- Italia
Fare affari all’estero: avvocato straniero o italiano?
31 Ottobre 2023
- Commercio internazionale
- Contenzioso
“Può aiutami, avvocato”?
(Ovviamente è urgente).
“Mi mette in contatto con un legale in [Paese straniero]? Poi ci pensiamo noi.”
Lo faccio volentieri, ci mancherebbe.
Specie se posso mettere il cliente in contatto con un avvocato esperto di Legalmondo.
Lavorare direttamente con un legale all’estero, però, comporta una serie di complessità che vengono regolarmente sottovalutate dal cliente.
Le principali sono le seguenti
- identificare il legale giusto, che sia specializzato e abbia una specifica esperienza nella materia di interesse dell’azienda
- la difficoltà di dialogare in una lingua che solitamente è straniera sia per il cliente, sia per il legale all’estero
- comprendere le tematiche giuridiche oggetto dell’incarico, molto spesso regolate da una legge diversa da quella italiana
- concordare i termini dell’incarico professionale e monitorare l’andamento delle spese, specie se si tratta di attività lunghe e complesse, in paesi nei quali i costi legali sono molto alti
Nel caso di contenziosi
- individuare i fatti importanti e i documenti necessari
- definire la strategia di causa, valutare la possibilità di una definizione amichevole della vertenza e ragionare sulle possibili soluzioni alternative in base agli interessi delle parti
- gestire istruzioni e comunicazioni al legale in tempi molto stretti e lavorando in fusi orari diversi
Nel caso di negoziati commerciali
- condividere interessi e obiettivi della trattativa
- preparare e partecipare a call conference frequenti ed impegnative
- seguire le varie fasi delle revisioni dei testi contrattuali
Se si tratta di operazioni straordinarie
- impostare l’attività e condividerla con i legali delle controparti
- allineare le risorse aziendali e i vari professionisti coinvolti per assistere il cliente
- coordinare le diverse fasi dell’attività
Tutti passaggi nei quali il legale italiano, se è specializzato nella materia ed ha esperienza nell’assistere la clientela all’estero, può essere di grande aiuto, diventando l’interfaccia tra il cliente e i vari professionisti coinvolti nell’attività, su entrambi i lati.
È una risorsa preziosa, che consente di impostare il lavoro in modo chiaro, dialogare e ottenere risposte in tempi rapidi, assicurarsi che le informazioni, anche complesse, vengano riportate e comprese in modo corretto.
Esperienza, facilità di dialogo e rapporto di fiducia
Infine, è importante valorizzare la possibilità di confronto diretto con una persona di fiducia, esperta e che conosce l’imprenditore e l’azienda, cosa che generalmente non è possibile lavorando direttamente con uno studio all’estero, specie se di grandi dimensioni.
Il risultato è generalmente quello di lavorare in modo più consapevole, rapido, ordinato ed efficace, il che si traduce generalmente in un risparmio di tempo e denaro.
Prima di lavorare direttamente con un legale in Costa Rica, Macedonia o USA, è bene considerare l’importanza e il valore dell’incarico e pensare al legale italiano come una risorsa, non come un costo aggiuntivo.
Riassunto
Il contratto quadro di fornitura è un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore) che si svolgono nel corso di un certo arco temporale. Questo accordo determina gli elementi principali dei futuri contratti come il prezzo, i volumi di prodotto, i termini di consegna, le specifiche tecniche o di qualità e la durata dell’accordo.
Il contratto quadro è utile per assicurare la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare l’attività industriale o commerciale. Mentre le condizioni generali di acquisto o vendita sono le regole che si applicano a tutti i fornitori o clienti della società. Il contratto quadro è consigliabile concluderlo con i fornitori essenziali per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
Di cosa parlo in questo articolo:
- Che cosa è il contratto quadro di fornitura?
- Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
- La differenza con le condizioni generali di vendita o acquisto
- Quando concludere un contratto quadro di acquisto?
- Quando è utile concludere un contratto quadro di vendita?
- Il contenuto del contratto quadro di fornitura
- Clausola di revisione dei prezzi ed eccessiva onerosità sopravvenuta
- I termini di consegna nel contratto quadro di fornitura
- La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
- Vendita internazionale: legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Che cos’è il contratto quadro di fornitura?
Si tratta di un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore), che si svolgono nel corso di un certo arco temporale.
Si parla dunque di contratto “quadro” (framework agreement, in inglese) perché è un accordo che stabilisce le regole di una futura serie di contratti di compravendita, determinandone gli elementi principali, come il prezzo, i volumi di prodotto che si prevedono di vendere e acquistare, i termini di consegna dei prodotti, le specifiche tecniche o di qualità, la durata dell’accordo.
Dopo avere concluso il contratto quadro le Parti si limiteranno a scambiarsi gli ordinativi e le conferme d’ordine, concludendo una serie di autonomi contratti di vendita, senza dover ridiscutere i patti già definiti nell’accordo quadro.
A seconda dei punti di vista, questo contratto è anche denominato contratto quadro di vendita (se lo utilizza il venditore/fornitore con i propri clienti) o contratto quadro di acquisto (se lo propone il cliente ai suoi fornitori).
Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
È utile prevedere un contratto quadro in tutti i casi in cui le Parti intendono procedere ad una serie di acquisti / vendite di prodotti continuata nel tempo e hanno interesse a dare stabilità all’accordo commerciale, determinandone gli elementi principali.
In particolare, l’accordo quadro di acquisto è utile all’impresa che vuole assicurarsi la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare la sua attività industriale o commerciale (materie prime, semilavorati, componenti).
Concludendo il contratto quadro l’impresa può ottenere, ad esempio, un impegno del fornitore a fornire un certo volume minimo di prodotti, ad un certo prezzo, con modalità e specifiche tecniche già condivise, per un certo periodo temporale.
Questo accordo è utile anche, specularmente, al venditore/fornitore, che può programmare le vendite del periodo e organizzare, a sua volta, la catena di fornitura che gli consente l’approvvigionamento delle materie prime e dei componenti necessari alla produzione dei prodotti.
Qual è la differenza tra contratto quadro di acquisto o vendita e condizioni generali?
Mentre Il contratto quadro è un accordo che si utilizza con uno o più fornitori particolari, per un certo prodotto e per un certo arco temporale, determinando gli elementi essenziali dei futuri contratti, le condizioni generali di acquisto (o vendita) sono le regole che si applicano a tutti i fornitori (o clienti) della società.
Il primo accordo, dunque, viene negoziato e definito caso per caso in relazione ad un rapporto commerciale con un certo fornitore, mentre le condizioni generali sono predisposte unilateralmente dall’impresa, e i clienti o i fornitori (a seconda che si tratti di condizioni di vendita o di acquisto) si limitano ad aderire e ad accettare che le condizioni generali si applichino al singolo ordine e/o ai futuri contratti.
Può accadere che i due accordi coesistano: in tal caso è bene specificare quale contratto debba prevalere in caso di discrepanza tra le diverse previsioni (solitamente si prevede questa gerarchia, che va dallo speciale al generale: ordine – conferma d’ordine / contratto quadro / condizioni generali di acquisto).
Quando è importante concludere un contratto quadro di acquisto?
È consigliabile concludere un contratto quadro con il fornitore / i fornitori essenziale / i per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
È particolarmente importante concludere questo accordo quando si ha a che fare con un mono-fornitore o con un fornitore che sarebbe molto difficile sostituire se cessasse di vendere i prodotti all’impresa acquirente.
I rischi che si mira ad evitare o diminuire sono le cosiddette rotture di stock, ossia le interruzioni di fornitura per la mancanza della disponibilità dei prodotti da parte del fornitore, o perché i prodotti sono disponibili ma le parti non trovano l’accordo sui tempi di consegna o sul prezzo di vendita.
Un altro risultato che si può conseguire è quello di vincolare un fornitore strategico per un certo periodo, concordando che riservi una certa quota della produzione a favore del compratore a condizioni predeterminate evitando, per la durata dell’accordo, la concorrenza con offerte di terzi interessati ai prodotti.
Quando è importante concludere un contratto quadro di vendita?
Questo accordo consente al venditore / fornitore di pianificare le vendite verso un certo cliente e quindi di programmare ed organizzare la propria capacità produttiva e logistica per il periodo concordato, evitando costi extra o ritardi.
Pianificare le vendite consente anche di gestire correttamente le incombenze finanziarie e i flussi di cassa con una visione di medio termine, armonizzando gli impegni e gli investimenti con le vendite ai propri clienti.
Qual è il contenuto del contratto quadro di fornitura?
Non esiste un modello standard di questo contratto, che è nato dalla prassi commerciale per rispondere alle esigenze indicate in precedenza.
Generalmente l’accordo prevede un arco temporale determinato (ad esempio 12 mesi) nel quale le parti si impegnano a concludere una serie di compravendite di prodotti, determinando il prezzo e le modalità di fornitura e i principali patti dei futuri contratti di vendita.
Le clausole più importanti sono:
- l’identificazione dei prodotti e delle specifiche tecniche (spesso individuate in un allegato)
- il volume minimo / massimo di forniture
- l’eventuale obbligo di acquisto / vendita di un minimo-massimo volume di prodotti
- il calendario degli ordinativi
- i tempi di consegna
- la determinazione del prezzo e le condizioni per la sua eventuale modifica (si veda anche il prossimo paragrafo)
- i casi di impedimento alla prestazione (Forza Maggiore)
- i casi di eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship)
- le penali per il ritardo o per l’inadempimento o per il mancato raggiungimento dei volumi concordati
- la gerarchia tra il contratto quadro e gli ordinativi ed eventuali altri contratti tra le parti
- la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie (specialmente in contratti internazionali)
Come gestire la revisione dei prezzi in un contratto di fornitura?
Una clausola molto importante, specie in tempi di forti oscillazioni dei prezzi delle materie prime, dei trasporti e dell’energia, è quella relativa alla revisione dei prezzi.
In mancanza di un accordo su questo tema, infatti, le parti si accollano il rischio dell’aumento del prezzo impegnandosi a rispettare le condizioni originariamente pattuite e, salvi casi eccezionali (in cui la fluttuazione è forte, interessa un arco temporale ristretto ed è causata da eventi imprevedibili), è molto difficile poter invocare la sopravvenuta eccessiva onerosità, che consente di rinegoziare il prezzo oppure di risolvere il contratto.
È consigliabile, per evitare l’incertezza che si genera in caso di fluttuazioni dei prezzi, concordare nel contratto sia i meccanismi per la revisione del prezzo (ad esempio l’indicizzazione automatica seguendo la quotazione di una certa materia prima), sia la cosiddetta clausola di Hardship o Sopravvenuta Eccessiva Onerosità, stabilendo quali sono i limiti di oscillazione dei prezzi accettati dalle parti e cosa accade se le variazioni oltrepassano questi limiti, prevedendo l’obbligo di rinegoziare il prezzo, o lo scioglimento del contratto se non viene trovato l’accordo entro un certo termine.
Come gestire i termini di consegna in un rapporto di fornitura?
Un altro patto chiave in un rapporto di fornitura di medio / lungo termine riguarda i termini di consegna: in questo caso occorre conciliare l’interesse dell’acquirente al rispetto delle date convenute con quello del fornitore ad evitare richieste di danni in caso di ritardo, soprattutto in caso di vendite che richiedano trasporti intercontinentali.
La prima cosa da chiarire in proposito riguarda la natura dei termini di consegna: si tratta di termini essenziali oppure indicativi? Nel primo caso la parte interessata ha diritto a risolvere (ossia sciogliere) il contratto in caso di mancato rispetto del termine, nel secondo invece si possono prevedere oneri di diligenza, di informazione e di notifica tempestiva dei ritardi, mentre la risoluzione non è un rimedio che può essere automaticamente azionato in caso di ritardo.
Uno strumento utile, a questo proposito, è quello della clausola penale: con questo patto si concorda che per ogni giorno / settimana / mese di ritardo sia dovuta una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno a favore della parte danneggiata dal ritardo.
La penale, se quantificata in modo corretto e non eccessivo, è utile per entrambe le parti, perché consente di predeterminare i danni che possono essere invocati per il ritardo, liquidandoli in una somma equa e determinata: di conseguenza, il venditore non è esposto a domande di risarcimento legate a fattori fuori dal suo controllo, mentre il compratore può agevolmente calcolare l’indennizzo legato al ritardo, senza necessità di altre prove.
Lo stesso meccanismo, tra l’altro, si può adottare per disciplinare il ritardo del compratore nel prendere in consegna i beni messi a disposizione dal venditore.
Occorre tenere a mente, infine, che è buona prassi specificare il tetto massimo della penale (ad esempio il 10% del prezzo del prodotto) e un periodo massimo di tolleranza del ritardo, oltre il quale la parte interessata ha diritto di sciogliere il contratto, trattenendo la penale.
La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
Una situazione che viene spesso confusa con l’eccessiva onerosità, ma in realtà è molto diversa, è quella relativa alla Forza Maggiore, ossia alla impossibilità sopravvenuta di adempiere all’obbligazione contrattuale, a causa di un evento fuori dal ragionevole controllo della parte colpita, che non avrebbe potuto ragionevolmente essere previsto e i cui effetti non possano essere superati con un ragionevole sforzo.
La funzione di questa clausola è quella di stabilire in modo chiaro quando le parti ritengono che possa essere invocata la Forza Maggiore, quali eventi specifici vengono compresi (ad esempio un lock-down dello stabilimento produttivo per ordine dell’autorità) e quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle parti (ad esempio la sospensione dell’obbligazione per un certo periodo, finché dura la causa di impossibilità ad adempiere, oltre il quale è possibile che la parte interessata all’adempimento dichiari di voler sciogliere il contratto).
Occorre prestare grande attenzione alla redazione di questa clausola, perché se la formulazione è generica (come spesso accade) il rischio è che sia di poca utilità; è bene verificare, inoltre, che la regolamentazione della forza maggiore sia conforme a quanto prevedere la legge applicabile al contratto (v. punto successivo – qui un approfondimento con indicazione del regime previsto da 42 leggi nazionali).
Legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Se il cliente o il fornitore ha sede all’estero occorre tenere presente alcune importanti differenze: la prima è la lingua del contratto, che deve essere comprensibile alla controparte straniera, e sarà quindi solitamente in inglese, o in un’altra lingua comune alle parti, eventualmente anche in doppia lingua con testo a fronte.
La seconda questione da tenere a mente riguarda la legge applicabile, che è bene sia espressamente indicata nel contratto: l’argomento è molto vasto e in questa sede ci limitiamo a dire che la decisione sulla legge applicabile va presa caso per caso, in modo consapevole: non sempre, infatti, è utile richiamare l’applicazione della legge italiana.
Va poi ricordato che nella maggioranza dei contratti di vendita internazionale si applica la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (“CISG”), che è una legge comune alle parti del contratto, equilibrata, molto chiara e facile da consultare: la CISG si applica automaticamente ed è bene non escluderla.
Infine, in un contratto quadro di fornitura internazionale è consigliabile prestare attenzione all’individuazione delle modalità di risoluzione delle controversie: non esiste una soluzione che vada bene per tutti i contratti, ci limitiamo a ricordare che, anche in questo caso, non sempre la scelta della giurisdizione italiana è quella giusta (anzi, spesso può rivelarsi controproducente): chi fosse interessato ad un approfondimento può leggere questo articolo sul blog di Legalmondo.
Riassunto
Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina?
Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.
Di cosa parlo in questo articolo:
- La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
- La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione
- Il contratto di vendita internazionale in Cina
- Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
- L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese
- Il patto di non concorrenza
- La distribuzione Omnichannel
- Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
- Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
- Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
- Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto
- La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
- Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)
Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina?
Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina.
Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.
Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.
Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.
Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali.
Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6).
Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti.
Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali, solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.
La forma del contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici.
È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.
Il contratto di vendita internazionale in Cina
Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).
Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.
Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”).
Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.
Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.
Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.
Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci.
E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere.
L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.
Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA)
Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari.
Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.
Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.
Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi, che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.
Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.
Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.
Accordi di distribuzione esclusiva in Cina
Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore?
Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.
Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.
Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato.
Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto.
I patti sui minimi di fatturato, specie in relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.
Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori.
Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina
Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore.
È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto.
Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.
Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto, motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.
La Distribuzione Omnichannel in Cina
Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B.
Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.
Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue
Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva.
Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.
La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi.
Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.
Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina
Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.
Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate.
Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina
Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore.
Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza.
Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.
Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.
La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).
E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto.
Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale.
La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni).
Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore, dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.
È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.
Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso.
Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione
Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio.
Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale.
Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina
Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.
Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.
Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.
Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina
Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero.
Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale.
La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato.
Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi). Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.
Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.
Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.
Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.
I vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.
Riassunto – Quando l’emergenza Coronavirus può essere invocata come evento di Forza Maggiore per escludere la responsabilità contrattuale e il risarcimento dei danni? Quali sono gli effetti nella supply chain internazionale del mancato adempimento di un’impresa cinese ai propri obblighi di fornitura o di acquisto di materie prime, componenti o prodotti? Quali comportamenti deve adottare l’imprenditore straniero per limitare i rischi derivanti dall’interruzione di forniture o acquisti nella catena di fornitura?
Argomenti trattati
- L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
- Cos’è la Forza Maggiore (Force Majeure)?
- La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
- Cos’è l’Hardship?
- Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
- Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
- Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Come limitare i rischi nella supply chain?
L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
Il Coronavirus / Covid 19 ha creato in Cina una terribile emergenza sanitaria e sociale, che ha reso necessarie eccezionali misure di ordine pubblico per il contenimento del virus, come la quarantena, divieti di viaggio, la sospensione di eventi pubblici e privati e la chiusura di stabilimenti industriali e attività commerciali per un certo periodo di tempo.
Una volta autorizzata la riapertura degli stabilimenti, il ritorno alla normalità è stato fortemente rallentato poiché molti lavoratori, che si erano spostati in altre zone della Cina per le festività del capodanno lunare, non sono rientrati sul posto di lavoro.
I dati oggi disponibili sulla riapertura delle fabbriche e sul numero del personale presente non sono univoci ed è legittimo dubitare della loro attendibilità, quindi non si può prevedere quando l’emergenza potrà definirsi conclusa e se e come le imprese cinesi riusciranno a colmare i ritardi e il gap di produzione che si è creato.
Di certo è molto probabile che nei prossimi mesi l’imprenditore straniero si veda eccepire dalla propria controparte cinese l’impossibilità di adempiere al contratto, motivata con il Coronavirus.
Per comprendere la dimensione del problema, basti considerare che nel solo mese di Febbraio 2020 il China Council for the Promotion of International Trade (la Camera di Commercio cinese che ha il compito di promuovere il commercio internazionale) ha già rilasciato a favore di imprese cinesi che ne hanno fatto richiesta 3.325 certificati attestanti l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali a causa dell’epidemia Coronavirus, per un valore totale di oltre 270 miliardi di yuan (US$38.4 bln), secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua.
Quali rischi pone questa situazione per l’imprenditore straniero e quali ricadute può avere oltre i confini cinesi?
I rischi sono molti e i potenziali danni ingenti: la Cina è la fabbrica del mondo e vale oggi circa il 15% del PIL mondiale, quindi è difficile che una filiera produttiva in qualsiasi settore industriale non coinvolga una o più imprese cinesi come fornitori di materie prime, semi-lavorati o componenti (nel caso dell’Italia i settori più integrati con catene di fornitura in Cina sono automotive, chimica, farmaceutica, tessile, elettronica e macchinari).
Il mancato adempimento del fornitore cinese può quindi comportare, a cascata, l’inadempimento dell’imprenditore straniero verso il cliente finale o verso il successivo anello della supply chain.
Il fatto che il contagio stia viaggiando rapidamente (al momento di pubblicazione di questo articolo la situazione è già critica in alcune regioni italiane e in Corea del Sud ed Iran e iniziano ad essere segnalati casi negli USA) inoltre, rende possibile che fermate di produzione e situazioni di quarantena simili a quelle descritte debbano essere adottate anche in regioni e settori industriali di altri paesi.
Semplificando il quadro, consideriamo il caso di un fornitore cinese (Parte A) che fornisce un componente o presta un servizio a favore dell’impresa straniera (Parte B), che a sua volta assembla (in Cina o all’estero) il componente in un prodotto finito o semilavorato, che poi viene rivenduto a terzi (Parte C).
Se la Parte A ritarda o non consegna i prodotti o servizi alla Parte B, questa rischia di trovarsi esposta al rischio di inadempimento verso la Parte C, e così via lungo la catena di forniture/acquisti.
Vediamo dunque come gestire il caso in cui la Parte A comunichi che è divenuto impossibile adempiere al contratto per motivi riconducibili all’emergenza Coronavirus, come un provvedimento amministrativo di chiusura dello stabilimento, la mancanza di personale in fabbrica alla riapertura, l’impossibilità di approvvigionarsi di certe materie prime o componenti, il blocco di certi servizi logistici, etc.
Nel commercio internazionale questa situazione, ossia l’esonero dalla responsabilità per il mancato adempimento alla prestazione contrattuale, divenuta impossibile a causa di eventi sopravvenuti che sono al di fuori della sfera di controllo della Parte, è generalmente definita “Forza Maggiore” o “Force Majeure”.
Per capire quando è legittimo che un fornitore eccepisca l’impossibilità ad adempiere al contratto a causa del Coronavirus e quando invece questi comportamenti siano infondati o pretestuosi, occorre chiedersi quando la Parte A può invocare una situazione di Force Majeure e cosa può fare la Parte B per limitare i danni ed evitare di essere a sua volta considerata inadempiente verso la Parte C.
Cos’è la Forza Maggiore – Force Majeure?
Non esiste, a livello internazionale, un concetto unitario di Force Majeure, perché ogni ordinamento statale prevede una disciplina specifica.
Un riferimento utile è dato dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili (“CISG”), ratificata da 93 paesi (tra cui Italia, Cina, USA, Germania, Francia, Spagna, Australia, Giappone, Messico) e automaticamente applicabile alle vendite tra società con sede in diversi paesi contraenti, salvo espressa esclusione.
L’art. 79 della CISG, intitolato nella versione italiana “Cause di Esonero”, prevede che “Una parte non è responsabile dell’inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”.
Le caratteristiche della causa di esonero dalla responsabilità per inadempimento sono dunque la sua imprevedibilità, il fatto che sia al fuori della sfera di controllo della parte che lo subisce e l’impossibilità di evitarlo o di porre rimedio alle sue conseguenze compiendo ragionevoli sforzi.
Per stabilire, in concreto, se ricorrano i presupposti di un evento di Force Majeure, quali siano le sue conseguenze e quale comportamento debbano tenere le parti, occorre in primo luogo analizzare il contenuto della (eventuale) clausola di Force Majeure inserita nel contratto.
La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
Il modello di clausola di Force Majeure di riferimento nel commercio internazionale è quello predisposto dalla International Chamber of Commerce, la ICC Force Majeure Clause 2003, che prevede quali sono i requisiti che la parte che invoca la forza maggiore ha l’onere di provare (in sostanza sono quelli previsti dall’art. 79 della CISG) e indica una serie di eventi in cui si presume che tali requisiti ricorrano (tra i quali situazioni di guerra, embargo, atti di terrorismo, pirateria, calamità naturali, scioperi generali, provvedimenti delle autorità).
La ICC Force Majeure Clause 2003 indica poi anche quali siano i comportamenti da tenere da parte di chi invoca l’evento:
- Dare pronta notizia all’altra parte dell’impedimento;
- Nel caso in cui l’impedimento sia temporaneo, comunicare prontamente all’altra parte la sua cessazione;
- Fare tutto quanto ragionevolmente possibile per limitare gli effetti dell’evento sulla propria prestazione contrattuale;
- Nel caso in cui l’impossibilità della prestazione derivi dal mancato adempimento di un terzo (come nel caso di un subfornitore) fornire la prova che i presupposti della Force Majeure si applichino anche al terzo fornitore;
- Nel caso in cui l’evento comporti il venir meno dell’interesse alla prestazione, comunicare prontamente la decisione di risolvere il contratto;
- Nel caso di risoluzione del contratto, restituire la prestazione eventualmente ricevuta o una somma di valore equivalente.
Posto che le parti sono libere di inserire nel contratto ICC Force Majeure Clause 2003 oppure altra clausola di contenuto diverso, a fronte di una notifica di un evento di Forza Maggiore occorrerà dunque, come prima cosa, analizzare cosa preveda la clausola contrattuale nel caso specifico.
Il secondo passaggio (oppure il primo, nel caso in cui nel contratto non fosse presente una clausola di Force Majeure) sarà poi quello di verificare che cosa preveda la legge applicabile all’accordo contrattuale (ne parliamo in seguito).
Può anche accadere che l’evento invocato dalla parte inadempiente non comporti l’impossibilità della prestazione contrattuale, ma la renda eccessivamente onerosa: in questi casi non si può applicare il regime della Force Majeure, ma potrebbero ricorrere i presupposti della cosiddetta Hardship.
Cos’è l’Hardship?
L’Hardship (in italiano: eccessiva onerosità sopravvenuta) è un’altra clausola che ricorre spesso nei contratti internazionali di durata: essa disciplina i casi in cui, dopo la conclusione del contratto, la prestazione di una delle parti divenga eccessivamente onerosa o complicata a causa di fatti sopravvenuti, indipendenti dalla volontà della parte.
Il risultato di un evento di Hardship è quello di sbilanciare fortemente l’equilibrio del contratto a favore di una parte: esempi di scuola sono l’imprevedibile forte rialzo del prezzo di una materia prima, l’imposizione di dazi sull’importazione di un certo prodotto, l’oscillazione della valuta oltre un certo range concordato tra le parti.
A differenza della Force Majeure, dunque, nel caso di Hardship la prestazione è ancora realizzabile, ma è divenuta eccessivamente onerosa.
La clausola modello anche in questo caso è la ICC Hardship Clause 2003, che prevede che l’eccessiva onerosità sia conseguenza di un evento al di fuori della ragionevole sfera di controllo della parte, che non poteva essere preso in considerazione prima della conclusione dell’accordo e le cui conseguenze non possano essere ragionevolmente gestite.
La ICC Hardship Clause stabilisce cosa accade dopo che una parte abbia provato la ricorrenza di un evento di Hardship, ossia:
- L’obbligo delle parti, entro un termine ragionevole, di negoziare una soluzione alternativa per mitigare gli effetti dell’evento e riportare l’accordo in equilibrio (estensione del termine di consegna, revisione del prezzo, etc.);
- La risoluzione del contratto, nel caso in cui le parti non raggiungano un accordo alternativo per mitigare gli effetti dell’Hardship.
Anche nel caso in cui una parte eccepisca un evento di Hardship, come visto in precedenza per la Forza Maggiore, è necessario verificare se l’evento sia stato previsto nel contratto, quale sia il contenuto della clausola e/o cosa preveda la normativa applicabile all’accordo.
Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
Torniamo ora al caso visto all’inizio di questo articolo e cerchiamo di vedere come gestire il caso dell’inadempimento del fornitore all’interno di una supply chain internazionale, quando venga invocata l’emergenza del Coronavirus come causa di esonero della responsabilità.
Premettiamo che non esiste una risposta valida per tutti i casi, essendo necessario esaminare i fatti, gli accordi contrattuali tra le parti e la legge applicabile al contratto. Quello che possiamo fare è indicare il metodo che può essere utilizzato in questi casi, ossia rispondere alle seguenti domande:
- La situazione di fatto: qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- La parte che invoca la Force Majeure ha provato la sussistenza dei requisiti?
- Cosa prevede il Contratto (e/o le Condizioni Generali di contratto)?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle Parti?
Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
Come visto la situazione di forza maggiore è tale se la prestazione, dopo la conclusione del contratto, diviene impossibile per eventi imprevedibili, al di fuori del controllo della parte obbligata, le cui conseguenze non possano essere superate con uno sforzo ragionevole.
La prima verifica da fare è se l’evento per il quale la parte invoca la Force Majeure fosse o meno al di fuori del controllo della Parte e se fosse tale da rendere la prestazione impossibile (e non solo più complessa od onerosa) senza che la Parte potesse porvi rimedio.
Facciamo un esempio: nel contratto si prevede che la Parte A debba consegnare alla Parte B un prodotto o effettuare un servizio entro un certo termine essenziale (ossia tassativo, non derogabile), scaduto il quale non vi sarebbe più interesse di Parte B a ricevere la prestazione (pensiamo, ad esempio, alla consegna di alcuni materiali necessari per la costruzione di un’infrastruttura per le Olimpiadi).
Se la consegna non potesse avvenire perché lo stabilimento di Parte A è stato chiuso per provvedimento amministrativo o perché il personale di Parte A non può viaggiare e recarsi presso Parte B per effettuare il servizio di installazione, si potrebbe rientrare nel novero dei casi di Force Majeure.
Se invece la prestazione di Parte A restasse comunque possibile (ad esempio con spedizione dei prodotti da altro stabilimento sito in altra zona della Cina o in altro paese) e potesse essere realizzata, anche se a condizioni più onerose o in modo inesatto o incompleto, o in ritardo, non si potrebbe invocare la Force Majeure e andrebbe verificato se si sia, eventualmente, prodotta quell’eccessiva onerosità sopravvenuta che è il presupposto dell’Hardship, con le relative conseguenze.
Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
Il passo successivo è quello di determinare se il Fornitore / Parte A abbia fornito la prova dei fatti che sono il presupposto della Force Majeure, ossia di non aver potuto evitare la situazione né che fosse ragionevolmente possibile porvi rimedio.
A tal fine la sola produzione di un certificato del CCPIT attestante l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali, per i motivi spiegati in precedenza, non può considerarsi sufficiente a provare l’effettiva sussistenza, nel caso specifico, di una situazione di Force Majeure.
La verifica dei fatti dedotti e delle relative prove è particolarmente importante perché, nel caso in cui si ritenga sussistere una causa di esonero in capo alla Parte A, queste prove possono poi essere utilizzate dalla Parte B per documentare, a sua volta, di trovarsi nell’impossibilità di adempiere verso la Parte C, e così via lungo la catena di fornitura.
Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
Il passaggio successivo è quello di vedere se il contratto tra le parti, o le condizioni generali di vendita o acquisto (se esistenti e applicabili) prevedano, o meno, una clausola di Force Majeure e/o Hardship.
In caso positivo occorre verificare se l’evento denunciato dalla Parte che invoca la Force Majeure rientri o meno tra quelli previsti dalla clausola contrattuale.
Ad esempio, se l’evento denunciato fosse la chiusura dello stabilimento per ordine delle autorità e la clausola contrattuale fosse la ICC Force Majeure Clause 2003, si potrebbe sostenere che l’evento rientri quelli indicati al punto 3 [d] ovvero “act of authority … compliance with any law or governmental order, rule, regulation or direction, curfew restriction” oppure al punto 3 [e] “epidemic” o 3 [g] “general labour disturbance “.
Andrà poi esaminato quali siano le conseguenze previste dalla Clausola: generalmente si prevede un onere di tempestiva notifica dell’evento, che la parte sia esonerata dall’esecuzione della prestazione per tutta la durata dell’evento di Force Majeure e un termine massimo di sospensione dell’obbligazione, decorso il quale le parti possono comunicare la risoluzione del contratto.
Nel caso in cui l’evento non rientrasse tra quelli previsti nella Clausola di Force Majeure, o non vi fosse tale clausola nel contratto, andrebbe verificato se esista una Clausola di Hardship e se l’evento possa essere ricondotto a tale previsione.
Infine, in ogni caso è comunque necessario verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto.
Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
Ultimo passaggio è quello di verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto, sia nel caso in cui l’evento rientri in una clausola di Force Majeure o Hardship, sia nel caso in cui tale clausola non sia presente o non ricomprenda l’evento.
I presupposti e le conseguenze della Forza Maggiore o dell’Hardship, infatti, possono essere regolati in modo molto diverso a seconda della legge applicabile al contratto.
Se Parte A e Parte B avessero entrambe sede in Cina, al contratto di vendita si applicherebbe la legge della Repubblica Popolare Cinese, e la possibilità di invocare con successo la Force Majeure andrebbe valutata applicando queste norme.
Se Parte B avesse invece sede in Italia, nella maggioranza dei casi al contratto di vendita si applicherebbe la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (e quindi l’art. 79 sulle Cause di Esonero visto in precedenza) e per quanto non coperto dalla CISG si applicherebbe la legge indicata dalle parti nel contratto (o in mancanza identificata tramite i meccanismi di diritto internazionale privato).
Analogo ragionamento andrebbe fatto per determinare quale sia la legge applicabile al contratto tra Parte B e Parte C e cosa preveda tale legge, e così via lungo la supply chain internazionale.
Nel caso in cui i diversi rapporti siano regolati dalla stessa normativa (ad esempio la CISG) ciò non comporta problemi, ma se – come è probabile – le leggi applicabili fossero diverse la situazione si complica parecchio perché lo stesso evento potrebbe essere considerato causa di esonero da responsabilità contrattuale per la Parte A nei confronti della Parte B, ma non nel passaggio successivo della supply Chain, da Parte B a parte C.
Come limitare i rischi nella supply chain?
