i beni e servizi per i quali l'agente era autorizzato a negoziare. Il patto è valido per un massimo di 2 anni dopo la fine del contratto, e se le parti hanno previsto un termine superiore, questo verrà automaticamente ridotto a 2 anni.

Il preponente non può invocare il patto di non concorrenza quando il contratto d’agenzia cessa per uno dei due seguenti motivi: risoluzione unilaterale del contratto da parte del preponente, senza concessione del termine di preavviso (contrattuale o previsto dalla legge); risoluzione del contrat-to per inadempimento del preponente.

3. La provvigione e il suo calcolo

Le parti possono concordare il momento del pagamento della provvigione. Naturalmente il prepo-nente avrà interesse affinché il contratto preveda il pagamento al momento del pagamento del prezzo, sia per non dover anticipare di tasca propria i costi; sia per motivare l'Agente a riscuotere gli importi.

La provvigione è dovuta anche nel caso in cui il contratto concluso per opera dell'agente non sia stato interamente eseguito a causa dell’inadempimento di una delle parti.

Per quanto riguarda la modalità di calcolo, alla fine di ogni trimestre, il preponente deve inviare all'agente copia delle fatture inviate a terzi, nonché una descrizione del calcolo del valore della provvigione. Su richiesta dell’agente, il preponente deve comunicargli immediatamente le informazioni necessarie per il calcolo delle provvigioni, compresi i relativi rendiconti delle scritture contabili.

4. La durata e la cessazione

Come per la maggior parte dei contratti, anche nei contratti di agenzia è possibile stabilire una durata o, in alternativa, prevedere un tempo indeterminato. Bisogna tenere conto, tuttavia, che nel caso di un contratto concluso a tempo determinato, se le parti continuano a dargli adempi-mento dopo la scadenza, il contratto si intende automaticamente prorogato a tempo indetermi-nato, il che impatta sul preavviso che una parte deve inviare per recedere unilateralmente, nel senso che il periodo di preavviso inizialmente previsto (se previsto) nel contratto viene prolungato come di seguito specificato.

Per quanto riguarda il termine di preavviso, nel primo anno di contratto, dev’essere di almeno un mese. Se la durata del contratto è superiore a un anno, il preavviso minimo è aumentato di un mese per ogni anno aggiuntivo, con il limite massimo di 6 mesi.

Le parti possono derogare le disposizioni del codice civile e stabilire un termine di preavviso più lungo (superiore a 6 mesi), ma in tal caso è obbligatorio sia previsto a carico di entrambe le parti.

Russia: un mercato in espansione innamorato del vino

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Alexander Katzendorn

Sulla base di una ricerca pubblicata da marketing.rbc.ru, nel 2019 – per la prima volta in cinque anni – le vendite di vino sono aumentate del 4,4% rispetto al 2018, ovvero di 40,9 milioni di litri. Questi numeri fotografano come l’interesse dei consumatori per i vini di importazione sia in generale aumento. Nonostante ciò, nel 2020 è prevista una diminuzione del 10,1%, che però è dovuta al generale calo dei redditi reali causato dall'epidemia di Coronavirus, che ha colpito principalmente la domanda di vini del settore HoReCa, che la quarantena è scesa quasi allo 0. Nel triennio 2021-2024, però, si prevede una ripresa delle vendite di vino in Russia ad un tasso annuo di circa il 4%.

Nuova legge federale russa sulla vinificazione

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Alexander Katzendorn

Il 26 giugno 2020 è entrata in vigore la legge federale del 27 dicembre 2019 “Sulla viticoltura e la vinificazione nella Federazione Russa".

La legge ha lo scopo di sostenere i produttori locali di vino e proteggere i consumatori dalla contraffazione del vino. Essa stabilisce: 

  • la classificazione dei prodotti vitivinicoli;
  • le norme tecnologiche per la produzione di prodotti vitivinicoli, i requisiti per le materie prime e i materiali utilizzati;
  • lo status giuridico dei soggetti della viticoltura e della vinificazione;
  • i requisiti per la contabilità e lo sfruttamento economico dei vigneti; 
  • la creazione di commissioni di degustazione per la valutazione organolettica della qualità dei prodotti vitivinicoli;
  • la creazione del sistema nazionale russo di protezione del vino per indicazione geografica e luogo di origine;
  • le peculiarità dell'etichettatura e della vendita al dettaglio dei prodotti vitivinicoli;
  • la creazione di collezioni e valutazione dei prodotti vitivinicoli;
  • le forme, condizioni e procedure per il sostegno statale ai produttori di prodotti vitivinicoli coltivati in Russia.

Denominazione d’origine e registrazione del marchio in Russia

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Alexander Katzendorn

La legislazione russa tutela tanto i diritti di denominazione di origine geografica quanto il marchio: la protezione dei suddetti diritti da parte della normativa russa è, però, condizionata alla registrazione sia della denominazione di origine geografica, sia del marchio, presso l’organo esecutivo federale della proprietà intellettuale (Rospatent).

É permessa la registrazione di una denominazione di origine geografica situata in uno stato estero se il nome del prodotto in questione è protetto, a sua volta, nel paese di origine dello stesso. Il diritto esclusivo all’uso del nome dello specifico luogo di provenienza delle merci è riservato solo al soggetto che gode della tutela di tale diritto nel paese di origine del prodotto.

Rispetto al marchio, oltre alla possibilità di registrazione in Russia, vi è anche la registrazione internazionale, in virtù dell’accordo di Madrid e al relativo protocollo.

Il Sistema di Madrid può rappresentare una soluzione conveniente e vantaggiosa per gestire e registrare il marchio a livello mondiale. Con la presentazione di una sola domanda ed il pagamento delle spese, si può richiedere la tutela del diritto in 118 paesi, tra i quali la Russia.

In base alla legislazione sulla responsabilità civile derivante da violazione dei diritti del titolare del diritto di denominazione di origine e marchio, è previsto il risarcimento danni. Tuttavia, si può anche optare per una “compensazione”, ossia una sanzione prevista specificamente in materia IP come alternativa al risarcimento danni.

Regole sull’etichettatura del vino in Russia

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Alexander Katzendorn

Ai sensi della normativa russa, l’etichettatura dei prodotti alimentari deve essere conforme ai requisiti previsti dagli standard tecnici dell’Unione Doganale, la quale, una volta verificatane l’ottemperanza, apporrà il relativo marchio di conformità.

Queste le informazioni minime da indicare obbligatoriamente in russo sull’etichetta:

  • Nome e tipo di vino;
  • Contenuto e lista degli ingredienti;
  • Volume; 
  • Data d’imbottigliamento;
  • Data di scadenza;
  • Condizioni per la conservazioni prima e dopo l’apertura della bottiglia;
  • Nome ed indirizzo del produttore e dell’importatore autorizzato;
  • Raccomandazioni e/o restrizioni sul consumo;
  • Contenuto nutrizionale;
  • Avvertenza di OGM presenti nel prodotto; 
  • Marchio di conformità dell’Unione Doganale.

In conformità alla nuova legge federale, le persone che si occupano della vendita al dettaglio di prodotti vitivinicoli devono garantire che il consumatore sia informato sulla/e varietà, sul luogo di origine e sull'anno di raccolta dell'uva utilizzata per la produzione dei prodotti vitivinicoli venduti, indipendentemente dal luogo di produzione.

Le informazioni relative alla/e varietà, al luogo di origine e all'anno di vendemmia sono comunicate al consumatore indicandole sull'etichetta. In questo caso, le informazioni relative al luogo di origine e all'anno di vendemmia devono essere indicate nel carattere, la cui dimensione è pari ad almeno 14 punti. Sull'etichetta e nel nome delle bevande alcoliche ottenute dalla fermentazione di un frutto diverso dall'uva non è consentito l'uso della parola "vino", così come delle frasi e dei derivati.

L'etichetta e la controetichetta delle bevande alcoliche contenenti uva con il contenuto effettivo di alcol etilico in volume non superiore al 22% devono indicare che le bevande in questione non sono vino mediante la dicitura "IS NOT WINE". La superficie della parte dell'etichetta e della controetichetta destinata esclusivamente alla collocazione delle informazioni non deve essere inferiore a un quinto della superficie totale dell'etichetta e della controetichetta.

In caso di vendita al dettaglio di bevande alcoliche contenenti uva il contenuto effettivo di alcol sia inferiore al 22%, queste devono essere collocate (rivestite) separatamente dal vino, in modo da consentire al consumatore di separare visivamente tali prodotti. Queste bevande devono inoltre essere accompagnate da una dicitura informativa "PRODUCTION IS NOT WINE".

I vigneti che producono vino spumante nel territorio della Federazione Russa a partire dalle uve coltivate nel territorio della Federazione Russa con il metodo della fermentazione cuvée hanno il diritto di indicare il nome "Russian Champagne" sull'etichetta di tali prodotti.

Le importazioni parallele del vino straniero in Russia

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Alexander Katzendorn

Le importazioni parallele consistono nell’importazione all’interno della Federazione Russa di prodotti originali recanti l’etichetta del marchio registrato del titolare da parte di soggetti diversi dal proprietario, appunto, del marchio o da un importatore da questi autorizzato. É importante tenere presente che questo tipo di importazione ha ad oggetto prodotti fabbricati dal titolare del marchio o, almeno, sotto il controllo dello stesso; pertanto, bisogna distinguerla dal fenomeno della contraffazione, che è, invece, la produzione e l’etichettatura di prodotti da parte di terzi senza il consenso del titolare del marchio.

L’importazione di un prodotto in Russia da parte di un soggetto non autorizzato, senza il consenso del titolare del marchio, è lecita solo in presenza del consenso del titolare (anche se l’importatore ha acquistato il prodotto dal titolare stesso o dal suo distributore in uno stato estero). In mancanza del consenso, il titolare potrà agire contro l’importatore non autorizzato per responsabilità civile, ai sensi della legislazione russa.

Al fine di migliorare la vigilanza sulle importazioni parallele all’interno della Federazione Russa, i titolari iscrivono i marchi al registro della proprietà intellettuale, tenuto dalle autorità doganali federali russe.

Il titolare del marchio che abbia motivi fondati di ritenere che vi sia stata una violazione dei diritti relativi all’importazione di merci all’interno della Federazione, in conformità con la normativa locale, può fare domanda alle autorità doganali di iscrizione della proprietà intellettuale al registro doganale della proprietà intellettuale della dogana. Di conseguenza, una delle condizioni basilari per l’iscrizione di un marchio al Registro è l’esistenza di fondati motivi per credere che il marchio in questione abbia subito una violazione da parte di terzi. L’iscrizione al registro doganale prevede, per il titolare, i seguenti vantaggi:

  • Possibilità di vietare ai terzi non autorizzati l’importazione delle merci in Russia;
  • Possibilità di concedere il diritto di importazione delle merci con il marchio in etichetta iscritto al Registro solo ad importatori autorizzati. Il titolare può cambiare, in qualsiasi momento, la lista degli importatori autorizzati, includendone altri (o escludendone);
  • Possibilità di ottenere informazioni (entro un giorno lavorativo) da parte di un’autorità doganale, riguardo alla presunta violazione dei diritti relativi al marchio e sulle possibili misure per la tutela dello stesso.

Sdoganamento, dazi e tassazione del vino in Russia

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Alexander Katzendorn

Aliquote d’accisa: può variare dai 5 ai 36 rubli al litro:

  • 5 rubli al litro (per vini con denominazioni di origine controllata)
  • 18 rubli al litro (per gli altri vini)
  • 14 rubli al litro (per vini frizzanti / champagne con denominazione di origine controllata)
  • 36 rubli al litri (per altri vini frizzanti / champagne)

Dazi doganali: 12,5% del valore delle merci

IVA: 20%

Promozione e pubblicità per la vendita del vino sul mercato russo

katzendorn - legalmondo
Alexander Katzendorn

La pubblicità delle bevande alcoliche in Russia è strettamente regolamentata dalla normativa in materia. Di seguito riportiamo alcuni esempi di requisiti indicati dalla legge.

La pubblicità delle bevande alcoliche non può:

  • Contenere affermazioni che facciano supporre che l’uso di alcolici abbia un ruolo importante ai fini del riconoscimento del successo pubblico, professionale, e/o sportivo, o che migliori le proprie condizione fisiche o mentali;
  • Stigmatizzare la cessazione del consumo di bevande alcoliche;
  • Contenere espressioni che descrivano gli alcolici come innocui o salutari. Nel divieto sono incluse le informazioni sulla presunta esistenza di additivi biologicamente attivi e vitamine negli alcolici;
  • Contenere informazioni che descrivano gli alcolici come dissetanti;
  • Essere rivolta a minorenni;
  • Usare immagini (comprese quelle elaborate con l’uso di cartoni animati) di persone e animali).

La pubblicità delle bevande alcoliche non può essere inserita in: riviste, giornali, trasporti pubblici o cartellonistica. Il divieto è esteso anche a organizzazioni di tipo militare, scolastico o medico. Inoltre, non è permessa la pubblicità di alcolici in teatri; circhi; musei; sale concerti ed esibizioni; sale conferenze; biblioteche e strutture sportive. Per quanto riguarda i mezzi d’informazione, è parzialmente consentita la pubblicità su internet di vini prodotti da uve coltivate sul territorio nazionale; a parte questa rara eccezione, però, il divieto vale per tutti i media (radio, Tv e internet).

I Contratti per la distribuzione di vino in Russia

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Alexander Katzendorn

Distribuzione all’ingrosso

Per poter importare merci in Russia, le parti devono firmare un contratto di fornitura. In questo, è necessario che si riflettano le informazioni fondamentali sulle condizioni di consegna di ogni tranche (in conformità ai regolamenti doganali) e sui requisiti di controllo della valuta. Sarà onere del compratore presentare il contratto alla dogana (per lo sdoganamento, appunto) e in banca, per il pagamento al fornitore e per conformità alla legislazione in materia di controllo della valuta.

Nonostante il contratto di distribuzione non abbia una regolamentazione specifica in Russia, le parti possono validamente concludere contratti di distribuzione, possibilità espressamente contemplata dalla legge (ai sensi dell’art. 421 del codice civile russo), che prevede che le parti siano libere di firmare contratti “atipici”, ossia senza una disciplina specifica nella legislazione.

In considerazione del fatto che i contratti di distribuzione prevedono una serie di obbligazioni più ampia rispetto ai contratti di fornitura (tra le quali, ad esempio, vi sono clausole riguardanti: esclusività, territorio, concorrenza, uso del marchio, ecc.), le parti, in genere, inseriscono le clausole sui termini e condizioni richiesti per i contratti di fornitura nei contratti di distribuzione o, in alternativa, concludono un altro contratto di fornitura recante la specifica regolamentazione dei termini di consegna di ogni tranche.

La fornitura di vino in Russia richiede una licenza specifica per l’acquirente del vino (il distributore), che deve essere registrato come ente avente personalità giuridica in conformità alla legislazione russa in materia.

Dato che la nuova legge federale sulla vinificazione non contiene disposizioni relative all'istituzione di attività specifiche di concessione di licenze per la produzione e la circolazione di prodotti vitivinicoli, non è necessaria una nuova registrazione delle licenze.

Vendita al dettaglio

La distribuzione di vino attraverso il commercio elettronico è vietata in Russia.

La vendita al dettaglio è strettamente regolamentata dalla legge ed è richiesta la presentazione di una licenza specifica da parte del soggetto giuridico stabilito in Russia, ossia: un fornitore estero può vendere al dettaglio solo attraverso una sua società controllata e/o un distributore con base in Russia, e, in entrambi i casi, è necessario fornire tutte le autorizzazioni previste.

La normativa russa stabilisce, inoltre, specifici requisiti riguardo ai luoghi e momenti in cui è vietata la vendita di vino. La vendita al dettaglio di alcolici è proibita dalle 23 alle 8, con alcune eccezioni.

Diritto applicabile e risoluzione delle controversie

Le parti sono libere di scegliere la normativa applicabile e di adire l’arbitrato o gli organi giurisdizionali nazionali. Si raccomanda, tuttavia, nel caso di contratti internazionali di optare per l’arbitrato, poiché il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali in Russia è garantito dalla Convenzione di New York del 1958, che trova buon riscontro presso gli organi giurisdizionali russi. L’arbitrato, inoltre, ha il pregio della confidenzialità, che permette la non-divulgazione di informazioni riservate.