Il modo migliore di limitare il rischio di richieste di risarcimento del danno da parte delle altre imprese della catena di fornitura è quello di richiedere per tempo al proprio Fornitore conferma della disponibilità ad effettuare la prestazione contrattuale secondo i termini stabiliti, e condividere le informazioni ricevute con le altre aziende che fanno parte della supply chain.
Nel caso di inadempimento motivato con l’emergenza Coronavirus, è fondamentale verificare se l’evento denunciato rientri tra quelli che possono essere causa di esonero da responsabilità contrattuale, ed esigere che il fornitore fornisca le prove relative. Tali prove, se confermano l’impossibilità della prestazione del fornitore, potranno essere utilizzate dall’acquirente, a sua volta, per invocare la situazione di Force Majeure nei confronti delle altre aziende della Supply Chain.
Se nei contratti (di acquisto e vendita) sono presenti clausole di Force Majeure / Hardship, andrà visto cosa prevedono come modalità di denuncia, tempi di sospensione della prestazione o risoluzione del contratto, nonché cosa preveda la legge applicabile ai contratti.
Infine, è bene ricordare che la maggior parte delle normative prevedono un onere di mitigare i danni derivanti dall’eventuale inadempimento dell’altra parte: ciò significa che se è probabile, o anche solo possibile, che il Fornitore cinese si renda inadempiente ad una fornitura, la parte acquirente dovrà fare tutto il possibile per essere in grado di porvi rimedio ed adempiere comunque alle proprie obbligazioni verso le altre aziende che formano parte della supply chain, ad esempio procurandosi il prodotto da altri fornitori anche a condizioni molto più onerose.
Come cambiano i contratti di distribuzione dopo Covid19?
Ne ho parlato in un webinar il 20.11.2020, offrendo il mio punto di vista sulle lezioni apprese durante la pandemia e sulle clausole che è opportuno verificare e aggiornare: clicca qui sotto per vedere la registrazione dell’intervento.
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On December 30, 2018, the Comprehensive and Progressive Agreement For Trans-Pacific Partnership (“CPTPP”) entered into force
This Treaty is considered the third largest global trade agreement, positioned after the Comprehensive Economic and Trade Agreement between Canada and the EU (“CETA”) and the United States–Mexico–Canada Agreement (“USMCA”). The CPTPP sets forth a model of trade liberalization, aiming to maintain the markets open, increase world trade and create new economic opportunities for the member countries.
The CPTPP reaffirms and materializes a major part of the provisions of the Trans-Pacific Economic Cooperation Agreement (“TPP”), which had been originally signed by 12 countries, subsequently the United States of America (“USA”) announced its withdrawal.
As a result, this Treaty is the agreement reached by the remaining 11 countries of the TPP (Australia, Brunei, Canada, Chile, Japan, Malaysia, Mexico, New Zealand, Peru, Singapore and Vietnam) in an effort to enact its provisions, since the original text is incorporated, except for 22 provisions related to rules presented by the USA, which were suspended.
The Agreement has four main characteristics:
- Improves the access to the markets of the participating countries, eliminating and reducing tariff barriers amongst them. It also increases the pre-existing benefits between countries which had already entered into an agreement.
- Promotes innovation, productivity and competition;
- Encourages inclusive commerce, by incorporating new elements to ensure economic development, such as regulating the activities of state-owned companies, intellectual property, regulatory coherence, electronic commerce and support to Small and Medium Enterprises (“SMEs“) in order to streamline and simplify trade.
- Through a regional integration platform, it aims to enhance the production chain and the possibility of including different and future economies.
To estimate the relevance of the Agreement, the Mexican Ministry of Economy stated that, although the absence of the USA reduced the economic dimensions of the market delimited by this instrument (from 40% to 13% of the world economy), future prospects are favorable since: i) the participation of the 11 countries, creates a market of 500 million consumers, ii) 13.5% of the world’s Gross Domestic Product (GDP) will enter in to this market and iii) the likelihood of incorporation of other countries is probable, which could compensate the absence of the USA.
With the CPTPP, Mexico intends to broaden its trade openness in the most dynamic zone in the world (Asia-Pacific), allowing Mexican products to enter into 6 new countries: Australia, Brunei, Malaysia, New Zealand, Singapore and Vietnam. The aforementioned will promote the diversification of the trade economic activity, bolstering sectors such as agriculture, automotive, aerospace and products such as medical devices, electrical equipment, dairy products, tuna, sardines, cosmetics, tequila, mezcal, beer, etc.
This Agreement will also deepen the access to the Japanese market and will consolidate tariff preferences with countries with which a free trade agreement had already been signed, such as Canada, Chile and Peru.
The main motivation of the Mexican government in the negotiation of the CPTPP is to continue with a trade liberalization policy that began in 1989. Currently, Mexico has a network of 12 free trade agreements with 46 countries; 33 agreements for the reciprocal promotion of investments; and 9 agreements of limited scope (Economic Complementation Agreements and Partial Scope Agreements) within the framework of the Latin American Integration Association.
Riassunto – Si tratta di un accordo di riservatezza, spesso utilizzato nel commercio internazionale, con il quale le parti si obbligano a mantenere riservate le informazioni confidenziali o sensibili scambiate durante i negoziati. Il modello di contratto è abbastanza standard, ma per la sua validità ed efficacia è fondamentale che il contenuto sia adattato al caso concreto, come la clausola di legge applicabile, il foro competente o arbitrato, le clausole penali, la durata, la lingua del contratto.
Accade molto spesso che in differenti contesti di business venga proposta la sottoscrizione di un Non Disclosure Agreement (“NDA”) e di un Memorandum of Understanding (“MoU”) o di una Letter of Intent (“LoI”), tanto che questi tre acronimi – NDA, MoU e LoI – sono ormai diventati di uso corrente, soprattutto in occasione di negoziati internazionali.
Spesso, però, questi contratti vengono utilizzati in modo improprio e con finalità diverse da quelle con le quali si sono affermati nella prassi del commercio internazionale, con il risultato di non essere utili perché non tutelano in modo efficace gli interessi delle parti, o addirittura di essere controproducenti.
Iniziamo vedendo quali sono le caratteristiche del Non Disclosure Agreement – NDA – e come è consigliabile utilizzarlo.
Di cosa parlo in questo articolo
- Cos’è il NDA – Accordo di riservatezza
- Chi sono le parti del NDA – Accordo di riservatezza
- Quali sono le Informazioni riservate?
- La condivisione delle Informazioni riservate con terzi
- Non Disclose and Non Use Agreement
- Il divieto di concorrenza
- La durata del NDA
- Inadempimenti del NDA e clausola penale
- NDA modello e standard
- Quale legge applicabile e giudice in un NDA internazionale?
- La lingua del NDA
- Conclusioni
- Come possiamo aiutarti
NDA – Cosa significa
Il NDA è un accordo che ha la funzione di tutelare la riservatezza delle informazioni che le parti (generalmente identificate, rispettivamente, come “Disclosing Party” e “Receiving Party”) intendono condividere, in diversi possibili scenari: la trasmissione d’informazioni per una due diligence preliminare a un investimento, la valutazione di dati commerciali per un contratto di distribuzione, le specifiche tecniche di un certo prodotto oggetto di trasferimento di tecnologia, etc.
Il primo step del negoziato, infatti, richiede spesso la messa a disposizione di informazioni di diverso tipo, tecniche, finanziarie o commerciali, da parte di una o di entrambe le parti, che è necessario che rimangano riservate (di seguito le “Informazioni Riservate”) durante e dopo la conclusione del negoziato.
Chi sono le parti dell’accordo di riservatezza?
Fondamentale, partendo dalle premesse dell’accordo, è la corretta individuazione delle parti obbligate alla protezione delle informazioni e al mantenimento della riservatezza, specie quando sono coinvolti gruppi societari, in cui gli interlocutori possono essere molteplici e situati in diversi paesi. In casi simili è consigliabile obbligare la Receiving Party a garantire il mantenimento della riservatezza da parte di tutte le società del gruppo.
È inoltre importante che l’accordo individui esattamente quali persone facenti parte dell’organizzazione della Receiving Party (si pensi a: dipendenti, consulenti tecnici, professionisti, collaboratori, etc.) hanno diritto di accedere alle Informazioni, se possibile con sottoscrizione dell’accordo di riservatezza da parte di tutte le persone coinvolte.
E’ anche importante prevedere se la Receiving Party possa o meno condividere le Informazioni Riservate con soggetti terzi, ad esempio consulenti tecnici o propri collaboratori esterni. In caso positivo la tutela migliore è quella di obbligare anche tali terzi a sottoscrivere il NDA e prevedere che la Receiving Party sia responsabile (“obbligata in solido”) insieme al terzo per il rispetto delle obbligazioni del NDA.
Spesso la richiesta di far firmare a terze parti il NDA e di essere responsabile per la gestione delle Informazioni Riservate da parte dei terzi viene contestata dalla Receiving Party, solitamente con la motivazione che sarebbe troppo complessa la gestione delle attività necessarie.
Ciò è sintomo di una scarsa predisposizione al rispetto dell’obbligo di riservatezza, che va valutato con attenzione. Se la parte ricevente non intende impegnarsi affinchè terzi rispettino gli obblighi di confidenzialità e non vuole essere responsabile dei loro eventuali inadempimenti ciò espone il Titolare ad un evidente rischio di divulgazione delle informazioni, senza che sia possibile agire in modo efficace per rimediare il danno.
Suggerisco, in questi casi, di essere molto rigorosi.
Il NDA deve prevedere che:
- l’accesso alle Informazioni Riservate da parte di terzi è possibile solo se preventivamente autorizzato per iscritto dalla Disclosing Party
- il terzo autorizzato deve firmare un allegato al NDA nel quale dichiara di aver preso visione degli obblighi di riservatezza e di obbligarsi al loro rispetto
- il terzo non possa condividere le Informazioni Riservate con altri soggetti non vincolati dal NDA, salvo espressa autorizzazione del Titolare
- la Disclosing Party sia responsabile in solido del rispetto delle obbligazioni del NDA da parte dei Terzi autorizzati
Identificazione delle Informazioni Riservate
L’utilizzo di modelli di NDA riciclati, reperiti su formulari o proposti dalla controparte è prassi certamente non raccomandabile, ma purtroppo molto diffusa.
Questi modelli, molto spesso, sono generici e contengono definizioni ampie delle Informazioni Riservate ed elenchi estremamente dettagliati, che comprendono, di fatto, tutto il contenuto dell’attività societaria, includendo spesso ambiti che non sono rilevanti per l’attività oggetto di negoziato, o informazioni che non sono riservate.
Un problema di questi modelli è che è difficile, ex post, verificare se un certo dato fosse o meno compreso nelle Informazioni, ad esempio perché non si sa se fosse già in possesso della Receiving Party prima della firma del NDA.
Un’altra criticità è rappresentata dal fatto che l’elenco molto dettagliato non includa proprio la singola informazione che interessa, oppure non lo faccia in modo chiaro.
Infine accade spesso che sia difficile ricostruire quali Informazioni, dopo la firma del NDA, sono state trasmesse alla Receiving Party, e quando è avvenuta la trasmissione (ad esempio perché sono state inviate in modalità non sicura e non tracciabile, è il caso delle Informazioni spedite come allegati da una email).
Come condividere le Informazioni Riservate
Il modo migliore di procedere è quello di identificare in modo preciso solo le informazioni che è necessario condividere, indicando i documenti da trasmettere in un elenco allegato al NDA.
Ad esempio, se si condivide un certo segreto industriale (“Know-how”) la cosa migliore è limitare l’oggetto dell’accordo solo alle informazioni sensibili relative a tale segreto e specificare in quale formato (cartaceo, digitale, software, hardware) verrà condiviso.
Il passo successivo è quello di metterli a disposizione in un formato che non consenta dubbi sul fatto che sono protette dal NDA, ad esempio marchiandole con un timbro “Confidential under NDA” seguito dalla data di invio.
Altra buona prassi è prevedere che l’accesso alle Informazioni avvenga con modalità sicura e tracciabile (come un’area riservata in cloud o sul server della Disclosing Party, accessibile solo con user name e password individuali assegnati alle persone autorizzate).
Il Divieto di uso delle Informazioni
Un errore abbastanza ricorrente nei modelli di NDA è la previsione dell’obbligo per la Receiving Party del solo mantenimento della riservatezza delle Informazioni, senza impedirgliene espressamente l’utilizzo.
Soprattutto nel caso di imprese concorrenti, però, l’utilizzo è più pericoloso della divulgazione: basti pensare alla possibilità che la Receiving Party sviluppi tecnologie o brevetti basati proprio sui segreti industriali acquisiti.
E’ importante prevedere, quindi, che l’obbligo non è solo di riservatezza ma anche di non uso, evidenziando tale patto anche nel titolo dell’accordo che può diventare “Non Disclosure and Non Use Agreement”.
Non Compete Agreement – Divieto di concorrenza
Altra situazione delicata è quella il cui una Parte condivida elenchi di clienti o di agenti o di fornitori o altre informazioni commerciali sensibili.
In questo caso oltre alle obbligazioni di riservatezza e di non utilizzo al di fuori di quanto previsto nel NDA, è bene prevedere espressamente clausole di Non Concorrenza.
Ad esempio, se viene condiviso un elenco di agenti o di fornitori, l’accordo può prevedere un obbligo di astensione dal contattare direttamente certi soggetti individuati negli elenchi condivisi (questo patto è anche noto come “Non Circumvention Agreement”).
La Durata dell’obbligo di riservatezza
La funzione del NDA è proteggere le Informazioni Riservate per tutto il tempo necessario alla loro condivisione tra le Parti.
È bene, quindi, che sia indicato in modo chiaro qual è il momento finale della condivisione e – nel caso in cui la Receiving Party sia in possesso di copia delle Informazioni Riservate – prevedere l’obbligo di restituzione o distruzione dei documenti.
E’ anche fondamentale indicare per quanto tempo la Receiving Party sia tenuta a mantenere la riservatezza e non utilizzare le Informazioni dopo il periodo necessario al loro esame, ad esempio 24 mesi.
NDA – Inadempimenti
Provare e quantificare i danni derivanti una violazione dell’obbligo di riservatezza è generalmente molto complesso, perché si traduce in vantaggio / danno intangibile, come ad esempio la possibilità di sviluppare un certo prodotto concorrente in tempi rapidi proprio grazie alle Informazioni apprese.
Può essere allora utile prevedere una clausola penale, che predetermini in una certa somma il danno derivante dall’inadempimento contrattuale.
A tal fine è importante considerare che la quantificazione della penale deve essere ragionevole in relazione al danno che si presume possa scaturire dalla violazione della segretezza o dall’utilizzo delle Informazioni.
E’ consigliabile prevedere diversi importi a titolo di penale in relazione a diverse ipotesi di inadempimento (ad esempio, la registrazione o la contraffazione di un brevetto utilizzando le informazioni tecniche condivise, oppure il contatto con certi partner commerciali).
In ogni caso, prima di inserire clausole penali è opportuno valutare cosa preveda la legge applicabile all’accordo per la validità di questo patto, in particolare per la quantificazione massima della penale (si veda il punto successivo).
Il rischio, se non si conosce la legge applicabile all’accordo di non riservatezza, è che in caso di contenzioso il Giudice ritenga la clausola invalida o che la penale sia di importo eccessivo in relazione all’inadempimento e quindi la riduca ad una somma equa.
Oppure, al contrario, una parte possa essere condannata al pagamento di una penale addirittura superiore al valore del contratto (è il caso di una recente decisione della Suprema Corte Russa).
La clausola penale, infine, può essere anche utilizzata in modo tattico. Se in sede di negoziato la Receiving Party si oppone fermamente all’inserimento della penale o ne chiede la riduzione ciò può essere un indizio di una riserva mentale di inadempimento.
NDA template e Smart Contract
E’ molto agevole, oggi, procurarsi un modello di NDA: template o standard possono essere reperiti gratuitamente su vari siti come bozze generiche da completare, o essere costruiti online rispondendo ad una serie di domande per personalizzare il contratto per il caso specifico.
Il mio consiglio è di procedere con grande attenzione: per i motivi che spiego in questo post, il NDA è un accordo che deve essere redatto con grande attenzione e con l’aiuto di un consulente esperto.
Un buon modello (template) di NDA può essere una base di partenza utile, dopo di che una revisione di un esperto è un passaggio fondamentale, soprattutto per verificare che il contenuto del NDA sia conforme a quanto prevede la legge che si applica all’accordo e che le modalità di risoluzione delle controversie previste siano efficaci.
Legge applicabile e foro competente
Una cattiva abitudine è anche quella di relegare le clausole su legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie alla fine dell’accordo (tanto che vengono definite “Midnight Clauses”, per un approfondimento si veda questo post su Legalmondo) e di non prestare particolare attenzione al loro contenuto.
Ciò porta spesso alla previsione di clausole del tutto sbagliate (o addirittura nulle) che in caso di contenzioso vanificano la possibilità di ottenere tutela in giudizio.
La clausola che prevede la legge applicabile e la giurisdizione è fondamentale, perché da essa dipende la possibilità di far rispettare l’accordo e/o di ottenere un provvedimento giudiziario che possa essere eseguito in modo rapido ed efficace.
La questione è molto delicata perché non esiste una soluzione valida per tutti i casi e occorre considerare le specificità del singolo accordo di riservatezza.
Ci sono le Parti e dove hanno sede? Quali sono le informazioni riservate e dove possono essere utilizzate? Cosa prevede la legge del paese in cui ha sede la controparte? La modalità di risoluzione delle controversie più efficace deve essere individuata dando risposta a queste domande.
Facciamo un esempio: in un NDA con una controparte cinese è spesso controproducente scegliere di applicare la giurisdizione e la legge italiana, visto che in caso di inadempimento è solitamente necessario agire rapidamente in Cina (anche in via d’urgenza) e non presso un giudice italiano. In tal caso è consigliabile redigere il NDA con testo bilingue inglese/cinese e prevedere un arbitrato in Cina, applicando la legge cinese.
NDA in inglese, cinese o doppia lingua
Accade spesso che il modello di NDA venga proposto dalla controparte straniera e sia in inglese, o in doppia lingua (es. inglese e cinese).
E’ anche frequente che sia la parte italiana che richieda che i contratti internazionali siano in doppia lingua: ad esempio italiano e inglese o spagnolo.
In alcuni casi, per fortuna eccezionali, ho anche visto contratti in 3 lingue: italiano, inglese e cinese.
Ciò si verifica di solito perché, nonostante l’inglese sia la lingua franca del commercio internazionale, le parti sono più a loro agio nel negoziare e firmare un accordo che sia anche nella loro lingua.
La previsione di una seconda lingua può poi essere importante per essere certi che non vi siano fraintendimenti sul contenuto dell’accordo (una parte cinese non potrà invocare di non aver compreso il significato di un patto in inglese, se è disponibile una versione anche in cinese).
Infine, se necessario, una versione bilingue è immediatamente ed agevolmente utilizzabile in caso di azione legale, per rimanere sullo stesso esempio, davanti ad un giudice cinese, senza che sia necessario procedere a traduzioni (non sempre di buona qualità) nel corso del giudizio.
Qualche consiglio pratico:
- se non si conosce la seconda lingua del NDA, verificare sempre che il contenuto sia completo e conforme a quello della prima (accade spesso che nei vari passaggi di negoziato di un accordo qualcuno si dimentichi di riportare una modifica nell’altra lingua)
- se possibile richiedere una revisione del testo anche da parte di un legale madrelingua, per escludere l’utilizzo di termini impropri o non corretti
- stabilire quale versione prevale in caso di incongruenze tra una lingua e l’altra
In conclusione
Il NDA – Accordo di riservatezza è un contratto che spesso è concluso in modo frettoloso, sottovalutandone l’importanza e la complessità.
Il mio consiglio è di evitare il fai da te e affidarsi ad un legale specializzato, che sappia negoziare e redigere il NDA tenendo conto di tutte le particolarità del caso (tipo di negoziato, informazioni riservate condivise, sede delle parti e paesi in cui andrà eseguito il NDA, contenuto della legge straniera eventualmente applicabile, modalità di risoluzione delle controversie più conveniente, etc.).
Possiamo aiutarti?
Legalmondo offre la possibilità di lavorare online con un avvocato specializzato per redigere il tuo NDA, revisionare il contratto proposto dalla controparte o negoziare un NDA con partner italiani o stranieri.
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Dopo una lunga attesa dei fornitori di prodotti di marca, dei distributori al dettaglio di negozi fisici, dei rivenditori via internet, incluse piattaforme come Amazon, eBay, Zalando, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha appena deciso (6 dicembre 2017) – nella decisione già ribattezzata di “San Niccolò” – che i fornitori di beni di lusso possono legittimamente proibire vendite tramite piattaforme di terze parti.
In un precedente post di Legalmondo (“the Coty Case”, in lingua inglese) avevamo analizzato la vertenza appena decisa dai giudici europei. Secondo la CGUE, tale divieto di usare piattaforme non costituisce necessariamente una restrizione illegittima della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”): la Corte ha confermato il fatto che i sistemi di distribuzione selettiva per beni di lusso, volti primariamente a preservare l’immagine di lusso dei prodotti, possono essere ritenuti compatibili con le limitazioni comunitarie in tema di accordi verticali.
Più specificamente, la Corte ha deciso che le limitazioni alla rivendita dei beni attraverso piattaforme online sono legittime perché il diritto europeo permette la restrizione alle vendite online grazie a
“una clausola contrattuale, come quella di cui trattasi, che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo Internet dei prodotti interessati, qualora siano rispettate le seguenti condizioni: (i) tale clausola deve essere diretta a salvaguardare l’immagine di lusso dei prodotti interessati, (ii) deve essere stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio e (iii) deve essere proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito. Spetterà all’Oberlandesgericht verificare se ciò avvenga nel caso di specie.”
(cfr. la rassegna stampa della CGUE No. 132/2017 e il testo completo della decisone).
Spetta ora alla Corte d’Appello di Francoforte applicare tali requisiti al caso Coty.
La storia del caso Coty è estremamente interessante: la filiale tedesca del fornitore di profumi di lusso Coty, la Coty Germany GmbH (“Coty”) ha creato una rete di distribuzione selettiva per la quale i suoi distributori possono effettuare vendite via internet, ma è loro proibito di vendere tramite piattaforme di terze parti, le quali appaiano tali anche dall’esterno, come ad esempio Amazon, eBay, Zalando etc. La corte di primo grado aveva deciso che l’imposizione di tale divieto di vendere tramite piattaforme di terze parti costituisse un’illegittima restrizione della concorrenza. La Corte di secondo grado, invece, non aveva ravvisato una risposta altrettanto chiara e aveva chiesto alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi sull’interpretazione della normativa europea antitrust e, più specificamente, dell’art. 101 TFUE e dell’art. 4 lett. b e c del regolamento generale di esenzione per categoria per gli accordi verticali o “VBER” (decisione del 19.04.2016, per dettagli, si veda il post precedente “eCommerce: restrizioni per i distributori in Germania”). Il 30 marzo 2017 ha avuto luogo l’udienza dinnanzi alla CGUE. In tale sede Coty ha difeso il proprio divieto di vendere su piattaforme terze, sostenendo che lo stesso è volto a proteggere l’immagine di lusso di marchi come Marc Jacobs, Calvin Klein o Chloé. Il distributore Parfümerie Akzente GmbH, viceversa, sosteneva che piattaforme conosciute come Amazon e eBay già vendessero prodotti di marca, (ad es: L’Oréal) e di conseguenza non v’era motivo, per Coty, di proibire la rivendita tramite tali piattaforme. Inoltre, ha sostenuto Parfümerie Akzente, le piattaforme online sono importanti per le piccole e le medie imprese. Possibili indicazioni su come la Corte avrebbe potuto decidere sono apparse il 26 luglio 2017, allorché l’Avvocato Generale ha fornito le proprie conclusioni, concludendo che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile, purché “tale clausola contrattuale sia condizionata dalla natura del prodotto, se essa sia stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e se essa non vada oltre il necessario” (paragrafo 122 delle conclusioni dell’Avvocato Generale; vedi il post precedente “Distribuzione online – Divieti di vendite su piattaforme online nella distribuzione selettiva (il caso Coty perdura)”).
Conclusioni pratiche
- Questa sentenza del 6 dicembre 2017 è molto importante per tutti i fornitori di prodotti di marca, per distributori al dettaglio in negozi fisici, per i rivenditori via internet e per i fornitori di piattaforme online, in quanto chiarisce che i fornitori di prodotti di marca possono vietare le vendite tramite piattaforme di terze parti (Amazon, eBay, Zalando & Co.) al fine di assicurare il medesimo livello di qualità della distribuzione su tutti i canali di distribuzione, sia offline che online.
- Un piccolo passo indietro: la Corte distrettuale di Amsterdam già il 4 ottobre 2017 aveva deciso che il divieto imposto da Nike ai propri distributori selettivi di usare piattaforme online costituiva un criterio di distribuzione legittimo al fine di salvaguardare l’immagine del marchio di lusso Nike (caso Nike European Operations Netherlands B.V. contro il rivenditore sito in Italia, Action Sport Soc. Coop, A.R.L., fasc. n. C/13/615474 / HA ZA 16-959).
- Il divieto generale di usare strumenti di comparazione di prezzi, così come stipulato dal fornitore di articoli sportivi Asics nel proprio “Distribution System 1.0“, dovrebbe invece essere anticoncorrenziale – ciò secondo il Bundeskartellamt e come confermato dalla Corte d’Appello di Düsseldorf il 5 aprile 2017. L’ultima parola, tuttavia, non è stata ancora detta – vedi il post “Distribuzione online – Nullo il divieto di strumenti di comparazione di prezzi?”. Sarà interessante vedere come la conclusione del caso Coty influenzerà tali strumenti di comparazione di prezzi.
- Per ulteriori evoluzioni della distribuzione online, si veda la Relazione finale sull’indagine conoscitiva sull’E-commerce della Commissione UE e i dettagli nel Documento di lavoro, „Relazione finale sull’indagine conoscitiva sul settore E-commerce“.
- Per dettagli sulle reti di distribuzione e sulla distribuzione online, consulta i miei articoli:
- “Internetvertrieb in der EU 2018 ff. – Online-Vertriebsvorgaben von Asics über BMW bis Coty”, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht2017, 274-281; e
- „Plattformverbote im Selektivvertrieb – der EuGH-Vorlagebeschluss des OLG Frankfurt vom 19.4.2016“, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht 2016,278–283.
Il caso Coty è estremamente rilevante per la distribuzione in Europa perché più del 70% degli oggetti di lusso del mondo sono venduti qui, e molti di essi vengono venduti online. Per maggiori implicazioni sulle reti di distribuzione esistenti e future e sui rispettivi accordi, restate in contatto, continueremo ad aggiornarvi su Legalmondo!
Based on our experience in many years advising and representing companies in the commercial distribution (in Spanish jurisdiction but with foreign manufacturers or distributors), the following are the six key essential elements for manufacturers (suppliers) and retailers (distributors) when establishing a distribution relationship.
These ideas are relevant when companies intend to start their commercial relationship but they should not be neglected and verified even when there are already existing contacts.
The signature of the contract
Although it could seem obvious, the signature of a distribution agreement is less common than it might seem. It often happens that along the extended relationship, the corporate structures change and what once was signed with an entity, has not been renewed, adapted, modified or replaced when the situation has been transformed. It is very convenient to have well documented the relationship at every moment of its existence and to be sure that what has been covered legally is also enforceable y the day-to-day commercial relationship. It is advisable this work to be carried out by legal specialists closely with the commercial department of the company. Perfectly drafted clauses from a legal standpoint will be useless if overtaken or not understood by the day-to-day activity. And, of course, no contract is signed as a “mere formality” and then modified by verbal agreements or practices.
The proper choice of contract
If the signature of the distribution contract is important, the choice of the correct type is essential. Many of the conflicts that occur, especially in long-term relationships, begin with the interpretation of the type of relationship that has been signed. Even with a written text (and with an express title), the intention of the parties remains often unclear (and so the agreement). Is the “distributor” really so? Does he buy and resell or there are only sporadic supply relationships? Is there just a representative activity (ie, the distributor is actually an “agent“)? Is there a mixed relationship (sometimes represents, sometimes buys and resells)? The list could continue indefinitely. Even in many of the relationships that currently exist I am sure that the interpretation given by the Supplier and the Distributor could be different.
Monitoring of legal and business relations
If it is quite frequent not to have a clear written contract, it happens in almost all the distribution relationships than once the agreement has been signed, the day-to-day commercial activity modifies what has been agreed. Why commercial relations seem to neglect what has been written in an agreement? It is quite frequent contracts in which certain obligations for distributors are included (reporting on the market, customers, minimum purchases), but which in practice are not respected (it seems complicated, there is a good relationship between the parties, and nobody remembers what was agreed by people no longer working at the company…). However, it is also quite frequent to try to use these (real?) defaults later on when the relationship starts having problems. At that moment, parties try to hide behind these violations to terminate the contracts although these practices were, in a sort of way, accepted as a new procedure. Of course no agreement can last forever and for that reason is highly recommendable a joint and periodical monitoring between the legal adviser (preferably an independent one with the support of the general managers) and the commercial department to take into account new practices and to have a provision in the contractual documents.
Evidences about customers
In distribution contracts, evidences about customers will be essential in case of termination. Parties (mainly the supplier) are quite interested in showing evidences on who (supplier or distributor) procured the customers. Are they a result of the distributor activity or are they obtained as a consequence of the reputation of the trademark? Evidences on customers could simplify or even avoid future conflicts. The importance of the clientele and its possible future activity will be a key element to define the compensation to which the distributor will pretend to be eligible.
Evidences on purchases and sales
Another essential element and quite often forgotten is the justification of purchases to the supplier and subsequent sales by distributors. In any distribution agreement distributors acquire the products and resell them to the final customers. A future compensation to the distributor will consider the difference between the purchase prices and resale prices (the margin). It is therefore advisable to be able to establish the correspondent evidence on such information in order to better prepare a possible claim.
Damages in case of termination of contracts
Similarly, it would be convenient to justify what damages have been suffered as a result of the termination of a contract: has the distributor made investments by indication of the supplier that are still to be amortized? Has the distributor hired new employees for a line of business that have to be dismissed because of the termination of the contract (costs of compensation)? Has the distributor rented new premises signing long-term contracts due to the expectations on the agreement? Please, take into account that the Distributor is an independent trader and, as such, he assumes the risks of his activity. But to the extent he is acting on a distribution network he shall be subject to the directions, suggestions and expectations created by the supplier. These may be relevant to later determine the damages caused by the termination of the contract.
Scrivi a Fare affari all’estero: avvocato straniero o italiano?
Il Contratto quadro di fornitura
20 Marzo 2023
- Commercio internazionale
- Contratti
- Distribuzione
“Può aiutami, avvocato”?
(Ovviamente è urgente).
“Mi mette in contatto con un legale in [Paese straniero]? Poi ci pensiamo noi.”
Lo faccio volentieri, ci mancherebbe.
Specie se posso mettere il cliente in contatto con un avvocato esperto di Legalmondo.
Lavorare direttamente con un legale all’estero, però, comporta una serie di complessità che vengono regolarmente sottovalutate dal cliente.
Le principali sono le seguenti
- identificare il legale giusto, che sia specializzato e abbia una specifica esperienza nella materia di interesse dell’azienda
- la difficoltà di dialogare in una lingua che solitamente è straniera sia per il cliente, sia per il legale all’estero
- comprendere le tematiche giuridiche oggetto dell’incarico, molto spesso regolate da una legge diversa da quella italiana
- concordare i termini dell’incarico professionale e monitorare l’andamento delle spese, specie se si tratta di attività lunghe e complesse, in paesi nei quali i costi legali sono molto alti
Nel caso di contenziosi
- individuare i fatti importanti e i documenti necessari
- definire la strategia di causa, valutare la possibilità di una definizione amichevole della vertenza e ragionare sulle possibili soluzioni alternative in base agli interessi delle parti
- gestire istruzioni e comunicazioni al legale in tempi molto stretti e lavorando in fusi orari diversi
Nel caso di negoziati commerciali
- condividere interessi e obiettivi della trattativa
- preparare e partecipare a call conference frequenti ed impegnative
- seguire le varie fasi delle revisioni dei testi contrattuali
Se si tratta di operazioni straordinarie
- impostare l’attività e condividerla con i legali delle controparti
- allineare le risorse aziendali e i vari professionisti coinvolti per assistere il cliente
- coordinare le diverse fasi dell’attività
Tutti passaggi nei quali il legale italiano, se è specializzato nella materia ed ha esperienza nell’assistere la clientela all’estero, può essere di grande aiuto, diventando l’interfaccia tra il cliente e i vari professionisti coinvolti nell’attività, su entrambi i lati.
È una risorsa preziosa, che consente di impostare il lavoro in modo chiaro, dialogare e ottenere risposte in tempi rapidi, assicurarsi che le informazioni, anche complesse, vengano riportate e comprese in modo corretto.
Esperienza, facilità di dialogo e rapporto di fiducia
Infine, è importante valorizzare la possibilità di confronto diretto con una persona di fiducia, esperta e che conosce l’imprenditore e l’azienda, cosa che generalmente non è possibile lavorando direttamente con uno studio all’estero, specie se di grandi dimensioni.
Il risultato è generalmente quello di lavorare in modo più consapevole, rapido, ordinato ed efficace, il che si traduce generalmente in un risparmio di tempo e denaro.
Prima di lavorare direttamente con un legale in Costa Rica, Macedonia o USA, è bene considerare l’importanza e il valore dell’incarico e pensare al legale italiano come una risorsa, non come un costo aggiuntivo.
Riassunto
Il contratto quadro di fornitura è un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore) che si svolgono nel corso di un certo arco temporale. Questo accordo determina gli elementi principali dei futuri contratti come il prezzo, i volumi di prodotto, i termini di consegna, le specifiche tecniche o di qualità e la durata dell’accordo.
Il contratto quadro è utile per assicurare la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare l’attività industriale o commerciale. Mentre le condizioni generali di acquisto o vendita sono le regole che si applicano a tutti i fornitori o clienti della società. Il contratto quadro è consigliabile concluderlo con i fornitori essenziali per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
Di cosa parlo in questo articolo:
- Che cosa è il contratto quadro di fornitura?
- Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
- La differenza con le condizioni generali di vendita o acquisto
- Quando concludere un contratto quadro di acquisto?
- Quando è utile concludere un contratto quadro di vendita?
- Il contenuto del contratto quadro di fornitura
- Clausola di revisione dei prezzi ed eccessiva onerosità sopravvenuta
- I termini di consegna nel contratto quadro di fornitura
- La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
- Vendita internazionale: legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Che cos’è il contratto quadro di fornitura?
Si tratta di un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore), che si svolgono nel corso di un certo arco temporale.
Si parla dunque di contratto “quadro” (framework agreement, in inglese) perché è un accordo che stabilisce le regole di una futura serie di contratti di compravendita, determinandone gli elementi principali, come il prezzo, i volumi di prodotto che si prevedono di vendere e acquistare, i termini di consegna dei prodotti, le specifiche tecniche o di qualità, la durata dell’accordo.
Dopo avere concluso il contratto quadro le Parti si limiteranno a scambiarsi gli ordinativi e le conferme d’ordine, concludendo una serie di autonomi contratti di vendita, senza dover ridiscutere i patti già definiti nell’accordo quadro.
A seconda dei punti di vista, questo contratto è anche denominato contratto quadro di vendita (se lo utilizza il venditore/fornitore con i propri clienti) o contratto quadro di acquisto (se lo propone il cliente ai suoi fornitori).
Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
È utile prevedere un contratto quadro in tutti i casi in cui le Parti intendono procedere ad una serie di acquisti / vendite di prodotti continuata nel tempo e hanno interesse a dare stabilità all’accordo commerciale, determinandone gli elementi principali.
In particolare, l’accordo quadro di acquisto è utile all’impresa che vuole assicurarsi la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare la sua attività industriale o commerciale (materie prime, semilavorati, componenti).
Concludendo il contratto quadro l’impresa può ottenere, ad esempio, un impegno del fornitore a fornire un certo volume minimo di prodotti, ad un certo prezzo, con modalità e specifiche tecniche già condivise, per un certo periodo temporale.
Questo accordo è utile anche, specularmente, al venditore/fornitore, che può programmare le vendite del periodo e organizzare, a sua volta, la catena di fornitura che gli consente l’approvvigionamento delle materie prime e dei componenti necessari alla produzione dei prodotti.
Qual è la differenza tra contratto quadro di acquisto o vendita e condizioni generali?
Mentre Il contratto quadro è un accordo che si utilizza con uno o più fornitori particolari, per un certo prodotto e per un certo arco temporale, determinando gli elementi essenziali dei futuri contratti, le condizioni generali di acquisto (o vendita) sono le regole che si applicano a tutti i fornitori (o clienti) della società.
Il primo accordo, dunque, viene negoziato e definito caso per caso in relazione ad un rapporto commerciale con un certo fornitore, mentre le condizioni generali sono predisposte unilateralmente dall’impresa, e i clienti o i fornitori (a seconda che si tratti di condizioni di vendita o di acquisto) si limitano ad aderire e ad accettare che le condizioni generali si applichino al singolo ordine e/o ai futuri contratti.
Può accadere che i due accordi coesistano: in tal caso è bene specificare quale contratto debba prevalere in caso di discrepanza tra le diverse previsioni (solitamente si prevede questa gerarchia, che va dallo speciale al generale: ordine – conferma d’ordine / contratto quadro / condizioni generali di acquisto).
Quando è importante concludere un contratto quadro di acquisto?
È consigliabile concludere un contratto quadro con il fornitore / i fornitori essenziale / i per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
È particolarmente importante concludere questo accordo quando si ha a che fare con un mono-fornitore o con un fornitore che sarebbe molto difficile sostituire se cessasse di vendere i prodotti all’impresa acquirente.
I rischi che si mira ad evitare o diminuire sono le cosiddette rotture di stock, ossia le interruzioni di fornitura per la mancanza della disponibilità dei prodotti da parte del fornitore, o perché i prodotti sono disponibili ma le parti non trovano l’accordo sui tempi di consegna o sul prezzo di vendita.
Un altro risultato che si può conseguire è quello di vincolare un fornitore strategico per un certo periodo, concordando che riservi una certa quota della produzione a favore del compratore a condizioni predeterminate evitando, per la durata dell’accordo, la concorrenza con offerte di terzi interessati ai prodotti.
Quando è importante concludere un contratto quadro di vendita?
Questo accordo consente al venditore / fornitore di pianificare le vendite verso un certo cliente e quindi di programmare ed organizzare la propria capacità produttiva e logistica per il periodo concordato, evitando costi extra o ritardi.
Pianificare le vendite consente anche di gestire correttamente le incombenze finanziarie e i flussi di cassa con una visione di medio termine, armonizzando gli impegni e gli investimenti con le vendite ai propri clienti.
Qual è il contenuto del contratto quadro di fornitura?
Non esiste un modello standard di questo contratto, che è nato dalla prassi commerciale per rispondere alle esigenze indicate in precedenza.
Generalmente l’accordo prevede un arco temporale determinato (ad esempio 12 mesi) nel quale le parti si impegnano a concludere una serie di compravendite di prodotti, determinando il prezzo e le modalità di fornitura e i principali patti dei futuri contratti di vendita.
Le clausole più importanti sono:
- l’identificazione dei prodotti e delle specifiche tecniche (spesso individuate in un allegato)
- il volume minimo / massimo di forniture
- l’eventuale obbligo di acquisto / vendita di un minimo-massimo volume di prodotti
- il calendario degli ordinativi
- i tempi di consegna
- la determinazione del prezzo e le condizioni per la sua eventuale modifica (si veda anche il prossimo paragrafo)
- i casi di impedimento alla prestazione (Forza Maggiore)
- i casi di eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship)
- le penali per il ritardo o per l’inadempimento o per il mancato raggiungimento dei volumi concordati
- la gerarchia tra il contratto quadro e gli ordinativi ed eventuali altri contratti tra le parti
- la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie (specialmente in contratti internazionali)
Come gestire la revisione dei prezzi in un contratto di fornitura?
Una clausola molto importante, specie in tempi di forti oscillazioni dei prezzi delle materie prime, dei trasporti e dell’energia, è quella relativa alla revisione dei prezzi.
In mancanza di un accordo su questo tema, infatti, le parti si accollano il rischio dell’aumento del prezzo impegnandosi a rispettare le condizioni originariamente pattuite e, salvi casi eccezionali (in cui la fluttuazione è forte, interessa un arco temporale ristretto ed è causata da eventi imprevedibili), è molto difficile poter invocare la sopravvenuta eccessiva onerosità, che consente di rinegoziare il prezzo oppure di risolvere il contratto.
È consigliabile, per evitare l’incertezza che si genera in caso di fluttuazioni dei prezzi, concordare nel contratto sia i meccanismi per la revisione del prezzo (ad esempio l’indicizzazione automatica seguendo la quotazione di una certa materia prima), sia la cosiddetta clausola di Hardship o Sopravvenuta Eccessiva Onerosità, stabilendo quali sono i limiti di oscillazione dei prezzi accettati dalle parti e cosa accade se le variazioni oltrepassano questi limiti, prevedendo l’obbligo di rinegoziare il prezzo, o lo scioglimento del contratto se non viene trovato l’accordo entro un certo termine.
Come gestire i termini di consegna in un rapporto di fornitura?
Un altro patto chiave in un rapporto di fornitura di medio / lungo termine riguarda i termini di consegna: in questo caso occorre conciliare l’interesse dell’acquirente al rispetto delle date convenute con quello del fornitore ad evitare richieste di danni in caso di ritardo, soprattutto in caso di vendite che richiedano trasporti intercontinentali.
La prima cosa da chiarire in proposito riguarda la natura dei termini di consegna: si tratta di termini essenziali oppure indicativi? Nel primo caso la parte interessata ha diritto a risolvere (ossia sciogliere) il contratto in caso di mancato rispetto del termine, nel secondo invece si possono prevedere oneri di diligenza, di informazione e di notifica tempestiva dei ritardi, mentre la risoluzione non è un rimedio che può essere automaticamente azionato in caso di ritardo.
Uno strumento utile, a questo proposito, è quello della clausola penale: con questo patto si concorda che per ogni giorno / settimana / mese di ritardo sia dovuta una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno a favore della parte danneggiata dal ritardo.
La penale, se quantificata in modo corretto e non eccessivo, è utile per entrambe le parti, perché consente di predeterminare i danni che possono essere invocati per il ritardo, liquidandoli in una somma equa e determinata: di conseguenza, il venditore non è esposto a domande di risarcimento legate a fattori fuori dal suo controllo, mentre il compratore può agevolmente calcolare l’indennizzo legato al ritardo, senza necessità di altre prove.
Lo stesso meccanismo, tra l’altro, si può adottare per disciplinare il ritardo del compratore nel prendere in consegna i beni messi a disposizione dal venditore.
Occorre tenere a mente, infine, che è buona prassi specificare il tetto massimo della penale (ad esempio il 10% del prezzo del prodotto) e un periodo massimo di tolleranza del ritardo, oltre il quale la parte interessata ha diritto di sciogliere il contratto, trattenendo la penale.
La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
Una situazione che viene spesso confusa con l’eccessiva onerosità, ma in realtà è molto diversa, è quella relativa alla Forza Maggiore, ossia alla impossibilità sopravvenuta di adempiere all’obbligazione contrattuale, a causa di un evento fuori dal ragionevole controllo della parte colpita, che non avrebbe potuto ragionevolmente essere previsto e i cui effetti non possano essere superati con un ragionevole sforzo.
La funzione di questa clausola è quella di stabilire in modo chiaro quando le parti ritengono che possa essere invocata la Forza Maggiore, quali eventi specifici vengono compresi (ad esempio un lock-down dello stabilimento produttivo per ordine dell’autorità) e quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle parti (ad esempio la sospensione dell’obbligazione per un certo periodo, finché dura la causa di impossibilità ad adempiere, oltre il quale è possibile che la parte interessata all’adempimento dichiari di voler sciogliere il contratto).
Occorre prestare grande attenzione alla redazione di questa clausola, perché se la formulazione è generica (come spesso accade) il rischio è che sia di poca utilità; è bene verificare, inoltre, che la regolamentazione della forza maggiore sia conforme a quanto prevedere la legge applicabile al contratto (v. punto successivo – qui un approfondimento con indicazione del regime previsto da 42 leggi nazionali).
Legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Se il cliente o il fornitore ha sede all’estero occorre tenere presente alcune importanti differenze: la prima è la lingua del contratto, che deve essere comprensibile alla controparte straniera, e sarà quindi solitamente in inglese, o in un’altra lingua comune alle parti, eventualmente anche in doppia lingua con testo a fronte.
La seconda questione da tenere a mente riguarda la legge applicabile, che è bene sia espressamente indicata nel contratto: l’argomento è molto vasto e in questa sede ci limitiamo a dire che la decisione sulla legge applicabile va presa caso per caso, in modo consapevole: non sempre, infatti, è utile richiamare l’applicazione della legge italiana.
Va poi ricordato che nella maggioranza dei contratti di vendita internazionale si applica la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (“CISG”), che è una legge comune alle parti del contratto, equilibrata, molto chiara e facile da consultare: la CISG si applica automaticamente ed è bene non escluderla.
Infine, in un contratto quadro di fornitura internazionale è consigliabile prestare attenzione all’individuazione delle modalità di risoluzione delle controversie: non esiste una soluzione che vada bene per tutti i contratti, ci limitiamo a ricordare che, anche in questo caso, non sempre la scelta della giurisdizione italiana è quella giusta (anzi, spesso può rivelarsi controproducente): chi fosse interessato ad un approfondimento può leggere questo articolo sul blog di Legalmondo.
Riassunto
Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina?
Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.
Di cosa parlo in questo articolo:
- La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
- La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione
- Il contratto di vendita internazionale in Cina
- Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
- L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese
- Il patto di non concorrenza
- La distribuzione Omnichannel
- Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
- Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
- Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
- Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto
- La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
- Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)
Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina?
Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina.
Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.
Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.
Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.
Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali.
Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6).
Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti.
Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali, solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.
La forma del contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici.
È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.
Il contratto di vendita internazionale in Cina
Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).
Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.
Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”).
Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.
Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.
Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.
Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci.
E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere.
L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.
Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA)
Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari.
Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.
Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.
Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi, che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.
Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.
Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.
Accordi di distribuzione esclusiva in Cina
Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore?
Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.
Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.
Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato.
Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto.
I patti sui minimi di fatturato, specie in relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.
Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori.
Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina
Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore.
È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto.
Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.
Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto, motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.
La Distribuzione Omnichannel in Cina
Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B.
Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.
Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue
Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva.
Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.
La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi.
Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.
Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina
Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.
Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate.
Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina
Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore.
Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza.
Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.
Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.
La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).
E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto.
Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale.
La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni).
Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore, dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.
È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.
Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso.
Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione
Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio.
Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale.
Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina
Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.
Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.
Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.
Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina
Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero.
Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale.
La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato.
Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi). Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.
Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.
Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.
Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.
I vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.
Riassunto – Quando l’emergenza Coronavirus può essere invocata come evento di Forza Maggiore per escludere la responsabilità contrattuale e il risarcimento dei danni? Quali sono gli effetti nella supply chain internazionale del mancato adempimento di un’impresa cinese ai propri obblighi di fornitura o di acquisto di materie prime, componenti o prodotti? Quali comportamenti deve adottare l’imprenditore straniero per limitare i rischi derivanti dall’interruzione di forniture o acquisti nella catena di fornitura?
Argomenti trattati
- L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
- Cos’è la Forza Maggiore (Force Majeure)?
- La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
- Cos’è l’Hardship?
- Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
- Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
- Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Come limitare i rischi nella supply chain?
L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
Il Coronavirus / Covid 19 ha creato in Cina una terribile emergenza sanitaria e sociale, che ha reso necessarie eccezionali misure di ordine pubblico per il contenimento del virus, come la quarantena, divieti di viaggio, la sospensione di eventi pubblici e privati e la chiusura di stabilimenti industriali e attività commerciali per un certo periodo di tempo.
Una volta autorizzata la riapertura degli stabilimenti, il ritorno alla normalità è stato fortemente rallentato poiché molti lavoratori, che si erano spostati in altre zone della Cina per le festività del capodanno lunare, non sono rientrati sul posto di lavoro.
I dati oggi disponibili sulla riapertura delle fabbriche e sul numero del personale presente non sono univoci ed è legittimo dubitare della loro attendibilità, quindi non si può prevedere quando l’emergenza potrà definirsi conclusa e se e come le imprese cinesi riusciranno a colmare i ritardi e il gap di produzione che si è creato.
Di certo è molto probabile che nei prossimi mesi l’imprenditore straniero si veda eccepire dalla propria controparte cinese l’impossibilità di adempiere al contratto, motivata con il Coronavirus.
Per comprendere la dimensione del problema, basti considerare che nel solo mese di Febbraio 2020 il China Council for the Promotion of International Trade (la Camera di Commercio cinese che ha il compito di promuovere il commercio internazionale) ha già rilasciato a favore di imprese cinesi che ne hanno fatto richiesta 3.325 certificati attestanti l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali a causa dell’epidemia Coronavirus, per un valore totale di oltre 270 miliardi di yuan (US$38.4 bln), secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua.
Quali rischi pone questa situazione per l’imprenditore straniero e quali ricadute può avere oltre i confini cinesi?
I rischi sono molti e i potenziali danni ingenti: la Cina è la fabbrica del mondo e vale oggi circa il 15% del PIL mondiale, quindi è difficile che una filiera produttiva in qualsiasi settore industriale non coinvolga una o più imprese cinesi come fornitori di materie prime, semi-lavorati o componenti (nel caso dell’Italia i settori più integrati con catene di fornitura in Cina sono automotive, chimica, farmaceutica, tessile, elettronica e macchinari).
Il mancato adempimento del fornitore cinese può quindi comportare, a cascata, l’inadempimento dell’imprenditore straniero verso il cliente finale o verso il successivo anello della supply chain.
Il fatto che il contagio stia viaggiando rapidamente (al momento di pubblicazione di questo articolo la situazione è già critica in alcune regioni italiane e in Corea del Sud ed Iran e iniziano ad essere segnalati casi negli USA) inoltre, rende possibile che fermate di produzione e situazioni di quarantena simili a quelle descritte debbano essere adottate anche in regioni e settori industriali di altri paesi.
Semplificando il quadro, consideriamo il caso di un fornitore cinese (Parte A) che fornisce un componente o presta un servizio a favore dell’impresa straniera (Parte B), che a sua volta assembla (in Cina o all’estero) il componente in un prodotto finito o semilavorato, che poi viene rivenduto a terzi (Parte C).
Se la Parte A ritarda o non consegna i prodotti o servizi alla Parte B, questa rischia di trovarsi esposta al rischio di inadempimento verso la Parte C, e così via lungo la catena di forniture/acquisti.
Vediamo dunque come gestire il caso in cui la Parte A comunichi che è divenuto impossibile adempiere al contratto per motivi riconducibili all’emergenza Coronavirus, come un provvedimento amministrativo di chiusura dello stabilimento, la mancanza di personale in fabbrica alla riapertura, l’impossibilità di approvvigionarsi di certe materie prime o componenti, il blocco di certi servizi logistici, etc.
Nel commercio internazionale questa situazione, ossia l’esonero dalla responsabilità per il mancato adempimento alla prestazione contrattuale, divenuta impossibile a causa di eventi sopravvenuti che sono al di fuori della sfera di controllo della Parte, è generalmente definita “Forza Maggiore” o “Force Majeure”.
Per capire quando è legittimo che un fornitore eccepisca l’impossibilità ad adempiere al contratto a causa del Coronavirus e quando invece questi comportamenti siano infondati o pretestuosi, occorre chiedersi quando la Parte A può invocare una situazione di Force Majeure e cosa può fare la Parte B per limitare i danni ed evitare di essere a sua volta considerata inadempiente verso la Parte C.
Cos’è la Forza Maggiore – Force Majeure?
Non esiste, a livello internazionale, un concetto unitario di Force Majeure, perché ogni ordinamento statale prevede una disciplina specifica.
Un riferimento utile è dato dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili (“CISG”), ratificata da 93 paesi (tra cui Italia, Cina, USA, Germania, Francia, Spagna, Australia, Giappone, Messico) e automaticamente applicabile alle vendite tra società con sede in diversi paesi contraenti, salvo espressa esclusione.
L’art. 79 della CISG, intitolato nella versione italiana “Cause di Esonero”, prevede che “Una parte non è responsabile dell’inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”.
Le caratteristiche della causa di esonero dalla responsabilità per inadempimento sono dunque la sua imprevedibilità, il fatto che sia al fuori della sfera di controllo della parte che lo subisce e l’impossibilità di evitarlo o di porre rimedio alle sue conseguenze compiendo ragionevoli sforzi.
Per stabilire, in concreto, se ricorrano i presupposti di un evento di Force Majeure, quali siano le sue conseguenze e quale comportamento debbano tenere le parti, occorre in primo luogo analizzare il contenuto della (eventuale) clausola di Force Majeure inserita nel contratto.
La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
Il modello di clausola di Force Majeure di riferimento nel commercio internazionale è quello predisposto dalla International Chamber of Commerce, la ICC Force Majeure Clause 2003, che prevede quali sono i requisiti che la parte che invoca la forza maggiore ha l’onere di provare (in sostanza sono quelli previsti dall’art. 79 della CISG) e indica una serie di eventi in cui si presume che tali requisiti ricorrano (tra i quali situazioni di guerra, embargo, atti di terrorismo, pirateria, calamità naturali, scioperi generali, provvedimenti delle autorità).
La ICC Force Majeure Clause 2003 indica poi anche quali siano i comportamenti da tenere da parte di chi invoca l’evento:
- Dare pronta notizia all’altra parte dell’impedimento;
- Nel caso in cui l’impedimento sia temporaneo, comunicare prontamente all’altra parte la sua cessazione;
- Fare tutto quanto ragionevolmente possibile per limitare gli effetti dell’evento sulla propria prestazione contrattuale;
- Nel caso in cui l’impossibilità della prestazione derivi dal mancato adempimento di un terzo (come nel caso di un subfornitore) fornire la prova che i presupposti della Force Majeure si applichino anche al terzo fornitore;
- Nel caso in cui l’evento comporti il venir meno dell’interesse alla prestazione, comunicare prontamente la decisione di risolvere il contratto;
- Nel caso di risoluzione del contratto, restituire la prestazione eventualmente ricevuta o una somma di valore equivalente.
Posto che le parti sono libere di inserire nel contratto ICC Force Majeure Clause 2003 oppure altra clausola di contenuto diverso, a fronte di una notifica di un evento di Forza Maggiore occorrerà dunque, come prima cosa, analizzare cosa preveda la clausola contrattuale nel caso specifico.
Il secondo passaggio (oppure il primo, nel caso in cui nel contratto non fosse presente una clausola di Force Majeure) sarà poi quello di verificare che cosa preveda la legge applicabile all’accordo contrattuale (ne parliamo in seguito).
Può anche accadere che l’evento invocato dalla parte inadempiente non comporti l’impossibilità della prestazione contrattuale, ma la renda eccessivamente onerosa: in questi casi non si può applicare il regime della Force Majeure, ma potrebbero ricorrere i presupposti della cosiddetta Hardship.
Cos’è l’Hardship?
L’Hardship (in italiano: eccessiva onerosità sopravvenuta) è un’altra clausola che ricorre spesso nei contratti internazionali di durata: essa disciplina i casi in cui, dopo la conclusione del contratto, la prestazione di una delle parti divenga eccessivamente onerosa o complicata a causa di fatti sopravvenuti, indipendenti dalla volontà della parte.
Il risultato di un evento di Hardship è quello di sbilanciare fortemente l’equilibrio del contratto a favore di una parte: esempi di scuola sono l’imprevedibile forte rialzo del prezzo di una materia prima, l’imposizione di dazi sull’importazione di un certo prodotto, l’oscillazione della valuta oltre un certo range concordato tra le parti.
A differenza della Force Majeure, dunque, nel caso di Hardship la prestazione è ancora realizzabile, ma è divenuta eccessivamente onerosa.
La clausola modello anche in questo caso è la ICC Hardship Clause 2003, che prevede che l’eccessiva onerosità sia conseguenza di un evento al di fuori della ragionevole sfera di controllo della parte, che non poteva essere preso in considerazione prima della conclusione dell’accordo e le cui conseguenze non possano essere ragionevolmente gestite.
La ICC Hardship Clause stabilisce cosa accade dopo che una parte abbia provato la ricorrenza di un evento di Hardship, ossia:
- L’obbligo delle parti, entro un termine ragionevole, di negoziare una soluzione alternativa per mitigare gli effetti dell’evento e riportare l’accordo in equilibrio (estensione del termine di consegna, revisione del prezzo, etc.);
- La risoluzione del contratto, nel caso in cui le parti non raggiungano un accordo alternativo per mitigare gli effetti dell’Hardship.
Anche nel caso in cui una parte eccepisca un evento di Hardship, come visto in precedenza per la Forza Maggiore, è necessario verificare se l’evento sia stato previsto nel contratto, quale sia il contenuto della clausola e/o cosa preveda la normativa applicabile all’accordo.
Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
Torniamo ora al caso visto all’inizio di questo articolo e cerchiamo di vedere come gestire il caso dell’inadempimento del fornitore all’interno di una supply chain internazionale, quando venga invocata l’emergenza del Coronavirus come causa di esonero della responsabilità.
Premettiamo che non esiste una risposta valida per tutti i casi, essendo necessario esaminare i fatti, gli accordi contrattuali tra le parti e la legge applicabile al contratto. Quello che possiamo fare è indicare il metodo che può essere utilizzato in questi casi, ossia rispondere alle seguenti domande:
- La situazione di fatto: qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- La parte che invoca la Force Majeure ha provato la sussistenza dei requisiti?
- Cosa prevede il Contratto (e/o le Condizioni Generali di contratto)?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle Parti?
Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
Come visto la situazione di forza maggiore è tale se la prestazione, dopo la conclusione del contratto, diviene impossibile per eventi imprevedibili, al di fuori del controllo della parte obbligata, le cui conseguenze non possano essere superate con uno sforzo ragionevole.
La prima verifica da fare è se l’evento per il quale la parte invoca la Force Majeure fosse o meno al di fuori del controllo della Parte e se fosse tale da rendere la prestazione impossibile (e non solo più complessa od onerosa) senza che la Parte potesse porvi rimedio.
Facciamo un esempio: nel contratto si prevede che la Parte A debba consegnare alla Parte B un prodotto o effettuare un servizio entro un certo termine essenziale (ossia tassativo, non derogabile), scaduto il quale non vi sarebbe più interesse di Parte B a ricevere la prestazione (pensiamo, ad esempio, alla consegna di alcuni materiali necessari per la costruzione di un’infrastruttura per le Olimpiadi).
Se la consegna non potesse avvenire perché lo stabilimento di Parte A è stato chiuso per provvedimento amministrativo o perché il personale di Parte A non può viaggiare e recarsi presso Parte B per effettuare il servizio di installazione, si potrebbe rientrare nel novero dei casi di Force Majeure.
Se invece la prestazione di Parte A restasse comunque possibile (ad esempio con spedizione dei prodotti da altro stabilimento sito in altra zona della Cina o in altro paese) e potesse essere realizzata, anche se a condizioni più onerose o in modo inesatto o incompleto, o in ritardo, non si potrebbe invocare la Force Majeure e andrebbe verificato se si sia, eventualmente, prodotta quell’eccessiva onerosità sopravvenuta che è il presupposto dell’Hardship, con le relative conseguenze.
Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
Il passo successivo è quello di determinare se il Fornitore / Parte A abbia fornito la prova dei fatti che sono il presupposto della Force Majeure, ossia di non aver potuto evitare la situazione né che fosse ragionevolmente possibile porvi rimedio.
A tal fine la sola produzione di un certificato del CCPIT attestante l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali, per i motivi spiegati in precedenza, non può considerarsi sufficiente a provare l’effettiva sussistenza, nel caso specifico, di una situazione di Force Majeure.
La verifica dei fatti dedotti e delle relative prove è particolarmente importante perché, nel caso in cui si ritenga sussistere una causa di esonero in capo alla Parte A, queste prove possono poi essere utilizzate dalla Parte B per documentare, a sua volta, di trovarsi nell’impossibilità di adempiere verso la Parte C, e così via lungo la catena di fornitura.
Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
Il passaggio successivo è quello di vedere se il contratto tra le parti, o le condizioni generali di vendita o acquisto (se esistenti e applicabili) prevedano, o meno, una clausola di Force Majeure e/o Hardship.
In caso positivo occorre verificare se l’evento denunciato dalla Parte che invoca la Force Majeure rientri o meno tra quelli previsti dalla clausola contrattuale.
Ad esempio, se l’evento denunciato fosse la chiusura dello stabilimento per ordine delle autorità e la clausola contrattuale fosse la ICC Force Majeure Clause 2003, si potrebbe sostenere che l’evento rientri quelli indicati al punto 3 [d] ovvero “act of authority … compliance with any law or governmental order, rule, regulation or direction, curfew restriction” oppure al punto 3 [e] “epidemic” o 3 [g] “general labour disturbance “.
Andrà poi esaminato quali siano le conseguenze previste dalla Clausola: generalmente si prevede un onere di tempestiva notifica dell’evento, che la parte sia esonerata dall’esecuzione della prestazione per tutta la durata dell’evento di Force Majeure e un termine massimo di sospensione dell’obbligazione, decorso il quale le parti possono comunicare la risoluzione del contratto.
Nel caso in cui l’evento non rientrasse tra quelli previsti nella Clausola di Force Majeure, o non vi fosse tale clausola nel contratto, andrebbe verificato se esista una Clausola di Hardship e se l’evento possa essere ricondotto a tale previsione.
Infine, in ogni caso è comunque necessario verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto.
Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
Ultimo passaggio è quello di verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto, sia nel caso in cui l’evento rientri in una clausola di Force Majeure o Hardship, sia nel caso in cui tale clausola non sia presente o non ricomprenda l’evento.
I presupposti e le conseguenze della Forza Maggiore o dell’Hardship, infatti, possono essere regolati in modo molto diverso a seconda della legge applicabile al contratto.
Se Parte A e Parte B avessero entrambe sede in Cina, al contratto di vendita si applicherebbe la legge della Repubblica Popolare Cinese, e la possibilità di invocare con successo la Force Majeure andrebbe valutata applicando queste norme.
Se Parte B avesse invece sede in Italia, nella maggioranza dei casi al contratto di vendita si applicherebbe la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (e quindi l’art. 79 sulle Cause di Esonero visto in precedenza) e per quanto non coperto dalla CISG si applicherebbe la legge indicata dalle parti nel contratto (o in mancanza identificata tramite i meccanismi di diritto internazionale privato).
Analogo ragionamento andrebbe fatto per determinare quale sia la legge applicabile al contratto tra Parte B e Parte C e cosa preveda tale legge, e così via lungo la supply chain internazionale.
Nel caso in cui i diversi rapporti siano regolati dalla stessa normativa (ad esempio la CISG) ciò non comporta problemi, ma se – come è probabile – le leggi applicabili fossero diverse la situazione si complica parecchio perché lo stesso evento potrebbe essere considerato causa di esonero da responsabilità contrattuale per la Parte A nei confronti della Parte B, ma non nel passaggio successivo della supply Chain, da Parte B a parte C.
Come limitare i rischi nella supply chain?
Il modo migliore di limitare il rischio di richieste di risarcimento del danno da parte delle altre imprese della catena di fornitura è quello di richiedere per tempo al proprio Fornitore conferma della disponibilità ad effettuare la prestazione contrattuale secondo i termini stabiliti, e condividere le informazioni ricevute con le altre aziende che fanno parte della supply chain.
Nel caso di inadempimento motivato con l’emergenza Coronavirus, è fondamentale verificare se l’evento denunciato rientri tra quelli che possono essere causa di esonero da responsabilità contrattuale, ed esigere che il fornitore fornisca le prove relative. Tali prove, se confermano l’impossibilità della prestazione del fornitore, potranno essere utilizzate dall’acquirente, a sua volta, per invocare la situazione di Force Majeure nei confronti delle altre aziende della Supply Chain.
Se nei contratti (di acquisto e vendita) sono presenti clausole di Force Majeure / Hardship, andrà visto cosa prevedono come modalità di denuncia, tempi di sospensione della prestazione o risoluzione del contratto, nonché cosa preveda la legge applicabile ai contratti.
Infine, è bene ricordare che la maggior parte delle normative prevedono un onere di mitigare i danni derivanti dall’eventuale inadempimento dell’altra parte: ciò significa che se è probabile, o anche solo possibile, che il Fornitore cinese si renda inadempiente ad una fornitura, la parte acquirente dovrà fare tutto il possibile per essere in grado di porvi rimedio ed adempiere comunque alle proprie obbligazioni verso le altre aziende che formano parte della supply chain, ad esempio procurandosi il prodotto da altri fornitori anche a condizioni molto più onerose.
Come cambiano i contratti di distribuzione dopo Covid19?
Ne ho parlato in un webinar il 20.11.2020, offrendo il mio punto di vista sulle lezioni apprese durante la pandemia e sulle clausole che è opportuno verificare e aggiornare: clicca qui sotto per vedere la registrazione dell’intervento.
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On December 30, 2018, the Comprehensive and Progressive Agreement For Trans-Pacific Partnership (“CPTPP”) entered into force
This Treaty is considered the third largest global trade agreement, positioned after the Comprehensive Economic and Trade Agreement between Canada and the EU (“CETA”) and the United States–Mexico–Canada Agreement (“USMCA”). The CPTPP sets forth a model of trade liberalization, aiming to maintain the markets open, increase world trade and create new economic opportunities for the member countries.
The CPTPP reaffirms and materializes a major part of the provisions of the Trans-Pacific Economic Cooperation Agreement (“TPP”), which had been originally signed by 12 countries, subsequently the United States of America (“USA”) announced its withdrawal.