Singapore: multiculturale, ricca, sicura, vivace, con un tocco conservatore

Vasoli - Legalmondo
Federico Vasoli

Singapore è un mercato maturo e in continua crescita per le attività di consumo e distribuzione di vino, dato che praticamente tutti i vini venduti e consumati sul mercato interno non sono evidentemente prodotti localmente, considerate le dimensioni e le condizioni climatiche. Singapore ha circa 5,5 milioni di abitanti, un elevatissimo PIL pro capite, un ampio mercato del lusso e uno stile di vita multiculturale. Tuttavia, il 15% della popolazione non beve alcolici e circa il 20% della popolazione non ha raggiunto ancora l’età legale per bere. Pertanto, la maggior parte dei prodotti alcolici non può essere venduta per motivi personali o legali a quasi il 35% della popolazione. Ciò significa che chi beve alcol compensa chi non lo fa in modo abbastanza significativo, sia in termini di consumo e sia in termini di conoscenza del prodotto e di spesa. Nonostante i cittadini e gli appartenenti alla grande e diversificata comunità di stranieri residenti abbiano un debole per il mangiare e bere fuori, un probabile insieme di: rispetto della legge, corretta applicazione delle regole, prezzi di consumo elevati e una mentalità relativamente conservatrice fa sì che il tasso di consumo pro capite di alcol sia solamente di circa 2 litri l’anno, il più basso nella regione Asia-Pacifico, consumo che include tutti i tipi di bevande alcoliche (vini, liquori, birre etc.).

Secondo un rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità del 2018, gli uomini bevono tre volte di più delle donne.

La birra si distingue come l’alcolico più bevuto, con il 70% del consumo totale di alcol. Ogni anno a Singapore vengono consumati oltre 11 milioni di litri di alcol e di questi i vini contribuiscono per circa 1,54 milioni. Il mercato del vino a Singapore è in costante sviluppo e, allo stesso tempo, i prezzi sono in aumento, a causa di una domanda composta da consumatori generalmente benestanti, maggiori costi di produzione generalizzati e aumento delle tasse sull’importazione di alcol.

Indipendentemente dalle ridotte dimensioni del mercato (in litri), oltre seicento aziende possiedono le licenze per la vendita legale di alcolici, principalmente per il ruolo di Singapore come hub globale per affari e tempo libero. In effetti, i ricavi nel segmento del vino dovrebbero ammontare, per l’anno in corso, al momento in cui viene redatta questa guida (gennaio 2022) a 740 milioni di dollari statunitensi. Entro il 2025 si prevede che l’80% della spesa e il 58% del volume dei consumi del vino avvengano fuori casa (es. in bar e ristoranti).

Dal momento che ben sei Paesi del sud-est asiatico (Vietnam, Tailandia, Malesia, Filippine, Indonesia) hanno conquistato le prime dieci posizioni come mercati di sbocco emergenti per produttori ed esportatori, senza ovviamente dimenticare la relativamente vicina Cina, la maggior parte del vino importato a Singapore viene riesportata in altri mercati, a causa del ruolo fondamentale di Singapore nella regione e per il suo ruolo guida all’interno della Comunità Economica dell’ASEAN, dove si distingue per stato di diritto, facilità di fare affari e tassazione assai conveniente. Per questi motivi, addirittura la metà dei produttori di Francia, Italia e Spagna indica Singapore come propria scelta di mercato emergente e altrettanto fanno un terzo degli esportatori di vino del Nuovo Mondo.

I primi tre esportatori sono Francia, Australia e Cile. I dati governativi mostrano che sei Paesi costituiscono circa l’86% delle importazioni di vino. Tuttavia, considerando la diversità e la curiosità che caratterizzano il consumatore residente a Singapore, c’è sempre più spazio per i vini provenienti da regioni di produzione relativamente più piccole, come il Portogallo o il Libano. Lo stesso vale per le etichette di nicchia: mentre i nomi francesi o italiani di prim’ordine, così come le edizioni speciali o le bottiglie d’annata sono una scelta quasi obbligata per consumatori in stile “Crazy Rich Asians”, i prodotti di qualità di nicchia, in particolare i vini biologici, godono di significative previsioni di crescita. Altri spumanti, come il Prosecco, ad esempio, stanno guadagnando terreno, anche per il loro prezzo competitivo rispetto ai leader di mercato (Champagne). Avendo accennato a questa tipologia, va comunque ricordato che per ogni bottiglia di qualsiasi spumante, se ne vendono tre di fermo (rosso, in particolare).

Infine, le vendite locali includono una parte relativamente piccola che viene acquistata da consumatori abbienti non residenti che provengono dai Paesi limitrofi e che si fidano maggiormente di Singapore più che dei loro stessi Paesi, quando si tratta di garantire la qualità e l’originalità del prodotto.

Proteggi le tue risorse: registra il tuo marchio a Singapore

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Federico Vasoli

Poiché Singapore è uno dei firmatari dell’Accordo di Madrid relativo alla registrazione internazionale dei marchi del 1939 e del Protocollo relativo all’Accordo di Madrid (noto collettivamente come il “sistema di Madrid”), per ottenere la protezione di un marchio sul posto, i titolari del marchio possono depositarlo tramite la domanda nazionale o appunto attraverso il sistema di Madrid.

Una ordinaria domanda nazionale di deposito del marchio per le bevande alcoliche segue il percorso standard, che consiste nei seguenti passaggi:

  • esame di formalità: l’Ufficio per la proprietà intellettuale di Singapore (IPOS) esegue un esame per verificare che la registrazione proposta sia conforme ai suoi requisiti formali e che non rientri negli impedimenti assoluti che causano il rifiuto della domanda. L’IPOS effettua inoltre ricerche di anteriorità, contro i cui risultati il richiedente avrà poi la possibilità di opporsi;
  • pubblicazione della domanda: supponendo che la domanda superi la fase di esame, verrà poi pubblicata sulla Gazzetta della proprietà intellettuale, ai fini di eventuali opposizioni da parte di terzi aventi interesse;
  • esame di merito: la comunicazione di rigetto assoluto e relativo, è effettuata contestualmente dall’IPOS all’atto della pubblicazione in Gazzetta;
  • dichiarazione di concessione di protezione: la tassa ufficiale per la concessione del certificato dovrà essere pagata dal richiedente per ricevere il certificato originale, disponibile anche in formato digitale.


Se la domanda va a buon fine, la registrazione del marchio durerà per un periodo iniziale di dieci anni, dopodiché potrà essere rinnovata per ulteriori periodi di dieci anni a tempo indeterminato.

Tuttavia, se un marchio non viene utilizzato nei primi cinque anni dalla registrazione o per un periodo continuativo di cinque anni durante la registrazione, una terza parte può chiederne la revoca per non utilizzo.

Redazione delle etichette e gli standard pubblicitari a Singapore

Vasoli - Legalmondo
Federico Vasoli

Le normative sull’etichettatura sono stabilite dal Singapore Food Act and Regulations. I requisiti di etichettatura degli alimenti sono principalmente volti a garantire la sicurezza alimentare.

La Singapore Food Agency fa riferimento all’organismo internazionale per la definizione degli standard alimentari, la Codex Alimentarius Commission (l’organismo internazionale per gli standard alimentari istituito dalla FAO e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), quando rivede i requisiti di etichettatura per Singapore.

Come accennato in “Dogane, dazi e tasse d’importazione”, le regole d’importazione prescrivono la perfetta corrispondenza tra la descrizione che è stata apposta sull’etichetta e il contenuto effettivo dell’articolo importato. In caso di discrepanza, le sanzioni pecuniarie possono essere pesanti e possono comportare anche azioni penali e quindi pene severe e la revoca della licenza.

La Singapore Food Agency aggiorna regolarmente la sua Guide to Food Labelling and Advertisements.

La legge non richiede di applicare etichette di avvertenze per la salute sulle bottiglie, né di fornire tali avvisi nelle pubblicità.

Inoltre, non esistono norme vincolanti sulla pubblicità di alcolici, il product placement, la sponsorizzazione di alcolici o la promozione delle vendite.

Tuttavia, la Advertising Standards Authority of Singapore (ASAS), che è un ente consultivo della Consumers Association of Singapore (CASE) istituita per promuovere la correttezza nella pubblicità a Singapore, ed è l’ente di autoregolamentazione del settore pubblicitario, interviene nell’affrontare l’attività di promozione, ad esempio vietando l’associazione di minori e alcol in qualsiasi strumento pubblicitario. Inoltre, l’ASAS specifica che le pubblicità non devono enfatizzare o concentrarsi sugli effetti positivi dell’alcol sulla salute dell’uomo.

Segui le regole

Vasoli - Legalmondo
Federico Vasoli

Prima che un soggetto possa distribuire vino a Singapore, questi deve aver ottenuto una licenza.

Esistono cinque classi principali e alcune sottoclassi per la licenza di distribuzione, che sono essenzialmente suddivise in:

  • tipo di bevanda alcolica da vendere (es. vino);
  • periodo di tempo (tariffa annuale o pro rata);
  • tipo di esercizio commerciale (es. bar, supermercato etc.).


Un richiedente può fare domanda per più di una licenza in classi diverse.

Il richiedente deve essere registrato presso la Accounting and Corporate Regulatory Authority (ACRA), con poche eccezioni, e deve essere un cittadino di Singapore, un residente permanente o essere in possesso un numero di identificazione straniero (FIN). Infine, il richiedente deve essere un amministratore della società, un socio della società di persone rappresentata, o l’unico titolare della ditta individuale e deve avere requisiti di onorabilità e competenza.

La domanda può essere presentata online utilizzando il portale GoBusiness Licensing, che dispone di un gateway per il pagamento, il cui ammontare è determinato in base alla classe di licenza per la quale si fa domanda e che, di regola, è inferiore a 1.000,00 dollari di Singapore annui. Le autorità possono richiedere ulteriori informazioni e documenti giustificativi.

L’età minima per bere alcol è diciott’anni.

Dogane, dazi e tasse d’importazione sul vino a Singapore

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Federico Vasoli

Anche nel settore dell’importazione del vino a Singapore, come quasi sempre in questo ordinamento, le regole sono chiare e puntuali.

La principale fonte primaria è il Sale of Food Act e le cosiddette “Food Regulations” che ne derivano. Tali norme disciplinano anche l’importazione di bevande alcoliche nel Paese.

L’importazione del vino è consentita solo a persone che si siano registrate e abbiano una licenza ad hoc, ovvero una persona giuridica autorizzata che possieda un permesso di importazione valido per le Dogane di Singapore. Tale soggetto ha anche l’obbligo di pagare le accise e altre tasse. Negli ultimi anni, il numero di importatori registrati è aumentato, perché ottenere licenze per il commercio è diventato relativamente più semplice.

Tutto il vino importato deve essere registrato presso la Singapore Food Agency, che, assieme alle Dogane di Singapore, ha l’autorità di controllare i vini importati che entrano nel Paese.

Singapore non ha limiti massimi per l’importazione di vino.

Per quanto riguarda le merci importate, non vi sono dazi da pagare. Tuttavia, il vino fa parte di una (“liquori inebrianti”) delle quattro categorie di merci soggette ad imposizione (le altre tre sono i prodotti del tabacco, i veicoli a motore, i prodotti petroliferi e le miscele di biodiesel).

Mentre per la birra, ad esempio, viene applicata un’aliquota del dazio doganale di 16,00 dollari di Singapore per litro di alcol, l’aliquota del dazio doganale per il vino è attualmente nulla. Tuttavia, sia la birra, sia il vino sono soggetti ad un’accisa: quella relativa al vino è 88,00 dollari di Singapore per litro di alcol, moltiplicato per il volume alcolico. La formula è quindi: litri * 88,00 dollari di Singapore * % alcol. Oltre alle accise, il governo applica anche una Goods and Services Tax (GST), sostanzialmente equivalente all’imposta sul valore aggiunto, del 7% a tutte le merci importate.

Il calcolo dell’accisa non dipende dal valore effettivo del prodotto: la stessa accisa viene applicata a vini di diversi tipo, origine e prezzo.

Sia l’accisa, sia la GST devono essere pagati per i beni soggetti a dazio, solo se tali beni sono importati per il consumo locale.

La violazione delle norme doganali che comporti fronte configura un reato.

Contratti per la distribuzione del vino a Singapore

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Federico Vasoli

Singapore è un ordinamento di Common Law, quindi è essenziale redigere un accordo valido e scritto correttamente, poiché le parti godono di significativa libertà contrattuale.

La legge di Singapore non disciplina l’agenzia commerciale, a differenza degli Stati membri dell'Unione Europea, da cui provengono molti produttori abituati a tale modello. Le parti possono senz’altro disciplinare la loro attività secondo un contratto liberamente negoziato, il cui contenuto sia simile a quello dell’agenzia commerciale comunitaria, ma devono farlo attraverso un contratto valido e tenere presente che il termine “agenzia” nel gergo giuridico locale non significa “agenzia commerciale” nel senso della direttiva UE, sebbene l’istituto dell’“agenzia” esista, anche se non per legge, ed è in qualche modo più simile al potere del “rappresentante” negli ordinamenti di Civil Law.

Altrettanto non esiste una legge sui contratti di distribuzione, che tuttavia rappresentano il tipo contrattuale per antonomasia in questo settore. Un accordo di distribuzione è un accordo tra un fornitore (tipicamente il produttore di vino) e un distributore, in base al quale il fornitore concede al distributore i diritti di rivendere i propri beni o servizi.

Sebbene non obbligatorio, è essenziale che un contratto di distribuzione sia regolato da un apposito accordo scritto e che affronti le seguenti clausole:

  • licenza: il distributore deve essere in possesso di licenze valide (v. “Segui le regole”) per agire in tale veste;
  • esclusiva: considerato il ruolo di Singapore come hub, un produttore potrebbe voler stipulare più accordi di distribuzione con vari distributori locali, inclusi enoteche, ristoranti e altri rivenditori, specializzati in diversi segmenti;
  • territorio: a prescindere dall’esclusiva, un distributore con sede a Singapore può essere in grado di vendere i vini del produttore negli altri mercati ASEAN, posto che disponga dei permessi necessari per farlo;
  • prodotti che il produttore fornisce al distributore / agente;
  • politica di prezzo, che possa essere determinata dal produttore a propria discrezione, e termini di pagamento, che possono includere fissazione dei tassi di conversione del dollaro di Singapore, nonché penali per ritardi;
  • obbligazioni del distributore (per citarne solo alcune, inventario, quantità minime, servizi post-vendita) e obbligazioni del fornitore (ad esempio, fornire supporto tecnico e materiale di marketing);
  • diritti di proprietà intellettuale: oltre a tutelare i diritti del produttore, l’accordo può anche definire l’ambito di utilizzo da parte del distributore dei marchi e dei nomi commerciali del produttore stesso;
  • diritto applicabile e foro competente: vale la pena ricordare che il Singapore International Arbitration Centre è uno dei centri arbitrali d’elezione per tutta l’Asia e che la legge di Singapore viene costantemente scelta anche da parti contrattuali straniere, grazie alla sua chiarezza e reputazione. Anche le cause in giudizio ordinarie, in assenza di una valida clausola compromissoria, rappresentano una buona opzione per risolvere controversie anche tra parti provenienti da ordinamenti e culture completamente diverse.

Slovenia: il paese degli amanti del vino

Rot - Legalmondo
Patricija Rot

La Slovenia è un paese con una storica tradizione nella produzione del vino. Infatti, nonostante sia relativamente piccolo (superficie di 20.271 km² e popolazione di 2,1 milioni), la Slovenia produce annualmente tra 800.000 hl e 900.000 hl di vino, con circa 17.500 acri di vigneti situati su ripidi pendii, che – da un lato – rendono la produzione di vino piuttosto costosa, dall'altro permettono la coltivazione di uve di alta qualità. Di conseguenza, la produzione di vino di qualità alta rappresenta il 70% dell'intera produzione, distribuita su tra tanti piccoli produttori che producono un vino di qualità eccellente (high-end), principalmente da uve bianche (68 % della produzione totale).