As a result, this Treaty is the agreement reached by the remaining 11 countries of the TPP (Australia, Brunei, Canada, Chile, Japan, Malaysia, Mexico, New Zealand, Peru, Singapore and Vietnam) in an effort to enact its provisions, since the original text is incorporated, except for 22 provisions related to rules presented by the USA, which were suspended.
The Agreement has four main characteristics:
- Improves the access to the markets of the participating countries, eliminating and reducing tariff barriers amongst them. It also increases the pre-existing benefits between countries which had already entered into an agreement.
- Promotes innovation, productivity and competition;
- Encourages inclusive commerce, by incorporating new elements to ensure economic development, such as regulating the activities of state-owned companies, intellectual property, regulatory coherence, electronic commerce and support to Small and Medium Enterprises (“SMEs“) in order to streamline and simplify trade.
- Through a regional integration platform, it aims to enhance the production chain and the possibility of including different and future economies.
To estimate the relevance of the Agreement, the Mexican Ministry of Economy stated that, although the absence of the USA reduced the economic dimensions of the market delimited by this instrument (from 40% to 13% of the world economy), future prospects are favorable since: i) the participation of the 11 countries, creates a market of 500 million consumers, ii) 13.5% of the world’s Gross Domestic Product (GDP) will enter in to this market and iii) the likelihood of incorporation of other countries is probable, which could compensate the absence of the USA.
With the CPTPP, Mexico intends to broaden its trade openness in the most dynamic zone in the world (Asia-Pacific), allowing Mexican products to enter into 6 new countries: Australia, Brunei, Malaysia, New Zealand, Singapore and Vietnam. The aforementioned will promote the diversification of the trade economic activity, bolstering sectors such as agriculture, automotive, aerospace and products such as medical devices, electrical equipment, dairy products, tuna, sardines, cosmetics, tequila, mezcal, beer, etc.
This Agreement will also deepen the access to the Japanese market and will consolidate tariff preferences with countries with which a free trade agreement had already been signed, such as Canada, Chile and Peru.
The main motivation of the Mexican government in the negotiation of the CPTPP is to continue with a trade liberalization policy that began in 1989. Currently, Mexico has a network of 12 free trade agreements with 46 countries; 33 agreements for the reciprocal promotion of investments; and 9 agreements of limited scope (Economic Complementation Agreements and Partial Scope Agreements) within the framework of the Latin American Integration Association.
Riassunto – Si tratta di un accordo di riservatezza, spesso utilizzato nel commercio internazionale, con il quale le parti si obbligano a mantenere riservate le informazioni confidenziali o sensibili scambiate durante i negoziati. Il modello di contratto è abbastanza standard, ma per la sua validità ed efficacia è fondamentale che il contenuto sia adattato al caso concreto, come la clausola di legge applicabile, il foro competente o arbitrato, le clausole penali, la durata, la lingua del contratto.
Accade molto spesso che in differenti contesti di business venga proposta la sottoscrizione di un Non Disclosure Agreement (“NDA”) e di un Memorandum of Understanding (“MoU”) o di una Letter of Intent (“LoI”), tanto che questi tre acronimi – NDA, MoU e LoI – sono ormai diventati di uso corrente, soprattutto in occasione di negoziati internazionali.
Spesso, però, questi contratti vengono utilizzati in modo improprio e con finalità diverse da quelle con le quali si sono affermati nella prassi del commercio internazionale, con il risultato di non essere utili perché non tutelano in modo efficace gli interessi delle parti, o addirittura di essere controproducenti.
Iniziamo vedendo quali sono le caratteristiche del Non Disclosure Agreement – NDA – e come è consigliabile utilizzarlo.
Di cosa parlo in questo articolo
- Cos’è il NDA – Accordo di riservatezza
- Chi sono le parti del NDA – Accordo di riservatezza
- Quali sono le Informazioni riservate?
- La condivisione delle Informazioni riservate con terzi
- Non Disclose and Non Use Agreement
- Il divieto di concorrenza
- La durata del NDA
- Inadempimenti del NDA e clausola penale
- NDA modello e standard
- Quale legge applicabile e giudice in un NDA internazionale?
- La lingua del NDA
- Conclusioni
- Come possiamo aiutarti
NDA – Cosa significa
Il NDA è un accordo che ha la funzione di tutelare la riservatezza delle informazioni che le parti (generalmente identificate, rispettivamente, come “Disclosing Party” e “Receiving Party”) intendono condividere, in diversi possibili scenari: la trasmissione d’informazioni per una due diligence preliminare a un investimento, la valutazione di dati commerciali per un contratto di distribuzione, le specifiche tecniche di un certo prodotto oggetto di trasferimento di tecnologia, etc.
Il primo step del negoziato, infatti, richiede spesso la messa a disposizione di informazioni di diverso tipo, tecniche, finanziarie o commerciali, da parte di una o di entrambe le parti, che è necessario che rimangano riservate (di seguito le “Informazioni Riservate”) durante e dopo la conclusione del negoziato.
Chi sono le parti dell’accordo di riservatezza?
Fondamentale, partendo dalle premesse dell’accordo, è la corretta individuazione delle parti obbligate alla protezione delle informazioni e al mantenimento della riservatezza, specie quando sono coinvolti gruppi societari, in cui gli interlocutori possono essere molteplici e situati in diversi paesi. In casi simili è consigliabile obbligare la Receiving Party a garantire il mantenimento della riservatezza da parte di tutte le società del gruppo.
È inoltre importante che l’accordo individui esattamente quali persone facenti parte dell’organizzazione della Receiving Party (si pensi a: dipendenti, consulenti tecnici, professionisti, collaboratori, etc.) hanno diritto di accedere alle Informazioni, se possibile con sottoscrizione dell’accordo di riservatezza da parte di tutte le persone coinvolte.
E’ anche importante prevedere se la Receiving Party possa o meno condividere le Informazioni Riservate con soggetti terzi, ad esempio consulenti tecnici o propri collaboratori esterni. In caso positivo la tutela migliore è quella di obbligare anche tali terzi a sottoscrivere il NDA e prevedere che la Receiving Party sia responsabile (“obbligata in solido”) insieme al terzo per il rispetto delle obbligazioni del NDA.
Spesso la richiesta di far firmare a terze parti il NDA e di essere responsabile per la gestione delle Informazioni Riservate da parte dei terzi viene contestata dalla Receiving Party, solitamente con la motivazione che sarebbe troppo complessa la gestione delle attività necessarie.
Ciò è sintomo di una scarsa predisposizione al rispetto dell’obbligo di riservatezza, che va valutato con attenzione. Se la parte ricevente non intende impegnarsi affinchè terzi rispettino gli obblighi di confidenzialità e non vuole essere responsabile dei loro eventuali inadempimenti ciò espone il Titolare ad un evidente rischio di divulgazione delle informazioni, senza che sia possibile agire in modo efficace per rimediare il danno.
Suggerisco, in questi casi, di essere molto rigorosi.
Il NDA deve prevedere che:
- l’accesso alle Informazioni Riservate da parte di terzi è possibile solo se preventivamente autorizzato per iscritto dalla Disclosing Party
- il terzo autorizzato deve firmare un allegato al NDA nel quale dichiara di aver preso visione degli obblighi di riservatezza e di obbligarsi al loro rispetto
- il terzo non possa condividere le Informazioni Riservate con altri soggetti non vincolati dal NDA, salvo espressa autorizzazione del Titolare
- la Disclosing Party sia responsabile in solido del rispetto delle obbligazioni del NDA da parte dei Terzi autorizzati
Identificazione delle Informazioni Riservate
L’utilizzo di modelli di NDA riciclati, reperiti su formulari o proposti dalla controparte è prassi certamente non raccomandabile, ma purtroppo molto diffusa.
Questi modelli, molto spesso, sono generici e contengono definizioni ampie delle Informazioni Riservate ed elenchi estremamente dettagliati, che comprendono, di fatto, tutto il contenuto dell’attività societaria, includendo spesso ambiti che non sono rilevanti per l’attività oggetto di negoziato, o informazioni che non sono riservate.
Un problema di questi modelli è che è difficile, ex post, verificare se un certo dato fosse o meno compreso nelle Informazioni, ad esempio perché non si sa se fosse già in possesso della Receiving Party prima della firma del NDA.
Un’altra criticità è rappresentata dal fatto che l’elenco molto dettagliato non includa proprio la singola informazione che interessa, oppure non lo faccia in modo chiaro.
Infine accade spesso che sia difficile ricostruire quali Informazioni, dopo la firma del NDA, sono state trasmesse alla Receiving Party, e quando è avvenuta la trasmissione (ad esempio perché sono state inviate in modalità non sicura e non tracciabile, è il caso delle Informazioni spedite come allegati da una email).
Come condividere le Informazioni Riservate
Il modo migliore di procedere è quello di identificare in modo preciso solo le informazioni che è necessario condividere, indicando i documenti da trasmettere in un elenco allegato al NDA.
Ad esempio, se si condivide un certo segreto industriale (“Know-how”) la cosa migliore è limitare l’oggetto dell’accordo solo alle informazioni sensibili relative a tale segreto e specificare in quale formato (cartaceo, digitale, software, hardware) verrà condiviso.
Il passo successivo è quello di metterli a disposizione in un formato che non consenta dubbi sul fatto che sono protette dal NDA, ad esempio marchiandole con un timbro “Confidential under NDA” seguito dalla data di invio.
Altra buona prassi è prevedere che l’accesso alle Informazioni avvenga con modalità sicura e tracciabile (come un’area riservata in cloud o sul server della Disclosing Party, accessibile solo con user name e password individuali assegnati alle persone autorizzate).
Il Divieto di uso delle Informazioni
Un errore abbastanza ricorrente nei modelli di NDA è la previsione dell’obbligo per la Receiving Party del solo mantenimento della riservatezza delle Informazioni, senza impedirgliene espressamente l’utilizzo.
Soprattutto nel caso di imprese concorrenti, però, l’utilizzo è più pericoloso della divulgazione: basti pensare alla possibilità che la Receiving Party sviluppi tecnologie o brevetti basati proprio sui segreti industriali acquisiti.
E’ importante prevedere, quindi, che l’obbligo non è solo di riservatezza ma anche di non uso, evidenziando tale patto anche nel titolo dell’accordo che può diventare “Non Disclosure and Non Use Agreement”.
Non Compete Agreement – Divieto di concorrenza
Altra situazione delicata è quella il cui una Parte condivida elenchi di clienti o di agenti o di fornitori o altre informazioni commerciali sensibili.
In questo caso oltre alle obbligazioni di riservatezza e di non utilizzo al di fuori di quanto previsto nel NDA, è bene prevedere espressamente clausole di Non Concorrenza.
Ad esempio, se viene condiviso un elenco di agenti o di fornitori, l’accordo può prevedere un obbligo di astensione dal contattare direttamente certi soggetti individuati negli elenchi condivisi (questo patto è anche noto come “Non Circumvention Agreement”).
La Durata dell’obbligo di riservatezza
La funzione del NDA è proteggere le Informazioni Riservate per tutto il tempo necessario alla loro condivisione tra le Parti.
È bene, quindi, che sia indicato in modo chiaro qual è il momento finale della condivisione e – nel caso in cui la Receiving Party sia in possesso di copia delle Informazioni Riservate – prevedere l’obbligo di restituzione o distruzione dei documenti.
E’ anche fondamentale indicare per quanto tempo la Receiving Party sia tenuta a mantenere la riservatezza e non utilizzare le Informazioni dopo il periodo necessario al loro esame, ad esempio 24 mesi.
NDA – Inadempimenti
Provare e quantificare i danni derivanti una violazione dell’obbligo di riservatezza è generalmente molto complesso, perché si traduce in vantaggio / danno intangibile, come ad esempio la possibilità di sviluppare un certo prodotto concorrente in tempi rapidi proprio grazie alle Informazioni apprese.
Può essere allora utile prevedere una clausola penale, che predetermini in una certa somma il danno derivante dall’inadempimento contrattuale.
A tal fine è importante considerare che la quantificazione della penale deve essere ragionevole in relazione al danno che si presume possa scaturire dalla violazione della segretezza o dall’utilizzo delle Informazioni.
E’ consigliabile prevedere diversi importi a titolo di penale in relazione a diverse ipotesi di inadempimento (ad esempio, la registrazione o la contraffazione di un brevetto utilizzando le informazioni tecniche condivise, oppure il contatto con certi partner commerciali).
In ogni caso, prima di inserire clausole penali è opportuno valutare cosa preveda la legge applicabile all’accordo per la validità di questo patto, in particolare per la quantificazione massima della penale (si veda il punto successivo).
Il rischio, se non si conosce la legge applicabile all’accordo di non riservatezza, è che in caso di contenzioso il Giudice ritenga la clausola invalida o che la penale sia di importo eccessivo in relazione all’inadempimento e quindi la riduca ad una somma equa.
Oppure, al contrario, una parte possa essere condannata al pagamento di una penale addirittura superiore al valore del contratto (è il caso di una recente decisione della Suprema Corte Russa).
La clausola penale, infine, può essere anche utilizzata in modo tattico. Se in sede di negoziato la Receiving Party si oppone fermamente all’inserimento della penale o ne chiede la riduzione ciò può essere un indizio di una riserva mentale di inadempimento.
NDA template e Smart Contract
E’ molto agevole, oggi, procurarsi un modello di NDA: template o standard possono essere reperiti gratuitamente su vari siti come bozze generiche da completare, o essere costruiti online rispondendo ad una serie di domande per personalizzare il contratto per il caso specifico.
Il mio consiglio è di procedere con grande attenzione: per i motivi che spiego in questo post, il NDA è un accordo che deve essere redatto con grande attenzione e con l’aiuto di un consulente esperto.
Un buon modello (template) di NDA può essere una base di partenza utile, dopo di che una revisione di un esperto è un passaggio fondamentale, soprattutto per verificare che il contenuto del NDA sia conforme a quanto prevede la legge che si applica all’accordo e che le modalità di risoluzione delle controversie previste siano efficaci.
Legge applicabile e foro competente
Una cattiva abitudine è anche quella di relegare le clausole su legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie alla fine dell’accordo (tanto che vengono definite “Midnight Clauses”, per un approfondimento si veda questo post su Legalmondo) e di non prestare particolare attenzione al loro contenuto.
Ciò porta spesso alla previsione di clausole del tutto sbagliate (o addirittura nulle) che in caso di contenzioso vanificano la possibilità di ottenere tutela in giudizio.
La clausola che prevede la legge applicabile e la giurisdizione è fondamentale, perché da essa dipende la possibilità di far rispettare l’accordo e/o di ottenere un provvedimento giudiziario che possa essere eseguito in modo rapido ed efficace.
La questione è molto delicata perché non esiste una soluzione valida per tutti i casi e occorre considerare le specificità del singolo accordo di riservatezza.
Ci sono le Parti e dove hanno sede? Quali sono le informazioni riservate e dove possono essere utilizzate? Cosa prevede la legge del paese in cui ha sede la controparte? La modalità di risoluzione delle controversie più efficace deve essere individuata dando risposta a queste domande.
Facciamo un esempio: in un NDA con una controparte cinese è spesso controproducente scegliere di applicare la giurisdizione e la legge italiana, visto che in caso di inadempimento è solitamente necessario agire rapidamente in Cina (anche in via d’urgenza) e non presso un giudice italiano. In tal caso è consigliabile redigere il NDA con testo bilingue inglese/cinese e prevedere un arbitrato in Cina, applicando la legge cinese.
NDA in inglese, cinese o doppia lingua
Accade spesso che il modello di NDA venga proposto dalla controparte straniera e sia in inglese, o in doppia lingua (es. inglese e cinese).
E’ anche frequente che sia la parte italiana che richieda che i contratti internazionali siano in doppia lingua: ad esempio italiano e inglese o spagnolo.
In alcuni casi, per fortuna eccezionali, ho anche visto contratti in 3 lingue: italiano, inglese e cinese.
Ciò si verifica di solito perché, nonostante l’inglese sia la lingua franca del commercio internazionale, le parti sono più a loro agio nel negoziare e firmare un accordo che sia anche nella loro lingua.
La previsione di una seconda lingua può poi essere importante per essere certi che non vi siano fraintendimenti sul contenuto dell’accordo (una parte cinese non potrà invocare di non aver compreso il significato di un patto in inglese, se è disponibile una versione anche in cinese).
Infine, se necessario, una versione bilingue è immediatamente ed agevolmente utilizzabile in caso di azione legale, per rimanere sullo stesso esempio, davanti ad un giudice cinese, senza che sia necessario procedere a traduzioni (non sempre di buona qualità) nel corso del giudizio.
Qualche consiglio pratico:
- se non si conosce la seconda lingua del NDA, verificare sempre che il contenuto sia completo e conforme a quello della prima (accade spesso che nei vari passaggi di negoziato di un accordo qualcuno si dimentichi di riportare una modifica nell’altra lingua)
- se possibile richiedere una revisione del testo anche da parte di un legale madrelingua, per escludere l’utilizzo di termini impropri o non corretti
- stabilire quale versione prevale in caso di incongruenze tra una lingua e l’altra
In conclusione
Il NDA – Accordo di riservatezza è un contratto che spesso è concluso in modo frettoloso, sottovalutandone l’importanza e la complessità.
Il mio consiglio è di evitare il fai da te e affidarsi ad un legale specializzato, che sappia negoziare e redigere il NDA tenendo conto di tutte le particolarità del caso (tipo di negoziato, informazioni riservate condivise, sede delle parti e paesi in cui andrà eseguito il NDA, contenuto della legge straniera eventualmente applicabile, modalità di risoluzione delle controversie più conveniente, etc.).
Possiamo aiutarti?
Legalmondo offre la possibilità di lavorare online con un avvocato specializzato per redigere il tuo NDA, revisionare il contratto proposto dalla controparte o negoziare un NDA con partner italiani o stranieri.
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Dopo una lunga attesa dei fornitori di prodotti di marca, dei distributori al dettaglio di negozi fisici, dei rivenditori via internet, incluse piattaforme come Amazon, eBay, Zalando, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha appena deciso (6 dicembre 2017) – nella decisione già ribattezzata di “San Niccolò” – che i fornitori di beni di lusso possono legittimamente proibire vendite tramite piattaforme di terze parti.
In un precedente post di Legalmondo (“the Coty Case”, in lingua inglese) avevamo analizzato la vertenza appena decisa dai giudici europei. Secondo la CGUE, tale divieto di usare piattaforme non costituisce necessariamente una restrizione illegittima della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”): la Corte ha confermato il fatto che i sistemi di distribuzione selettiva per beni di lusso, volti primariamente a preservare l’immagine di lusso dei prodotti, possono essere ritenuti compatibili con le limitazioni comunitarie in tema di accordi verticali.
Più specificamente, la Corte ha deciso che le limitazioni alla rivendita dei beni attraverso piattaforme online sono legittime perché il diritto europeo permette la restrizione alle vendite online grazie a
“una clausola contrattuale, come quella di cui trattasi, che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo Internet dei prodotti interessati, qualora siano rispettate le seguenti condizioni: (i) tale clausola deve essere diretta a salvaguardare l’immagine di lusso dei prodotti interessati, (ii) deve essere stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio e (iii) deve essere proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito. Spetterà all’Oberlandesgericht verificare se ciò avvenga nel caso di specie.”
(cfr. la rassegna stampa della CGUE No. 132/2017 e il testo completo della decisone).
Spetta ora alla Corte d’Appello di Francoforte applicare tali requisiti al caso Coty.
La storia del caso Coty è estremamente interessante: la filiale tedesca del fornitore di profumi di lusso Coty, la Coty Germany GmbH (“Coty”) ha creato una rete di distribuzione selettiva per la quale i suoi distributori possono effettuare vendite via internet, ma è loro proibito di vendere tramite piattaforme di terze parti, le quali appaiano tali anche dall’esterno, come ad esempio Amazon, eBay, Zalando etc. La corte di primo grado aveva deciso che l’imposizione di tale divieto di vendere tramite piattaforme di terze parti costituisse un’illegittima restrizione della concorrenza. La Corte di secondo grado, invece, non aveva ravvisato una risposta altrettanto chiara e aveva chiesto alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi sull’interpretazione della normativa europea antitrust e, più specificamente, dell’art. 101 TFUE e dell’art. 4 lett. b e c del regolamento generale di esenzione per categoria per gli accordi verticali o “VBER” (decisione del 19.04.2016, per dettagli, si veda il post precedente “eCommerce: restrizioni per i distributori in Germania”). Il 30 marzo 2017 ha avuto luogo l’udienza dinnanzi alla CGUE. In tale sede Coty ha difeso il proprio divieto di vendere su piattaforme terze, sostenendo che lo stesso è volto a proteggere l’immagine di lusso di marchi come Marc Jacobs, Calvin Klein o Chloé. Il distributore Parfümerie Akzente GmbH, viceversa, sosteneva che piattaforme conosciute come Amazon e eBay già vendessero prodotti di marca, (ad es: L’Oréal) e di conseguenza non v’era motivo, per Coty, di proibire la rivendita tramite tali piattaforme. Inoltre, ha sostenuto Parfümerie Akzente, le piattaforme online sono importanti per le piccole e le medie imprese. Possibili indicazioni su come la Corte avrebbe potuto decidere sono apparse il 26 luglio 2017, allorché l’Avvocato Generale ha fornito le proprie conclusioni, concludendo che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile, purché “tale clausola contrattuale sia condizionata dalla natura del prodotto, se essa sia stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e se essa non vada oltre il necessario” (paragrafo 122 delle conclusioni dell’Avvocato Generale; vedi il post precedente “Distribuzione online – Divieti di vendite su piattaforme online nella distribuzione selettiva (il caso Coty perdura)”).
Conclusioni pratiche
- Questa sentenza del 6 dicembre 2017 è molto importante per tutti i fornitori di prodotti di marca, per distributori al dettaglio in negozi fisici, per i rivenditori via internet e per i fornitori di piattaforme online, in quanto chiarisce che i fornitori di prodotti di marca possono vietare le vendite tramite piattaforme di terze parti (Amazon, eBay, Zalando & Co.) al fine di assicurare il medesimo livello di qualità della distribuzione su tutti i canali di distribuzione, sia offline che online.
- Un piccolo passo indietro: la Corte distrettuale di Amsterdam già il 4 ottobre 2017 aveva deciso che il divieto imposto da Nike ai propri distributori selettivi di usare piattaforme online costituiva un criterio di distribuzione legittimo al fine di salvaguardare l’immagine del marchio di lusso Nike (caso Nike European Operations Netherlands B.V. contro il rivenditore sito in Italia, Action Sport Soc. Coop, A.R.L., fasc. n. C/13/615474 / HA ZA 16-959).
- Il divieto generale di usare strumenti di comparazione di prezzi, così come stipulato dal fornitore di articoli sportivi Asics nel proprio “Distribution System 1.0“, dovrebbe invece essere anticoncorrenziale – ciò secondo il Bundeskartellamt e come confermato dalla Corte d’Appello di Düsseldorf il 5 aprile 2017. L’ultima parola, tuttavia, non è stata ancora detta – vedi il post “Distribuzione online – Nullo il divieto di strumenti di comparazione di prezzi?”. Sarà interessante vedere come la conclusione del caso Coty influenzerà tali strumenti di comparazione di prezzi.
- Per ulteriori evoluzioni della distribuzione online, si veda la Relazione finale sull’indagine conoscitiva sull’E-commerce della Commissione UE e i dettagli nel Documento di lavoro, „Relazione finale sull’indagine conoscitiva sul settore E-commerce“.
- Per dettagli sulle reti di distribuzione e sulla distribuzione online, consulta i miei articoli:
- “Internetvertrieb in der EU 2018 ff. – Online-Vertriebsvorgaben von Asics über BMW bis Coty”, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht2017, 274-281; e
- „Plattformverbote im Selektivvertrieb – der EuGH-Vorlagebeschluss des OLG Frankfurt vom 19.4.2016“, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht 2016,278–283.
Il caso Coty è estremamente rilevante per la distribuzione in Europa perché più del 70% degli oggetti di lusso del mondo sono venduti qui, e molti di essi vengono venduti online. Per maggiori implicazioni sulle reti di distribuzione esistenti e future e sui rispettivi accordi, restate in contatto, continueremo ad aggiornarvi su Legalmondo!
Based on our experience in many years advising and representing companies in the commercial distribution (in Spanish jurisdiction but with foreign manufacturers or distributors), the following are the six key essential elements for manufacturers (suppliers) and retailers (distributors) when establishing a distribution relationship.
These ideas are relevant when companies intend to start their commercial relationship but they should not be neglected and verified even when there are already existing contacts.
The signature of the contract
Although it could seem obvious, the signature of a distribution agreement is less common than it might seem. It often happens that along the extended relationship, the corporate structures change and what once was signed with an entity, has not been renewed, adapted, modified or replaced when the situation has been transformed. It is very convenient to have well documented the relationship at every moment of its existence and to be sure that what has been covered legally is also enforceable y the day-to-day commercial relationship. It is advisable this work to be carried out by legal specialists closely with the commercial department of the company. Perfectly drafted clauses from a legal standpoint will be useless if overtaken or not understood by the day-to-day activity. And, of course, no contract is signed as a “mere formality” and then modified by verbal agreements or practices.
The proper choice of contract
If the signature of the distribution contract is important, the choice of the correct type is essential. Many of the conflicts that occur, especially in long-term relationships, begin with the interpretation of the type of relationship that has been signed. Even with a written text (and with an express title), the intention of the parties remains often unclear (and so the agreement). Is the “distributor” really so? Does he buy and resell or there are only sporadic supply relationships? Is there just a representative activity (ie, the distributor is actually an “agent“)? Is there a mixed relationship (sometimes represents, sometimes buys and resells)? The list could continue indefinitely. Even in many of the relationships that currently exist I am sure that the interpretation given by the Supplier and the Distributor could be different.
Monitoring of legal and business relations
If it is quite frequent not to have a clear written contract, it happens in almost all the distribution relationships than once the agreement has been signed, the day-to-day commercial activity modifies what has been agreed. Why commercial relations seem to neglect what has been written in an agreement? It is quite frequent contracts in which certain obligations for distributors are included (reporting on the market, customers, minimum purchases), but which in practice are not respected (it seems complicated, there is a good relationship between the parties, and nobody remembers what was agreed by people no longer working at the company…). However, it is also quite frequent to try to use these (real?) defaults later on when the relationship starts having problems. At that moment, parties try to hide behind these violations to terminate the contracts although these practices were, in a sort of way, accepted as a new procedure. Of course no agreement can last forever and for that reason is highly recommendable a joint and periodical monitoring between the legal adviser (preferably an independent one with the support of the general managers) and the commercial department to take into account new practices and to have a provision in the contractual documents.
Evidences about customers
In distribution contracts, evidences about customers will be essential in case of termination. Parties (mainly the supplier) are quite interested in showing evidences on who (supplier or distributor) procured the customers. Are they a result of the distributor activity or are they obtained as a consequence of the reputation of the trademark? Evidences on customers could simplify or even avoid future conflicts. The importance of the clientele and its possible future activity will be a key element to define the compensation to which the distributor will pretend to be eligible.
Evidences on purchases and sales
Another essential element and quite often forgotten is the justification of purchases to the supplier and subsequent sales by distributors. In any distribution agreement distributors acquire the products and resell them to the final customers. A future compensation to the distributor will consider the difference between the purchase prices and resale prices (the margin). It is therefore advisable to be able to establish the correspondent evidence on such information in order to better prepare a possible claim.
Damages in case of termination of contracts
Similarly, it would be convenient to justify what damages have been suffered as a result of the termination of a contract: has the distributor made investments by indication of the supplier that are still to be amortized? Has the distributor hired new employees for a line of business that have to be dismissed because of the termination of the contract (costs of compensation)? Has the distributor rented new premises signing long-term contracts due to the expectations on the agreement? Please, take into account that the Distributor is an independent trader and, as such, he assumes the risks of his activity. But to the extent he is acting on a distribution network he shall be subject to the directions, suggestions and expectations created by the supplier. These may be relevant to later determine the damages caused by the termination of the contract.
Scrivi a Fare affari all’estero: avvocato straniero o italiano?
Il contratto di distribuzione commerciale in Cina
8 Settembre 2021
- Cina
- Commercio internazionale
- Contratti
- Distribuzione
- Marchi e brevetti
“Può aiutami, avvocato”?
(Ovviamente è urgente).
“Mi mette in contatto con un legale in [Paese straniero]? Poi ci pensiamo noi.”
Lo faccio volentieri, ci mancherebbe.
Specie se posso mettere il cliente in contatto con un avvocato esperto di Legalmondo.
Lavorare direttamente con un legale all’estero, però, comporta una serie di complessità che vengono regolarmente sottovalutate dal cliente.
Le principali sono le seguenti
- identificare il legale giusto, che sia specializzato e abbia una specifica esperienza nella materia di interesse dell’azienda
- la difficoltà di dialogare in una lingua che solitamente è straniera sia per il cliente, sia per il legale all’estero
- comprendere le tematiche giuridiche oggetto dell’incarico, molto spesso regolate da una legge diversa da quella italiana
- concordare i termini dell’incarico professionale e monitorare l’andamento delle spese, specie se si tratta di attività lunghe e complesse, in paesi nei quali i costi legali sono molto alti
Nel caso di contenziosi
- individuare i fatti importanti e i documenti necessari
- definire la strategia di causa, valutare la possibilità di una definizione amichevole della vertenza e ragionare sulle possibili soluzioni alternative in base agli interessi delle parti
- gestire istruzioni e comunicazioni al legale in tempi molto stretti e lavorando in fusi orari diversi
Nel caso di negoziati commerciali
- condividere interessi e obiettivi della trattativa
- preparare e partecipare a call conference frequenti ed impegnative
- seguire le varie fasi delle revisioni dei testi contrattuali
Se si tratta di operazioni straordinarie
- impostare l’attività e condividerla con i legali delle controparti
- allineare le risorse aziendali e i vari professionisti coinvolti per assistere il cliente
- coordinare le diverse fasi dell’attività
Tutti passaggi nei quali il legale italiano, se è specializzato nella materia ed ha esperienza nell’assistere la clientela all’estero, può essere di grande aiuto, diventando l’interfaccia tra il cliente e i vari professionisti coinvolti nell’attività, su entrambi i lati.
È una risorsa preziosa, che consente di impostare il lavoro in modo chiaro, dialogare e ottenere risposte in tempi rapidi, assicurarsi che le informazioni, anche complesse, vengano riportate e comprese in modo corretto.
Esperienza, facilità di dialogo e rapporto di fiducia
Infine, è importante valorizzare la possibilità di confronto diretto con una persona di fiducia, esperta e che conosce l’imprenditore e l’azienda, cosa che generalmente non è possibile lavorando direttamente con uno studio all’estero, specie se di grandi dimensioni.
Il risultato è generalmente quello di lavorare in modo più consapevole, rapido, ordinato ed efficace, il che si traduce generalmente in un risparmio di tempo e denaro.
Prima di lavorare direttamente con un legale in Costa Rica, Macedonia o USA, è bene considerare l’importanza e il valore dell’incarico e pensare al legale italiano come una risorsa, non come un costo aggiuntivo.
Riassunto
Il contratto quadro di fornitura è un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore) che si svolgono nel corso di un certo arco temporale. Questo accordo determina gli elementi principali dei futuri contratti come il prezzo, i volumi di prodotto, i termini di consegna, le specifiche tecniche o di qualità e la durata dell’accordo.
Il contratto quadro è utile per assicurare la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare l’attività industriale o commerciale. Mentre le condizioni generali di acquisto o vendita sono le regole che si applicano a tutti i fornitori o clienti della società. Il contratto quadro è consigliabile concluderlo con i fornitori essenziali per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
Di cosa parlo in questo articolo:
- Che cosa è il contratto quadro di fornitura?
- Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
- La differenza con le condizioni generali di vendita o acquisto
- Quando concludere un contratto quadro di acquisto?
- Quando è utile concludere un contratto quadro di vendita?
- Il contenuto del contratto quadro di fornitura
- Clausola di revisione dei prezzi ed eccessiva onerosità sopravvenuta
- I termini di consegna nel contratto quadro di fornitura
- La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
- Vendita internazionale: legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Che cos’è il contratto quadro di fornitura?
Si tratta di un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore), che si svolgono nel corso di un certo arco temporale.
Si parla dunque di contratto “quadro” (framework agreement, in inglese) perché è un accordo che stabilisce le regole di una futura serie di contratti di compravendita, determinandone gli elementi principali, come il prezzo, i volumi di prodotto che si prevedono di vendere e acquistare, i termini di consegna dei prodotti, le specifiche tecniche o di qualità, la durata dell’accordo.
Dopo avere concluso il contratto quadro le Parti si limiteranno a scambiarsi gli ordinativi e le conferme d’ordine, concludendo una serie di autonomi contratti di vendita, senza dover ridiscutere i patti già definiti nell’accordo quadro.
A seconda dei punti di vista, questo contratto è anche denominato contratto quadro di vendita (se lo utilizza il venditore/fornitore con i propri clienti) o contratto quadro di acquisto (se lo propone il cliente ai suoi fornitori).
Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
È utile prevedere un contratto quadro in tutti i casi in cui le Parti intendono procedere ad una serie di acquisti / vendite di prodotti continuata nel tempo e hanno interesse a dare stabilità all’accordo commerciale, determinandone gli elementi principali.
In particolare, l’accordo quadro di acquisto è utile all’impresa che vuole assicurarsi la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare la sua attività industriale o commerciale (materie prime, semilavorati, componenti).
Concludendo il contratto quadro l’impresa può ottenere, ad esempio, un impegno del fornitore a fornire un certo volume minimo di prodotti, ad un certo prezzo, con modalità e specifiche tecniche già condivise, per un certo periodo temporale.
Questo accordo è utile anche, specularmente, al venditore/fornitore, che può programmare le vendite del periodo e organizzare, a sua volta, la catena di fornitura che gli consente l’approvvigionamento delle materie prime e dei componenti necessari alla produzione dei prodotti.
Qual è la differenza tra contratto quadro di acquisto o vendita e condizioni generali?
Mentre Il contratto quadro è un accordo che si utilizza con uno o più fornitori particolari, per un certo prodotto e per un certo arco temporale, determinando gli elementi essenziali dei futuri contratti, le condizioni generali di acquisto (o vendita) sono le regole che si applicano a tutti i fornitori (o clienti) della società.
Il primo accordo, dunque, viene negoziato e definito caso per caso in relazione ad un rapporto commerciale con un certo fornitore, mentre le condizioni generali sono predisposte unilateralmente dall’impresa, e i clienti o i fornitori (a seconda che si tratti di condizioni di vendita o di acquisto) si limitano ad aderire e ad accettare che le condizioni generali si applichino al singolo ordine e/o ai futuri contratti.
Può accadere che i due accordi coesistano: in tal caso è bene specificare quale contratto debba prevalere in caso di discrepanza tra le diverse previsioni (solitamente si prevede questa gerarchia, che va dallo speciale al generale: ordine – conferma d’ordine / contratto quadro / condizioni generali di acquisto).
Quando è importante concludere un contratto quadro di acquisto?
È consigliabile concludere un contratto quadro con il fornitore / i fornitori essenziale / i per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
È particolarmente importante concludere questo accordo quando si ha a che fare con un mono-fornitore o con un fornitore che sarebbe molto difficile sostituire se cessasse di vendere i prodotti all’impresa acquirente.
I rischi che si mira ad evitare o diminuire sono le cosiddette rotture di stock, ossia le interruzioni di fornitura per la mancanza della disponibilità dei prodotti da parte del fornitore, o perché i prodotti sono disponibili ma le parti non trovano l’accordo sui tempi di consegna o sul prezzo di vendita.
Un altro risultato che si può conseguire è quello di vincolare un fornitore strategico per un certo periodo, concordando che riservi una certa quota della produzione a favore del compratore a condizioni predeterminate evitando, per la durata dell’accordo, la concorrenza con offerte di terzi interessati ai prodotti.
Quando è importante concludere un contratto quadro di vendita?
Questo accordo consente al venditore / fornitore di pianificare le vendite verso un certo cliente e quindi di programmare ed organizzare la propria capacità produttiva e logistica per il periodo concordato, evitando costi extra o ritardi.
Pianificare le vendite consente anche di gestire correttamente le incombenze finanziarie e i flussi di cassa con una visione di medio termine, armonizzando gli impegni e gli investimenti con le vendite ai propri clienti.
Qual è il contenuto del contratto quadro di fornitura?
Non esiste un modello standard di questo contratto, che è nato dalla prassi commerciale per rispondere alle esigenze indicate in precedenza.
Generalmente l’accordo prevede un arco temporale determinato (ad esempio 12 mesi) nel quale le parti si impegnano a concludere una serie di compravendite di prodotti, determinando il prezzo e le modalità di fornitura e i principali patti dei futuri contratti di vendita.
Le clausole più importanti sono:
- l’identificazione dei prodotti e delle specifiche tecniche (spesso individuate in un allegato)
- il volume minimo / massimo di forniture
- l’eventuale obbligo di acquisto / vendita di un minimo-massimo volume di prodotti
- il calendario degli ordinativi
- i tempi di consegna
- la determinazione del prezzo e le condizioni per la sua eventuale modifica (si veda anche il prossimo paragrafo)
- i casi di impedimento alla prestazione (Forza Maggiore)
- i casi di eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship)
- le penali per il ritardo o per l’inadempimento o per il mancato raggiungimento dei volumi concordati
- la gerarchia tra il contratto quadro e gli ordinativi ed eventuali altri contratti tra le parti
- la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie (specialmente in contratti internazionali)
Come gestire la revisione dei prezzi in un contratto di fornitura?
Una clausola molto importante, specie in tempi di forti oscillazioni dei prezzi delle materie prime, dei trasporti e dell’energia, è quella relativa alla revisione dei prezzi.
In mancanza di un accordo su questo tema, infatti, le parti si accollano il rischio dell’aumento del prezzo impegnandosi a rispettare le condizioni originariamente pattuite e, salvi casi eccezionali (in cui la fluttuazione è forte, interessa un arco temporale ristretto ed è causata da eventi imprevedibili), è molto difficile poter invocare la sopravvenuta eccessiva onerosità, che consente di rinegoziare il prezzo oppure di risolvere il contratto.
È consigliabile, per evitare l’incertezza che si genera in caso di fluttuazioni dei prezzi, concordare nel contratto sia i meccanismi per la revisione del prezzo (ad esempio l’indicizzazione automatica seguendo la quotazione di una certa materia prima), sia la cosiddetta clausola di Hardship o Sopravvenuta Eccessiva Onerosità, stabilendo quali sono i limiti di oscillazione dei prezzi accettati dalle parti e cosa accade se le variazioni oltrepassano questi limiti, prevedendo l’obbligo di rinegoziare il prezzo, o lo scioglimento del contratto se non viene trovato l’accordo entro un certo termine.
Come gestire i termini di consegna in un rapporto di fornitura?
Un altro patto chiave in un rapporto di fornitura di medio / lungo termine riguarda i termini di consegna: in questo caso occorre conciliare l’interesse dell’acquirente al rispetto delle date convenute con quello del fornitore ad evitare richieste di danni in caso di ritardo, soprattutto in caso di vendite che richiedano trasporti intercontinentali.
La prima cosa da chiarire in proposito riguarda la natura dei termini di consegna: si tratta di termini essenziali oppure indicativi? Nel primo caso la parte interessata ha diritto a risolvere (ossia sciogliere) il contratto in caso di mancato rispetto del termine, nel secondo invece si possono prevedere oneri di diligenza, di informazione e di notifica tempestiva dei ritardi, mentre la risoluzione non è un rimedio che può essere automaticamente azionato in caso di ritardo.
Uno strumento utile, a questo proposito, è quello della clausola penale: con questo patto si concorda che per ogni giorno / settimana / mese di ritardo sia dovuta una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno a favore della parte danneggiata dal ritardo.
La penale, se quantificata in modo corretto e non eccessivo, è utile per entrambe le parti, perché consente di predeterminare i danni che possono essere invocati per il ritardo, liquidandoli in una somma equa e determinata: di conseguenza, il venditore non è esposto a domande di risarcimento legate a fattori fuori dal suo controllo, mentre il compratore può agevolmente calcolare l’indennizzo legato al ritardo, senza necessità di altre prove.
Lo stesso meccanismo, tra l’altro, si può adottare per disciplinare il ritardo del compratore nel prendere in consegna i beni messi a disposizione dal venditore.
Occorre tenere a mente, infine, che è buona prassi specificare il tetto massimo della penale (ad esempio il 10% del prezzo del prodotto) e un periodo massimo di tolleranza del ritardo, oltre il quale la parte interessata ha diritto di sciogliere il contratto, trattenendo la penale.
La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
Una situazione che viene spesso confusa con l’eccessiva onerosità, ma in realtà è molto diversa, è quella relativa alla Forza Maggiore, ossia alla impossibilità sopravvenuta di adempiere all’obbligazione contrattuale, a causa di un evento fuori dal ragionevole controllo della parte colpita, che non avrebbe potuto ragionevolmente essere previsto e i cui effetti non possano essere superati con un ragionevole sforzo.
La funzione di questa clausola è quella di stabilire in modo chiaro quando le parti ritengono che possa essere invocata la Forza Maggiore, quali eventi specifici vengono compresi (ad esempio un lock-down dello stabilimento produttivo per ordine dell’autorità) e quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle parti (ad esempio la sospensione dell’obbligazione per un certo periodo, finché dura la causa di impossibilità ad adempiere, oltre il quale è possibile che la parte interessata all’adempimento dichiari di voler sciogliere il contratto).
Occorre prestare grande attenzione alla redazione di questa clausola, perché se la formulazione è generica (come spesso accade) il rischio è che sia di poca utilità; è bene verificare, inoltre, che la regolamentazione della forza maggiore sia conforme a quanto prevedere la legge applicabile al contratto (v. punto successivo – qui un approfondimento con indicazione del regime previsto da 42 leggi nazionali).
Legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Se il cliente o il fornitore ha sede all’estero occorre tenere presente alcune importanti differenze: la prima è la lingua del contratto, che deve essere comprensibile alla controparte straniera, e sarà quindi solitamente in inglese, o in un’altra lingua comune alle parti, eventualmente anche in doppia lingua con testo a fronte.
La seconda questione da tenere a mente riguarda la legge applicabile, che è bene sia espressamente indicata nel contratto: l’argomento è molto vasto e in questa sede ci limitiamo a dire che la decisione sulla legge applicabile va presa caso per caso, in modo consapevole: non sempre, infatti, è utile richiamare l’applicazione della legge italiana.
Va poi ricordato che nella maggioranza dei contratti di vendita internazionale si applica la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (“CISG”), che è una legge comune alle parti del contratto, equilibrata, molto chiara e facile da consultare: la CISG si applica automaticamente ed è bene non escluderla.
Infine, in un contratto quadro di fornitura internazionale è consigliabile prestare attenzione all’individuazione delle modalità di risoluzione delle controversie: non esiste una soluzione che vada bene per tutti i contratti, ci limitiamo a ricordare che, anche in questo caso, non sempre la scelta della giurisdizione italiana è quella giusta (anzi, spesso può rivelarsi controproducente): chi fosse interessato ad un approfondimento può leggere questo articolo sul blog di Legalmondo.
Riassunto
Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina?
Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.
Di cosa parlo in questo articolo:
- La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
- La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione
- Il contratto di vendita internazionale in Cina
- Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
- L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese
- Il patto di non concorrenza
- La distribuzione Omnichannel
- Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
- Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
- Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
- Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto
- La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
- Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)
Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina?
Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina.
Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.
Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.
Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.
Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali.
Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6).
Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti.
Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali, solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.
La forma del contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici.
È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.
Il contratto di vendita internazionale in Cina
Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).
Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.
Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”).
Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.
Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.
Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.
Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci.
E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere.
L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.
Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA)
Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari.
Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.
Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.
Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi, che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.
Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.
Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.
Accordi di distribuzione esclusiva in Cina
Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore?
Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.
Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.
Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato.
Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto.
I patti sui minimi di fatturato, specie in relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.
Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori.
Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina
Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore.
È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto.
Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.
Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto, motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.
La Distribuzione Omnichannel in Cina
Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B.
Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.
Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue
Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva.
Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.
La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi.
Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.
Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina
Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.
Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate.
Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina
Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore.
Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza.
Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.
Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.
La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).
E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto.
Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale.
La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni).
Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore, dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.
È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.
Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso.
Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione
Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio.
Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale.
Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina
Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.
Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.
Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.
Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina
Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero.
Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale.
La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato.
Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi). Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.
Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.
Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.
Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.
I vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.
Riassunto – Quando l’emergenza Coronavirus può essere invocata come evento di Forza Maggiore per escludere la responsabilità contrattuale e il risarcimento dei danni? Quali sono gli effetti nella supply chain internazionale del mancato adempimento di un’impresa cinese ai propri obblighi di fornitura o di acquisto di materie prime, componenti o prodotti? Quali comportamenti deve adottare l’imprenditore straniero per limitare i rischi derivanti dall’interruzione di forniture o acquisti nella catena di fornitura?
Argomenti trattati
- L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
- Cos’è la Forza Maggiore (Force Majeure)?
- La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
- Cos’è l’Hardship?
- Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
- Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
- Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Come limitare i rischi nella supply chain?
L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
Il Coronavirus / Covid 19 ha creato in Cina una terribile emergenza sanitaria e sociale, che ha reso necessarie eccezionali misure di ordine pubblico per il contenimento del virus, come la quarantena, divieti di viaggio, la sospensione di eventi pubblici e privati e la chiusura di stabilimenti industriali e attività commerciali per un certo periodo di tempo.
Una volta autorizzata la riapertura degli stabilimenti, il ritorno alla normalità è stato fortemente rallentato poiché molti lavoratori, che si erano spostati in altre zone della Cina per le festività del capodanno lunare, non sono rientrati sul posto di lavoro.
I dati oggi disponibili sulla riapertura delle fabbriche e sul numero del personale presente non sono univoci ed è legittimo dubitare della loro attendibilità, quindi non si può prevedere quando l’emergenza potrà definirsi conclusa e se e come le imprese cinesi riusciranno a colmare i ritardi e il gap di produzione che si è creato.
Di certo è molto probabile che nei prossimi mesi l’imprenditore straniero si veda eccepire dalla propria controparte cinese l’impossibilità di adempiere al contratto, motivata con il Coronavirus.
Per comprendere la dimensione del problema, basti considerare che nel solo mese di Febbraio 2020 il China Council for the Promotion of International Trade (la Camera di Commercio cinese che ha il compito di promuovere il commercio internazionale) ha già rilasciato a favore di imprese cinesi che ne hanno fatto richiesta 3.325 certificati attestanti l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali a causa dell’epidemia Coronavirus, per un valore totale di oltre 270 miliardi di yuan (US$38.4 bln), secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua.
Quali rischi pone questa situazione per l’imprenditore straniero e quali ricadute può avere oltre i confini cinesi?
I rischi sono molti e i potenziali danni ingenti: la Cina è la fabbrica del mondo e vale oggi circa il 15% del PIL mondiale, quindi è difficile che una filiera produttiva in qualsiasi settore industriale non coinvolga una o più imprese cinesi come fornitori di materie prime, semi-lavorati o componenti (nel caso dell’Italia i settori più integrati con catene di fornitura in Cina sono automotive, chimica, farmaceutica, tessile, elettronica e macchinari).
Il mancato adempimento del fornitore cinese può quindi comportare, a cascata, l’inadempimento dell’imprenditore straniero verso il cliente finale o verso il successivo anello della supply chain.
Il fatto che il contagio stia viaggiando rapidamente (al momento di pubblicazione di questo articolo la situazione è già critica in alcune regioni italiane e in Corea del Sud ed Iran e iniziano ad essere segnalati casi negli USA) inoltre, rende possibile che fermate di produzione e situazioni di quarantena simili a quelle descritte debbano essere adottate anche in regioni e settori industriali di altri paesi.
Semplificando il quadro, consideriamo il caso di un fornitore cinese (Parte A) che fornisce un componente o presta un servizio a favore dell’impresa straniera (Parte B), che a sua volta assembla (in Cina o all’estero) il componente in un prodotto finito o semilavorato, che poi viene rivenduto a terzi (Parte C).
Se la Parte A ritarda o non consegna i prodotti o servizi alla Parte B, questa rischia di trovarsi esposta al rischio di inadempimento verso la Parte C, e così via lungo la catena di forniture/acquisti.
Vediamo dunque come gestire il caso in cui la Parte A comunichi che è divenuto impossibile adempiere al contratto per motivi riconducibili all’emergenza Coronavirus, come un provvedimento amministrativo di chiusura dello stabilimento, la mancanza di personale in fabbrica alla riapertura, l’impossibilità di approvvigionarsi di certe materie prime o componenti, il blocco di certi servizi logistici, etc.
Nel commercio internazionale questa situazione, ossia l’esonero dalla responsabilità per il mancato adempimento alla prestazione contrattuale, divenuta impossibile a causa di eventi sopravvenuti che sono al di fuori della sfera di controllo della Parte, è generalmente definita “Forza Maggiore” o “Force Majeure”.
Per capire quando è legittimo che un fornitore eccepisca l’impossibilità ad adempiere al contratto a causa del Coronavirus e quando invece questi comportamenti siano infondati o pretestuosi, occorre chiedersi quando la Parte A può invocare una situazione di Force Majeure e cosa può fare la Parte B per limitare i danni ed evitare di essere a sua volta considerata inadempiente verso la Parte C.
Cos’è la Forza Maggiore – Force Majeure?
Non esiste, a livello internazionale, un concetto unitario di Force Majeure, perché ogni ordinamento statale prevede una disciplina specifica.
Un riferimento utile è dato dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili (“CISG”), ratificata da 93 paesi (tra cui Italia, Cina, USA, Germania, Francia, Spagna, Australia, Giappone, Messico) e automaticamente applicabile alle vendite tra società con sede in diversi paesi contraenti, salvo espressa esclusione.
L’art. 79 della CISG, intitolato nella versione italiana “Cause di Esonero”, prevede che “Una parte non è responsabile dell’inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”.
Le caratteristiche della causa di esonero dalla responsabilità per inadempimento sono dunque la sua imprevedibilità, il fatto che sia al fuori della sfera di controllo della parte che lo subisce e l’impossibilità di evitarlo o di porre rimedio alle sue conseguenze compiendo ragionevoli sforzi.
Per stabilire, in concreto, se ricorrano i presupposti di un evento di Force Majeure, quali siano le sue conseguenze e quale comportamento debbano tenere le parti, occorre in primo luogo analizzare il contenuto della (eventuale) clausola di Force Majeure inserita nel contratto.
La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
Il modello di clausola di Force Majeure di riferimento nel commercio internazionale è quello predisposto dalla International Chamber of Commerce, la ICC Force Majeure Clause 2003, che prevede quali sono i requisiti che la parte che invoca la forza maggiore ha l’onere di provare (in sostanza sono quelli previsti dall’art. 79 della CISG) e indica una serie di eventi in cui si presume che tali requisiti ricorrano (tra i quali situazioni di guerra, embargo, atti di terrorismo, pirateria, calamità naturali, scioperi generali, provvedimenti delle autorità).
La ICC Force Majeure Clause 2003 indica poi anche quali siano i comportamenti da tenere da parte di chi invoca l’evento:
- Dare pronta notizia all’altra parte dell’impedimento;
- Nel caso in cui l’impedimento sia temporaneo, comunicare prontamente all’altra parte la sua cessazione;
- Fare tutto quanto ragionevolmente possibile per limitare gli effetti dell’evento sulla propria prestazione contrattuale;
- Nel caso in cui l’impossibilità della prestazione derivi dal mancato adempimento di un terzo (come nel caso di un subfornitore) fornire la prova che i presupposti della Force Majeure si applichino anche al terzo fornitore;
- Nel caso in cui l’evento comporti il venir meno dell’interesse alla prestazione, comunicare prontamente la decisione di risolvere il contratto;
- Nel caso di risoluzione del contratto, restituire la prestazione eventualmente ricevuta o una somma di valore equivalente.
Posto che le parti sono libere di inserire nel contratto ICC Force Majeure Clause 2003 oppure altra clausola di contenuto diverso, a fronte di una notifica di un evento di Forza Maggiore occorrerà dunque, come prima cosa, analizzare cosa preveda la clausola contrattuale nel caso specifico.
Il secondo passaggio (oppure il primo, nel caso in cui nel contratto non fosse presente una clausola di Force Majeure) sarà poi quello di verificare che cosa preveda la legge applicabile all’accordo contrattuale (ne parliamo in seguito).
Può anche accadere che l’evento invocato dalla parte inadempiente non comporti l’impossibilità della prestazione contrattuale, ma la renda eccessivamente onerosa: in questi casi non si può applicare il regime della Force Majeure, ma potrebbero ricorrere i presupposti della cosiddetta Hardship.
Cos’è l’Hardship?
L’Hardship (in italiano: eccessiva onerosità sopravvenuta) è un’altra clausola che ricorre spesso nei contratti internazionali di durata: essa disciplina i casi in cui, dopo la conclusione del contratto, la prestazione di una delle parti divenga eccessivamente onerosa o complicata a causa di fatti sopravvenuti, indipendenti dalla volontà della parte.
Il risultato di un evento di Hardship è quello di sbilanciare fortemente l’equilibrio del contratto a favore di una parte: esempi di scuola sono l’imprevedibile forte rialzo del prezzo di una materia prima, l’imposizione di dazi sull’importazione di un certo prodotto, l’oscillazione della valuta oltre un certo range concordato tra le parti.
A differenza della Force Majeure, dunque, nel caso di Hardship la prestazione è ancora realizzabile, ma è divenuta eccessivamente onerosa.
La clausola modello anche in questo caso è la ICC Hardship Clause 2003, che prevede che l’eccessiva onerosità sia conseguenza di un evento al di fuori della ragionevole sfera di controllo della parte, che non poteva essere preso in considerazione prima della conclusione dell’accordo e le cui conseguenze non possano essere ragionevolmente gestite.
La ICC Hardship Clause stabilisce cosa accade dopo che una parte abbia provato la ricorrenza di un evento di Hardship, ossia:
- L’obbligo delle parti, entro un termine ragionevole, di negoziare una soluzione alternativa per mitigare gli effetti dell’evento e riportare l’accordo in equilibrio (estensione del termine di consegna, revisione del prezzo, etc.);
- La risoluzione del contratto, nel caso in cui le parti non raggiungano un accordo alternativo per mitigare gli effetti dell’Hardship.
Anche nel caso in cui una parte eccepisca un evento di Hardship, come visto in precedenza per la Forza Maggiore, è necessario verificare se l’evento sia stato previsto nel contratto, quale sia il contenuto della clausola e/o cosa preveda la normativa applicabile all’accordo.
Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
Torniamo ora al caso visto all’inizio di questo articolo e cerchiamo di vedere come gestire il caso dell’inadempimento del fornitore all’interno di una supply chain internazionale, quando venga invocata l’emergenza del Coronavirus come causa di esonero della responsabilità.
Premettiamo che non esiste una risposta valida per tutti i casi, essendo necessario esaminare i fatti, gli accordi contrattuali tra le parti e la legge applicabile al contratto. Quello che possiamo fare è indicare il metodo che può essere utilizzato in questi casi, ossia rispondere alle seguenti domande:
- La situazione di fatto: qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- La parte che invoca la Force Majeure ha provato la sussistenza dei requisiti?
- Cosa prevede il Contratto (e/o le Condizioni Generali di contratto)?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle Parti?
Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
Come visto la situazione di forza maggiore è tale se la prestazione, dopo la conclusione del contratto, diviene impossibile per eventi imprevedibili, al di fuori del controllo della parte obbligata, le cui conseguenze non possano essere superate con uno sforzo ragionevole.
La prima verifica da fare è se l’evento per il quale la parte invoca la Force Majeure fosse o meno al di fuori del controllo della Parte e se fosse tale da rendere la prestazione impossibile (e non solo più complessa od onerosa) senza che la Parte potesse porvi rimedio.
Facciamo un esempio: nel contratto si prevede che la Parte A debba consegnare alla Parte B un prodotto o effettuare un servizio entro un certo termine essenziale (ossia tassativo, non derogabile), scaduto il quale non vi sarebbe più interesse di Parte B a ricevere la prestazione (pensiamo, ad esempio, alla consegna di alcuni materiali necessari per la costruzione di un’infrastruttura per le Olimpiadi).
Se la consegna non potesse avvenire perché lo stabilimento di Parte A è stato chiuso per provvedimento amministrativo o perché il personale di Parte A non può viaggiare e recarsi presso Parte B per effettuare il servizio di installazione, si potrebbe rientrare nel novero dei casi di Force Majeure.
Se invece la prestazione di Parte A restasse comunque possibile (ad esempio con spedizione dei prodotti da altro stabilimento sito in altra zona della Cina o in altro paese) e potesse essere realizzata, anche se a condizioni più onerose o in modo inesatto o incompleto, o in ritardo, non si potrebbe invocare la Force Majeure e andrebbe verificato se si sia, eventualmente, prodotta quell’eccessiva onerosità sopravvenuta che è il presupposto dell’Hardship, con le relative conseguenze.
Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
Il passo successivo è quello di determinare se il Fornitore / Parte A abbia fornito la prova dei fatti che sono il presupposto della Force Majeure, ossia di non aver potuto evitare la situazione né che fosse ragionevolmente possibile porvi rimedio.
A tal fine la sola produzione di un certificato del CCPIT attestante l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali, per i motivi spiegati in precedenza, non può considerarsi sufficiente a provare l’effettiva sussistenza, nel caso specifico, di una situazione di Force Majeure.
La verifica dei fatti dedotti e delle relative prove è particolarmente importante perché, nel caso in cui si ritenga sussistere una causa di esonero in capo alla Parte A, queste prove possono poi essere utilizzate dalla Parte B per documentare, a sua volta, di trovarsi nell’impossibilità di adempiere verso la Parte C, e così via lungo la catena di fornitura.
Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
Il passaggio successivo è quello di vedere se il contratto tra le parti, o le condizioni generali di vendita o acquisto (se esistenti e applicabili) prevedano, o meno, una clausola di Force Majeure e/o Hardship.
In caso positivo occorre verificare se l’evento denunciato dalla Parte che invoca la Force Majeure rientri o meno tra quelli previsti dalla clausola contrattuale.
Ad esempio, se l’evento denunciato fosse la chiusura dello stabilimento per ordine delle autorità e la clausola contrattuale fosse la ICC Force Majeure Clause 2003, si potrebbe sostenere che l’evento rientri quelli indicati al punto 3 [d] ovvero “act of authority … compliance with any law or governmental order, rule, regulation or direction, curfew restriction” oppure al punto 3 [e] “epidemic” o 3 [g] “general labour disturbance “.
Andrà poi esaminato quali siano le conseguenze previste dalla Clausola: generalmente si prevede un onere di tempestiva notifica dell’evento, che la parte sia esonerata dall’esecuzione della prestazione per tutta la durata dell’evento di Force Majeure e un termine massimo di sospensione dell’obbligazione, decorso il quale le parti possono comunicare la risoluzione del contratto.
Nel caso in cui l’evento non rientrasse tra quelli previsti nella Clausola di Force Majeure, o non vi fosse tale clausola nel contratto, andrebbe verificato se esista una Clausola di Hardship e se l’evento possa essere ricondotto a tale previsione.
Infine, in ogni caso è comunque necessario verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto.
Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
Ultimo passaggio è quello di verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto, sia nel caso in cui l’evento rientri in una clausola di Force Majeure o Hardship, sia nel caso in cui tale clausola non sia presente o non ricomprenda l’evento.
I presupposti e le conseguenze della Forza Maggiore o dell’Hardship, infatti, possono essere regolati in modo molto diverso a seconda della legge applicabile al contratto.
Se Parte A e Parte B avessero entrambe sede in Cina, al contratto di vendita si applicherebbe la legge della Repubblica Popolare Cinese, e la possibilità di invocare con successo la Force Majeure andrebbe valutata applicando queste norme.
Se Parte B avesse invece sede in Italia, nella maggioranza dei casi al contratto di vendita si applicherebbe la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (e quindi l’art. 79 sulle Cause di Esonero visto in precedenza) e per quanto non coperto dalla CISG si applicherebbe la legge indicata dalle parti nel contratto (o in mancanza identificata tramite i meccanismi di diritto internazionale privato).
Analogo ragionamento andrebbe fatto per determinare quale sia la legge applicabile al contratto tra Parte B e Parte C e cosa preveda tale legge, e così via lungo la supply chain internazionale.
Nel caso in cui i diversi rapporti siano regolati dalla stessa normativa (ad esempio la CISG) ciò non comporta problemi, ma se – come è probabile – le leggi applicabili fossero diverse la situazione si complica parecchio perché lo stesso evento potrebbe essere considerato causa di esonero da responsabilità contrattuale per la Parte A nei confronti della Parte B, ma non nel passaggio successivo della supply Chain, da Parte B a parte C.
Come limitare i rischi nella supply chain?
Il modo migliore di limitare il rischio di richieste di risarcimento del danno da parte delle altre imprese della catena di fornitura è quello di richiedere per tempo al proprio Fornitore conferma della disponibilità ad effettuare la prestazione contrattuale secondo i termini stabiliti, e condividere le informazioni ricevute con le altre aziende che fanno parte della supply chain.
Nel caso di inadempimento motivato con l’emergenza Coronavirus, è fondamentale verificare se l’evento denunciato rientri tra quelli che possono essere causa di esonero da responsabilità contrattuale, ed esigere che il fornitore fornisca le prove relative. Tali prove, se confermano l’impossibilità della prestazione del fornitore, potranno essere utilizzate dall’acquirente, a sua volta, per invocare la situazione di Force Majeure nei confronti delle altre aziende della Supply Chain.
Se nei contratti (di acquisto e vendita) sono presenti clausole di Force Majeure / Hardship, andrà visto cosa prevedono come modalità di denuncia, tempi di sospensione della prestazione o risoluzione del contratto, nonché cosa preveda la legge applicabile ai contratti.
Infine, è bene ricordare che la maggior parte delle normative prevedono un onere di mitigare i danni derivanti dall’eventuale inadempimento dell’altra parte: ciò significa che se è probabile, o anche solo possibile, che il Fornitore cinese si renda inadempiente ad una fornitura, la parte acquirente dovrà fare tutto il possibile per essere in grado di porvi rimedio ed adempiere comunque alle proprie obbligazioni verso le altre aziende che formano parte della supply chain, ad esempio procurandosi il prodotto da altri fornitori anche a condizioni molto più onerose.
Come cambiano i contratti di distribuzione dopo Covid19?
Ne ho parlato in un webinar il 20.11.2020, offrendo il mio punto di vista sulle lezioni apprese durante la pandemia e sulle clausole che è opportuno verificare e aggiornare: clicca qui sotto per vedere la registrazione dell’intervento.
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On December 30, 2018, the Comprehensive and Progressive Agreement For Trans-Pacific Partnership (“CPTPP”) entered into force
This Treaty is considered the third largest global trade agreement, positioned after the Comprehensive Economic and Trade Agreement between Canada and the EU (“CETA”) and the United States–Mexico–Canada Agreement (“USMCA”). The CPTPP sets forth a model of trade liberalization, aiming to maintain the markets open, increase world trade and create new economic opportunities for the member countries.
The CPTPP reaffirms and materializes a major part of the provisions of the Trans-Pacific Economic Cooperation Agreement (“TPP”), which had been originally signed by 12 countries, subsequently the United States of America (“USA”) announced its withdrawal.
As a result, this Treaty is the agreement reached by the remaining 11 countries of the TPP (Australia, Brunei, Canada, Chile, Japan, Malaysia, Mexico, New Zealand, Peru, Singapore and Vietnam) in an effort to enact its provisions, since the original text is incorporated, except for 22 provisions related to rules presented by the USA, which were suspended.
The Agreement has four main characteristics:
- Improves the access to the markets of the participating countries, eliminating and reducing tariff barriers amongst them. It also increases the pre-existing benefits between countries which had already entered into an agreement.
- Promotes innovation, productivity and competition;
- Encourages inclusive commerce, by incorporating new elements to ensure economic development, such as regulating the activities of state-owned companies, intellectual property, regulatory coherence, electronic commerce and support to Small and Medium Enterprises (“SMEs“) in order to streamline and simplify trade.
- Through a regional integration platform, it aims to enhance the production chain and the possibility of including different and future economies.
To estimate the relevance of the Agreement, the Mexican Ministry of Economy stated that, although the absence of the USA reduced the economic dimensions of the market delimited by this instrument (from 40% to 13% of the world economy), future prospects are favorable since: i) the participation of the 11 countries, creates a market of 500 million consumers, ii) 13.5% of the world’s Gross Domestic Product (GDP) will enter in to this market and iii) the likelihood of incorporation of other countries is probable, which could compensate the absence of the USA.
With the CPTPP, Mexico intends to broaden its trade openness in the most dynamic zone in the world (Asia-Pacific), allowing Mexican products to enter into 6 new countries: Australia, Brunei, Malaysia, New Zealand, Singapore and Vietnam. The aforementioned will promote the diversification of the trade economic activity, bolstering sectors such as agriculture, automotive, aerospace and products such as medical devices, electrical equipment, dairy products, tuna, sardines, cosmetics, tequila, mezcal, beer, etc.
This Agreement will also deepen the access to the Japanese market and will consolidate tariff preferences with countries with which a free trade agreement had already been signed, such as Canada, Chile and Peru.
The main motivation of the Mexican government in the negotiation of the CPTPP is to continue with a trade liberalization policy that began in 1989. Currently, Mexico has a network of 12 free trade agreements with 46 countries; 33 agreements for the reciprocal promotion of investments; and 9 agreements of limited scope (Economic Complementation Agreements and Partial Scope Agreements) within the framework of the Latin American Integration Association.