Dal punto di vista del consumo interno, la Slovenia registra valori procapite piuttosto elevati, anche se in lieve diminuzione.

Il volume delle esportazioni è aumentato negli ultimi anni, trascinato soprattutto dai vini di alta gamma. Le importazioni, invece, riguardano principalmente vini senza denominazione d'origine protetta e di fascia bassa: la carenza di tali vini nel mercato interno e l’alto consumo pro capite rappresenta un’ottima occasione di mercato per i produttori stranieri.

In sintesi: la Slovenia è un mercato piccolo, ma caratterizzato da un grande consumo e una produzione interna high-end. I consumatori locali hanno una buona consapevolezza nel consumo e certe nicchie di popolazione sono disposte a pagare per l'alta qualità, il che offre opportunità anche ai produttori di vino di fascia alta. Tutti questi elementi offrono diverse possibilità ai produttori, a patto che questi abbiamo una chiara strategia di commercializzazione dei propri prodotti e si affidino ai giusti distributori.

Registrazione del marchio sloveno o UE?

Rot - Legalmondo
Patricija Rot

La protezione del marchio è molto importante non solo per evitare che terzi usino il marchio nel paese in cui si trova il produttore, ma anche per evitare che il distributore straniero debba affrontare reclami da parte di terzi che possono aver registrato il marchio in modo fraudolento in quel mercato specifico.

La registrazione del marchio è il primo passo per tutelare i propri diritti IP. Tre sono le strade possibili: la registrazione di (i) un marchio UE (protetto tramite l’EUIPO come marchio comunitario), (ii) un marchio internazionale (con estensione della registrazione da depositare presso la WIPO ai sensi dell'Accordo e del Protocollo di Madrid, dei quali anche la Slovenia è parte) o (iii) un marchio nazionale. La registrazione comunitaria offre diversi vantaggi (vedi qui in dettaglio) in tutto il territorio dell’UE ed è generalmente consigliabile, in quanto veloce ed economica. Però, i produttori che concentrano la propria commercializzazione solo su alcuni specifici paesi dovrebbero valutare anche la strada di registrare i propri segni distintivi nazionali come marchi nazionali in tali territori.

Per quanto riguarda la Slovenia, la domanda di registrazione del marchio sloveno deve essere depositata presso l'Ufficio Sloveno per la Proprietà Intellettuale (SIPO) che è un ente autonomo all'interno del Ministero dello Sviluppo Economico e della Tecnologia. La registrazione dura 10 anni e ha i costi descritti di seguito: tassa di deposito EUR 100 per un massimo di 3 classi (più EUR 20 per ogni classe aggiuntiva) e tassa di registrazione per un massimo di 3 classi: EUR 150 (più EUR 50 per ogni classe aggiuntiva). La domanda presentata da un'entità straniera deve essere presentata tramite un agente di marchio registrato presso la SIPO. La registrazione è valida per 10 anni e può essere rinnovata ogni 10 anni successivi dietro pagamento della tassa di rinnovo di 150 EUR.

Come di consueto, prima di depositare la domanda di registrazione si raccomanda di svolgere delle ricerche di anteriorità al fine di verificare se lo stesso simbolo o uno simile siano già stati oggetto di registrazione in Slovenia. Tali ricerche non vengono eseguite d’ufficio dal SIPO, ma solo su richiesta. Il SIPO offre anche una piattaforma di ricerca gratuita digitale: il Database Server.

Prima di entrare nel mercato, oltre a registrare il marchio, è consigliabile registrare il vostro nome di dominio, per evitare che terzi rubino fraudolentemente il nome a dominio (il cosiddetto "cyber-squatting") e, di conseguenza, vi impediscano di utilizzarlo.

Etichettatura e classificazione: La legislazione dell'UE con alcune particolarità per la Slovenia

Rot - Legalmondo
Patricija Rot

L'etichettatura dei vini venduti sul mercato sloveno è regolata dalla legislazione UE (già vista nella specifica Guida UE), che in Slovenia è stata implementata e applicata dalle disposizioni della Legge sul vino e dal Regolamento sull'etichettatura e l'imballaggio del vino.

Un requisito specifico della legge slovena (che non è previsto dalla legislazione UE) è che la classificazione per classe di qualità deve essere specificata sull'etichetta (ad esempio vino, vino spumante, vino di qualità, vino spumante di qualità, vino di qualità superiore, vino spumante di qualità superiore) ad eccezione dei vini senza indicazione del vitigno e dei vini senza denominazione di origine protetta o senza indicazione geografica. La legge richiede che ogni vino sloveno (della classe dei vini di qualità con la denominazione d'origine protetta, dei vini locali con un'indicazione geografica riconosciuta e dei vini con la denominazione della varietà di vite), prima di essere immesso sul mercato, deve essere sottoposto a una procedura di valutazione condotta da un'organizzazione di valutazione autorizzata.

Informazioni obbligatorie sull'etichetta (in lingua slovena): categoria del prodotto vitivinicolo, tipo di prodotto - nome del prodotto, contenuto alcolico (vol. %), volume nominale (l, ml, cl), contenuto di zucchero (obbligatorio solo per il vino spumante), origine, indicazione dell'imbottigliatore per il vino fermo e del produttore per il vino spumante, indicazione della menzione tradizionale per i vini a denominazione d'origine protetta o a indicazione geografica protetta, nome dell'indicazione geografica, numero di serie, nome dell'importatore per i vini importati, ingredienti allergenici (solfiti, proteine del latte o delle uova), numero della decisione di valutazione (se applicabile).

Oltre ai requisiti di cui sopra, possono essere indicate informazioni supplementari, come i dati geografici della zona di produzione, l'anno della vendemmia, il vitigno, le dichiarazioni aggiuntive per i vini a indicazione geografica protetta o a denominazione d'origine protetta, il colore del vino, le immagini della zona a denominazione d'origine protetta (DOP) o dell'indicazione geografica protetta, l'indicazione di un certo tipo di produzione, indicazioni aggiuntive (tradizionali) (nome della cantina, dell'azienda agricola, della cantina,...), l'anno della vendemmia, i simboli dei sistemi di qualità UE (in cui il prodotto è integrato) ecc. Qualsiasi contenuto ingannevole è vietato.

Sdoganamento, dazi e tasse in Slovenia

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Patricija Rot

La Slovenia fa parte dell'Unione doganale europea, quindi le procedure di importazione dai paesi non UE seguono le regole UE, mentre i vini provenienti da altri stati dell'UE (o già sdoganati in qualsiasi altro stato dell'UE) sono liberi di entrare nel mercato sloveno senza ulteriori controlli doganali.

I dazi doganali sono calcolati a livello europeo. Si prega di fare riferimento alla sezione UE.

Accisa: Secondo la legge slovena sulle accise, la base imponibile dell'accisa è di 0 euro per un et-tolitro di vino tranquillo e di 0 euro per un ettolitro di vino spumante.

Imposta sul valore aggiunto (IVA): in Slovenia ammonta al 22%.

Limiti della pubblicità del vino in Slovenia

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Patricija Rot

La legge slovena che regola l'idoneità sanitaria dei prodotti alimentari vieta la pubblicità di bevande alcoliche con un contenuto alcolico superiore al 15% e prevede alcune limitazioni per le altre bevande alcoliche, come il divieto di pubblicizzare i prodotti lungo le strade; nelle istituzioni sanitarie, asili nido, sportive ed educative e nelle scuole materne e in determinate aree intorno ad esse; in TV e radio tra le 7 del mattino e le 9:30 di sera, ecc. Ulteriori restrizioni si applicano anche per quanto riguarda il contenuto delle pubblicità, come ad esempio: la pubblicità non deve incoraggiare l'uso eccessivo e incontrollato di alcol; la pubblicità non deve essere indirizzata ai minori e non deve mostrare persone che consumano alcol; la pubblicità non deve mostrare persone di età inferiore ai 25 anni, non deve suggerire o dare l'impressione che il consumo di alcol aumenti la capacità/efficienza fisica, migliori le capacità di guida o che conferisca il successo nella vita sociale o sessuale; la pubblicità non deve rappresentare la sobrietà e l'astensione dal consumo di alcol come valori negativi; ogni pubblicità deve includere un avviso previsto dalla legge.

Oltre alle restrizioni legali appena viste, vi sono anche delle restrizioni c.d. autoimposte, in quanto regolate dal Codice sloveno di pratica pubblicitaria adottato dalla Camera slovena della pubblicità. Inoltre, in Slovenia c'è un divieto assoluto di fornitura e vendita di alcol ai minori di 18 anni e ad altre persone che sono fortemente sospettate di acquistare le bevande alcoliche con lo scopo di darle ai minori. Inoltre, i negozi e i bar/ristoranti hanno limiti alla vendita e alla somministrazione di alcolici (divieto di vendita dalle 21.00 (eccezione per i bar/ristoranti) alle 7.00). Non è permesso vendere alcolici nelle macchine automatiche self-service.

Contratti per la distribuzione del vino in Slovenia

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Patricija Rot

La distribuzione del vino non è soggetta a particolari restrizioni in Slovenia, pertanto si applicano le normative generali quindi, ad esempio, i prodotti alcolici possono essere ordinariamente rivenduti anche nei normali supermercati e negozi di alimentari.

La distribuzione del vino e degli alcolici avviene attraverso contratti di distribuzione commerciale e, tra questi, i più comuni sono i contratti di agenzia, gli accordi quadro di vendita e i contratti di distribuzione.

Importante premessa è che la Slovenia è firmataria della Convenzione di Vienna del 1980, che si applica pertanto alle vendite dei prodotti, salvo opt-out esplicito delle parti.

La legge slovena non richiede la forma scritta per gli accordi di vendita o distribuzione, tuttavia è fortemente consigliabile sottoscrivere un contratto scritto che contenga in modo esaustivo i rispettivi obblighi delle parti.

Ciò a maggior ragione per i contratti di distribuzione che in Slovenia - così come in quasi tutti i paesi europei - sono un contratto atipico, regolato quindi dall’applicazione per analogia delle regole dettate per tipologie contrattuali simili. Per questo motivo il contratto dovrà essere redatto in modo esaustivo, bilanciando correttamente gli interessi delle parti e regolando tutti gli aspetti del rapporto. Per ulteriori dettagli sull'accordo di distribuzione secondo la legge slovena, facciamo riferimento alla parte slovena della Guida alla distribuzione.

Il contratto di agenzia è specificamente regolato dal Codice delle obbligazioni sloveno, che attuano la direttiva Europea 86/653/CEE. Anche in questo caso rimandiamo alla parte slovena della Guida sui Contratti di Agenzia.

Per quanto riguarda le vendite online, rimandiamo invece alla parte UE di questa Guida, dal momento che in Slovenia si applicano direttamente le restrizioni in materia di diritto della concorrenza e limitazioni alla rivendita stabilite dalla normativa europea sui c.d. “accordi verticali”.

Qui di seguito riportiamo alcuni consigli di ordine generale da tenere in mente durante la negoziazione e la redazione di un accordo con la Slovenia:

  • avere un modello di business chiaro e preciso e, di conseguenza, definire chiaramente gli aspetti fondamentali dell'accordo (territorio, durata, elenco dei prodotti, trasferimento di proprietà, rischi ecc.);
  • tenere presente che l'attuale legislazione antitrust dell'UE proibisce varie clausole (per esempio: fissazione del prezzo di rivendita da parte del produttore; divieto generale di rivendita online; divieto di rivendita a consumatori di altri stati) che sono considerate dannose per la concorrenza dell'UE, perché limitano eccessivamente la libertà d'impresa dell'acquirente;
  • inoltre, il commercio elettronico sta guadagnando quote di mercato in Slovenia: è bene, quindi, avere un'idea chiara di come strutturare le vendite online e regolarle di conseguenza;
  • durata, risoluzione e terminazione del contratto. Stabilire la durata del contratto, il periodo di preavviso e la forma della disdetta, le condizioni per la risoluzione anticipata, e la disciplina del periodo di uscita / transizione, nonché i diritti e i doveri delle parti alla cessazione del rapporto contrattuale. Tali previsioni vanno verificate ai sensi della legge applicabile, poiché sovente vi sono norme di applicazione obbligatoria, come i periodi minimi di preavviso (ad esempio quelli previsti dalla Direttiva UE in materia di agenzia, ma che alcune legislazioni prevedono anche per i distributori) o l’indennità di fine rapporto (obbligatoria in UE a favore degli agenti commerciali);
  • legge applicabile e giurisdizione. In linea di principio, i tribunali sloveni riconoscono le clausole di scelta di legge e di giurisdizione, salvo casi eccezionali e molto limitati. Le sentenze dei tribunali di qualsiasi altro Stato UE sono automaticamente riconosciute ed eseguite in Slovenia secondo le norme del Regolamento UE 1215/2012 (così come – reciprocamente – avviene negli altri Stati UE per le sentenze slovene). L'arbitrato resta comunque una valida alternativa, soprattutto nei contratti di alto valore e quando c'è bisogno di riservatezza su qualsiasi controversia: la Slovenia è firmataria della Convenzione di New York del 1958, pertanto i lodi arbitrali stranieri sono riconosciuti in Slovenia ai termini e alle condizioni di tale Convenzione.

Spagna: un produttore storico, che si sta aprendo all’importazione

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Mercedes Clavell

La Spagna è uno dei produttori vinicoli più importanti del mondo e ha una produzione diffusa in tutto il territorio dello stato, tant’è che ogni regione produce diverse varietà di vini. Il mercato, tuttavia, è grande, la cultura del vino è molto apprezzata e lascia uno spazio interessante anche ai vini d’importazione di qualità. Da molti anni, infatti, il mercato si sta orientando verso il consumo di vini di qualità superiore, pertanto, anche se il consumo di vino pro capite nell’ultimo decennio è rimasto pressoché invariato (escluse le variazioni dovute alla crisi), le vendite dei vini di qualità stanno aumentando.

L’importazione di vino in Spagna è soggetta alla regolamentazione comunitaria: di conseguenza, se il vino si trova già all’interno dell’UE, le difficoltà per gli importatori non sono tanto di natura legale quanto, perlopiù, legate al trovare il distributore giusto per arrivare al consumatore e negoziare un buon contratto di distribuzione.

La tutela del marchio in Spagna

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Mercedes Clavell

La contraffazione non è un fenomeno frequente nei prodotti alimentari in Spagna; può, però, succedere che un certo marchio sia già stato registrato come marchio spagnolo.

Come già illustrato nella sezione UE di questa guida, è possibile richiedere la registrazione del marchio nazionale, valida solo in Spagna, anche se, nell’attualità, è più frequente la registrazione comunitaria del marchio, che fornisce tutela in tutti i paesi dell’Unione.

Raccomandiamo di assicurarsi che il produttore disponga della necessaria registrazione, spagnola o comunitaria, e dei relativi domini internet prima di iniziare la commercializzazione del prodotto o, addirittura, prima delle trattative per la distribuzione.

Le regole di etichettatura del vino in Spagna

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Mercedes Clavell

Essendo la Spagna soggetta alla regolamentazione UE, ne consegue che, per l’etichettatura, sono di applicazione le norme comunitarie. Le regole in materia sono raccolte nel decreto (“Real decreto”) 1363/2011 (modificato dal Real decreto 8/2015), che dà attuazione ai Regolamenti 607/2009 e 479/2008. I produttori di vino spagnoli sono soggetti a normative molto stringenti per quanto riguarda la coltivazione dell'uva, la vinificazione e l'etichettatura, in particolare quelli che producono vini a Denominazione di Origine Protetta ("D.O.P." o "Denominación de Origen Protegido"), tra i quali vi sono i più conosciuti a livello internazionale "Rioja" e "Cava", su un totale di 102 DOP spagnole.

Alcune informazioni sui nomi e le qualità dei vini spagnoli:

"Crianza": è un vino invecchiato per un minimo di 24 mesi, di cui 6 in botti di legno.

"Reserva": è un vino invecchiato per un minimo di 36 mesi, di cui 12 in botti di legno.

"Gran Reserva": è un vino invecchiato per un minimo di 60 mesi, di cui 18 in botti di legno.

I periodi di invecchiamento sono più brevi per i vini bianchi e rosati: 18, 24 e 48 mesi per ogni categoria, di cui almeno 6 in botti di legno.

I canali di vendita del vino sul mercato spagnolo

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Mercedes Clavell

In Spagna, il vino si vende nei supermercati, ipermercati, negozi specializzati, piccoli esercizi alimentari e anche online, dove alcuni siti specializzati che offrono una gamma di vini più ampia e unica rispetto ai negozi "brick and mortar" stanno dimostrando di aver trovato la loro nicchia di mercato. L’unica limitazione è il divieto di vendita ai minori di 18 anni. Oltre alla normativa nazionale, che, nella maggior parte dei casi, applica le direttive e regolamenti comunitari, vi sono varie legislazione regionali in materia, ad esempio, di vendita al dettaglio.

Per i vini importati, il settore alberghiero (hotel, ristoranti, bar e servizi catering), riveste un ruolo importante, così come i negozi specializzati on-line. In termini generali, la commercializzazione del vino avviene nel contesto di un mercato maturo dal punto di vista del business, nel quale l’importatore deve cercare un partner adatto per fare in modo che i suoi prodotti arrivino al consumatore.

Occorre, inoltre, tenere conto delle limitazioni alla pubblicità delle bevande alcoliche con riferimento al contenuto dei messaggi promozionali, i canali e l'orario di trasmissione, ecc.

La tassazione sulla vendita di bevande alcoliche

clavell - legalmondo
Mercedes Clavell

La legislazione tributaria in materia è complessa ma, in sostanza, si può dividere in:

Dazi doganali: la Spagna è parte dell’unione doganale comunitaria, perciò consigliamo di consultare la sezione UE della presente Guida.

Imposta sul valore aggiunto (IVA) (21%): l’aliquota ordinaria si applica all’acquisto del vino, salvo i casi in cui il vino si consuma al bar o al ristorante. In questi casi, l’aliquota sarà del 10% (aliquota applicata anche al cibo consumato al ristorante).

Accisa sulle bevande alcoliche: a differenza delle altre bevande, per le quali si applica l’accisa in base al tasso alcolico (come per la birra), il vino non è soggetto ad accisa.

Distribuzione e contratti di agenzia per la vendita del vino in Spagna

clavell - legalmondo
Mercedes Clavell

I contratti di commercializzazione più ricorrenti in Spagna sono il contratto di agenzia ed il contratto di distribuzione. Nel caso del vino e dei prodotti alimentari, data la complessità del mercato e della logistica, è frequente delegare a subdistributori e subagenti (o ad agenti) il compito di trovare un distributore locale. Attualmente, in entrambi i contratti, la prassi è definire con precisione il settore del business nel quale si vuole operare, prima che l’agente (o il distributore) agisca: grandi catene di ipermercati, supermercati, negozi specializzati, settore alberghiero (che può essere a sua volta diviso in vari sub-settori come hotel, ristoranti, bar, catering,) ecc.

Il potere negoziale di alcune catene di ipermercati o supermercati non dovrebbe essere trascurato. Di solito sottopongono al produttore il loro modello standard di accordo, ma ciò nonostante si suggerisce comunque di cercare di raggiungere un accordo equilibrato. Nel punto si analizzerà la legge spagnola sul miglioramento della filiera alimentare, che contiene molte disposizioni volte a bilanciare il potere negoziale tra i coltivatori (o le piccole e medie imprese) e gli attori della grande distribuzione.

Per quanto riguarda l’esclusività territoriale, il territorio spagnolo viene normalmente diviso tra vari distributori o agenti, visto che le caratteristiche del mercato variano notevolmente in base alla regione spagnola di cui si tratta: basti pensare, ad esempio, al ruolo che ricopre il settore alberghiero nelle Isole Baleari e nelle Canarie, dove ogni anno ci sono milioni di consumatori stranieri. Anche rispetto alle preferenze dei consumatori vi è molta diversità in base alla regione in cui si opera.

Al momento della stesura del contratto è necessario inserire le clausole riguardo gli aspetti più rilevanti, quindi: termini di pagamento (si veda il prossimo punto relativo alla legge spagnola sulla filiera alimentare), esclusiva, cause di risoluzione del contratto, indennità al termine della relazione contrattuale e patto di non concorrenza. Per quanto riguarda l’esclusiva, è necessario redigere le relative clausole con particolare attenzione, individuando con precisione quali altri tipi di vino sono in concorrenza: dal momento che i migliori agenti e distributori sono quelli specializzati in questo settore del business, è probabile che stiano già commercializzando altri vini o bevande alcoliche. L’esclusività, quindi, può essere limitata – ad esempio – ai vini provenienti dallo stesso paese del preponente.

Rispetto alla retribuzione al termine della relazione commerciale, si deve tenere presente che, in virtù della Direttiva 86/653/CEE, recepita dalla Spagna con la legge 12/1992, è obbligatorio garantire agli agenti un’indennità di fine rapporto in presenza di specifiche circostanze, che principalmente si basano sull’aumento del fatturato del preponente e se quest’ultimo potrà beneficiarne anche dopo la terminazione del contratto. Restano esclusi, come previsto dalla Direttiva 86/653/CEE i casi di risoluzione del contratto dovuta a violazione dei termini da parte dell’agente.

Anche se le vendite attraverso le piattaforme on-line sono di solito strutturate con un contratto di agenzia, si ritiene che alcune delle norme contenute nella Direttiva 86/653/CEE (incluse le corrispondenti leggi nazionali), non siano applicabili, perché questa direttiva è stata redatta considerando l'agente come la parte debole, mentre nelle grandi piattaforme on-line è il fornitore ad essere la parte più debole.

Per quanto riguarda l’indennità di fine rapporto in un contratto di distribuzione, ci sono state varie controversie per anni. Secondo la più recente giurisprudenza, si potrebbe escludere dal contratto tale indennità (NB: il contratto però deve farne espresso riferimento, quindi non può essere inserita in una generale rinuncia ai diritti del distributore); ma, nel caso in cui il contratto non contenesse una rinuncia espressa, si devono applicare le norme in materia di contratti d’agenzia, garantendo al distributore un’indennità di fine rapporto da calcolare in base al margine netto del distributore (parametro equiparato alle commissioni del contratto di agenzia). Questa giurisprudenza è stata sviluppata sulla base di controversie in cui di solito entrambe le parti hanno un potere simile o il distributore è la parte debole, tuttavia, quando si tratta di grandi supermercati, il fornitore è quasi sempre la parte debole, quindi, questo rende ancora più necessario redigere con attenzione gli accordi di distribuzione.

Rispetto al diritto applicabile e la giurisdizione, se si rappresenta un’impresa extra-UE, raccomandiamo di optare per la legislazione e gli organi giurisdizionali spagnoli. Se, invece, si redige il contratto nell’interesse di un’impresa avente sede nell’UE, suggeriamo di scegliere i tribunali spagnoli o il foro del paese in cui il cliente ha la sede dei propri affari, visto che il regolamento UE 1215/2015 ha reso l’esecuzione delle sentenze comunitarie facile e veloce. Per il riconoscimento e l’esecuzione emessa da un tribunale extra-UE, bisognerà fare riferimento alla legge spagnola 29/2015, in materia di cooperazione giuridica internazionale in materia civile. L’arbitrato rappresenta una valida alternativa, specie se vi sono più documenti redatti in una lingua diversa dallo spagnolo, visto che, così, si può evitare la traduzione degli stessi. La Spagna è firmataria della Convenzione di New York del 1958, di conseguenza, i lodi arbitrali vengono, normalmente, eseguiti senza complicazioni o ritardi.

Legge sul miglioramento della filiera alimentare

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Mercedes Clavell

La legge per migliorare il funzionamento della filiera alimentare ("Ley para la mejora del Funcionamiento de la Cadena Alimentaria") è stata approvata inizialmente nel 2013, e mira a proteggere i produttori e le piccole e medie imprese dall'enorme potere negoziale dei grandi supermercati.

Le recenti modifiche introdotte nel 2020 hanno introdotto: il divieto di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali; il concetto di "costo di produzione effettivo", utilizzato al fine di calcolare il prezzo di vendita; alcuni limiti alle promozioni commerciali e agli sconti e l'obbligo di durata minima degli accordi di anni.

Il mercato del vino in Svizzera

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Nicola Gianoli

Il popolo svizzero ama molto il vino. Gli Svizzeri spendono più di chiunque altro al mondo per questa bevanda, ossia circa 600 euro a persona all’anno. Detto questo, ecco altre curiosità utili da sapere:

  • Con una popolazione di 7,5 milioni di abitanti e un consumo pro capite di 36 litri, quasi i due terzi del fabbisogno svizzero sono coperti dalle importazioni. Il consumo totale comprende circa 1 milione di ettolitri di produzione locale e 1,7 milioni di importato. 
  • Il vino importato proviene in larga parte dall’Italia con il 24% (principalmente da Toscana, Veneto, Sicilia e Puglia), la Francia con il 15% e la Spagna con il 10%.
  • Nel 2017 la Svizzera aveva una superficie viticola di 14.748 ettari, costituita al 43% da varietà bianche e al 57% da varietà rosse, per un totale di 240 varietà di uva. 
  • I 4 vitigni coltivati con maggiore frequenza – Pinot nero, Chasselas (detto anche Fendant), Gamay e Merlot – rappresentano il 72% delle coltivazioni nazionali. 
  • Il patrimonio enologico svizzero è stato riconosciuto e premiato anche dall’ UNESCO, con l’istituzione del sito UNESCO dei vigneti terrazzati del Lavaux – (Cantone di Vaud). 
  • Con una quota del 35% della superficie viticola complessiva, il Vallese è il maggior produttore di vino svizzero, davanti al Canton Vaud, al Ticino e al Canton Ginevra, con quote rispettivamente del 15, 12, 10 per cento.

La registrazione del marchio in Svizzera

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Nicola Gianoli

Una delle attività preliminari alla distribuzione su un mercato straniero è la registrazione del marchio aziendale, al fine di impedire che terzi ne possano abusare o farne un uso non autorizzato.

Il centro di competenza della Confederazione per tutte le questioni inerenti la protezione dei marchi è l’IGE – Istituto Federale della proprietà intellettuale, con sede a Berna.
Presso questo istituto è possibile procedere alla registrazione in classi secondo la classificazione internazionale.

  • La domanda è depositabile online tramite il sito IGE, specificando una società domiciliataria regolarmente iscritta a Registro di Commercio in uno dei cantoni della Confederazione (potrebbe trattarsi di un potenziale distributore) e procedendo all’upload di un eventuale logo grafico o scritto. 
  • La procedura si completa in circa 4 mesi dal momento del deposito della domanda e del pagamento delle tasse, tuttavia già dopo qualche settimana si ottiene una conferma da parte dell’Istituto dell’avvenuta presa in carico della domanda di registrazione e un riscontro di eventuali difetti 
  • La registrazione dura 10 anni ed è rinnovabile.
  • Particolarità: in Svizzera non viene verificata la violazione di marchi precedenti (è altamente consigliata un’attenta ricerca di anteriorità sull’esistenza di marchi simili ed a carico del depositante).

Le etichette per la vendita del vino sul mercato svizzero

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Nicola Gianoli

La normativa svizzera in materia di etichettatura dei prodotti prevede che le indicazioni in etichetta siano riportate in almeno una delle tre lingue ufficiali svizzere (tedesco, francese e italiano). I dati da riportare obbligatoriamente sull’etichetta sono i seguenti:

  • Denominazione specifica del vino o tipologia del vitigno
  • Nome o ragione sociale e indirizzo del produttore, vinificatore, negoziante, importatore, imbottigliatore o venditore e comunque contatto svizzero responsabile del vino
  • Paese di origine
  • Titolo alcolometrico effettivo espresso in % vol.
  • Volume espresso in litri, centilitri o ettolitri
  • Numero di lotto di produzione per l’indicazione della partita
  • Dichiarazione dell’anidride solforosa, tramite la dicitura «contiene solfiti» oppure «contiene diossido di zolfo»
  • Indicazione per gli alimenti, additivi, coadiuvanti che sono OGM, contengono OGM, sono ottenuti da OGM

Oltre alle indicazioni obbligatorie citate esistono anche indicazioni facoltative quali indicazioni geografiche di località (cantone, distretto, comune), annata di produzione, ogni eventuale immagine che illustri la zona geografica di produzione di riferimento o che contenga elementi conosciuti che facciano riferimento alla stessa, raccomandazioni rivolte al consumatore (abbinamenti, potenziale d’invecchiamento, modi di servire il vino, ecc.), riferimenti a caratteristiche organolettiche (colore, bouquet e sapore), storia del vino o della ditta, ecc.

Per quanto riguarda in particolare le importazioni di vino italiano in Svizzera, la disciplina impone che ogni spedizione di vino italiano recante l'indicazione «Denominazione di origine controllata» (DOC) o «Denominazione di origine controllata e garantita» (DOCG) sull’etichetta e destinato ad essere messo in commercio in Svizzera debba essere corredata di un certificato d'analisi e un certificato d'origine. Il certificato d'origine deve garantire che i vini italiani recanti l'indicazione DOC o DOCG siano conformi alle disposizioni italiane concernenti i vini in questione, provengano da una regione o da un luogo di produzione ufficialmente delimitato e siano ottenuti da vitigni autorizzati.

Come selezionare il proprio distributore

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Nicola Gianoli

Raccogliere adeguate informazioni sulla reale identità del potenziale distributore è fondamentale ai fini di stabilire se si tratti del partner giusto per sviluppare il mercato svizzero.

Lo strumento adatto è l’Estratto del Registro Commercio, che è assimilabile alla visura camerale italiana ed è consultabile pubblicamente e gratuitamente sul sito web del registro di Commercio di ognuno dei cantoni della Confederazione Svizzera.

L’estratto riporta dati utili quali ragione, oggetto e sede sociale, capitale registrato e versato, rappresentante legale e soci.

Queste informazioni forniscono una buona base per escludere eventuali truffe o società poco trasparenti e cominciare a valutare la scelta del futuro partner di distribuzione.

Qualora si volesse procedere ad un’analisi più approfondita sarà consigliabile richiedere l’estratto dell’Ufficio esecuzione e fallimenti per verificare se la società è goodstanding e la situazione di solvibilità e se esistono eventuali procedimenti esecutivi pendenti.

Ulteriore elemento da verificare è il possesso delle necessarie licenze d’informazione e vendita di prodotti alcolici.

Imoportazione, dogane & dazi per l'export del vino in Svizzera

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Nicola Gianoli

Pur facendo parte dello Spazio Schengen, la Svizzera non aderisce all’unione doganale europea e pertanto i controlli delle merci alle frontiere sono mantenuti.

In frontiera l’importatore è tenuto a presentare i seguenti documenti:

  • la Dichiarazione doganale elettronica dove va indicato il numero PGI dell’importatore, il destinatario e l’intermediario;
  • fattura commerciale e fattura pro-forma;
  • Certificato di circolazione EUR.1 – viene rilasciato dalla dogana italiana e permette alla merce di poter beneficiare del regime preferenziale accordato ai prodotti circolanti nell’UE, dal momento che, grazie ad un accordo bilaterale, la Svizzera viene equiparata a un Paese UE;
  • documenti di trasporto (Packing List e Airway Bill);
  • copia dell’iscrizione al registro del commercio (RC) per la commercializzazione del vino;
  • copia dell’attribuzione del numero aziendale CSCV.

Che cosa è il numero PGI? Per importare in Svizzera molti prodotti agricoli, tra cui il vino, è necessario che chi importa (e sarà quindi compito dell’importatore) richieda la licenza di importazione, ossia il Permesso Generale d’Importazione (PGI), che viene concesso su richiesta dall’Ufficio Federale dell’Agricoltura (UFAG) a persone fisiche e giuridiche nonché a comunità di persone con domicilio o sede sul territorio doganale svizzero.

Il PGI è necessario per importare vino in quantità superiore ai 20 kg lordi, è gratuito, ha validità illimitata e non è cedibile.
Non è necessario il PGI per importare spumanti e vini dolci.