Riassunto – Si tratta di un accordo di riservatezza, spesso utilizzato nel commercio internazionale, con il quale le parti si obbligano a mantenere riservate le informazioni confidenziali o sensibili scambiate durante i negoziati. Il modello di contratto è abbastanza standard, ma per la sua validità ed efficacia è fondamentale che il contenuto sia adattato al caso concreto, come la clausola di legge applicabile, il foro competente o arbitrato, le clausole penali, la durata, la lingua del contratto.
Accade molto spesso che in differenti contesti di business venga proposta la sottoscrizione di un Non Disclosure Agreement (“NDA”) e di un Memorandum of Understanding (“MoU”) o di una Letter of Intent (“LoI”), tanto che questi tre acronimi – NDA, MoU e LoI – sono ormai diventati di uso corrente, soprattutto in occasione di negoziati internazionali.
Spesso, però, questi contratti vengono utilizzati in modo improprio e con finalità diverse da quelle con le quali si sono affermati nella prassi del commercio internazionale, con il risultato di non essere utili perché non tutelano in modo efficace gli interessi delle parti, o addirittura di essere controproducenti.
Iniziamo vedendo quali sono le caratteristiche del Non Disclosure Agreement – NDA – e come è consigliabile utilizzarlo.
Di cosa parlo in questo articolo
- Cos’è il NDA – Accordo di riservatezza
- Chi sono le parti del NDA – Accordo di riservatezza
- Quali sono le Informazioni riservate?
- La condivisione delle Informazioni riservate con terzi
- Non Disclose and Non Use Agreement
- Il divieto di concorrenza
- La durata del NDA
- Inadempimenti del NDA e clausola penale
- NDA modello e standard
- Quale legge applicabile e giudice in un NDA internazionale?
- La lingua del NDA
- Conclusioni
- Come possiamo aiutarti
NDA – Cosa significa
Il NDA è un accordo che ha la funzione di tutelare la riservatezza delle informazioni che le parti (generalmente identificate, rispettivamente, come “Disclosing Party” e “Receiving Party”) intendono condividere, in diversi possibili scenari: la trasmissione d’informazioni per una due diligence preliminare a un investimento, la valutazione di dati commerciali per un contratto di distribuzione, le specifiche tecniche di un certo prodotto oggetto di trasferimento di tecnologia, etc.
Il primo step del negoziato, infatti, richiede spesso la messa a disposizione di informazioni di diverso tipo, tecniche, finanziarie o commerciali, da parte di una o di entrambe le parti, che è necessario che rimangano riservate (di seguito le “Informazioni Riservate”) durante e dopo la conclusione del negoziato.
Chi sono le parti dell’accordo di riservatezza?
Fondamentale, partendo dalle premesse dell’accordo, è la corretta individuazione delle parti obbligate alla protezione delle informazioni e al mantenimento della riservatezza, specie quando sono coinvolti gruppi societari, in cui gli interlocutori possono essere molteplici e situati in diversi paesi. In casi simili è consigliabile obbligare la Receiving Party a garantire il mantenimento della riservatezza da parte di tutte le società del gruppo.
È inoltre importante che l’accordo individui esattamente quali persone facenti parte dell’organizzazione della Receiving Party (si pensi a: dipendenti, consulenti tecnici, professionisti, collaboratori, etc.) hanno diritto di accedere alle Informazioni, se possibile con sottoscrizione dell’accordo di riservatezza da parte di tutte le persone coinvolte.
E’ anche importante prevedere se la Receiving Party possa o meno condividere le Informazioni Riservate con soggetti terzi, ad esempio consulenti tecnici o propri collaboratori esterni. In caso positivo la tutela migliore è quella di obbligare anche tali terzi a sottoscrivere il NDA e prevedere che la Receiving Party sia responsabile (“obbligata in solido”) insieme al terzo per il rispetto delle obbligazioni del NDA.
Spesso la richiesta di far firmare a terze parti il NDA e di essere responsabile per la gestione delle Informazioni Riservate da parte dei terzi viene contestata dalla Receiving Party, solitamente con la motivazione che sarebbe troppo complessa la gestione delle attività necessarie.
Ciò è sintomo di una scarsa predisposizione al rispetto dell’obbligo di riservatezza, che va valutato con attenzione. Se la parte ricevente non intende impegnarsi affinchè terzi rispettino gli obblighi di confidenzialità e non vuole essere responsabile dei loro eventuali inadempimenti ciò espone il Titolare ad un evidente rischio di divulgazione delle informazioni, senza che sia possibile agire in modo efficace per rimediare il danno.
Suggerisco, in questi casi, di essere molto rigorosi.
Il NDA deve prevedere che:
- l’accesso alle Informazioni Riservate da parte di terzi è possibile solo se preventivamente autorizzato per iscritto dalla Disclosing Party
- il terzo autorizzato deve firmare un allegato al NDA nel quale dichiara di aver preso visione degli obblighi di riservatezza e di obbligarsi al loro rispetto
- il terzo non possa condividere le Informazioni Riservate con altri soggetti non vincolati dal NDA, salvo espressa autorizzazione del Titolare
- la Disclosing Party sia responsabile in solido del rispetto delle obbligazioni del NDA da parte dei Terzi autorizzati
Identificazione delle Informazioni Riservate
L’utilizzo di modelli di NDA riciclati, reperiti su formulari o proposti dalla controparte è prassi certamente non raccomandabile, ma purtroppo molto diffusa.
Questi modelli, molto spesso, sono generici e contengono definizioni ampie delle Informazioni Riservate ed elenchi estremamente dettagliati, che comprendono, di fatto, tutto il contenuto dell’attività societaria, includendo spesso ambiti che non sono rilevanti per l’attività oggetto di negoziato, o informazioni che non sono riservate.
Un problema di questi modelli è che è difficile, ex post, verificare se un certo dato fosse o meno compreso nelle Informazioni, ad esempio perché non si sa se fosse già in possesso della Receiving Party prima della firma del NDA.
Un’altra criticità è rappresentata dal fatto che l’elenco molto dettagliato non includa proprio la singola informazione che interessa, oppure non lo faccia in modo chiaro.
Infine accade spesso che sia difficile ricostruire quali Informazioni, dopo la firma del NDA, sono state trasmesse alla Receiving Party, e quando è avvenuta la trasmissione (ad esempio perché sono state inviate in modalità non sicura e non tracciabile, è il caso delle Informazioni spedite come allegati da una email).
Come condividere le Informazioni Riservate
Il modo migliore di procedere è quello di identificare in modo preciso solo le informazioni che è necessario condividere, indicando i documenti da trasmettere in un elenco allegato al NDA.
Ad esempio, se si condivide un certo segreto industriale (“Know-how”) la cosa migliore è limitare l’oggetto dell’accordo solo alle informazioni sensibili relative a tale segreto e specificare in quale formato (cartaceo, digitale, software, hardware) verrà condiviso.
Il passo successivo è quello di metterli a disposizione in un formato che non consenta dubbi sul fatto che sono protette dal NDA, ad esempio marchiandole con un timbro “Confidential under NDA” seguito dalla data di invio.
Altra buona prassi è prevedere che l’accesso alle Informazioni avvenga con modalità sicura e tracciabile (come un’area riservata in cloud o sul server della Disclosing Party, accessibile solo con user name e password individuali assegnati alle persone autorizzate).
Il Divieto di uso delle Informazioni
Un errore abbastanza ricorrente nei modelli di NDA è la previsione dell’obbligo per la Receiving Party del solo mantenimento della riservatezza delle Informazioni, senza impedirgliene espressamente l’utilizzo.
Soprattutto nel caso di imprese concorrenti, però, l’utilizzo è più pericoloso della divulgazione: basti pensare alla possibilità che la Receiving Party sviluppi tecnologie o brevetti basati proprio sui segreti industriali acquisiti.
E’ importante prevedere, quindi, che l’obbligo non è solo di riservatezza ma anche di non uso, evidenziando tale patto anche nel titolo dell’accordo che può diventare “Non Disclosure and Non Use Agreement”.
Non Compete Agreement – Divieto di concorrenza
Altra situazione delicata è quella il cui una Parte condivida elenchi di clienti o di agenti o di fornitori o altre informazioni commerciali sensibili.
In questo caso oltre alle obbligazioni di riservatezza e di non utilizzo al di fuori di quanto previsto nel NDA, è bene prevedere espressamente clausole di Non Concorrenza.
Ad esempio, se viene condiviso un elenco di agenti o di fornitori, l’accordo può prevedere un obbligo di astensione dal contattare direttamente certi soggetti individuati negli elenchi condivisi (questo patto è anche noto come “Non Circumvention Agreement”).
La Durata dell’obbligo di riservatezza
La funzione del NDA è proteggere le Informazioni Riservate per tutto il tempo necessario alla loro condivisione tra le Parti.
È bene, quindi, che sia indicato in modo chiaro qual è il momento finale della condivisione e – nel caso in cui la Receiving Party sia in possesso di copia delle Informazioni Riservate – prevedere l’obbligo di restituzione o distruzione dei documenti.
E’ anche fondamentale indicare per quanto tempo la Receiving Party sia tenuta a mantenere la riservatezza e non utilizzare le Informazioni dopo il periodo necessario al loro esame, ad esempio 24 mesi.
NDA – Inadempimenti
Provare e quantificare i danni derivanti una violazione dell’obbligo di riservatezza è generalmente molto complesso, perché si traduce in vantaggio / danno intangibile, come ad esempio la possibilità di sviluppare un certo prodotto concorrente in tempi rapidi proprio grazie alle Informazioni apprese.
Può essere allora utile prevedere una clausola penale, che predetermini in una certa somma il danno derivante dall’inadempimento contrattuale.
A tal fine è importante considerare che la quantificazione della penale deve essere ragionevole in relazione al danno che si presume possa scaturire dalla violazione della segretezza o dall’utilizzo delle Informazioni.
E’ consigliabile prevedere diversi importi a titolo di penale in relazione a diverse ipotesi di inadempimento (ad esempio, la registrazione o la contraffazione di un brevetto utilizzando le informazioni tecniche condivise, oppure il contatto con certi partner commerciali).
In ogni caso, prima di inserire clausole penali è opportuno valutare cosa preveda la legge applicabile all’accordo per la validità di questo patto, in particolare per la quantificazione massima della penale (si veda il punto successivo).
Il rischio, se non si conosce la legge applicabile all’accordo di non riservatezza, è che in caso di contenzioso il Giudice ritenga la clausola invalida o che la penale sia di importo eccessivo in relazione all’inadempimento e quindi la riduca ad una somma equa.
Oppure, al contrario, una parte possa essere condannata al pagamento di una penale addirittura superiore al valore del contratto (è il caso di una recente decisione della Suprema Corte Russa).
La clausola penale, infine, può essere anche utilizzata in modo tattico. Se in sede di negoziato la Receiving Party si oppone fermamente all’inserimento della penale o ne chiede la riduzione ciò può essere un indizio di una riserva mentale di inadempimento.
NDA template e Smart Contract
E’ molto agevole, oggi, procurarsi un modello di NDA: template o standard possono essere reperiti gratuitamente su vari siti come bozze generiche da completare, o essere costruiti online rispondendo ad una serie di domande per personalizzare il contratto per il caso specifico.
Il mio consiglio è di procedere con grande attenzione: per i motivi che spiego in questo post, il NDA è un accordo che deve essere redatto con grande attenzione e con l’aiuto di un consulente esperto.
Un buon modello (template) di NDA può essere una base di partenza utile, dopo di che una revisione di un esperto è un passaggio fondamentale, soprattutto per verificare che il contenuto del NDA sia conforme a quanto prevede la legge che si applica all’accordo e che le modalità di risoluzione delle controversie previste siano efficaci.
Legge applicabile e foro competente
Una cattiva abitudine è anche quella di relegare le clausole su legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie alla fine dell’accordo (tanto che vengono definite “Midnight Clauses”, per un approfondimento si veda questo post su Legalmondo) e di non prestare particolare attenzione al loro contenuto.
Ciò porta spesso alla previsione di clausole del tutto sbagliate (o addirittura nulle) che in caso di contenzioso vanificano la possibilità di ottenere tutela in giudizio.
La clausola che prevede la legge applicabile e la giurisdizione è fondamentale, perché da essa dipende la possibilità di far rispettare l’accordo e/o di ottenere un provvedimento giudiziario che possa essere eseguito in modo rapido ed efficace.
La questione è molto delicata perché non esiste una soluzione valida per tutti i casi e occorre considerare le specificità del singolo accordo di riservatezza.
Ci sono le Parti e dove hanno sede? Quali sono le informazioni riservate e dove possono essere utilizzate? Cosa prevede la legge del paese in cui ha sede la controparte? La modalità di risoluzione delle controversie più efficace deve essere individuata dando risposta a queste domande.
Facciamo un esempio: in un NDA con una controparte cinese è spesso controproducente scegliere di applicare la giurisdizione e la legge italiana, visto che in caso di inadempimento è solitamente necessario agire rapidamente in Cina (anche in via d’urgenza) e non presso un giudice italiano. In tal caso è consigliabile redigere il NDA con testo bilingue inglese/cinese e prevedere un arbitrato in Cina, applicando la legge cinese.
NDA in inglese, cinese o doppia lingua
Accade spesso che il modello di NDA venga proposto dalla controparte straniera e sia in inglese, o in doppia lingua (es. inglese e cinese).
E’ anche frequente che sia la parte italiana che richieda che i contratti internazionali siano in doppia lingua: ad esempio italiano e inglese o spagnolo.
In alcuni casi, per fortuna eccezionali, ho anche visto contratti in 3 lingue: italiano, inglese e cinese.
Ciò si verifica di solito perché, nonostante l’inglese sia la lingua franca del commercio internazionale, le parti sono più a loro agio nel negoziare e firmare un accordo che sia anche nella loro lingua.
La previsione di una seconda lingua può poi essere importante per essere certi che non vi siano fraintendimenti sul contenuto dell’accordo (una parte cinese non potrà invocare di non aver compreso il significato di un patto in inglese, se è disponibile una versione anche in cinese).
Infine, se necessario, una versione bilingue è immediatamente ed agevolmente utilizzabile in caso di azione legale, per rimanere sullo stesso esempio, davanti ad un giudice cinese, senza che sia necessario procedere a traduzioni (non sempre di buona qualità) nel corso del giudizio.
Qualche consiglio pratico:
- se non si conosce la seconda lingua del NDA, verificare sempre che il contenuto sia completo e conforme a quello della prima (accade spesso che nei vari passaggi di negoziato di un accordo qualcuno si dimentichi di riportare una modifica nell’altra lingua)
- se possibile richiedere una revisione del testo anche da parte di un legale madrelingua, per escludere l’utilizzo di termini impropri o non corretti
- stabilire quale versione prevale in caso di incongruenze tra una lingua e l’altra
In conclusione
Il NDA – Accordo di riservatezza è un contratto che spesso è concluso in modo frettoloso, sottovalutandone l’importanza e la complessità.
Il mio consiglio è di evitare il fai da te e affidarsi ad un legale specializzato, che sappia negoziare e redigere il NDA tenendo conto di tutte le particolarità del caso (tipo di negoziato, informazioni riservate condivise, sede delle parti e paesi in cui andrà eseguito il NDA, contenuto della legge straniera eventualmente applicabile, modalità di risoluzione delle controversie più conveniente, etc.).
Possiamo aiutarti?
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Dopo una lunga attesa dei fornitori di prodotti di marca, dei distributori al dettaglio di negozi fisici, dei rivenditori via internet, incluse piattaforme come Amazon, eBay, Zalando, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha appena deciso (6 dicembre 2017) – nella decisione già ribattezzata di “San Niccolò” – che i fornitori di beni di lusso possono legittimamente proibire vendite tramite piattaforme di terze parti.
In un precedente post di Legalmondo (“the Coty Case”, in lingua inglese) avevamo analizzato la vertenza appena decisa dai giudici europei. Secondo la CGUE, tale divieto di usare piattaforme non costituisce necessariamente una restrizione illegittima della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”): la Corte ha confermato il fatto che i sistemi di distribuzione selettiva per beni di lusso, volti primariamente a preservare l’immagine di lusso dei prodotti, possono essere ritenuti compatibili con le limitazioni comunitarie in tema di accordi verticali.
Più specificamente, la Corte ha deciso che le limitazioni alla rivendita dei beni attraverso piattaforme online sono legittime perché il diritto europeo permette la restrizione alle vendite online grazie a
“una clausola contrattuale, come quella di cui trattasi, che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo Internet dei prodotti interessati, qualora siano rispettate le seguenti condizioni: (i) tale clausola deve essere diretta a salvaguardare l’immagine di lusso dei prodotti interessati, (ii) deve essere stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio e (iii) deve essere proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito. Spetterà all’Oberlandesgericht verificare se ciò avvenga nel caso di specie.”
(cfr. la rassegna stampa della CGUE No. 132/2017 e il testo completo della decisone).
Spetta ora alla Corte d’Appello di Francoforte applicare tali requisiti al caso Coty.
La storia del caso Coty è estremamente interessante: la filiale tedesca del fornitore di profumi di lusso Coty, la Coty Germany GmbH (“Coty”) ha creato una rete di distribuzione selettiva per la quale i suoi distributori possono effettuare vendite via internet, ma è loro proibito di vendere tramite piattaforme di terze parti, le quali appaiano tali anche dall’esterno, come ad esempio Amazon, eBay, Zalando etc. La corte di primo grado aveva deciso che l’imposizione di tale divieto di vendere tramite piattaforme di terze parti costituisse un’illegittima restrizione della concorrenza. La Corte di secondo grado, invece, non aveva ravvisato una risposta altrettanto chiara e aveva chiesto alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi sull’interpretazione della normativa europea antitrust e, più specificamente, dell’art. 101 TFUE e dell’art. 4 lett. b e c del regolamento generale di esenzione per categoria per gli accordi verticali o “VBER” (decisione del 19.04.2016, per dettagli, si veda il post precedente “eCommerce: restrizioni per i distributori in Germania”). Il 30 marzo 2017 ha avuto luogo l’udienza dinnanzi alla CGUE. In tale sede Coty ha difeso il proprio divieto di vendere su piattaforme terze, sostenendo che lo stesso è volto a proteggere l’immagine di lusso di marchi come Marc Jacobs, Calvin Klein o Chloé. Il distributore Parfümerie Akzente GmbH, viceversa, sosteneva che piattaforme conosciute come Amazon e eBay già vendessero prodotti di marca, (ad es: L’Oréal) e di conseguenza non v’era motivo, per Coty, di proibire la rivendita tramite tali piattaforme. Inoltre, ha sostenuto Parfümerie Akzente, le piattaforme online sono importanti per le piccole e le medie imprese. Possibili indicazioni su come la Corte avrebbe potuto decidere sono apparse il 26 luglio 2017, allorché l’Avvocato Generale ha fornito le proprie conclusioni, concludendo che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile, purché “tale clausola contrattuale sia condizionata dalla natura del prodotto, se essa sia stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e se essa non vada oltre il necessario” (paragrafo 122 delle conclusioni dell’Avvocato Generale; vedi il post precedente “Distribuzione online – Divieti di vendite su piattaforme online nella distribuzione selettiva (il caso Coty perdura)”).
Conclusioni pratiche
- Questa sentenza del 6 dicembre 2017 è molto importante per tutti i fornitori di prodotti di marca, per distributori al dettaglio in negozi fisici, per i rivenditori via internet e per i fornitori di piattaforme online, in quanto chiarisce che i fornitori di prodotti di marca possono vietare le vendite tramite piattaforme di terze parti (Amazon, eBay, Zalando & Co.) al fine di assicurare il medesimo livello di qualità della distribuzione su tutti i canali di distribuzione, sia offline che online.
- Un piccolo passo indietro: la Corte distrettuale di Amsterdam già il 4 ottobre 2017 aveva deciso che il divieto imposto da Nike ai propri distributori selettivi di usare piattaforme online costituiva un criterio di distribuzione legittimo al fine di salvaguardare l’immagine del marchio di lusso Nike (caso Nike European Operations Netherlands B.V. contro il rivenditore sito in Italia, Action Sport Soc. Coop, A.R.L., fasc. n. C/13/615474 / HA ZA 16-959).
- Il divieto generale di usare strumenti di comparazione di prezzi, così come stipulato dal fornitore di articoli sportivi Asics nel proprio “Distribution System 1.0“, dovrebbe invece essere anticoncorrenziale – ciò secondo il Bundeskartellamt e come confermato dalla Corte d’Appello di Düsseldorf il 5 aprile 2017. L’ultima parola, tuttavia, non è stata ancora detta – vedi il post “Distribuzione online – Nullo il divieto di strumenti di comparazione di prezzi?”. Sarà interessante vedere come la conclusione del caso Coty influenzerà tali strumenti di comparazione di prezzi.
- Per ulteriori evoluzioni della distribuzione online, si veda la Relazione finale sull’indagine conoscitiva sull’E-commerce della Commissione UE e i dettagli nel Documento di lavoro, „Relazione finale sull’indagine conoscitiva sul settore E-commerce“.
- Per dettagli sulle reti di distribuzione e sulla distribuzione online, consulta i miei articoli:
- “Internetvertrieb in der EU 2018 ff. – Online-Vertriebsvorgaben von Asics über BMW bis Coty”, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht2017, 274-281; e
- „Plattformverbote im Selektivvertrieb – der EuGH-Vorlagebeschluss des OLG Frankfurt vom 19.4.2016“, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht 2016,278–283.
Il caso Coty è estremamente rilevante per la distribuzione in Europa perché più del 70% degli oggetti di lusso del mondo sono venduti qui, e molti di essi vengono venduti online. Per maggiori implicazioni sulle reti di distribuzione esistenti e future e sui rispettivi accordi, restate in contatto, continueremo ad aggiornarvi su Legalmondo!
Based on our experience in many years advising and representing companies in the commercial distribution (in Spanish jurisdiction but with foreign manufacturers or distributors), the following are the six key essential elements for manufacturers (suppliers) and retailers (distributors) when establishing a distribution relationship.
These ideas are relevant when companies intend to start their commercial relationship but they should not be neglected and verified even when there are already existing contacts.
The signature of the contract
Although it could seem obvious, the signature of a distribution agreement is less common than it might seem. It often happens that along the extended relationship, the corporate structures change and what once was signed with an entity, has not been renewed, adapted, modified or replaced when the situation has been transformed. It is very convenient to have well documented the relationship at every moment of its existence and to be sure that what has been covered legally is also enforceable y the day-to-day commercial relationship. It is advisable this work to be carried out by legal specialists closely with the commercial department of the company. Perfectly drafted clauses from a legal standpoint will be useless if overtaken or not understood by the day-to-day activity. And, of course, no contract is signed as a “mere formality” and then modified by verbal agreements or practices.
The proper choice of contract
If the signature of the distribution contract is important, the choice of the correct type is essential. Many of the conflicts that occur, especially in long-term relationships, begin with the interpretation of the type of relationship that has been signed. Even with a written text (and with an express title), the intention of the parties remains often unclear (and so the agreement). Is the “distributor” really so? Does he buy and resell or there are only sporadic supply relationships? Is there just a representative activity (ie, the distributor is actually an “agent“)? Is there a mixed relationship (sometimes represents, sometimes buys and resells)? The list could continue indefinitely. Even in many of the relationships that currently exist I am sure that the interpretation given by the Supplier and the Distributor could be different.
Monitoring of legal and business relations
If it is quite frequent not to have a clear written contract, it happens in almost all the distribution relationships than once the agreement has been signed, the day-to-day commercial activity modifies what has been agreed. Why commercial relations seem to neglect what has been written in an agreement? It is quite frequent contracts in which certain obligations for distributors are included (reporting on the market, customers, minimum purchases), but which in practice are not respected (it seems complicated, there is a good relationship between the parties, and nobody remembers what was agreed by people no longer working at the company…). However, it is also quite frequent to try to use these (real?) defaults later on when the relationship starts having problems. At that moment, parties try to hide behind these violations to terminate the contracts although these practices were, in a sort of way, accepted as a new procedure. Of course no agreement can last forever and for that reason is highly recommendable a joint and periodical monitoring between the legal adviser (preferably an independent one with the support of the general managers) and the commercial department to take into account new practices and to have a provision in the contractual documents.
Evidences about customers
In distribution contracts, evidences about customers will be essential in case of termination. Parties (mainly the supplier) are quite interested in showing evidences on who (supplier or distributor) procured the customers. Are they a result of the distributor activity or are they obtained as a consequence of the reputation of the trademark? Evidences on customers could simplify or even avoid future conflicts. The importance of the clientele and its possible future activity will be a key element to define the compensation to which the distributor will pretend to be eligible.
Evidences on purchases and sales
Another essential element and quite often forgotten is the justification of purchases to the supplier and subsequent sales by distributors. In any distribution agreement distributors acquire the products and resell them to the final customers. A future compensation to the distributor will consider the difference between the purchase prices and resale prices (the margin). It is therefore advisable to be able to establish the correspondent evidence on such information in order to better prepare a possible claim.
Damages in case of termination of contracts
Similarly, it would be convenient to justify what damages have been suffered as a result of the termination of a contract: has the distributor made investments by indication of the supplier that are still to be amortized? Has the distributor hired new employees for a line of business that have to be dismissed because of the termination of the contract (costs of compensation)? Has the distributor rented new premises signing long-term contracts due to the expectations on the agreement? Please, take into account that the Distributor is an independent trader and, as such, he assumes the risks of his activity. But to the extent he is acting on a distribution network he shall be subject to the directions, suggestions and expectations created by the supplier. These may be relevant to later determine the damages caused by the termination of the contract.
Scrivi a Fare affari all’estero: avvocato straniero o italiano?
Gli effetti del Coronavirus sui contratti internazionali
3 Marzo 2020
- Cina
- Italia
- Commercio internazionale
“Può aiutami, avvocato”?
(Ovviamente è urgente).
“Mi mette in contatto con un legale in [Paese straniero]? Poi ci pensiamo noi.”
Lo faccio volentieri, ci mancherebbe.
Specie se posso mettere il cliente in contatto con un avvocato esperto di Legalmondo.
Lavorare direttamente con un legale all’estero, però, comporta una serie di complessità che vengono regolarmente sottovalutate dal cliente.
Le principali sono le seguenti
- identificare il legale giusto, che sia specializzato e abbia una specifica esperienza nella materia di interesse dell’azienda
- la difficoltà di dialogare in una lingua che solitamente è straniera sia per il cliente, sia per il legale all’estero
- comprendere le tematiche giuridiche oggetto dell’incarico, molto spesso regolate da una legge diversa da quella italiana
- concordare i termini dell’incarico professionale e monitorare l’andamento delle spese, specie se si tratta di attività lunghe e complesse, in paesi nei quali i costi legali sono molto alti
Nel caso di contenziosi
- individuare i fatti importanti e i documenti necessari
- definire la strategia di causa, valutare la possibilità di una definizione amichevole della vertenza e ragionare sulle possibili soluzioni alternative in base agli interessi delle parti
- gestire istruzioni e comunicazioni al legale in tempi molto stretti e lavorando in fusi orari diversi
Nel caso di negoziati commerciali
- condividere interessi e obiettivi della trattativa
- preparare e partecipare a call conference frequenti ed impegnative
- seguire le varie fasi delle revisioni dei testi contrattuali
Se si tratta di operazioni straordinarie
- impostare l’attività e condividerla con i legali delle controparti
- allineare le risorse aziendali e i vari professionisti coinvolti per assistere il cliente
- coordinare le diverse fasi dell’attività
Tutti passaggi nei quali il legale italiano, se è specializzato nella materia ed ha esperienza nell’assistere la clientela all’estero, può essere di grande aiuto, diventando l’interfaccia tra il cliente e i vari professionisti coinvolti nell’attività, su entrambi i lati.
È una risorsa preziosa, che consente di impostare il lavoro in modo chiaro, dialogare e ottenere risposte in tempi rapidi, assicurarsi che le informazioni, anche complesse, vengano riportate e comprese in modo corretto.
Esperienza, facilità di dialogo e rapporto di fiducia
Infine, è importante valorizzare la possibilità di confronto diretto con una persona di fiducia, esperta e che conosce l’imprenditore e l’azienda, cosa che generalmente non è possibile lavorando direttamente con uno studio all’estero, specie se di grandi dimensioni.
Il risultato è generalmente quello di lavorare in modo più consapevole, rapido, ordinato ed efficace, il che si traduce generalmente in un risparmio di tempo e denaro.
Prima di lavorare direttamente con un legale in Costa Rica, Macedonia o USA, è bene considerare l’importanza e il valore dell’incarico e pensare al legale italiano come una risorsa, non come un costo aggiuntivo.
Riassunto
Il contratto quadro di fornitura è un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore) che si svolgono nel corso di un certo arco temporale. Questo accordo determina gli elementi principali dei futuri contratti come il prezzo, i volumi di prodotto, i termini di consegna, le specifiche tecniche o di qualità e la durata dell’accordo.
Il contratto quadro è utile per assicurare la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare l’attività industriale o commerciale. Mentre le condizioni generali di acquisto o vendita sono le regole che si applicano a tutti i fornitori o clienti della società. Il contratto quadro è consigliabile concluderlo con i fornitori essenziali per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
Di cosa parlo in questo articolo:
- Che cosa è il contratto quadro di fornitura?
- Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
- La differenza con le condizioni generali di vendita o acquisto
- Quando concludere un contratto quadro di acquisto?
- Quando è utile concludere un contratto quadro di vendita?
- Il contenuto del contratto quadro di fornitura
- Clausola di revisione dei prezzi ed eccessiva onerosità sopravvenuta
- I termini di consegna nel contratto quadro di fornitura
- La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
- Vendita internazionale: legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Che cos’è il contratto quadro di fornitura?
Si tratta di un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore), che si svolgono nel corso di un certo arco temporale.
Si parla dunque di contratto “quadro” (framework agreement, in inglese) perché è un accordo che stabilisce le regole di una futura serie di contratti di compravendita, determinandone gli elementi principali, come il prezzo, i volumi di prodotto che si prevedono di vendere e acquistare, i termini di consegna dei prodotti, le specifiche tecniche o di qualità, la durata dell’accordo.
Dopo avere concluso il contratto quadro le Parti si limiteranno a scambiarsi gli ordinativi e le conferme d’ordine, concludendo una serie di autonomi contratti di vendita, senza dover ridiscutere i patti già definiti nell’accordo quadro.
A seconda dei punti di vista, questo contratto è anche denominato contratto quadro di vendita (se lo utilizza il venditore/fornitore con i propri clienti) o contratto quadro di acquisto (se lo propone il cliente ai suoi fornitori).
Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
È utile prevedere un contratto quadro in tutti i casi in cui le Parti intendono procedere ad una serie di acquisti / vendite di prodotti continuata nel tempo e hanno interesse a dare stabilità all’accordo commerciale, determinandone gli elementi principali.
In particolare, l’accordo quadro di acquisto è utile all’impresa che vuole assicurarsi la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare la sua attività industriale o commerciale (materie prime, semilavorati, componenti).
Concludendo il contratto quadro l’impresa può ottenere, ad esempio, un impegno del fornitore a fornire un certo volume minimo di prodotti, ad un certo prezzo, con modalità e specifiche tecniche già condivise, per un certo periodo temporale.
Questo accordo è utile anche, specularmente, al venditore/fornitore, che può programmare le vendite del periodo e organizzare, a sua volta, la catena di fornitura che gli consente l’approvvigionamento delle materie prime e dei componenti necessari alla produzione dei prodotti.
Qual è la differenza tra contratto quadro di acquisto o vendita e condizioni generali?
Mentre Il contratto quadro è un accordo che si utilizza con uno o più fornitori particolari, per un certo prodotto e per un certo arco temporale, determinando gli elementi essenziali dei futuri contratti, le condizioni generali di acquisto (o vendita) sono le regole che si applicano a tutti i fornitori (o clienti) della società.
Il primo accordo, dunque, viene negoziato e definito caso per caso in relazione ad un rapporto commerciale con un certo fornitore, mentre le condizioni generali sono predisposte unilateralmente dall’impresa, e i clienti o i fornitori (a seconda che si tratti di condizioni di vendita o di acquisto) si limitano ad aderire e ad accettare che le condizioni generali si applichino al singolo ordine e/o ai futuri contratti.
Può accadere che i due accordi coesistano: in tal caso è bene specificare quale contratto debba prevalere in caso di discrepanza tra le diverse previsioni (solitamente si prevede questa gerarchia, che va dallo speciale al generale: ordine – conferma d’ordine / contratto quadro / condizioni generali di acquisto).
Quando è importante concludere un contratto quadro di acquisto?
È consigliabile concludere un contratto quadro con il fornitore / i fornitori essenziale / i per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
È particolarmente importante concludere questo accordo quando si ha a che fare con un mono-fornitore o con un fornitore che sarebbe molto difficile sostituire se cessasse di vendere i prodotti all’impresa acquirente.
I rischi che si mira ad evitare o diminuire sono le cosiddette rotture di stock, ossia le interruzioni di fornitura per la mancanza della disponibilità dei prodotti da parte del fornitore, o perché i prodotti sono disponibili ma le parti non trovano l’accordo sui tempi di consegna o sul prezzo di vendita.