Il PGI non dà automaticamente il diritto al titolare d’importare; a tal fine è necessaria l’attribuzione di una quota del contingente. Infatti l’importazione di vino è soggetta a contingentamento e quindi l’importatore, per poter acquistare all’estero vino deve possedere una quota del contingente nazionale riferito al prodotto ed il PGI è la condizione indispensabile per possedere la quota. L’intero contingente viene ripartito in quote, attribuite sino ad esaurimento dello stesso. Le quote vengono assegnate mediante aste bandite periodicamente a persone fisiche o giuridiche con sede o domicilio sul territorio svizzero e viene solitamente considerato come periodo di contingentamento l’anno civile. Le quote sono assegnate secondo l’ordine delle richieste pervenute, con il principio first come, first served, valutando l’importo più alto offerto. Le quote sono cedibili. A titolo di esempio, il contingente per il vino nel 2015 era stato fissato in 1.700.000 ettolitri e negli ultimi anni il contingente non è mai stato esaurito.
Se l’importatore detiene una quota di contingente può importare le relative merci all‘aliquota di dazio contingentale (ADC) più bassa o a dazio zero. Se l’importatore non detiene una quota del contingente, può importare sempre e senza limitazioni, ma deve pagare l’aliquota doganale fuori contingente (ADFC), decisamente più alta.

L’importatore è responsabile della Dichiarazione Doganale, come specificato poco sopra, e paga il dazio e gli altri tributi. È suo compito identificare la corretta voce di tariffa doganale del prodotto, in quanto qualsiasi invio proveniente dall'estero è per principio sottoposto a dazio (la cui aliquota è definita in base al peso) e ad imposta sul valore aggiunto (IVA), pari a 7.7% su tutto il territorio elvetico.
Per quanto riguarda il vino, le aliquote di dazio variano da CHF 56 a CHF 65 (a seconda della tipologia di vino) ogni 100 kg di peso lordo, con eccezione per i vini spumanti la cui aliquota è di CHF 91 ogni 100 kg di peso lordo.

L’attività promozionale & la distribuzione omni channel

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Nicola Gianoli

Una distribuzione di successo necessita di un’adeguata promozione: il potenziale cliente dovrà avere la possibilità di conoscere il vino, apprezzarne la qualità e comprenderne il valore che lo differenzia dai prodotti concorrenti distribuiti sul mercato, primi fra tutti i vini di produzione locale che vantano una buona reputazione.

Se si volesse ricorrere a un po' di pubblicità, un buon canale promozionale è sicuramente rappresentato dagli eventi stagionali riguardanti il settore food and wine, piuttosto diffusi sul territorio elvetico. Per quanto riguarda il Canton Ticino ad esempio sono molto frequentati eventi quali “Cantine aperte” nel mese di maggio, “Presentazione dell’annata” nel mese di settembre, a Berna troviamo “Vinumrarum” nel mese di dicembre e infine varie degustazioni organizzate in occasione delle festività principali (Pasqua, Natale) nelle piazze maggiori delle capitali dei vari Cantoni.
Si tratta di manifestazioni nate per promuovere la produzione vitivinicola locale, tuttavia, vista la grande affluenza e l’interesse generato nel pubblico, tali eventi contano oggi una sempre più ampia proposta di vini internazionali.

Oltre ai canali promozionali e di vendita tradizionali, in Svizzera il Food & Beverage è un settore in continua espansione per quanto riguarda l’e-commerce. Bisogna fare i conti con il tema dell’innovazione della vendita tramite soluzioni omnichannel e dei nuovi modelli commerciali.

Alcune delle piattaforme e-commerce attive su territorio elvetico sono:

  • Flaschenpost: considerata la più grande enoteca online della Svizzera; offre oltre 17’000 vini delle 70 enoteche svizzere più rinomate;
  • SellWine, piattaforma con sede nel Canton Ticino ma attiva nella distribuzione su tutto il territorio svizzero e nel principato del Liechtenstein.

Entrambe le piattaforme offrono spedizioni in tutta la Svizzera e, con costi aggiuntivi, spedizioni in tutto il mondo.

Caratteristiche da ricercare in un buon servizio di e-commerce sono ad esempio: 

  • assenza di un numero minimo d’ordine; 
  • rimborso o sostituzione di bottiglie danneggiate dai trasporti o avariate;
  • mezzi di pagamento sicuri e affidabili.

I contratti di distribuzione del vino in Svizzera

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Nicola Gianoli

Una volta selezionato il distributore, che presenti i requisiti richiesti, si potrà procedere alla fase della negoziazione contrattuale, durante la quale sarà bene prestare attenzione a:

  • Definire chiaramente il modello di collaborazione 
    • Contratto di compravendita
    • Contratto di distribuzione, distinguendo tra contratti di distribuzione ESCLUSIVA e contratti di distribuzione SELETTIVA
    • Contratto di agenzia
    • Licenza di aprire negozi monomarca o di vendere attraverso un virtual store

I modelli di collaborazione appena menzionati devono essere ben disciplinati in un contratto scritto che preveda in modo preciso i reciproci impegni delle parti. Si consiglia che entrambe le parti si facciano assistere da consulenti esperti cosi da concludere accordi completi e pienamente validi.

  • Redigere il contratto in inglese e in una delle tre lingue ufficiali svizzere. Trattandosi di dover disciplinare dei rapporti a carattere internazionale, sarebbe consigliabile redigere il contratto in lingua inglese e in aggiunta anche in una delle tra lingue ufficiali svizzere (tedesco, francese e italiano), a seconda del Cantone in cui il distributore ha sede (ad es. se il distributore opera all’interno del Canton Vaud sarà preferibile redigere il contratto in lingua francese, oltre che in inglese).

  • Conferire l’esclusiva territoriale solo a certe condizioni. Si tratta di una richiesta molto comune in tutti i casi di distribuzione commerciale. Se possibile, l’esclusiva va limitata a determinate aree o canali distributivi (ad es. le GDO), nelle quali il distributore garantisca di poter ottenere un certo fatturato minimo. E inoltre opportuno prevedere che l’esclusiva possa essere revocata in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi minimi concordati.

  • Legge applicabile e la giurisdizione, per facilitare la definizione di eventuali controversie o la gestione di situazioni delicate come nel caso di azioni di recupero del credito, contraffazione o di concorrenza sleale. Il foro svizzero è sinonimo di efficienza e velocità a fronte di costi inferiori rispetto a quelli di un arbitrato o a quelli di altri fori a livello europeo; presenta linearità di dottrina e giurisprudenza, caratteristiche che lo rendono una scelta vincente nel processo di scelta della giurisdizione.

L'industria vinicola in Ucraina

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Anton Molchanov

L'industria vinicola dell'Ucraina è rappresentata da aziende di vinificazione sia primaria che secondaria. I principali tipi di uve coltivate in Ucraina sono Aligote, Bastardo Magaratsky, Cabernet Sauvignon, Merlot, Muscat, Odessa Black, Pinot e Riesling. Nell'anno 2020, circa 14,4 milioni di litri di vino sono stati esportati dall'Ucraina, che è il doppio del valore esportato nel 2019.

Inoltre, anche le importazioni di vino sono aumentate significativamente negli ultimi anni. Secondo il Servizio doganale statale, nel 2020 l'Ucraina ha importato vino per 180 milioni di dollari, il che rappresenta un aumento del 22% rispetto al 2019. I vini spumanti hanno avuto un aumento significativo 54,7 milioni di dollari nel 2021 con una crescita del 44% rispetto al 2020.

Dal 1° gennaio 2021 l'Ucraina ha cancellato i dazi doganali sui vini esportati dall'UE in Ucraina siccome fa parte dell'accordo di associazione del paese.

Etichettatura del vino in Ucraina

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Anton Molchanov

Le norme che disciplinano l’etichettatura dei prodotti vinicoli per il mercato ucraino sono le seguenti:

  • legge "sulle informazioni per i consumatori sui prodotti alimentari", che stabilisce i requisiti delle informazioni obbligatorie e volontarie poste nell'etichettatura dei prodotti;
  • i requisiti speciali di etichettatura previsti dalla legge "Sulla regolamentazione statale della produzione e della circolazione di alcol etilico, cognac e alcol di frutta, bevande alcoliche, prodotti di tabacco, liquidi usati nelle sigarette elettroniche e carburante";
  • legge dell'Ucraina "Sulla protezione contro la concorrenza sleale" che ha come obiettivo la protezione delle entità commerciali e dei consumatori contro la concorrenza sleale.


Quanto al contenuto, l’etichetta deve includere: il nome del paese, il nome del prodotto, il marchio di fabbrica, il contenuto di alcol (% vol.), il contenuto di zucchero (tranne in alcuni casi), il nome e l'ubicazione dell'operatore del mercato alimentare responsabile delle informazioni / il nome e l'ubicazione dell'importatore.

Tutti questi sono soggetti ai requisiti di visibilità e al codice a barre.

Pubblicità del vino in Ucraina

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Anton Molchanov

La promozione dei prodotti vinicoli è soggetta non solo alla normativa generale in materia di pubblicità, ma anche ad alcuni requisiti speciali applicabili unicamente alle bevande alcoliche. Andiamoli a vedere.

Requisiti generali

La pubblicità non deve:

  • contenere informazioni ingannevoli (i.e.: incomplete, inaccurate o false);
  • contenere dichiarazioni discriminatorie, o che screditino i prodotti di altre marche;
  • utilizzare tecnologie che hanno un impatto sul subconscio dei consumatori;
  • usare o imitare l'immagine dei simboli nazionali dell'Ucraina.


Inoltre, è soggetto a consistenti limitazioni l’uso dell’immagine di una persona fisica.

La pubblicità comparativa è permessa in Ucraina se soddisfa alcuni criteri:

  • nessun segno di pratica commerciale sleale (per esempio non è ingannevole e aggressiva);
  • confronta oggettivamente le caratteristiche/prezzo di prodotti omogenei o con un'indicazione d'origine simile;
  • non contiene informazioni false sulla qualità di prodotti simili di altri produttori o venditori;
  • non scredita il prodotto né crea confusione nel consumatore.


Requisiti speciali

La pubblicità dei prodotti vinicoli è vietata, tra l'altro:

  • alla radio e alla televisione dalle 6 del mattino alle 11 di sera;
  • in tutti i mezzi di stampa (eccetto le pubblicazioni specializzate);
  • con l'aiuto di attività promozionali (ad eccezione di eventi espositivi speciali di bevande alcoliche).


È inoltre vietato l’utilizzo nelle pubblicità di:

  • persone di età inferiore ai 18 anni;
  • immagini di celebrità, così come l'approvazione diretta o indiretta da parte delle celebrità del consumo di alcol;
  • immagini del processo di consumo di bevande alcoliche;
  • immagini di medici e altri professionisti del settore della sanità.


La pubblicità del vino non deve trasmettere il messaggio che:

  • il consumo di alcol sia un fattore importante per raggiungere il successo;
  • l'uso di bevande alcoliche aiuti a risolvere i problemi personali;
  • l'alcol abbia proprietà mediche, fornisca effetti stimolanti o sedativi.


Infine, la pubblicità delle bevande alcoliche deve essere accompagnata da un'avvertenza speciale, sottoposta a diversi requisiti sia riguardo al contenuto che alla sua collocazione (dimensione, colori dell'avviso e del suo sfondo, luogo in cui deve essere indicata, ecc.).

Sdoganamento del vino, dazi e tasse in Ucraina

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Anton Molchanov

Di regola, lo sdoganamento viene effettuato da intermediari doganali certificati.

L'Ucraina applica in importazione dazi speciali, la cui quantificazione dipende fortemente dal paese d'origine. Per esempio, il vino prodotto nell'UE sarà soggetto a un dazio ucraino preferenziale pari a zero, a fronte di un tasso medio generalmente applicato è di 0,4 euro.

L'Ucraina usa anche un'ampia gamma di accise (per unità) (da EUR 0,001\l per vini con titolo alcolometrico inferiore a 15% a EUR 4\l per bevande con titolo alcolometrico superiore a 22%).

La distribuzione del vino (sia all'ingrosso che al dettaglio) è soggetta alle tasse generali sul reddito (IRES fino al 18%) e all’IVA (fino al 20%).

Importazione di vino / commercio all'ingrosso / al dettaglio in Ucraina

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Anton Molchanov

L'importazione di vino in Ucraina può essere effettuata dalle società ucraine (oltre che dalle entità straniere che operano attraverso stabilimenti in Ucraina permanenti) senza una licenza.

Il commercio all'ingrosso, invece, richiede una licenza, salvo che si tratti di un produttore autorizzato di vino da uva propria o di aziende vinicole che forniscono materiali vinicoli ai produttori secondari.

Il commercio al dettaglio di bevande alcoliche (eccetto i vini da tavola) richiede una licenza di vendita al dettaglio.

Sconti, compensazioni e bonus non sono proibiti dalla legge ucraina. Tuttavia, le relazioni d'affari tra produttori, distributori e rivenditori (compresi i meccanismi di motivazione) sono soggetti a un controllo specifico dalle autorità fiscali e antitrust ucraine.

Quest'area di business richiede un'attenzione speciale perché le multe e le altre sanzioni penali sono alte.

Concorrenza sleale sul mercato ucraino

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Anton Molchanov

La concorrenza sleale sul mercato del vino può presentarsi sotto forma di:

  • diffusione di informazioni ingannevoli nell'etichettatura e/o nella pubblicità dei prodotti;
  • utilizzo di pubblicità comparativa impropria che non rispetta una serie di requisiti previsti dalla legislazione ucraina;
  • uso illecito di denominazioni (nomi altrui, marchi, materiali pubblicitari e imballaggi) o di prodotti di altri soggetti;
  • atti di discredito.


Le multe possono arrivare fino al 5% del fatturato annuale.

La violazione più comune è costituita dall’utilizzo di informazioni ingannevoli nella promozione o etichettatura. Il concetto di informazione ingannevole non è limitato alle informazioni false, ma qualsiasi informazione imprecisa, incompleta, fuori contesto, così come l'esagerazione o l'omissione di certi fatti che influenzino il comportamento del consumatore.

Lotta ai prodotti vinicoli contraffatti in Ucraina

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Anton Molchanov

Le strategie di protezione del marchio possono includere un complesso di varie misure legali, che possono essere utilizzate singolarmente o combinate tra loro a seconda del caso. Tali misure possono includere:

  • misure di frontiera: registrazione del marchio nel registro doganale dei diritti di proprietà intellettuale, che aiuta a monitorare il trasporto delle merci attraverso il confine doganale e a intraprendere azioni immediate per prevenire l'importazione di prodotti contraffatti;
  • azioni amministrative/criminali: la violazione dei diritti di proprietà intellettuale è sanzionabile e può essere perseguita nell'ambito della procedura amministrativa o penale (a seconda dell'entità della violazione). Questi procedimenti esecutivi aiutano a indagare sulla catena di distribuzione dei prodotti contraffatti e a chiedere i danni (come la parte civile nel procedimento penale);
  • lotta contro la concorrenza sleale: alcuni prodotti in conflitto non possono essere i falsi, ma prodotti simili che imitano i prodotti originali e causano la confusione del marchio. L'avvio della procedura di concorrenza sleale davanti al Comitato antimonopolio dell'Ucraina prevede la possibilità di stabilire il fatto della concorrenza sleale, di ottenere l'ingiunzione e di imporre delle multe all'azienda contraffattrice;
  • normativa: l'autorità di sorveglianza locale può condurre ispezioni e intraprendere azioni per spazzare i prodotti contraffatti dal mercato.

Regno Unito: produzione e consumo del vino in continua crescita

La produzione e il consumo del vino nel Regno Unito hanno subito, negli ultimi anni, un incremento tale da segnare il passaggio della bevanda alcolica più consumata, dalla birra al vino.
L’espansione delle aree dedicate alla coltivazione del vino, ha consentito alla produzione di superare 117.000 ettolitri l’anno, con un aumento nel 2018 pari al 50% rispetto alla produzione dell’anno precedente.

Nonostante l’incremento del consumo del vino prodotto a livello locale, il 55% del vino consumato nel Regno Unito proviene dall'UE. I vini francesi e italiani hanno ottenuto il primato dei vini più importati nel 2019, in particolar modo il vino bianco e rosso rimangono in cima alla classifica dei vini preferiti dai britannici. Nello stesso anno, il valore delle importazioni dei primi cinque Paesi è stato di circa 2,17 miliardi di sterline britanniche, di cui 754 milioni provenienti dalla Francia e quasi 685 milioni provenienti dall’Italia.

I vigneti inglesi

La Food Standards Agency (FSA) è il dipartimento inglese, non ministeriale, responsabile della sicurezza e dell'igiene degli alimenti in Inghilterra, Galles e nell’Irlanda del Nord. Esso collabora con le autorità locali per far rispettare le normative sulla sicurezza alimentare e i suoi standard ed ha responsabilità in materia di etichettatura in Galles e nell’Irlanda del Nord.

Secondo la normativa, tutti i vigneti di dimensioni superiori a 0,1 ettari, e i vigneti più piccoli che operano commercialmente, devono essere registrati. Inoltre, i regolamenti sul vino specificano i dati che devono essere raccolti, comprendendo l'area del vigneto e le aree per le diverse varietà di viti coltivate.
Infine, ogni anno coltivatori e produttori devono compilare, rispettivamente, le dichiarazioni di raccolta e le dichiarazioni di produzione.

Questi dati hanno lo scopo di sostenere gli schemi di qualità del vino nel Regno Unito in termini di tracciabilità e di fornire al settore informazioni preziose, consentendo al Regno Unito di presentare dichiarazioni formali all’UE. I dati sulla produzione complessiva sono forniti alla Commissione europea.

Le dichiarazioni di produzione devono essere inviate entro la scadenza di gennaio di ogni anno.

L’etichetta per la vendita del vino in UK

Le disposizioni in tema di etichettatura del vino provengono in gran parte dalla regolamentazione europea. Questa normativa è stata implementata nel Regno Unito dal “The Food Information Regulations 2014” (FIR), nonché il “The Wine Regulations” del 2011, aggiornato nel 2019.

Il Regolamento Europeo No. 607/2009 fornisce norme dettagliate in materia di etichettatura e dispone i requisiti di verifica annuali per specifiche categorie di vini. Le informazioni obbligatorie per l’etichettatura, di cui si rimanda alla sezione Unione Europea, devono essere mostrate in un campo visivo e devono poter essere lette facilmente senza dover girare o ruotare il contenitore.

Le informazioni sugli allergeni e il numero di lotto devono essere visibili sul contenitore ma possono trovarsi in un diverso campo visivo.

Inoltre, sulla bottiglia dovrà essere presente una dichiarazione, di carattere di almeno 1,2 mm, sugli allergeni, se il contenuto di anidride solforosa supera i 10 mg / litro e se i residui di latte o uova superano 0,25 mg / litro.

L’etichetta può contenere ulteriori informazioni come ad esempio il colore del vino e il suo stile, tuttavia tali contenuti possono essere apposti a condizione che non siano in conflitto con le informazioni obbligatorie, che non vi sia alcun uso improprio di espressioni protette, e non vi sia alcun rischio d’informazione fuorviante per il consumatore.

Per i vini prodotti nel Regno Unito, i nomi "Inghilterra" o “Galles" possono essere sostituiti con “Regno Unito”. Per i vini ottenuti dalla miscelazione di vini di diversi Stati membri dell’UE, l’etichetta deve contenere la dicitura "Miscela di vini provenienti da diversi paesi dell'Unione Europea" o "Vino dell'Unione Europea”. Infine, se il vino è prodotto nel Regno Unito da uve raccolte in altri Stati membri, l’espressione deve essere “Vino ottenuto nel Regno Unito da uve raccolte in [Stato membro in cui è raccolto]”.

Si ricorda, infine, che il Regno Unito dall’1 gennaio 2021, istituirà i propri schemi d’indicazione geografica (IG). I sistemi di IG forniranno una serie di regole per proteggere i nomi geografici di alimenti, bevande e prodotti agricoli tra cui i vini. I sistemi del Regno Unito adempiranno i suoi obblighi dell'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). I prodotti alimentari del Regno Unito non saranno etichettati come prodotti di origine “UE".

Pubblicità e promozione del vino in UK

In aggiunta al “Alcohol etc. (Scotland) Act 2010”, il quale si occupa di regolare i prezzi e le promozioni sulla vendita alcolica in Scozia, il Regno Unito prevede un codice pubblicitario (il codice “BCAP”) contenente sezioni specifiche sulle modalità di marketing promozionale dell’alcol.

In particolar modo, nelle rules 19.2 - 19.18, è disposto che gli annunci pubblicitari non devono:

  • presentare o incoraggiare comportamenti che rappresentano un consumo eccessivo di alcol, né dare suggerimenti sull'acquisto ripetuto di alcolici;
  • mostrare soggetti con una quantità eccessiva di alcol assunto, né incoraggiarne il comportamento;
  • ricondurre l’assunzione di alcol all’aumento di popolarità di chi lo assume, né mostrare che l'alcol possa migliorare le qualità personali, o ancora, che bere alcolici possa indurre al successo o ad una accettazione sociale;
  • presentare alcun riferimento che possa associare l'alcol all’audacia, o alla tenacia; 
  • relazionare l’alcol con il successo sessuale o la seduzione e devono, al contrario, precludere il collegamento tra l’assunzione di alcol e il romanticismo;
  • descrivere l'alcol come un elemento indispensabile o prioritario nella vita;
  • esibire l’alcol come strumento utile nell’affrontare momenti difficili o che il bere solitario non sporadico sia accettabile;
  • implicare che l'alcol abbia qualità terapeutiche né che sia in grado di cambiare l’umore, le condizione fisiche, il comportamento o che sia una fonte di nutrimento;
  • mostrare soggetti che bevono alcool nell’ambiente di lavoro.

Inoltre, le pubblicità per mezzo televisivo devono essere indirizzate a soggetti maggiori di 18 anni e non devono associare l’alcol alla cultura giovanile né avere come testimonial una persona o un personaggio il cui esempio sarà probabilmente seguito da quelli di età inferiore ai 18 anni.

Vendere vino in UK: licenze e tassazione

Chi intende produrre il vino con finalità di vendita deve possedere una licenza di accisa, nota come licenza di produttore di vino, autorizzata dalle autorità fiscali (HM Revenue & Customs, o HMRC).

Nel momento in cui il vino viene prodotto, ed ha un volume alcolico superiore a 1,2%, o qualora esso sia importato, diventa soggetto al dazio.

Dal 1 Febbraio 2019 il Governo UK ha stabilito le nuove accise sui beni alcolici, aumentando le tasse sul vino. Esse ammontano a circa £92/hl (ettolitro) se la percentuale di volume alcolico del vino è inferiore a 4%, £126/hl se non superiore al 5,5% e £297/hl se inferiore al 15%. L’imposta sul valore aggiunto (VAT) si applica al consumo di tutti i tipi di vino, con l’aliquota ordinaria del 20%.

Contratto di agenzia o distribuzione del vino in UK

Come in Italia o Francia, anche nel Regno Unito non esiste una legislazione specifica che regola i contratti di distribuzione aventi ad oggetto il vino, a maggior ragione trovandosi in un sistema di common law, in cui la teoria del contratto rimane sostanzialmente basata sul principio della autonomia negoziale dei contraenti e sul valore dei precedenti giurisprudenziali.

È importante quando si considera commercializzare un prodotto, essere consapevoli della differenza, in termini legali, tra un contratto di agenzia (“agency agreement”) ed un contratto di distribuzione (“supply agreement”).

L’accordo di distribuzione viene solitamente utilizzato quando un fornitore non ha presenza o rappresentanza in un determinato mercato o territorio. Un distributore è un soggetto che acquista beni da un fornitore (o da un produttore) e poi li rivende ai suoi clienti, aggiungendo un margine per coprire i costi e per trarne profitto.
Nel Regno Unito, non esiste un modello univoco per tali accordi, tuttavia, di norma i supply agreements:

  • coprono gli aspetti relativi agli ordini minimi di acquisto da parte del distributore;
  • stabiliscono il prezzo del prodotto;
  • fissano la durata del contratto;
  • stabiliscono se il rapporto contrattuale debba essere soggetto a clausola di esclusiva, per cui al distributore è vietato vendere o promuovere prodotti diversi da quelli acquistati dal fornitore; ed infine
  • indica la legge applicabile ed il foro competente in caso di controversie giudiziarie.

Un accordo di distribuzione ha somiglianze con il contratto di agenzia, tuttavia, la differenza principale tra le due forme è data dal fatto che nel contratto di distribuzione, il supplier acquista dal produttore e rivende all'utente finale (il cliente) per proprio conto, senza coinvolgere il fornitore/produttore, tranne per quanto riguarda la garanzia dello stesso fornitore o la garanzia e la responsabilità del prodotto.

Nell’agenzia, invece, il contratto a monte é tra l’agente e il fornitore (o produttore). Un agente è quindi un intermediario, coinvolto nella stipula di un contratto tra il fornitore/produttore ed il cliente del fornitore/produttore. L'accordo di solito stabilisce cosa farà l'agente, le modalità e come quest’ultimo verrà pagato (di solito in base ad una commissione). L'accordo di agenzia stabilisce i diritti e gli obblighi reciproci tra fornitore e agente, regola ad esempio la buona fede e può stabilire le modalità che l’agente deve rispettare per commercializzare al meglio i beni del fornitore.

In un contratto di agenzia, l'agente procura clienti per il fornitore e nel momento in cui vende beni, la proprietà dei beni passa direttamente dal fornitore al cliente. Infatti, a differenza del contratto di distribuzione, l’agente non possiede mai la merce che vende, ma agisce solo per facilitare la vendita del fornitore al cliente.

Dal punto di vista commerciale, il contratto di agenzia è preferibile laddove il fornitore desideri mantenere un rapporto stretto con il cliente, poiché, al contrario, il contratto di distribuzione allontana inevitabilmente il fornitore dal cliente finale. Tale strumento resta preferibile anche qualora il fornitore desideri mantenere un maggiore controllo delle condizioni di vendita dei suoi prodotti, in particolare per quanto riguarda il prezzo. Infatti, l’imposizione di un prezzo di rivendita ad un distributore è illegale ai sensi della legge sulla concorrenza del Regno Unito e dell’UE, mentre attraverso il contratto di agenzia il fornitore può validamente conservare la libertà di fissare il proprio prezzo di vendita.

Si noti, infine, che il rapporto tra un fornitore ed il suo agente o il distributore deve emergere in maniera inequivocabile dal contratto. La definizione iniziale di “Supply agreement" o “Agency agreement" non costituisce di per sé prova sufficiente della natura dell'accordo. In caso di controversie, sarà il giudice ad esaminare la sostanza dell’accordo tra le parti.

Le norme generali sul “supply agreement”, si ritrovano alla sezione 12 del “Sale of Goods Act 1979” e alla sezione 2 del “Supply of Goods and Services Act 1982” per quanto riguarda gli obblighi delle parti, mentre nel "Consumer Protection Act 1987” si delinea la garanzia dei prodotti difettosi.

In vista dei cambiamenti che si verificheranno con l’uscita del Regno Unito dall’UE, si stanno facendo spazio diversi accordi bilaterali mirati ad incrementare gli scambi tra i Paesi.

In attesa dell’accordo con il Giappone, nel 2019 è stato concluso un agreement tra Regno Unito e Stati Uniti sul “Trade in Wine”, il quale ha lo scopo di facilitare gli scambi di vino tra le parti e stabilisce che ciascuna parte, su richiesta, deve cooperare per aiutare l'altra a rendere disponibili ai produttori le informazioni relative ai limiti specifici delle sostanze contaminanti e dei residui estrani in vigore nel proprio territorio.

Gli effetti di Brexit sull’import del vino in UK

I negoziati per un accordo tra Regno Unito e UE, iniziati lo scorso marzo e che si concluderanno nell’ottobre 2020, saranno decisivi per delineare gli aspetti import-export del commercio del vino.

Sebbene sia molto probabile un accordo mirato ad agevolare gli scambi di prodotti di origine animale, prodotti agroalimentari, pollame, carni, e vini, ciò che attualmente è certo è che ci sarà un periodo di transizione di 9 mesi verso un nuovo sistema per l'importazione di vino da un paese terzo (UE).

Il governo inglese ha confermato che i controlli per l'importazione delle merci dall'UE saranno incrementati e che le imprese dovranno prepararsi per i nuovi controlli alle frontiere assicurandosi di disporre di un numero EORI (Economic Operator Registration and Identification).

Durante il periodo di transizione, si potrà importare il vino nel Regno Unito attraverso l’utilizzo di un documento “VI-1” che descrive in modo completo il vino importato. Dopo il periodo di transizione di 9 mesi, il modello VI-1 potrebbe non essere più valido.

Ci sono tuttavia delle esenzioni alla presentazione del documento VI-1, le quali continueranno ad essere valide anche dopo il periodo di transizione. Sarà infatti possibile importare vini nel Regno Unito o esportarli dal Regno Unito all'UE, senza la compilazione del modello citato qualora: 

  • il vino si trovi in contenitori etichettati fino massimo di 10 litri, con un tappo monouso, e per un massimo di 100 litri per spedizione;
  • il proprietario si sta trasferendo nel Regno Unito;
  • il vino spedito non superi i 30 litri a bagaglio per viaggiatore;
  • il vino venga spedito da una persona all'altra, fino a un massimo di 30 litri;
  • il vino sia importato a scopo di esperimenti scientifici e tecnici fino a un massimo di 100 litri;
  • il vino sia tenuto nei negozi a bordo di navi e aerei che operano nel trasporto internazionale;
  • il vino sia prodotto e imbottigliato nel Regno Unito, esportato e poi restituito al Regno Unito per essere venduto; 
  • il vino sia prodotto e imbottigliato nell'UE, esportato e quindi restituito all'UE per essere venduto;
  • il vino sia scambiato per scopi diplomatici in conformità con la Convenzione di Vienna o la Convenzione di New York.

Le autorità competenti nel settore saranno la DEFRA (Department for Environment, Food & Rural Affairs) competente per l'emissione del form VI-1, tenuta, inoltre, a certificare che il vino sia conforme alle normative UE, e che sia stato prodotto utilizzando pratiche di vinificazione; e la FSA e Food Standards Scotland (FSS) responsabili dell'ispezione e della registrazione degli esportatori di vino.

Dopo essersi registrati presso la FSA o FSS, gli importatori riceveranno un numero WSB da fornire alla DEFRA nella richiesta del modello VI-1.

Vendita del vino in UK: quale giurisdizione e legge applicabile?

Concludere il contratto per iscritto garantisce diversi vantaggi, in primis quello di custodire e regolare tutti gli aspetti che le parti ritengono rilevanti, e quindi mitigare quindi il rischio di incorrere in eventuali violazioni.

Il contratto ha un valore economico proprio all’interno dell’azienda, ed è per questo che affidarsi a dei professionisti legali per la sua redazione è un investimento sulla prevenzione dei problemi commerciali piuttosto che sulla loro risoluzione.

Di norma, il contratto definisce le parti, l’oggetto e la durata, regola le modalità della prestazione, fissa il prezzo corrispettivo, stabilisce la presenza di clausole che limitano la concorrenza, e infine delinea la legge e la giurisdizione applicabile. Questo è fondamentale per stabilire le regole applicabili al contratto e l’individuazione del soggetto chiamato ad applicarle in caso di controversia.

Nell’ordinamento inglese, il principio di libertà di scelta della legge applicabile al contratto è stato riconosciuto dal “Contracts Act” del 1990, che ha ratificato la Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, ed ha sostituito le regole di determinazione della legge applicabile ai contratti sviluppate dal common law.

La peculiarità del diritto inglese è che esso riconosce l’autonomia delle parti nella scelta della legge applicabile al contratto, anche se la legge individuata non presenta alcuna connessione con quest’ultimo, a condizione che “l’intenzione espressa costituisca manifestazione di buona fede e non vi siano ragioni fondate su motivi di ordine pubblico che impediscano tale scelta”.