Un altro risultato che si può conseguire è quello di vincolare un fornitore strategico per un certo periodo, concordando che riservi una certa quota della produzione a favore del compratore a condizioni predeterminate evitando, per la durata dell’accordo, la concorrenza con offerte di terzi interessati ai prodotti.
Quando è importante concludere un contratto quadro di vendita?
Questo accordo consente al venditore / fornitore di pianificare le vendite verso un certo cliente e quindi di programmare ed organizzare la propria capacità produttiva e logistica per il periodo concordato, evitando costi extra o ritardi.
Pianificare le vendite consente anche di gestire correttamente le incombenze finanziarie e i flussi di cassa con una visione di medio termine, armonizzando gli impegni e gli investimenti con le vendite ai propri clienti.
Qual è il contenuto del contratto quadro di fornitura?
Non esiste un modello standard di questo contratto, che è nato dalla prassi commerciale per rispondere alle esigenze indicate in precedenza.
Generalmente l’accordo prevede un arco temporale determinato (ad esempio 12 mesi) nel quale le parti si impegnano a concludere una serie di compravendite di prodotti, determinando il prezzo e le modalità di fornitura e i principali patti dei futuri contratti di vendita.
Le clausole più importanti sono:
- l’identificazione dei prodotti e delle specifiche tecniche (spesso individuate in un allegato)
- il volume minimo / massimo di forniture
- l’eventuale obbligo di acquisto / vendita di un minimo-massimo volume di prodotti
- il calendario degli ordinativi
- i tempi di consegna
- la determinazione del prezzo e le condizioni per la sua eventuale modifica (si veda anche il prossimo paragrafo)
- i casi di impedimento alla prestazione (Forza Maggiore)
- i casi di eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship)
- le penali per il ritardo o per l’inadempimento o per il mancato raggiungimento dei volumi concordati
- la gerarchia tra il contratto quadro e gli ordinativi ed eventuali altri contratti tra le parti
- la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie (specialmente in contratti internazionali)
Come gestire la revisione dei prezzi in un contratto di fornitura?
Una clausola molto importante, specie in tempi di forti oscillazioni dei prezzi delle materie prime, dei trasporti e dell’energia, è quella relativa alla revisione dei prezzi.
In mancanza di un accordo su questo tema, infatti, le parti si accollano il rischio dell’aumento del prezzo impegnandosi a rispettare le condizioni originariamente pattuite e, salvi casi eccezionali (in cui la fluttuazione è forte, interessa un arco temporale ristretto ed è causata da eventi imprevedibili), è molto difficile poter invocare la sopravvenuta eccessiva onerosità, che consente di rinegoziare il prezzo oppure di risolvere il contratto.
È consigliabile, per evitare l’incertezza che si genera in caso di fluttuazioni dei prezzi, concordare nel contratto sia i meccanismi per la revisione del prezzo (ad esempio l’indicizzazione automatica seguendo la quotazione di una certa materia prima), sia la cosiddetta clausola di Hardship o Sopravvenuta Eccessiva Onerosità, stabilendo quali sono i limiti di oscillazione dei prezzi accettati dalle parti e cosa accade se le variazioni oltrepassano questi limiti, prevedendo l’obbligo di rinegoziare il prezzo, o lo scioglimento del contratto se non viene trovato l’accordo entro un certo termine.
Come gestire i termini di consegna in un rapporto di fornitura?
Un altro patto chiave in un rapporto di fornitura di medio / lungo termine riguarda i termini di consegna: in questo caso occorre conciliare l’interesse dell’acquirente al rispetto delle date convenute con quello del fornitore ad evitare richieste di danni in caso di ritardo, soprattutto in caso di vendite che richiedano trasporti intercontinentali.
La prima cosa da chiarire in proposito riguarda la natura dei termini di consegna: si tratta di termini essenziali oppure indicativi? Nel primo caso la parte interessata ha diritto a risolvere (ossia sciogliere) il contratto in caso di mancato rispetto del termine, nel secondo invece si possono prevedere oneri di diligenza, di informazione e di notifica tempestiva dei ritardi, mentre la risoluzione non è un rimedio che può essere automaticamente azionato in caso di ritardo.
Uno strumento utile, a questo proposito, è quello della clausola penale: con questo patto si concorda che per ogni giorno / settimana / mese di ritardo sia dovuta una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno a favore della parte danneggiata dal ritardo.
La penale, se quantificata in modo corretto e non eccessivo, è utile per entrambe le parti, perché consente di predeterminare i danni che possono essere invocati per il ritardo, liquidandoli in una somma equa e determinata: di conseguenza, il venditore non è esposto a domande di risarcimento legate a fattori fuori dal suo controllo, mentre il compratore può agevolmente calcolare l’indennizzo legato al ritardo, senza necessità di altre prove.
Lo stesso meccanismo, tra l’altro, si può adottare per disciplinare il ritardo del compratore nel prendere in consegna i beni messi a disposizione dal venditore.
Occorre tenere a mente, infine, che è buona prassi specificare il tetto massimo della penale (ad esempio il 10% del prezzo del prodotto) e un periodo massimo di tolleranza del ritardo, oltre il quale la parte interessata ha diritto di sciogliere il contratto, trattenendo la penale.
La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
Una situazione che viene spesso confusa con l’eccessiva onerosità, ma in realtà è molto diversa, è quella relativa alla Forza Maggiore, ossia alla impossibilità sopravvenuta di adempiere all’obbligazione contrattuale, a causa di un evento fuori dal ragionevole controllo della parte colpita, che non avrebbe potuto ragionevolmente essere previsto e i cui effetti non possano essere superati con un ragionevole sforzo.
La funzione di questa clausola è quella di stabilire in modo chiaro quando le parti ritengono che possa essere invocata la Forza Maggiore, quali eventi specifici vengono compresi (ad esempio un lock-down dello stabilimento produttivo per ordine dell’autorità) e quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle parti (ad esempio la sospensione dell’obbligazione per un certo periodo, finché dura la causa di impossibilità ad adempiere, oltre il quale è possibile che la parte interessata all’adempimento dichiari di voler sciogliere il contratto).
Occorre prestare grande attenzione alla redazione di questa clausola, perché se la formulazione è generica (come spesso accade) il rischio è che sia di poca utilità; è bene verificare, inoltre, che la regolamentazione della forza maggiore sia conforme a quanto prevedere la legge applicabile al contratto (v. punto successivo – qui un approfondimento con indicazione del regime previsto da 42 leggi nazionali).
Legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Se il cliente o il fornitore ha sede all’estero occorre tenere presente alcune importanti differenze: la prima è la lingua del contratto, che deve essere comprensibile alla controparte straniera, e sarà quindi solitamente in inglese, o in un’altra lingua comune alle parti, eventualmente anche in doppia lingua con testo a fronte.
La seconda questione da tenere a mente riguarda la legge applicabile, che è bene sia espressamente indicata nel contratto: l’argomento è molto vasto e in questa sede ci limitiamo a dire che la decisione sulla legge applicabile va presa caso per caso, in modo consapevole: non sempre, infatti, è utile richiamare l’applicazione della legge italiana.
Va poi ricordato che nella maggioranza dei contratti di vendita internazionale si applica la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (“CISG”), che è una legge comune alle parti del contratto, equilibrata, molto chiara e facile da consultare: la CISG si applica automaticamente ed è bene non escluderla.
Infine, in un contratto quadro di fornitura internazionale è consigliabile prestare attenzione all’individuazione delle modalità di risoluzione delle controversie: non esiste una soluzione che vada bene per tutti i contratti, ci limitiamo a ricordare che, anche in questo caso, non sempre la scelta della giurisdizione italiana è quella giusta (anzi, spesso può rivelarsi controproducente): chi fosse interessato ad un approfondimento può leggere questo articolo sul blog di Legalmondo.
Riassunto
Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina?
Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.
Di cosa parlo in questo articolo:
- La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
- La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione
- Il contratto di vendita internazionale in Cina
- Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
- L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese
- Il patto di non concorrenza
- La distribuzione Omnichannel
- Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
- Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
- Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
- Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto
- La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
- Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)
Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina?
Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina.
Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.
Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.
Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.
Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali.
Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6).
Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti.
Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali, solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.
La forma del contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici.
È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.
Il contratto di vendita internazionale in Cina
Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).
Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.
Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”).
Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.
Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.
Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.
Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci.
E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere.
L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.
Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA)
Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari.
Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.
Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.
Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi, che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.
Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.
Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.
Accordi di distribuzione esclusiva in Cina
Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore?
Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.
Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.
Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato.
Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto.
I patti sui minimi di fatturato, specie in relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.
Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori.
Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina
Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore.
È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto.
Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.
Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto, motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.
La Distribuzione Omnichannel in Cina
Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B.
Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.
Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue
Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva.
Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.
La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi.
Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.
Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina
Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.
Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate.
Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina
Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore.
Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza.
Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.
Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.
La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).
E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto.
Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale.
La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni).
Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore, dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.
È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.
Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso.
Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione
Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio.
Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale.
Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina
Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.
Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.
Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.
Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina
Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero.
Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale.
La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato.
Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi). Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.
Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.
Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.
Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.
I vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.
Riassunto – Quando l’emergenza Coronavirus può essere invocata come evento di Forza Maggiore per escludere la responsabilità contrattuale e il risarcimento dei danni? Quali sono gli effetti nella supply chain internazionale del mancato adempimento di un’impresa cinese ai propri obblighi di fornitura o di acquisto di materie prime, componenti o prodotti? Quali comportamenti deve adottare l’imprenditore straniero per limitare i rischi derivanti dall’interruzione di forniture o acquisti nella catena di fornitura?
Argomenti trattati
- L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
- Cos’è la Forza Maggiore (Force Majeure)?
- La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
- Cos’è l’Hardship?
- Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
- Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
- Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Come limitare i rischi nella supply chain?
L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
Il Coronavirus / Covid 19 ha creato in Cina una terribile emergenza sanitaria e sociale, che ha reso necessarie eccezionali misure di ordine pubblico per il contenimento del virus, come la quarantena, divieti di viaggio, la sospensione di eventi pubblici e privati e la chiusura di stabilimenti industriali e attività commerciali per un certo periodo di tempo.
Una volta autorizzata la riapertura degli stabilimenti, il ritorno alla normalità è stato fortemente rallentato poiché molti lavoratori, che si erano spostati in altre zone della Cina per le festività del capodanno lunare, non sono rientrati sul posto di lavoro.
I dati oggi disponibili sulla riapertura delle fabbriche e sul numero del personale presente non sono univoci ed è legittimo dubitare della loro attendibilità, quindi non si può prevedere quando l’emergenza potrà definirsi conclusa e se e come le imprese cinesi riusciranno a colmare i ritardi e il gap di produzione che si è creato.
Di certo è molto probabile che nei prossimi mesi l’imprenditore straniero si veda eccepire dalla propria controparte cinese l’impossibilità di adempiere al contratto, motivata con il Coronavirus.
Per comprendere la dimensione del problema, basti considerare che nel solo mese di Febbraio 2020 il China Council for the Promotion of International Trade (la Camera di Commercio cinese che ha il compito di promuovere il commercio internazionale) ha già rilasciato a favore di imprese cinesi che ne hanno fatto richiesta 3.325 certificati attestanti l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali a causa dell’epidemia Coronavirus, per un valore totale di oltre 270 miliardi di yuan (US$38.4 bln), secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua.
Quali rischi pone questa situazione per l’imprenditore straniero e quali ricadute può avere oltre i confini cinesi?
I rischi sono molti e i potenziali danni ingenti: la Cina è la fabbrica del mondo e vale oggi circa il 15% del PIL mondiale, quindi è difficile che una filiera produttiva in qualsiasi settore industriale non coinvolga una o più imprese cinesi come fornitori di materie prime, semi-lavorati o componenti (nel caso dell’Italia i settori più integrati con catene di fornitura in Cina sono automotive, chimica, farmaceutica, tessile, elettronica e macchinari).
Il mancato adempimento del fornitore cinese può quindi comportare, a cascata, l’inadempimento dell’imprenditore straniero verso il cliente finale o verso il successivo anello della supply chain.
Il fatto che il contagio stia viaggiando rapidamente (al momento di pubblicazione di questo articolo la situazione è già critica in alcune regioni italiane e in Corea del Sud ed Iran e iniziano ad essere segnalati casi negli USA) inoltre, rende possibile che fermate di produzione e situazioni di quarantena simili a quelle descritte debbano essere adottate anche in regioni e settori industriali di altri paesi.
Semplificando il quadro, consideriamo il caso di un fornitore cinese (Parte A) che fornisce un componente o presta un servizio a favore dell’impresa straniera (Parte B), che a sua volta assembla (in Cina o all’estero) il componente in un prodotto finito o semilavorato, che poi viene rivenduto a terzi (Parte C).
Se la Parte A ritarda o non consegna i prodotti o servizi alla Parte B, questa rischia di trovarsi esposta al rischio di inadempimento verso la Parte C, e così via lungo la catena di forniture/acquisti.
Vediamo dunque come gestire il caso in cui la Parte A comunichi che è divenuto impossibile adempiere al contratto per motivi riconducibili all’emergenza Coronavirus, come un provvedimento amministrativo di chiusura dello stabilimento, la mancanza di personale in fabbrica alla riapertura, l’impossibilità di approvvigionarsi di certe materie prime o componenti, il blocco di certi servizi logistici, etc.
Nel commercio internazionale questa situazione, ossia l’esonero dalla responsabilità per il mancato adempimento alla prestazione contrattuale, divenuta impossibile a causa di eventi sopravvenuti che sono al di fuori della sfera di controllo della Parte, è generalmente definita “Forza Maggiore” o “Force Majeure”.
Per capire quando è legittimo che un fornitore eccepisca l’impossibilità ad adempiere al contratto a causa del Coronavirus e quando invece questi comportamenti siano infondati o pretestuosi, occorre chiedersi quando la Parte A può invocare una situazione di Force Majeure e cosa può fare la Parte B per limitare i danni ed evitare di essere a sua volta considerata inadempiente verso la Parte C.
Cos’è la Forza Maggiore – Force Majeure?
Non esiste, a livello internazionale, un concetto unitario di Force Majeure, perché ogni ordinamento statale prevede una disciplina specifica.
Un riferimento utile è dato dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili (“CISG”), ratificata da 93 paesi (tra cui Italia, Cina, USA, Germania, Francia, Spagna, Australia, Giappone, Messico) e automaticamente applicabile alle vendite tra società con sede in diversi paesi contraenti, salvo espressa esclusione.
L’art. 79 della CISG, intitolato nella versione italiana “Cause di Esonero”, prevede che “Una parte non è responsabile dell’inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”.
Le caratteristiche della causa di esonero dalla responsabilità per inadempimento sono dunque la sua imprevedibilità, il fatto che sia al fuori della sfera di controllo della parte che lo subisce e l’impossibilità di evitarlo o di porre rimedio alle sue conseguenze compiendo ragionevoli sforzi.
Per stabilire, in concreto, se ricorrano i presupposti di un evento di Force Majeure, quali siano le sue conseguenze e quale comportamento debbano tenere le parti, occorre in primo luogo analizzare il contenuto della (eventuale) clausola di Force Majeure inserita nel contratto.
La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
Il modello di clausola di Force Majeure di riferimento nel commercio internazionale è quello predisposto dalla International Chamber of Commerce, la ICC Force Majeure Clause 2003, che prevede quali sono i requisiti che la parte che invoca la forza maggiore ha l’onere di provare (in sostanza sono quelli previsti dall’art. 79 della CISG) e indica una serie di eventi in cui si presume che tali requisiti ricorrano (tra i quali situazioni di guerra, embargo, atti di terrorismo, pirateria, calamità naturali, scioperi generali, provvedimenti delle autorità).
La ICC Force Majeure Clause 2003 indica poi anche quali siano i comportamenti da tenere da parte di chi invoca l’evento:
- Dare pronta notizia all’altra parte dell’impedimento;
- Nel caso in cui l’impedimento sia temporaneo, comunicare prontamente all’altra parte la sua cessazione;
- Fare tutto quanto ragionevolmente possibile per limitare gli effetti dell’evento sulla propria prestazione contrattuale;
- Nel caso in cui l’impossibilità della prestazione derivi dal mancato adempimento di un terzo (come nel caso di un subfornitore) fornire la prova che i presupposti della Force Majeure si applichino anche al terzo fornitore;
- Nel caso in cui l’evento comporti il venir meno dell’interesse alla prestazione, comunicare prontamente la decisione di risolvere il contratto;
- Nel caso di risoluzione del contratto, restituire la prestazione eventualmente ricevuta o una somma di valore equivalente.
Posto che le parti sono libere di inserire nel contratto ICC Force Majeure Clause 2003 oppure altra clausola di contenuto diverso, a fronte di una notifica di un evento di Forza Maggiore occorrerà dunque, come prima cosa, analizzare cosa preveda la clausola contrattuale nel caso specifico.
Il secondo passaggio (oppure il primo, nel caso in cui nel contratto non fosse presente una clausola di Force Majeure) sarà poi quello di verificare che cosa preveda la legge applicabile all’accordo contrattuale (ne parliamo in seguito).
Può anche accadere che l’evento invocato dalla parte inadempiente non comporti l’impossibilità della prestazione contrattuale, ma la renda eccessivamente onerosa: in questi casi non si può applicare il regime della Force Majeure, ma potrebbero ricorrere i presupposti della cosiddetta Hardship.
Cos’è l’Hardship?
L’Hardship (in italiano: eccessiva onerosità sopravvenuta) è un’altra clausola che ricorre spesso nei contratti internazionali di durata: essa disciplina i casi in cui, dopo la conclusione del contratto, la prestazione di una delle parti divenga eccessivamente onerosa o complicata a causa di fatti sopravvenuti, indipendenti dalla volontà della parte.
Il risultato di un evento di Hardship è quello di sbilanciare fortemente l’equilibrio del contratto a favore di una parte: esempi di scuola sono l’imprevedibile forte rialzo del prezzo di una materia prima, l’imposizione di dazi sull’importazione di un certo prodotto, l’oscillazione della valuta oltre un certo range concordato tra le parti.
A differenza della Force Majeure, dunque, nel caso di Hardship la prestazione è ancora realizzabile, ma è divenuta eccessivamente onerosa.
La clausola modello anche in questo caso è la ICC Hardship Clause 2003, che prevede che l’eccessiva onerosità sia conseguenza di un evento al di fuori della ragionevole sfera di controllo della parte, che non poteva essere preso in considerazione prima della conclusione dell’accordo e le cui conseguenze non possano essere ragionevolmente gestite.
La ICC Hardship Clause stabilisce cosa accade dopo che una parte abbia provato la ricorrenza di un evento di Hardship, ossia:
- L’obbligo delle parti, entro un termine ragionevole, di negoziare una soluzione alternativa per mitigare gli effetti dell’evento e riportare l’accordo in equilibrio (estensione del termine di consegna, revisione del prezzo, etc.);
- La risoluzione del contratto, nel caso in cui le parti non raggiungano un accordo alternativo per mitigare gli effetti dell’Hardship.
Anche nel caso in cui una parte eccepisca un evento di Hardship, come visto in precedenza per la Forza Maggiore, è necessario verificare se l’evento sia stato previsto nel contratto, quale sia il contenuto della clausola e/o cosa preveda la normativa applicabile all’accordo.
Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
Torniamo ora al caso visto all’inizio di questo articolo e cerchiamo di vedere come gestire il caso dell’inadempimento del fornitore all’interno di una supply chain internazionale, quando venga invocata l’emergenza del Coronavirus come causa di esonero della responsabilità.
Premettiamo che non esiste una risposta valida per tutti i casi, essendo necessario esaminare i fatti, gli accordi contrattuali tra le parti e la legge applicabile al contratto. Quello che possiamo fare è indicare il metodo che può essere utilizzato in questi casi, ossia rispondere alle seguenti domande:
- La situazione di fatto: qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- La parte che invoca la Force Majeure ha provato la sussistenza dei requisiti?
- Cosa prevede il Contratto (e/o le Condizioni Generali di contratto)?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle Parti?
Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
Come visto la situazione di forza maggiore è tale se la prestazione, dopo la conclusione del contratto, diviene impossibile per eventi imprevedibili, al di fuori del controllo della parte obbligata, le cui conseguenze non possano essere superate con uno sforzo ragionevole.
La prima verifica da fare è se l’evento per il quale la parte invoca la Force Majeure fosse o meno al di fuori del controllo della Parte e se fosse tale da rendere la prestazione impossibile (e non solo più complessa od onerosa) senza che la Parte potesse porvi rimedio.
Facciamo un esempio: nel contratto si prevede che la Parte A debba consegnare alla Parte B un prodotto o effettuare un servizio entro un certo termine essenziale (ossia tassativo, non derogabile), scaduto il quale non vi sarebbe più interesse di Parte B a ricevere la prestazione (pensiamo, ad esempio, alla consegna di alcuni materiali necessari per la costruzione di un’infrastruttura per le Olimpiadi).
Se la consegna non potesse avvenire perché lo stabilimento di Parte A è stato chiuso per provvedimento amministrativo o perché il personale di Parte A non può viaggiare e recarsi presso Parte B per effettuare il servizio di installazione, si potrebbe rientrare nel novero dei casi di Force Majeure.
Se invece la prestazione di Parte A restasse comunque possibile (ad esempio con spedizione dei prodotti da altro stabilimento sito in altra zona della Cina o in altro paese) e potesse essere realizzata, anche se a condizioni più onerose o in modo inesatto o incompleto, o in ritardo, non si potrebbe invocare la Force Majeure e andrebbe verificato se si sia, eventualmente, prodotta quell’eccessiva onerosità sopravvenuta che è il presupposto dell’Hardship, con le relative conseguenze.
Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
Il passo successivo è quello di determinare se il Fornitore / Parte A abbia fornito la prova dei fatti che sono il presupposto della Force Majeure, ossia di non aver potuto evitare la situazione né che fosse ragionevolmente possibile porvi rimedio.
A tal fine la sola produzione di un certificato del CCPIT attestante l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali, per i motivi spiegati in precedenza, non può considerarsi sufficiente a provare l’effettiva sussistenza, nel caso specifico, di una situazione di Force Majeure.
La verifica dei fatti dedotti e delle relative prove è particolarmente importante perché, nel caso in cui si ritenga sussistere una causa di esonero in capo alla Parte A, queste prove possono poi essere utilizzate dalla Parte B per documentare, a sua volta, di trovarsi nell’impossibilità di adempiere verso la Parte C, e così via lungo la catena di fornitura.
Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
Il passaggio successivo è quello di vedere se il contratto tra le parti, o le condizioni generali di vendita o acquisto (se esistenti e applicabili) prevedano, o meno, una clausola di Force Majeure e/o Hardship.
In caso positivo occorre verificare se l’evento denunciato dalla Parte che invoca la Force Majeure rientri o meno tra quelli previsti dalla clausola contrattuale.
Ad esempio, se l’evento denunciato fosse la chiusura dello stabilimento per ordine delle autorità e la clausola contrattuale fosse la ICC Force Majeure Clause 2003, si potrebbe sostenere che l’evento rientri quelli indicati al punto 3 [d] ovvero “act of authority … compliance with any law or governmental order, rule, regulation or direction, curfew restriction” oppure al punto 3 [e] “epidemic” o 3 [g] “general labour disturbance “.
Andrà poi esaminato quali siano le conseguenze previste dalla Clausola: generalmente si prevede un onere di tempestiva notifica dell’evento, che la parte sia esonerata dall’esecuzione della prestazione per tutta la durata dell’evento di Force Majeure e un termine massimo di sospensione dell’obbligazione, decorso il quale le parti possono comunicare la risoluzione del contratto.
Nel caso in cui l’evento non rientrasse tra quelli previsti nella Clausola di Force Majeure, o non vi fosse tale clausola nel contratto, andrebbe verificato se esista una Clausola di Hardship e se l’evento possa essere ricondotto a tale previsione.
Infine, in ogni caso è comunque necessario verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto.
Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
Ultimo passaggio è quello di verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto, sia nel caso in cui l’evento rientri in una clausola di Force Majeure o Hardship, sia nel caso in cui tale clausola non sia presente o non ricomprenda l’evento.
I presupposti e le conseguenze della Forza Maggiore o dell’Hardship, infatti, possono essere regolati in modo molto diverso a seconda della legge applicabile al contratto.
Se Parte A e Parte B avessero entrambe sede in Cina, al contratto di vendita si applicherebbe la legge della Repubblica Popolare Cinese, e la possibilità di invocare con successo la Force Majeure andrebbe valutata applicando queste norme.
Se Parte B avesse invece sede in Italia, nella maggioranza dei casi al contratto di vendita si applicherebbe la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (e quindi l’art. 79 sulle Cause di Esonero visto in precedenza) e per quanto non coperto dalla CISG si applicherebbe la legge indicata dalle parti nel contratto (o in mancanza identificata tramite i meccanismi di diritto internazionale privato).
Analogo ragionamento andrebbe fatto per determinare quale sia la legge applicabile al contratto tra Parte B e Parte C e cosa preveda tale legge, e così via lungo la supply chain internazionale.
Nel caso in cui i diversi rapporti siano regolati dalla stessa normativa (ad esempio la CISG) ciò non comporta problemi, ma se – come è probabile – le leggi applicabili fossero diverse la situazione si complica parecchio perché lo stesso evento potrebbe essere considerato causa di esonero da responsabilità contrattuale per la Parte A nei confronti della Parte B, ma non nel passaggio successivo della supply Chain, da Parte B a parte C.
Come limitare i rischi nella supply chain?
Il modo migliore di limitare il rischio di richieste di risarcimento del danno da parte delle altre imprese della catena di fornitura è quello di richiedere per tempo al proprio Fornitore conferma della disponibilità ad effettuare la prestazione contrattuale secondo i termini stabiliti, e condividere le informazioni ricevute con le altre aziende che fanno parte della supply chain.
Nel caso di inadempimento motivato con l’emergenza Coronavirus, è fondamentale verificare se l’evento denunciato rientri tra quelli che possono essere causa di esonero da responsabilità contrattuale, ed esigere che il fornitore fornisca le prove relative. Tali prove, se confermano l’impossibilità della prestazione del fornitore, potranno essere utilizzate dall’acquirente, a sua volta, per invocare la situazione di Force Majeure nei confronti delle altre aziende della Supply Chain.
Se nei contratti (di acquisto e vendita) sono presenti clausole di Force Majeure / Hardship, andrà visto cosa prevedono come modalità di denuncia, tempi di sospensione della prestazione o risoluzione del contratto, nonché cosa preveda la legge applicabile ai contratti.
Infine, è bene ricordare che la maggior parte delle normative prevedono un onere di mitigare i danni derivanti dall’eventuale inadempimento dell’altra parte: ciò significa che se è probabile, o anche solo possibile, che il Fornitore cinese si renda inadempiente ad una fornitura, la parte acquirente dovrà fare tutto il possibile per essere in grado di porvi rimedio ed adempiere comunque alle proprie obbligazioni verso le altre aziende che formano parte della supply chain, ad esempio procurandosi il prodotto da altri fornitori anche a condizioni molto più onerose.
Come cambiano i contratti di distribuzione dopo Covid19?
Ne ho parlato in un webinar il 20.11.2020, offrendo il mio punto di vista sulle lezioni apprese durante la pandemia e sulle clausole che è opportuno verificare e aggiornare: clicca qui sotto per vedere la registrazione dell’intervento.
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On December 30, 2018, the Comprehensive and Progressive Agreement For Trans-Pacific Partnership (“CPTPP”) entered into force
This Treaty is considered the third largest global trade agreement, positioned after the Comprehensive Economic and Trade Agreement between Canada and the EU (“CETA”) and the United States–Mexico–Canada Agreement (“USMCA”). The CPTPP sets forth a model of trade liberalization, aiming to maintain the markets open, increase world trade and create new economic opportunities for the member countries.
The CPTPP reaffirms and materializes a major part of the provisions of the Trans-Pacific Economic Cooperation Agreement (“TPP”), which had been originally signed by 12 countries, subsequently the United States of America (“USA”) announced its withdrawal.
As a result, this Treaty is the agreement reached by the remaining 11 countries of the TPP (Australia, Brunei, Canada, Chile, Japan, Malaysia, Mexico, New Zealand, Peru, Singapore and Vietnam) in an effort to enact its provisions, since the original text is incorporated, except for 22 provisions related to rules presented by the USA, which were suspended.
The Agreement has four main characteristics:
- Improves the access to the markets of the participating countries, eliminating and reducing tariff barriers amongst them. It also increases the pre-existing benefits between countries which had already entered into an agreement.
- Promotes innovation, productivity and competition;
- Encourages inclusive commerce, by incorporating new elements to ensure economic development, such as regulating the activities of state-owned companies, intellectual property, regulatory coherence, electronic commerce and support to Small and Medium Enterprises (“SMEs“) in order to streamline and simplify trade.
- Through a regional integration platform, it aims to enhance the production chain and the possibility of including different and future economies.
To estimate the relevance of the Agreement, the Mexican Ministry of Economy stated that, although the absence of the USA reduced the economic dimensions of the market delimited by this instrument (from 40% to 13% of the world economy), future prospects are favorable since: i) the participation of the 11 countries, creates a market of 500 million consumers, ii) 13.5% of the world’s Gross Domestic Product (GDP) will enter in to this market and iii) the likelihood of incorporation of other countries is probable, which could compensate the absence of the USA.
With the CPTPP, Mexico intends to broaden its trade openness in the most dynamic zone in the world (Asia-Pacific), allowing Mexican products to enter into 6 new countries: Australia, Brunei, Malaysia, New Zealand, Singapore and Vietnam. The aforementioned will promote the diversification of the trade economic activity, bolstering sectors such as agriculture, automotive, aerospace and products such as medical devices, electrical equipment, dairy products, tuna, sardines, cosmetics, tequila, mezcal, beer, etc.
This Agreement will also deepen the access to the Japanese market and will consolidate tariff preferences with countries with which a free trade agreement had already been signed, such as Canada, Chile and Peru.
The main motivation of the Mexican government in the negotiation of the CPTPP is to continue with a trade liberalization policy that began in 1989. Currently, Mexico has a network of 12 free trade agreements with 46 countries; 33 agreements for the reciprocal promotion of investments; and 9 agreements of limited scope (Economic Complementation Agreements and Partial Scope Agreements) within the framework of the Latin American Integration Association.
Riassunto – Si tratta di un accordo di riservatezza, spesso utilizzato nel commercio internazionale, con il quale le parti si obbligano a mantenere riservate le informazioni confidenziali o sensibili scambiate durante i negoziati. Il modello di contratto è abbastanza standard, ma per la sua validità ed efficacia è fondamentale che il contenuto sia adattato al caso concreto, come la clausola di legge applicabile, il foro competente o arbitrato, le clausole penali, la durata, la lingua del contratto.
Accade molto spesso che in differenti contesti di business venga proposta la sottoscrizione di un Non Disclosure Agreement (“NDA”) e di un Memorandum of Understanding (“MoU”) o di una Letter of Intent (“LoI”), tanto che questi tre acronimi – NDA, MoU e LoI – sono ormai diventati di uso corrente, soprattutto in occasione di negoziati internazionali.
Spesso, però, questi contratti vengono utilizzati in modo improprio e con finalità diverse da quelle con le quali si sono affermati nella prassi del commercio internazionale, con il risultato di non essere utili perché non tutelano in modo efficace gli interessi delle parti, o addirittura di essere controproducenti.
Iniziamo vedendo quali sono le caratteristiche del Non Disclosure Agreement – NDA – e come è consigliabile utilizzarlo.
Di cosa parlo in questo articolo
- Cos’è il NDA – Accordo di riservatezza
- Chi sono le parti del NDA – Accordo di riservatezza
- Quali sono le Informazioni riservate?
- La condivisione delle Informazioni riservate con terzi
- Non Disclose and Non Use Agreement
- Il divieto di concorrenza
- La durata del NDA
- Inadempimenti del NDA e clausola penale
- NDA modello e standard
- Quale legge applicabile e giudice in un NDA internazionale?
- La lingua del NDA
- Conclusioni
- Come possiamo aiutarti
NDA – Cosa significa
Il NDA è un accordo che ha la funzione di tutelare la riservatezza delle informazioni che le parti (generalmente identificate, rispettivamente, come “Disclosing Party” e “Receiving Party”) intendono condividere, in diversi possibili scenari: la trasmissione d’informazioni per una due diligence preliminare a un investimento, la valutazione di dati commerciali per un contratto di distribuzione, le specifiche tecniche di un certo prodotto oggetto di trasferimento di tecnologia, etc.
Il primo step del negoziato, infatti, richiede spesso la messa a disposizione di informazioni di diverso tipo, tecniche, finanziarie o commerciali, da parte di una o di entrambe le parti, che è necessario che rimangano riservate (di seguito le “Informazioni Riservate”) durante e dopo la conclusione del negoziato.
Chi sono le parti dell’accordo di riservatezza?