In assenza di previsione della legge regolatrice nel documento contrattuale, la Convenzione di Roma stabilisce come criterio sussidiario l’applicazione al contratto della legge del paese con il quale il contratto presenta il “collegamento più stretto”. In particolare, si assume che il collegamento più stretto si abbia con il Paese in cui, al momento della conclusione dell’agreement, la parte che deve fornire la “prestazione” ha la propria residenza abituale. Ciò porta, in assenza di patto tra le parti, all’applicazione della legge inglese sia nel contratto di agenzia con un agente operante in UK, sia nel contratto di distribuzione/concessione di vendita con importatore in Inghilterra.

La scelta del foro competente rileva sotto più aspetti: sempre di più i fori prediletti dalle imprese multinazionali sono quelli più celeri e più efficienti, come Londra, Ginevra e Vienna.

Ciò premesso, la scelta del foro competente in un contratto con agente o distributore / importatore in Inghilterra va presa caso per caso con l’ausilio di un legale esperto: se è vero che la giurisdizione inglese è più efficiente e consente di ottenere una sentenza in tempi rapidi, i costi per un contenzioso giudiziario in UK sono notevolmente superiori a quelli italiani.

USA: il più grande paese nel mondo per consumo di vino

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Giulia Sambugaro

Gli USA sono, al giorno d’oggi, il più grande paese al mondo per consumo di vino.

Tuttavia, contrariamente ad ogni previsione, il consumo di vino tra i Millennials è diminuito a causa (1) della loro preferenza per birre e super alcolici artigianali; (2) della loro difficile situazione finanziaria; (3) della legalizzazione della cannabis; (4) del messaggio legato agli effetti negativi del vino sulla salute, al quale non corrisponde la promozione degli effetti positivi sulla salute di un consumo moderato di vino. Si nota però un avvicinamento al prodotto del vino, e quindi un aumento del suo consumo, con l’aumentare dell’età dei clienti possiamo notare che è presente una predilezione verso vini di alta qualità.

Proteggere le proprie risorse

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Giulia Sambugaro

Il Branding è fondamentale: l’obiettivo ultimo del proprietario di un marchio è che il suo prodotto venga riconosciuto e scelto rispetto ad altri prodotti. Per proteggere il proprio marchio, è opportuno registrarlo presso il United States Patent and Trademark Office (USPTO), si possono registrare nome, design del logo o etichetta del vino.

Ci sono quattro basi per la registrazione del marchio, due delle quali fanno riferimento all’esistenza di una procedura di registrazione o alla registrazione stessa di quel marchio nel sistema di un paese che abbia un trattato di reciprocità con gli USA:

  • “Actual Use” o uso effettivo (Trademark Act Section 1(a)), quando, al momento della domanda, il richiedente ha già cominciato ad usare il marchio in commercio negli USA per la categoria di beni o servizi identificati nella domanda stessa;
  • “Intent to Use” o intenzione all’uso (Section 1(b)), quando, al momento della domanda, il richiedente non ha ancora cominciato ad usare il marchio in commercio negli USA, ma ha intenzione, in buona fede, di farlo nel breve futuro;
  • “Foreign Application” o Domanda estera (Section 44(d)), quando il richiedente ha, nei 6 mesi precedenti, fatto domanda di registrazione per lo stesso marchio in relazione agli stessi beni/servizi in un paese che abbia un trattato di reciprocità con gli USA. In questo caso, la data di priorità per la domanda negli USA sarà la stessa della domanda nel paese estero;
  • “Foreign Registration” o Registrazione estera (Section 44(e)), quando il richiedente ha già ottenuto la registrazione per lo stesso marchio in relazione agli stessi beni/servizi nel suo paese di origine, a condizione che il paese abbia un trattato di reciprocità con gli USA.


Inoltre, Section 66(b) del Trademark Act permette la registrazione sulla base di una registrazione internazionale ottenuta secondo il Protocollo di Madrid.

Il costo di registrazione si aggira sui $250/classe, ai quali si aggiungono eventuali costi aggiuntivi. Il procedimento di registrazione dura circa 10-18 mesi, a seconda della base di registrazione utilizzata, e la priorità si acquisisce nel momento di presentazione della domanda. La registrazione dura 10 anni e può essere rinnovata in periodi di 10 anni alla volta, a condizione che il proprietario continui ad utilizzare il marchio in commercio in relazione ai beni/servizi indicati e provveda al deposito puntuale della documentazione richiesta, la prima delle quali avviene tra il quinto e il sesto anno dalla registrazione.

Diventare un importatore di vino negli USA

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Giulia Sambugaro

Il sistema statunitense è conosciuto con la denominazione “three-tier system”, nel quale produttore/importatore, distributore, e venditore/ristorante sono solitamente tre entità differenti:

  • produttore è chi produce il vino e, in caso di produttore estero, viene rappresentato da un importatore. L’importatore è l’entità autorizzata ad importare vino negli USA e deve ottenere un permesso federale noto come “Importer’s Permit” dall’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau (TTB). Nessuna tassa deve essere pagata per l’ottenimento di tale permesso e, al momento, lo si ottiene in circa 20 giorni. L’importatore deve avere un ufficio/magazzino negli USA e deve anche registrarsi come dealer (commerciante) di alcolici attraverso la TTB "Alcohol Dealer Registration" prima di poter iniziare la sua attività di importazione. Ulteriori requisiti possono essere poi imposti dalla legislazione dello Stato nel quale l’importatore mantiene il proprio ufficio. Se permesso da tale Stato, un importatore può anche scegliere di vendere direttamente i suoi prodotti al venditore/ristorante, diventando, cosi, anche distributore;
  • distributore è l’entità autorizzata, in un determinato Stato, ad acquistare alcol da un importatore e venderlo al venditore finale (ristorante, etc.) presente all’interno dello Stato nel quale conduce la propria attività di distributore. Ogni distributore deve ottenere il TTB Wholesaler’s Basic Permit (federale), cosi come ogni altra licenza richiesta dalla legislazione dello Stato nel quale conduce la propria attività;
  • venditore finale e ristorante sono le entità che vendono il vino al consumatore finale e che dovranno ottenere le relative licenze a livello statale.

Ottenere la giusta etichetta per il vino negli USA

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Giulia Sambugaro

Dopo aver ricevuto un Importer’s Permit, l’importatore deve ottenere un certificato di approvazione dell’etichetta del vino dal TTB (il cosiddetto “Certificate of Label Approval (COLA)”) per poter importare i vini negli USA. È importante ricordare che, in aggiunta a tale registrazione, ogni cantina vinicola deve essere registrata presso la Food and Drug Administration (FDA).

Di seguito sono elencati le informazioni che devono essere inserite in ogni etichetta:

  • nome della cantina vinicola;
  • classe o tipologia di designazione;
  • contenuto di alcol in una specifica percentuale o in un suo intervallo di percentuale;
  • nome e indirizzo dell’importatore, preceduti dalla dicitura “Imported by”;
  • nome e indirizzo dell’imbottigliatore;
  • contenuto netto;
  • dichiarazione sui solfiti;
  • dicitura sulla salute: “(1) According to the Surgeon General, women should not drink alcoholic beverages during pregnancy because of the risk of birth defects. (2) Consumption of alcoholic beverages impairs your ability to drive a car or operate machinery, and may cause health problems”
  • paese di origine;
  • requisiti aggiuntivi in caso di presenza di certi coloranti.

I vini biologici sono soggetti a requisiti di etichetta specifici e alla conformità con normative emanate dal Dipartimento dell’Agricoltura (“USDA”) e al suo Programma Biologico Nazionale (“National Organic Program (NOP)”).

Vini prodotti in certi paesi (Canada, Francia, Giamaica, Messico, Portogallo, Irlanda del Nord, Spagna e Gran Bretagna) sono soggetti anche al cosiddetto Certificate of Age and Origin Requirement, ossia l’importatore deve ottenere un certificato di provenienza quando questo è stato richiesto dal governo del relativo paese di provenienza.

Dogana e tasse di importazione sui vini negli USA

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Giulia Sambugaro

Prima che i beni da importare giungano alla dogana, l’importatore deve aver preparato e presentato domanda di autorizzazione doganale all’importazione. Affinché il vino venga autorizzato ad entrare negli USA, l’importatore deve ingaggiare un Broker doganale, unico soggetto autorizzato dalle leggi doganali statunitensi a rappresentare come agente l’importatore in ogni transazione doganale. Un importatore deve calcolare una tempistica di due-quattro settimane per la spedizione e autorizzazione doganale, in base alla rotta e a possibili ritardi in dogana.

La legislazione fiscale è alquanto complessa, e varia in base al tipo e alla quantità di vino importato. L’importatore dovrà considerare sia il Dazio federale sull’importazione del vino, che specifiche tasse d’imposta. Inoltre, una parte di vini europei è soggetta ad una tariffa aggiuntiva del 25%, imposta dall’Amministrazione Trump, a seguito della decisione emessa dalla World Trade Organization nella causa Airbus tra Stati Uniti e Unione Europea Fortunatamente per alcuni produttori europei, la tariffa aggiuntiva del 25% imposta dall’Amministrazione Trump, a seguito della decisione emessa dalla World Trade Organization nella causa Airbus tra Stati Uniti e Unione Europea, è stata sospesa per cinque anni, durante i quali gli Stati Uniti e l’Unione Europea si adopereranno per risolvere le problematiche legate alle dispute relative all’aviazione civile, tariffe sul vino incluse (così come annunciato, il 15 giugno 2021, dall’ Office of the United States Trade Representative).

Di solito, in un business plan, la cifra media calcolata per le tasse relative alla importazione e alla spedizione fino al magazzino dell’importatore, è di circa $12.00 per cassa di vino (12x750ml.

La tendenza nel mercato vinicolo statunitense

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Giulia Sambugaro

Ad oggi, è il più grande paese al mondo per consumo di vino, con l’importazione in aumento, a discapito dei produttori locali.

Nuovi canali di vendita, come la vendita diretta al consumatore, dovrebbero essere maggiormente sviluppati negli USA. Tuttavia, questi canali non potrebbero funzionare per vini importati perché manca il rapporto diretto con il consumatore nel territorio statunitense. Inoltre, nonostante la crescita delle vendite online, gli USA sono molto più indietro rispetto alle vendite fatte in Cina. Il motivo principale di questa mancata crescita sta nei costi di spedizione elevate e nel complicato sistema regolamentare dell’alcol negli USA (si consideri, ad esempio, che in molti Stati, il consumatore non può acquistare vino spedito da un altro Stato, il che rende difficile l’acquisto di vini importati).

Branding e marketing diventano essenziali per entrare e avere successo nel mercato vinicolo statunitense, specialmente perché c’è un calo nelle vendite di vino nei ristoranti, dal momento che i consumatori si sono resi conto di poter acquistare la stessa bottiglia di vino ad un prezzo inferiore nei negozi di vini. Di conseguenza, le etichette e il loro design diventano, per esempio, fondamentali per attirare l’attenzione del consumatore negli scaffali dei negozi di vini.


Le relazioni contrattuali nella negoziazione del vino

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Giulia Sambugaro

È importante notare che, a causa delle peculiarità del sistema statunitense in tema di importazione e vendita di vino, è difficile avere un forte potere contrattuale nella negoziazione di un contratto di distribuzione, per la presenza di alcuni importanti distributori che hanno il controllo della maggior parte del mercato.

A livello teorico, si devono considerare due tipi di relazioni contrattuali:

  • la relazione tra cantina vinicola e importatore (a meno che non siano la stessa entità – vedi sotto) è una relazione di agenzia, dove l’importatore diventa il rappresentante della cantina vinicola negli USA. Spesso, tale relazione non è regolata da un contratto scritto. Tuttavia, alcuni punti dovrebbero essere concordati per iscritto:
    • termini di pagamento e valuta. Solitamente, i termini di pagamento variano dai 60 ai 90 giorni a partire dal Bill of Lading, Freight on Board o Port of Origin. Tuttavia, la cantina vinicola può voler essere pagata in anticipo o richiedere una lettera di credito per la prima spedizione.
    • stabilire quali sono i tipi di vino da importare;
    • stabilire gli Stati nei quali la carica di importatore è valida;
    • avere aspettative moderate/prudenti;
    • protezione di diritti di proprietà intellettuale – Il contratto dovrebbe stabilire che tutti i diritti di proprietà intellettuale rimangono di proprietà della cantina vinicola;
    • esclusività o meno dell’importatore, se permesso dallo Stato in cui la carica è valida.
  • la relazione tra produttore e distributore (anche quando importatore e distributori sono la stessa entità):
    • quale distributore scegliere? È sempre preferibile scegliere un distributore con una solida situazione finanziaria e che (i) abbia la stessa filosofia commerciale; (ii) copra l’area geografica nella quale si vuole importare; (iii) pianifichi di investire nel tuo marchio; (iv) non è troppo grande cosi da poter dedicarsi adeguatamente al tuo marchio;
    • durata. Generalmente la durata del contratto è di 1 o 2 anni, con possibile rinnovo;
    • esclusività. Deve essere permessa dalla legge statale – normalmente non è consigliabile perché vuol dire dare massima fiducia al distributore;
    • decidere se il distributore è autorizzato a distribuire anche estensioni del tuo marchio, ossia se può distribuire ogni tipo di vino della tua cantina o meno. Di solito, il distributore ha un diritto di opzione su nuovi prodotti della stessa cantina;
    • protezione dei diritti di proprietà intellettuale – Il contratto dovrebbe chiarire che tutti i diritti di proprietà intellettuale rimangono di proprietà della cantina vinicola e che il distributore ha il diritto di usare tali diritti nel marketing, promozione e vendita dei relativi prodotti;
    • franchise States e risoluzione del contratto. Scegliere un distributore in uno dei cosiddetti “Franchise States” significa avere a che fare con leggi molto protettive nei confronti del distributore, al punto che il contratto può essere risolto da parte dell’importatore solo per giusta causa e le possibilità di modifica contrattuale sono molto limitate. Se il distributore non è in uno dei Franchise States, le parti possono liberamente decidere di risolvere il contratto con o senza giusta causa;
    • clausole post risoluzione contrattuale – È opportune stabilire cosa succeda a ordini in corso o al riacquisto dell’inventario;
    • legge applicabile e foro. La legge applicabile e il foro saranno molto probabilmente quelli dello Stato in cui il vino verrà distribuito.


In aggiunta a queste considerazioni, è importante considerare che potranno sorgere, in fase di negoziazione, questioni tipiche del diritto internazionale privato, quali la scelta della legge applicabile e del foro competente. Dal momento che spesso la cantina vinicola non ha un forte potere contrattuale, tali questioni di diritto internazionale privato saranno risolte a favore della legge e del foro di uno Stato degli U.S.A.


Vietnam: un mercato in forte espansione con un tocco sempre più sofisticato

Vasoli - Legalmondo
Federico Vasoli

Il Vietnam ha goduto di un’enorme e costante crescita del PIL negli ultimi anni, anche durante il 2020 e il 2021, nonostante la pandemia, e attrae un numero sempre maggiore di espatriati che lavorano principalmente nelle fiorenti industrie manifatturiere e dei servizi. La crescita economica e l’arricchimento culturale fanno sì che una fetta sempre più ampia della sua giovane e dinamica popolazione di oltre novantasette milioni di abitanti possa permettersi prodotti sempre più sofisticati, adottare stili di vita più occidentalizzati, pur mantenendo un forte senso delle tradizioni, incluso il mangiare e bere fuori. Ex colonia francese e Paese aperto ai commerci marittimi e terrestri, il Vietnam ha davvero molto fascino. Il mercato del vino in Vietnam è ora più dinamico che mai con qualità e quantità in costante aumento ogni anno. I vietnamiti sembrano aver battuto i giapponesi e gli indiani nella competizione non ufficiale di consumo di alcol, dove il tasso in Vietnam è il doppio di quello del secondo arrivato. I bevitori vietnamiti hanno consumato 4,2 miliardi di litri di alcol nel 2019, con un aumento del 90% in 10 anni, rendendo il Paese il principale mercato di alcol nel sud-est asiatico. Mentre ogni due anni vengono rilasciati report accurati e al momento della redazione di questa scheda i dati relativi al 2020 e al 2021 non sono ancora disponibili, è certo che il consumo di vino e in generale di alcol durante la pandemia è aumentato in modo significativo. Inevitabilmente, i prodotti di tutto il mondo si riversano in questo mercato giovane e potenziale. Gli esperti vedono il crescente gusto per il vino dei bevitori vietnamiti come una prova della costante occidentalizzazione del Paese. Nel 2018, il fatturato totale delle importazioni di vino ha raggiunto i 53,2 milioni di dollari, con un aumento dell'85% rispetto al 2010. Secondo le statistiche della Vietnam Alcohol and Beverage Association, attualmente ci sono solo 15 aziende in Vietnam che producono e imbottigliano vino con una produzione annua di circa 12-13 milioni di litri. L’ufficio nazionale di statistica ha annunciato nel suo ultimo rapporto disponibile che il tasso di crescita delle importazioni di vino è aumentato di circa il 25% l’anno dal 2004. Tra il 2017 e il 2021, le vendite totali di alimenti e bevande dovrebbero crescere a un tasso medio annuo composto di 11,3%. I consumatori vietnamiti conoscono i principali Paesi di produzione del vino, Australia, Cile, Francia, Italia, Nuova Zelanda, Sud Africa e Stati Uniti. Nel 2020 i vini italiani hanno superato i francesi nelle vendite. Nel 2019 il tasso di crescita delle importazioni di vini francesi e italiani in Vietnam è aumentato del 20%. Il Vietnam è dunque un enorme mercato potenziale per i produttori europei e soprattutto italiani, poiché il suo tasso di crescita annuale rimane costantemente al 10%. Nonostante l’exploit dell’Italia, in generale, negli anni, la Francia è sempre stata il principale fornitore di vino del Vietnam seguita dal Cile. Il Vietnam ha abbassato le restrizioni sulle importazioni di vino dopo essere entrato a far parte dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e dell’ASEAN.

I ricavi nel segmento del vino dovrebbero ammontare a 245 milioni di dollari nel 2022. Il mercato dovrebbe crescere annualmente del 4,38% (CAGR 2022-2025).

Entro il 2025, il 31% della spesa e il 24% dei consumi in termini di volume nel segmento del vino saranno attribuibili ai consumi fuori casa (e.g. in bar e ristoranti).

Come proteggere il proprio marchio in Vietnam

Vasoli - Legalmondo
Federico Vasoli

Il Vietnam ha purtroppo una cattiva reputazione relativa alla produzione e alla distribuzione di merci contraffatte, tra cui sigarette, indumenti, profumi, liquori e anche il vino. Non è difficile notare negozi che sfacciatamente espongono bottiglie false in vetrina nelle strade affollate di Hanoi o Ho Chi Minh City, per non parlare delle città di “secondo livello”. La registrazione del marchio non è un requisito obbligatorio per il commercio del vino in Vietnam, tuttavia in una situazione di contraffazione diffusa, contrabbando di alcol e mancanza di una profonda e ampia conoscenza del prodotto, registrare il proprio nome, logo, marchio è il modo più efficace per proteggere legalmente i propri beni tangibili e intangibili. Poiché il Vietnam è parte del Sistema di Madrid, che disciplina la registrazione internazionale dei marchi, al fine di ottenere la protezione di un marchio in Vietnam, i titolari dei marchi possono depositare la domanda attraverso la procedura nazionale in Vietnam o estendendo la protezione già accordata al proprio marchio attraverso il Sistema di Madrid. La normale procedura di registrazione del marchio nazionale in Vietnam prevede i seguenti passaggi:

  • same di formalità: l’Ufficio nazionale della proprietà intellettuale (NOIP) conduce un esame per verificare che la proposta di registrazione soddisfi tutti i requisiti formali. Il NOIP effettua anche una ricerca di anteriorità su marchi registrati precedenti che siano in conflitto con il contenuto della domanda di deposito, nel caso in cui siano identici, simili o confondibili, contro i quali il richiedente avrà quindi la facoltà di opporsi. L’esame di formalità viene svolto in circa un mese dalla data di deposito;
  • pubblicazione della domanda: nell’ipotesi in cui la domanda superi la fase di istruttoria formale, l’accettazione di principio sarà pubblicata sulla Gazzetta della proprietà intellettuale per un periodo di due mesi a decorrere dalla data della decisione ai fini di eventuali opposizioni da parte di terzi;
  • esame di merito: l’esame di merito sul rifiuto assoluto e rifiuto relativo è condotto contemporaneamente dal NOIP generalmente in nove mesi a partire dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta della proprietà intellettuale;
  • dichiarazione di concessione della protezione: è la conferma che il marchio è registrato e comporta il pagamento di un corrispettivo per tale certificato. Il pagamento deve essere effettuato entro trenta giorni ed è prevista analoga tempistica per il rilascio del certificato originale.


In caso di accoglimento della domanda, la registrazione del marchio durerà per un periodo iniziale di dieci anni e successivamente potrà essere rinnovata per ulteriori periodi di dieci anni ciascuno, a tempo indeterminato. Tuttavia, se un marchio non viene utilizzato nei primi cinque anni dalla sua registrazione o per un periodo continuativo di cinque anni durante la sua registrazione, un terzo può chiedere la revoca della registrazione per decadenza da mancato uso.

Norme sull’etichettatura del vino in Vietnam

Vasoli - Legalmondo
Federico Vasoli

Tutto il vino importato in Vietnam deve essere conforme alle normative sull’etichettatura. Alcune informazioni obbligatorie (come il nome del prodotto e la gradazione alcolica) devono essere scritte in vietnamita, ai sensi del decreto 43/2017/NĐ-CP del 14 aprile 2017 sull’etichettatura delle merci. Per i vini importati, oltre all’etichetta principale del produttore, l’importatore deve effettuare una dichiarazione di qualità del prodotto e applicare una sotto etichetta.

Tutte le merci vendute in Vietnam devono recare un sigillo e un’etichetta aggiuntiva (la sotto etichetta), che deve riportare:

  • quantità;
  • contenuto di etanolo;
  • data di scadenza (se presente);
  • istruzioni per la conservazione;
  • avvertenze (se presenti);
  • numero di identificazione del lotto (se presente).

Gioca secondo le regole

Vasoli - Legalmondo
Federico Vasoli

Il vino è nella lista delle importazioni speciali in Vietnam. Per importare vino è necessario passare attraverso un complesso iter di pratiche doganali e la relativa documentazione è piuttosto complicata, quindi si tratta di un’attività che viene condotta da importatori specializzati dalle prime fasi fino al processo post-ispettivo. È fondamentale dunque identificare gli importatori giusti, dotati di licenza, e valutare di effettuare una semplice due-diligence su di loro.

La principale fonte normativa al riguardo è l’articolo 20 del decreto 105/2017/NĐ-CP del 14 settembre 2017 sulla produzione e il commercio di vino, che recita quanto segue:

Articolo 20. Importazione del vino

1. Il vino importato comprende vino finito imbottigliato per il consumo istantaneo e vino semilavorato per la produzione di vino finito in Vietnam.

2. Il vino importato deve essere munito di documenti legali di importazione prescritti dalla normativa vigente ed essere conforme alla disciplina in materia di imposte sui vini importati di cui all’articolo 15 del presente decreto.

3. Il vino importato deve essere etichettato come prescritto dall’articolo 14 del presente decreto e dalle leggi in materia.

4. Solo le imprese che dispongono di licenze per la distribuzione del vino possono importare direttamente vino e sono essere responsabili della sicurezza e della qualità del vino importato. Le imprese che importano vino semilavorato e additivi per la produzione di vino finito possono venderlo solo a imprese autorizzate a produrre vino.

5. Le imprese titolari di licenza per la produzione in serie di vino possono importare direttamente o autorizzare altre imprese ad importare semilavorati di vino e additivi per la produzione di vino finito.

6. Il vino importato deve essere registrato per la dichiarazione di conformità presso l’agenzia competente del Vietnam prima dell’importazione e ad ogni partita deve essere rilasciata la certificazione scritta di alimento idoneo all’importazione come previsto dalla legge.

7. Il vino viene importato in Vietnam solo attraverso i valichi di frontiera internazionali. A parte i documenti presentati alla dogana quando segue la procedura di importazione come prescritta, l’importatore deve presentare la nomina o l’autorizzazione scritta come distributore ufficiale o importatore del produttore o commerciante, o il contratto di agente del produttore o commerciante di tali articoli.


Pertanto, per poter importare alcolici, le imprese devono soddisfare le condizioni sopracitate.

Inoltre, il Vietnam impone alcune limitazioni riguardo alla pubblicità degli alcolici, riguardo all’inserimento dei prodotti, alla sponsorizzazione e alla promozione delle vendite, ma non sono richieste etichette di avvertenza sanitaria sulle pubblicità e sui contenitori di alcolici. Inoltre, l’alcol non può essere venduto, in sede o fuori sede, a minori.

Al completamento delle procedure di importazione, i distributori sono tenuti ad avere una licenza per la rivendita di liquori. I distributori stranieri possono ora svolgere tali attività in Vietnam creando una società vietnamita, interamente di proprietà straniera, che deve ottenere l’apposita licenza prima di avviare le operazioni di vendita al dettaglio.

Sdoganamento, accise e tassazione dei vini in Vietnam

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Federico Vasoli

Le importazioni in Vietnam sono regolate dalla legge doganale (2015) e da altre circolari e decreti emessi dal governo vietnamita. I vini importati devono essere ispezionati prima di poter essere sdoganati, in ottemperanza al regolamento tecnico nazionale sulla sicurezza alimentare per le bevande alcoliche (QCVN:2010/BYT). Gli elementi fondamentali dell’ispezione includono naturalmente la qualità, le specifiche, la quantità e la percentuale alcolica.

Gli importatori di vino in Vietnam sono tenuti a presentare la propria documentazione alle autorità di importazione, incluso il codice d’importazione e i certificati di registrazione dell’azienda. Le dichiarazioni di importazione devono essere presentate in anticipo o entro trenta giorni dall’arrivo tramite il sistema di elaborazione elettronica dei dati del Vietnam Automated Cargo and Port Consolidated System/Vietnam Customs Information System (VNACCS/VCIS). Possono essere richiesti anche altri documenti giustificativi, tra cui fatture commerciali, rapporti di ispezione, dichiarazioni di valore e certificati di origine.

Il Vietnam adotta il sistema armonizzato (HS) per le materie prime e la maggior parte delle merci di importazione sono soggette a tariffe di importazione. Oltre alle tariffe di importazione, alcune merci possono essere soggette ad altre tasse, come l’imposta sul valore aggiunto. Per determinare se un determinato vino è soggetto all’esenzione fiscale, occorre fare riferimento all’articolo 107 e all’articolo 108 della Circolare 38/2015/TT-BTC del 25 marzo 2015.

Il codice del vino è: 22042111.

L’aliquota fiscale corrispondente per questo codice HS è la seguente: Tassa di importazione: 50%; Tassa Speciale sui Consumi (SCT): 30%; Imposta sul valore aggiunto: 10%.

Evidentemente, le tasse rendono i vini importati piuttosto costosi per i consumatori finali, ma il Vietnam ha abbassato le sue restrizioni tariffarie sull’importazione di vino dopo essere entrato a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (ASEAN). Per migliorare le relazioni a lungo termine con i propri partner commerciali stabili, il Vietnam ha introdotto tariffe di importazione più basse per gli esportatori di vino provenienti da Australia e Nuova Zelanda e, più recentemente, con gli Stati membri dell'UE, grazie all’accordo di libero scambio UE-Vietnam (“EVFTA”), in vigore dall’agosto 2020. L’area di libero scambio ASEAN-Australia-Nuova Zelanda (“AANZFTA”) è l’accordo che disciplina, tra l'altro, il commercio del vino e le sue tariffe di importazione tra Vietnam e Australia e Nuova Zelanda. Le ridotte barriere tariffarie e non tariffarie tra Vietnam e Australia e Nuova Zelanda, nonché tra Vietnam e UE, presentano evidentemente grandi opportunità.

Dopo aver completato le procedure di importazione, i rivenditori di vino sono tenuti anche ad avere una specifica licenza commerciale.

Contratti per la distribuzione del vino in Vietnam

Vasoli - Legalmondo
Federico Vasoli

Il Vietnam è un ordinamento giuridico di civil law (quindi non troppo distante in linea di principio dagli standard legali che si possono trovare nei Paesi come la Francia o l’Italia), è una Repubblica Socialista e allo stesso tempo ha forti tradizioni consuetudinarie che fanno parte della pratica legale, in qualche modo simile al Repubblica Popolare Cinese. Mentre le leggi sono relativamente semplici e possono essere facilmente reperite in inglese, sorgono complicazioni con la loro interpretazione attraverso una miriade di circolari e regolamenti. Un approccio molto formalistico adottato dai tribunali assieme all’evidente difficoltà rappresentata dalla lingua vietnamita.

Pertanto, è essenziale disporre di un contratto adeguatamente redatto, affinché la volontà delle parti sia fissata e sia conforme alla legge e possa essere interpretata senza troppe difficoltà da un soggetto terzo esterno in caso di controversia.

Il Vietnam non ha una legge specifica sull’agenzia commerciale, a differenza degli Stati membri dell'Unione Europea, da cui provengono molti produttori abituati a tale modello. Le parti possono a tutti gli effetti regolare la propria attività con un contratto liberamente negoziato, il cui contenuto è simile a quello dell’agenzia commerciale UE, ma devono farlo attraverso un contratto valido e tenere presente che tale tipo di contratto è regolato principalmente dalla Legge sul Commercio n. 36/2005/QH11. Il diritto commerciale definisce infatti “agenzia commerciale” un’attività d’affari con la quale il preponente e l’agente si impegnano affinché l’agente, per conto del preponente, ma in nome proprio, effettui compravendite di beni o fornisca servizi a terzi (clienti). L’agente deve essere una persona giuridica vietnamita.

La Commercial Law, insieme al Codice Civile del 2015, è la principale fonte normativa sui contratti di distribuzione tra un fornitore (tipicamente il produttore del vino) e un distributore che attribuiscono al distributore il diritto di rivendere i beni o servizi del fornitore.

Pur non essendo obbligatorio, è fondamentale che sia un contratto di agenzia commerciale sia un contratto di distribuzione siano regolati da un apposito contratto scritto, che affronti, tra l’altro, e mutatis mutandis, le seguenti clausole:

  • permessi: il distributore deve essere in possesso di tutti i permessi per agire in tale veste;
  • esclusività: gli agenti vietnamiti possono stipulare contratti con più preponenti, anche concorrenti, a meno che ciò non sia espressamente vietato dal contratto;
  • territorio: indipendentemente dall’esclusività, il Vietnam è un Paese popoloso e relativamente grande, lungo e stretto, con grandi città, lontane tra loro, il che può comportare la presenza di agenti/distributori diversi ubicati sul territorio; • Prodotti che il produttore fornisce all’agente/distributore;
  • prezzo, che può essere determinato dal produttore a sua discrezione, e termini di pagamento, che possono includere clausole relative alle fluttuazioni del Dong vietnamita, e penali per ritardi;
  • obbligazioni del distributore (es. inventario, quantità minime, servizi post-vendita) e obbligazioni del fornitore (es. fornire supporto tecnico e materiale di marketing);
  • diritti di proprietà intellettuale: oltre a salvaguardare i diritti di proprietà intellettuale del produttore, l’accordo può anche definire l'ambito di utilizzo da parte del distributore dei marchi e dei nomi commerciali del fornitore;
  • legge applicabile e foro competente: se la risoluzione giudiziale non è sempre la strada più auspicabile, lo è ancor di meno in Vietnam, pertanto il consiglio generale è quello di inserire nel contratto una clausola compromissoria, tenendo presente che il Vietnam è firmatario della Convenzione di New York del 1958 sul riconoscimento dei lodi arbitrali stranieri, e che inoltre in Vietnam vi sono alcune valide camere arbitrali internazionali che possono arbitrare il procedimento.


Da ultimo, si evidenzia l’esplosione negli ultimi anni non solo dell’e-commerce, ma anche di alcuni canali di distribuzione paralleli (e.g.: acquisti in-app) o altri fenomeni recenti (e.g.: gamification, tokenizzazione etc.), che i produttori di vino dovrebbero tenere in considerazione al momento di elaborare le loro strategie e i contratti di distribuzione in Vietnam.

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