Fondamentale, partendo dalle premesse dell’accordo, è la corretta individuazione delle parti obbligate alla protezione delle informazioni e al mantenimento della riservatezza, specie quando sono coinvolti gruppi societari, in cui gli interlocutori possono essere molteplici e situati in diversi paesi. In casi simili è consigliabile obbligare la Receiving Party a garantire il mantenimento della riservatezza da parte di tutte le società del gruppo.
È inoltre importante che l’accordo individui esattamente quali persone facenti parte dell’organizzazione della Receiving Party (si pensi a: dipendenti, consulenti tecnici, professionisti, collaboratori, etc.) hanno diritto di accedere alle Informazioni, se possibile con sottoscrizione dell’accordo di riservatezza da parte di tutte le persone coinvolte.
E’ anche importante prevedere se la Receiving Party possa o meno condividere le Informazioni Riservate con soggetti terzi, ad esempio consulenti tecnici o propri collaboratori esterni. In caso positivo la tutela migliore è quella di obbligare anche tali terzi a sottoscrivere il NDA e prevedere che la Receiving Party sia responsabile (“obbligata in solido”) insieme al terzo per il rispetto delle obbligazioni del NDA.
Spesso la richiesta di far firmare a terze parti il NDA e di essere responsabile per la gestione delle Informazioni Riservate da parte dei terzi viene contestata dalla Receiving Party, solitamente con la motivazione che sarebbe troppo complessa la gestione delle attività necessarie.
Ciò è sintomo di una scarsa predisposizione al rispetto dell’obbligo di riservatezza, che va valutato con attenzione. Se la parte ricevente non intende impegnarsi affinchè terzi rispettino gli obblighi di confidenzialità e non vuole essere responsabile dei loro eventuali inadempimenti ciò espone il Titolare ad un evidente rischio di divulgazione delle informazioni, senza che sia possibile agire in modo efficace per rimediare il danno.
Suggerisco, in questi casi, di essere molto rigorosi.
Il NDA deve prevedere che:
- l’accesso alle Informazioni Riservate da parte di terzi è possibile solo se preventivamente autorizzato per iscritto dalla Disclosing Party
- il terzo autorizzato deve firmare un allegato al NDA nel quale dichiara di aver preso visione degli obblighi di riservatezza e di obbligarsi al loro rispetto
- il terzo non possa condividere le Informazioni Riservate con altri soggetti non vincolati dal NDA, salvo espressa autorizzazione del Titolare
- la Disclosing Party sia responsabile in solido del rispetto delle obbligazioni del NDA da parte dei Terzi autorizzati
Identificazione delle Informazioni Riservate
L’utilizzo di modelli di NDA riciclati, reperiti su formulari o proposti dalla controparte è prassi certamente non raccomandabile, ma purtroppo molto diffusa.
Questi modelli, molto spesso, sono generici e contengono definizioni ampie delle Informazioni Riservate ed elenchi estremamente dettagliati, che comprendono, di fatto, tutto il contenuto dell’attività societaria, includendo spesso ambiti che non sono rilevanti per l’attività oggetto di negoziato, o informazioni che non sono riservate.
Un problema di questi modelli è che è difficile, ex post, verificare se un certo dato fosse o meno compreso nelle Informazioni, ad esempio perché non si sa se fosse già in possesso della Receiving Party prima della firma del NDA.
Un’altra criticità è rappresentata dal fatto che l’elenco molto dettagliato non includa proprio la singola informazione che interessa, oppure non lo faccia in modo chiaro.
Infine accade spesso che sia difficile ricostruire quali Informazioni, dopo la firma del NDA, sono state trasmesse alla Receiving Party, e quando è avvenuta la trasmissione (ad esempio perché sono state inviate in modalità non sicura e non tracciabile, è il caso delle Informazioni spedite come allegati da una email).
Come condividere le Informazioni Riservate
Il modo migliore di procedere è quello di identificare in modo preciso solo le informazioni che è necessario condividere, indicando i documenti da trasmettere in un elenco allegato al NDA.
Ad esempio, se si condivide un certo segreto industriale (“Know-how”) la cosa migliore è limitare l’oggetto dell’accordo solo alle informazioni sensibili relative a tale segreto e specificare in quale formato (cartaceo, digitale, software, hardware) verrà condiviso.
Il passo successivo è quello di metterli a disposizione in un formato che non consenta dubbi sul fatto che sono protette dal NDA, ad esempio marchiandole con un timbro “Confidential under NDA” seguito dalla data di invio.
Altra buona prassi è prevedere che l’accesso alle Informazioni avvenga con modalità sicura e tracciabile (come un’area riservata in cloud o sul server della Disclosing Party, accessibile solo con user name e password individuali assegnati alle persone autorizzate).
Il Divieto di uso delle Informazioni
Un errore abbastanza ricorrente nei modelli di NDA è la previsione dell’obbligo per la Receiving Party del solo mantenimento della riservatezza delle Informazioni, senza impedirgliene espressamente l’utilizzo.
Soprattutto nel caso di imprese concorrenti, però, l’utilizzo è più pericoloso della divulgazione: basti pensare alla possibilità che la Receiving Party sviluppi tecnologie o brevetti basati proprio sui segreti industriali acquisiti.
E’ importante prevedere, quindi, che l’obbligo non è solo di riservatezza ma anche di non uso, evidenziando tale patto anche nel titolo dell’accordo che può diventare “Non Disclosure and Non Use Agreement”.
Non Compete Agreement – Divieto di concorrenza
Altra situazione delicata è quella il cui una Parte condivida elenchi di clienti o di agenti o di fornitori o altre informazioni commerciali sensibili.
In questo caso oltre alle obbligazioni di riservatezza e di non utilizzo al di fuori di quanto previsto nel NDA, è bene prevedere espressamente clausole di Non Concorrenza.
Ad esempio, se viene condiviso un elenco di agenti o di fornitori, l’accordo può prevedere un obbligo di astensione dal contattare direttamente certi soggetti individuati negli elenchi condivisi (questo patto è anche noto come “Non Circumvention Agreement”).
La Durata dell’obbligo di riservatezza
La funzione del NDA è proteggere le Informazioni Riservate per tutto il tempo necessario alla loro condivisione tra le Parti.
È bene, quindi, che sia indicato in modo chiaro qual è il momento finale della condivisione e – nel caso in cui la Receiving Party sia in possesso di copia delle Informazioni Riservate – prevedere l’obbligo di restituzione o distruzione dei documenti.
E’ anche fondamentale indicare per quanto tempo la Receiving Party sia tenuta a mantenere la riservatezza e non utilizzare le Informazioni dopo il periodo necessario al loro esame, ad esempio 24 mesi.
NDA – Inadempimenti
Provare e quantificare i danni derivanti una violazione dell’obbligo di riservatezza è generalmente molto complesso, perché si traduce in vantaggio / danno intangibile, come ad esempio la possibilità di sviluppare un certo prodotto concorrente in tempi rapidi proprio grazie alle Informazioni apprese.
Può essere allora utile prevedere una clausola penale, che predetermini in una certa somma il danno derivante dall’inadempimento contrattuale.
A tal fine è importante considerare che la quantificazione della penale deve essere ragionevole in relazione al danno che si presume possa scaturire dalla violazione della segretezza o dall’utilizzo delle Informazioni.
E’ consigliabile prevedere diversi importi a titolo di penale in relazione a diverse ipotesi di inadempimento (ad esempio, la registrazione o la contraffazione di un brevetto utilizzando le informazioni tecniche condivise, oppure il contatto con certi partner commerciali).
In ogni caso, prima di inserire clausole penali è opportuno valutare cosa preveda la legge applicabile all’accordo per la validità di questo patto, in particolare per la quantificazione massima della penale (si veda il punto successivo).
Il rischio, se non si conosce la legge applicabile all’accordo di non riservatezza, è che in caso di contenzioso il Giudice ritenga la clausola invalida o che la penale sia di importo eccessivo in relazione all’inadempimento e quindi la riduca ad una somma equa.
Oppure, al contrario, una parte possa essere condannata al pagamento di una penale addirittura superiore al valore del contratto (è il caso di una recente decisione della Suprema Corte Russa).
La clausola penale, infine, può essere anche utilizzata in modo tattico. Se in sede di negoziato la Receiving Party si oppone fermamente all’inserimento della penale o ne chiede la riduzione ciò può essere un indizio di una riserva mentale di inadempimento.
NDA template e Smart Contract
E’ molto agevole, oggi, procurarsi un modello di NDA: template o standard possono essere reperiti gratuitamente su vari siti come bozze generiche da completare, o essere costruiti online rispondendo ad una serie di domande per personalizzare il contratto per il caso specifico.
Il mio consiglio è di procedere con grande attenzione: per i motivi che spiego in questo post, il NDA è un accordo che deve essere redatto con grande attenzione e con l’aiuto di un consulente esperto.
Un buon modello (template) di NDA può essere una base di partenza utile, dopo di che una revisione di un esperto è un passaggio fondamentale, soprattutto per verificare che il contenuto del NDA sia conforme a quanto prevede la legge che si applica all’accordo e che le modalità di risoluzione delle controversie previste siano efficaci.
Legge applicabile e foro competente
Una cattiva abitudine è anche quella di relegare le clausole su legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie alla fine dell’accordo (tanto che vengono definite “Midnight Clauses”, per un approfondimento si veda questo post su Legalmondo) e di non prestare particolare attenzione al loro contenuto.
Ciò porta spesso alla previsione di clausole del tutto sbagliate (o addirittura nulle) che in caso di contenzioso vanificano la possibilità di ottenere tutela in giudizio.
La clausola che prevede la legge applicabile e la giurisdizione è fondamentale, perché da essa dipende la possibilità di far rispettare l’accordo e/o di ottenere un provvedimento giudiziario che possa essere eseguito in modo rapido ed efficace.
La questione è molto delicata perché non esiste una soluzione valida per tutti i casi e occorre considerare le specificità del singolo accordo di riservatezza.
Ci sono le Parti e dove hanno sede? Quali sono le informazioni riservate e dove possono essere utilizzate? Cosa prevede la legge del paese in cui ha sede la controparte? La modalità di risoluzione delle controversie più efficace deve essere individuata dando risposta a queste domande.
Facciamo un esempio: in un NDA con una controparte cinese è spesso controproducente scegliere di applicare la giurisdizione e la legge italiana, visto che in caso di inadempimento è solitamente necessario agire rapidamente in Cina (anche in via d’urgenza) e non presso un giudice italiano. In tal caso è consigliabile redigere il NDA con testo bilingue inglese/cinese e prevedere un arbitrato in Cina, applicando la legge cinese.
NDA in inglese, cinese o doppia lingua
Accade spesso che il modello di NDA venga proposto dalla controparte straniera e sia in inglese, o in doppia lingua (es. inglese e cinese).
E’ anche frequente che sia la parte italiana che richieda che i contratti internazionali siano in doppia lingua: ad esempio italiano e inglese o spagnolo.
In alcuni casi, per fortuna eccezionali, ho anche visto contratti in 3 lingue: italiano, inglese e cinese.
Ciò si verifica di solito perché, nonostante l’inglese sia la lingua franca del commercio internazionale, le parti sono più a loro agio nel negoziare e firmare un accordo che sia anche nella loro lingua.
La previsione di una seconda lingua può poi essere importante per essere certi che non vi siano fraintendimenti sul contenuto dell’accordo (una parte cinese non potrà invocare di non aver compreso il significato di un patto in inglese, se è disponibile una versione anche in cinese).
Infine, se necessario, una versione bilingue è immediatamente ed agevolmente utilizzabile in caso di azione legale, per rimanere sullo stesso esempio, davanti ad un giudice cinese, senza che sia necessario procedere a traduzioni (non sempre di buona qualità) nel corso del giudizio.
Qualche consiglio pratico:
- se non si conosce la seconda lingua del NDA, verificare sempre che il contenuto sia completo e conforme a quello della prima (accade spesso che nei vari passaggi di negoziato di un accordo qualcuno si dimentichi di riportare una modifica nell’altra lingua)
- se possibile richiedere una revisione del testo anche da parte di un legale madrelingua, per escludere l’utilizzo di termini impropri o non corretti
- stabilire quale versione prevale in caso di incongruenze tra una lingua e l’altra
In conclusione
Il NDA – Accordo di riservatezza è un contratto che spesso è concluso in modo frettoloso, sottovalutandone l’importanza e la complessità.
Il mio consiglio è di evitare il fai da te e affidarsi ad un legale specializzato, che sappia negoziare e redigere il NDA tenendo conto di tutte le particolarità del caso (tipo di negoziato, informazioni riservate condivise, sede delle parti e paesi in cui andrà eseguito il NDA, contenuto della legge straniera eventualmente applicabile, modalità di risoluzione delle controversie più conveniente, etc.).
Possiamo aiutarti?
Legalmondo offre la possibilità di lavorare online con un avvocato specializzato per redigere il tuo NDA, revisionare il contratto proposto dalla controparte o negoziare un NDA con partner italiani o stranieri.
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Dopo una lunga attesa dei fornitori di prodotti di marca, dei distributori al dettaglio di negozi fisici, dei rivenditori via internet, incluse piattaforme come Amazon, eBay, Zalando, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha appena deciso (6 dicembre 2017) – nella decisione già ribattezzata di “San Niccolò” – che i fornitori di beni di lusso possono legittimamente proibire vendite tramite piattaforme di terze parti.
In un precedente post di Legalmondo (“the Coty Case”, in lingua inglese) avevamo analizzato la vertenza appena decisa dai giudici europei. Secondo la CGUE, tale divieto di usare piattaforme non costituisce necessariamente una restrizione illegittima della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”): la Corte ha confermato il fatto che i sistemi di distribuzione selettiva per beni di lusso, volti primariamente a preservare l’immagine di lusso dei prodotti, possono essere ritenuti compatibili con le limitazioni comunitarie in tema di accordi verticali.
Più specificamente, la Corte ha deciso che le limitazioni alla rivendita dei beni attraverso piattaforme online sono legittime perché il diritto europeo permette la restrizione alle vendite online grazie a
“una clausola contrattuale, come quella di cui trattasi, che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo Internet dei prodotti interessati, qualora siano rispettate le seguenti condizioni: (i) tale clausola deve essere diretta a salvaguardare l’immagine di lusso dei prodotti interessati, (ii) deve essere stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio e (iii) deve essere proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito. Spetterà all’Oberlandesgericht verificare se ciò avvenga nel caso di specie.”
(cfr. la rassegna stampa della CGUE No. 132/2017 e il testo completo della decisone).
Spetta ora alla Corte d’Appello di Francoforte applicare tali requisiti al caso Coty.
La storia del caso Coty è estremamente interessante: la filiale tedesca del fornitore di profumi di lusso Coty, la Coty Germany GmbH (“Coty”) ha creato una rete di distribuzione selettiva per la quale i suoi distributori possono effettuare vendite via internet, ma è loro proibito di vendere tramite piattaforme di terze parti, le quali appaiano tali anche dall’esterno, come ad esempio Amazon, eBay, Zalando etc. La corte di primo grado aveva deciso che l’imposizione di tale divieto di vendere tramite piattaforme di terze parti costituisse un’illegittima restrizione della concorrenza. La Corte di secondo grado, invece, non aveva ravvisato una risposta altrettanto chiara e aveva chiesto alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi sull’interpretazione della normativa europea antitrust e, più specificamente, dell’art. 101 TFUE e dell’art. 4 lett. b e c del regolamento generale di esenzione per categoria per gli accordi verticali o “VBER” (decisione del 19.04.2016, per dettagli, si veda il post precedente “eCommerce: restrizioni per i distributori in Germania”). Il 30 marzo 2017 ha avuto luogo l’udienza dinnanzi alla CGUE. In tale sede Coty ha difeso il proprio divieto di vendere su piattaforme terze, sostenendo che lo stesso è volto a proteggere l’immagine di lusso di marchi come Marc Jacobs, Calvin Klein o Chloé. Il distributore Parfümerie Akzente GmbH, viceversa, sosteneva che piattaforme conosciute come Amazon e eBay già vendessero prodotti di marca, (ad es: L’Oréal) e di conseguenza non v’era motivo, per Coty, di proibire la rivendita tramite tali piattaforme. Inoltre, ha sostenuto Parfümerie Akzente, le piattaforme online sono importanti per le piccole e le medie imprese. Possibili indicazioni su come la Corte avrebbe potuto decidere sono apparse il 26 luglio 2017, allorché l’Avvocato Generale ha fornito le proprie conclusioni, concludendo che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile, purché “tale clausola contrattuale sia condizionata dalla natura del prodotto, se essa sia stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e se essa non vada oltre il necessario” (paragrafo 122 delle conclusioni dell’Avvocato Generale; vedi il post precedente “Distribuzione online – Divieti di vendite su piattaforme online nella distribuzione selettiva (il caso Coty perdura)”).
Conclusioni pratiche
- Questa sentenza del 6 dicembre 2017 è molto importante per tutti i fornitori di prodotti di marca, per distributori al dettaglio in negozi fisici, per i rivenditori via internet e per i fornitori di piattaforme online, in quanto chiarisce che i fornitori di prodotti di marca possono vietare le vendite tramite piattaforme di terze parti (Amazon, eBay, Zalando & Co.) al fine di assicurare il medesimo livello di qualità della distribuzione su tutti i canali di distribuzione, sia offline che online.
- Un piccolo passo indietro: la Corte distrettuale di Amsterdam già il 4 ottobre 2017 aveva deciso che il divieto imposto da Nike ai propri distributori selettivi di usare piattaforme online costituiva un criterio di distribuzione legittimo al fine di salvaguardare l’immagine del marchio di lusso Nike (caso Nike European Operations Netherlands B.V. contro il rivenditore sito in Italia, Action Sport Soc. Coop, A.R.L., fasc. n. C/13/615474 / HA ZA 16-959).
- Il divieto generale di usare strumenti di comparazione di prezzi, così come stipulato dal fornitore di articoli sportivi Asics nel proprio “Distribution System 1.0“, dovrebbe invece essere anticoncorrenziale – ciò secondo il Bundeskartellamt e come confermato dalla Corte d’Appello di Düsseldorf il 5 aprile 2017. L’ultima parola, tuttavia, non è stata ancora detta – vedi il post “Distribuzione online – Nullo il divieto di strumenti di comparazione di prezzi?”. Sarà interessante vedere come la conclusione del caso Coty influenzerà tali strumenti di comparazione di prezzi.
- Per ulteriori evoluzioni della distribuzione online, si veda la Relazione finale sull’indagine conoscitiva sull’E-commerce della Commissione UE e i dettagli nel Documento di lavoro, „Relazione finale sull’indagine conoscitiva sul settore E-commerce“.
- Per dettagli sulle reti di distribuzione e sulla distribuzione online, consulta i miei articoli:
- “Internetvertrieb in der EU 2018 ff. – Online-Vertriebsvorgaben von Asics über BMW bis Coty”, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht2017, 274-281; e
- „Plattformverbote im Selektivvertrieb – der EuGH-Vorlagebeschluss des OLG Frankfurt vom 19.4.2016“, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht 2016,278–283.
Il caso Coty è estremamente rilevante per la distribuzione in Europa perché più del 70% degli oggetti di lusso del mondo sono venduti qui, e molti di essi vengono venduti online. Per maggiori implicazioni sulle reti di distribuzione esistenti e future e sui rispettivi accordi, restate in contatto, continueremo ad aggiornarvi su Legalmondo!
Based on our experience in many years advising and representing companies in the commercial distribution (in Spanish jurisdiction but with foreign manufacturers or distributors), the following are the six key essential elements for manufacturers (suppliers) and retailers (distributors) when establishing a distribution relationship.
These ideas are relevant when companies intend to start their commercial relationship but they should not be neglected and verified even when there are already existing contacts.
The signature of the contract
Although it could seem obvious, the signature of a distribution agreement is less common than it might seem. It often happens that along the extended relationship, the corporate structures change and what once was signed with an entity, has not been renewed, adapted, modified or replaced when the situation has been transformed. It is very convenient to have well documented the relationship at every moment of its existence and to be sure that what has been covered legally is also enforceable y the day-to-day commercial relationship. It is advisable this work to be carried out by legal specialists closely with the commercial department of the company. Perfectly drafted clauses from a legal standpoint will be useless if overtaken or not understood by the day-to-day activity. And, of course, no contract is signed as a “mere formality” and then modified by verbal agreements or practices.
The proper choice of contract
If the signature of the distribution contract is important, the choice of the correct type is essential. Many of the conflicts that occur, especially in long-term relationships, begin with the interpretation of the type of relationship that has been signed. Even with a written text (and with an express title), the intention of the parties remains often unclear (and so the agreement). Is the “distributor” really so? Does he buy and resell or there are only sporadic supply relationships? Is there just a representative activity (ie, the distributor is actually an “agent“)? Is there a mixed relationship (sometimes represents, sometimes buys and resells)? The list could continue indefinitely. Even in many of the relationships that currently exist I am sure that the interpretation given by the Supplier and the Distributor could be different.
Monitoring of legal and business relations
If it is quite frequent not to have a clear written contract, it happens in almost all the distribution relationships than once the agreement has been signed, the day-to-day commercial activity modifies what has been agreed. Why commercial relations seem to neglect what has been written in an agreement? It is quite frequent contracts in which certain obligations for distributors are included (reporting on the market, customers, minimum purchases), but which in practice are not respected (it seems complicated, there is a good relationship between the parties, and nobody remembers what was agreed by people no longer working at the company…). However, it is also quite frequent to try to use these (real?) defaults later on when the relationship starts having problems. At that moment, parties try to hide behind these violations to terminate the contracts although these practices were, in a sort of way, accepted as a new procedure. Of course no agreement can last forever and for that reason is highly recommendable a joint and periodical monitoring between the legal adviser (preferably an independent one with the support of the general managers) and the commercial department to take into account new practices and to have a provision in the contractual documents.
Evidences about customers
In distribution contracts, evidences about customers will be essential in case of termination. Parties (mainly the supplier) are quite interested in showing evidences on who (supplier or distributor) procured the customers. Are they a result of the distributor activity or are they obtained as a consequence of the reputation of the trademark? Evidences on customers could simplify or even avoid future conflicts. The importance of the clientele and its possible future activity will be a key element to define the compensation to which the distributor will pretend to be eligible.
Evidences on purchases and sales
Another essential element and quite often forgotten is the justification of purchases to the supplier and subsequent sales by distributors. In any distribution agreement distributors acquire the products and resell them to the final customers. A future compensation to the distributor will consider the difference between the purchase prices and resale prices (the margin). It is therefore advisable to be able to establish the correspondent evidence on such information in order to better prepare a possible claim.
Damages in case of termination of contracts
Similarly, it would be convenient to justify what damages have been suffered as a result of the termination of a contract: has the distributor made investments by indication of the supplier that are still to be amortized? Has the distributor hired new employees for a line of business that have to be dismissed because of the termination of the contract (costs of compensation)? Has the distributor rented new premises signing long-term contracts due to the expectations on the agreement? Please, take into account that the Distributor is an independent trader and, as such, he assumes the risks of his activity. But to the extent he is acting on a distribution network he shall be subject to the directions, suggestions and expectations created by the supplier. These may be relevant to later determine the damages caused by the termination of the contract.
Scrivi a Fare affari all’estero: avvocato straniero o italiano?
Trans-Pacific Partnership Agreement – CPTPP
19 Febbraio 2019
- Mexico
- Commercio internazionale
“Può aiutami, avvocato”?
(Ovviamente è urgente).
“Mi mette in contatto con un legale in [Paese straniero]? Poi ci pensiamo noi.”
Lo faccio volentieri, ci mancherebbe.
Specie se posso mettere il cliente in contatto con un avvocato esperto di Legalmondo.
Lavorare direttamente con un legale all’estero, però, comporta una serie di complessità che vengono regolarmente sottovalutate dal cliente.
Le principali sono le seguenti
- identificare il legale giusto, che sia specializzato e abbia una specifica esperienza nella materia di interesse dell’azienda
- la difficoltà di dialogare in una lingua che solitamente è straniera sia per il cliente, sia per il legale all’estero
- comprendere le tematiche giuridiche oggetto dell’incarico, molto spesso regolate da una legge diversa da quella italiana
- concordare i termini dell’incarico professionale e monitorare l’andamento delle spese, specie se si tratta di attività lunghe e complesse, in paesi nei quali i costi legali sono molto alti
Nel caso di contenziosi
- individuare i fatti importanti e i documenti necessari
- definire la strategia di causa, valutare la possibilità di una definizione amichevole della vertenza e ragionare sulle possibili soluzioni alternative in base agli interessi delle parti
- gestire istruzioni e comunicazioni al legale in tempi molto stretti e lavorando in fusi orari diversi
Nel caso di negoziati commerciali
- condividere interessi e obiettivi della trattativa
- preparare e partecipare a call conference frequenti ed impegnative
- seguire le varie fasi delle revisioni dei testi contrattuali
Se si tratta di operazioni straordinarie
- impostare l’attività e condividerla con i legali delle controparti
- allineare le risorse aziendali e i vari professionisti coinvolti per assistere il cliente
- coordinare le diverse fasi dell’attività
Tutti passaggi nei quali il legale italiano, se è specializzato nella materia ed ha esperienza nell’assistere la clientela all’estero, può essere di grande aiuto, diventando l’interfaccia tra il cliente e i vari professionisti coinvolti nell’attività, su entrambi i lati.
È una risorsa preziosa, che consente di impostare il lavoro in modo chiaro, dialogare e ottenere risposte in tempi rapidi, assicurarsi che le informazioni, anche complesse, vengano riportate e comprese in modo corretto.
Esperienza, facilità di dialogo e rapporto di fiducia
Infine, è importante valorizzare la possibilità di confronto diretto con una persona di fiducia, esperta e che conosce l’imprenditore e l’azienda, cosa che generalmente non è possibile lavorando direttamente con uno studio all’estero, specie se di grandi dimensioni.
Il risultato è generalmente quello di lavorare in modo più consapevole, rapido, ordinato ed efficace, il che si traduce generalmente in un risparmio di tempo e denaro.
Prima di lavorare direttamente con un legale in Costa Rica, Macedonia o USA, è bene considerare l’importanza e il valore dell’incarico e pensare al legale italiano come una risorsa, non come un costo aggiuntivo.
Riassunto
Il contratto quadro di fornitura è un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore) che si svolgono nel corso di un certo arco temporale. Questo accordo determina gli elementi principali dei futuri contratti come il prezzo, i volumi di prodotto, i termini di consegna, le specifiche tecniche o di qualità e la durata dell’accordo.
Il contratto quadro è utile per assicurare la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare l’attività industriale o commerciale. Mentre le condizioni generali di acquisto o vendita sono le regole che si applicano a tutti i fornitori o clienti della società. Il contratto quadro è consigliabile concluderlo con i fornitori essenziali per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
Di cosa parlo in questo articolo:
- Che cosa è il contratto quadro di fornitura?
- Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
- La differenza con le condizioni generali di vendita o acquisto
- Quando concludere un contratto quadro di acquisto?
- Quando è utile concludere un contratto quadro di vendita?
- Il contenuto del contratto quadro di fornitura
- Clausola di revisione dei prezzi ed eccessiva onerosità sopravvenuta
- I termini di consegna nel contratto quadro di fornitura
- La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
- Vendita internazionale: legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Che cos’è il contratto quadro di fornitura?
Si tratta di un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore), che si svolgono nel corso di un certo arco temporale.
Si parla dunque di contratto “quadro” (framework agreement, in inglese) perché è un accordo che stabilisce le regole di una futura serie di contratti di compravendita, determinandone gli elementi principali, come il prezzo, i volumi di prodotto che si prevedono di vendere e acquistare, i termini di consegna dei prodotti, le specifiche tecniche o di qualità, la durata dell’accordo.
Dopo avere concluso il contratto quadro le Parti si limiteranno a scambiarsi gli ordinativi e le conferme d’ordine, concludendo una serie di autonomi contratti di vendita, senza dover ridiscutere i patti già definiti nell’accordo quadro.
A seconda dei punti di vista, questo contratto è anche denominato contratto quadro di vendita (se lo utilizza il venditore/fornitore con i propri clienti) o contratto quadro di acquisto (se lo propone il cliente ai suoi fornitori).
Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
È utile prevedere un contratto quadro in tutti i casi in cui le Parti intendono procedere ad una serie di acquisti / vendite di prodotti continuata nel tempo e hanno interesse a dare stabilità all’accordo commerciale, determinandone gli elementi principali.
In particolare, l’accordo quadro di acquisto è utile all’impresa che vuole assicurarsi la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare la sua attività industriale o commerciale (materie prime, semilavorati, componenti).
Concludendo il contratto quadro l’impresa può ottenere, ad esempio, un impegno del fornitore a fornire un certo volume minimo di prodotti, ad un certo prezzo, con modalità e specifiche tecniche già condivise, per un certo periodo temporale.
Questo accordo è utile anche, specularmente, al venditore/fornitore, che può programmare le vendite del periodo e organizzare, a sua volta, la catena di fornitura che gli consente l’approvvigionamento delle materie prime e dei componenti necessari alla produzione dei prodotti.
Qual è la differenza tra contratto quadro di acquisto o vendita e condizioni generali?
Mentre Il contratto quadro è un accordo che si utilizza con uno o più fornitori particolari, per un certo prodotto e per un certo arco temporale, determinando gli elementi essenziali dei futuri contratti, le condizioni generali di acquisto (o vendita) sono le regole che si applicano a tutti i fornitori (o clienti) della società.
Il primo accordo, dunque, viene negoziato e definito caso per caso in relazione ad un rapporto commerciale con un certo fornitore, mentre le condizioni generali sono predisposte unilateralmente dall’impresa, e i clienti o i fornitori (a seconda che si tratti di condizioni di vendita o di acquisto) si limitano ad aderire e ad accettare che le condizioni generali si applichino al singolo ordine e/o ai futuri contratti.
Può accadere che i due accordi coesistano: in tal caso è bene specificare quale contratto debba prevalere in caso di discrepanza tra le diverse previsioni (solitamente si prevede questa gerarchia, che va dallo speciale al generale: ordine – conferma d’ordine / contratto quadro / condizioni generali di acquisto).
Quando è importante concludere un contratto quadro di acquisto?
È consigliabile concludere un contratto quadro con il fornitore / i fornitori essenziale / i per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
È particolarmente importante concludere questo accordo quando si ha a che fare con un mono-fornitore o con un fornitore che sarebbe molto difficile sostituire se cessasse di vendere i prodotti all’impresa acquirente.
I rischi che si mira ad evitare o diminuire sono le cosiddette rotture di stock, ossia le interruzioni di fornitura per la mancanza della disponibilità dei prodotti da parte del fornitore, o perché i prodotti sono disponibili ma le parti non trovano l’accordo sui tempi di consegna o sul prezzo di vendita.
Un altro risultato che si può conseguire è quello di vincolare un fornitore strategico per un certo periodo, concordando che riservi una certa quota della produzione a favore del compratore a condizioni predeterminate evitando, per la durata dell’accordo, la concorrenza con offerte di terzi interessati ai prodotti.
Quando è importante concludere un contratto quadro di vendita?
Questo accordo consente al venditore / fornitore di pianificare le vendite verso un certo cliente e quindi di programmare ed organizzare la propria capacità produttiva e logistica per il periodo concordato, evitando costi extra o ritardi.
Pianificare le vendite consente anche di gestire correttamente le incombenze finanziarie e i flussi di cassa con una visione di medio termine, armonizzando gli impegni e gli investimenti con le vendite ai propri clienti.
Qual è il contenuto del contratto quadro di fornitura?
Non esiste un modello standard di questo contratto, che è nato dalla prassi commerciale per rispondere alle esigenze indicate in precedenza.
Generalmente l’accordo prevede un arco temporale determinato (ad esempio 12 mesi) nel quale le parti si impegnano a concludere una serie di compravendite di prodotti, determinando il prezzo e le modalità di fornitura e i principali patti dei futuri contratti di vendita.
Le clausole più importanti sono:
- l’identificazione dei prodotti e delle specifiche tecniche (spesso individuate in un allegato)
- il volume minimo / massimo di forniture
- l’eventuale obbligo di acquisto / vendita di un minimo-massimo volume di prodotti
- il calendario degli ordinativi
- i tempi di consegna
- la determinazione del prezzo e le condizioni per la sua eventuale modifica (si veda anche il prossimo paragrafo)
- i casi di impedimento alla prestazione (Forza Maggiore)
- i casi di eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship)
- le penali per il ritardo o per l’inadempimento o per il mancato raggiungimento dei volumi concordati
- la gerarchia tra il contratto quadro e gli ordinativi ed eventuali altri contratti tra le parti
- la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie (specialmente in contratti internazionali)
Come gestire la revisione dei prezzi in un contratto di fornitura?
Una clausola molto importante, specie in tempi di forti oscillazioni dei prezzi delle materie prime, dei trasporti e dell’energia, è quella relativa alla revisione dei prezzi.
In mancanza di un accordo su questo tema, infatti, le parti si accollano il rischio dell’aumento del prezzo impegnandosi a rispettare le condizioni originariamente pattuite e, salvi casi eccezionali (in cui la fluttuazione è forte, interessa un arco temporale ristretto ed è causata da eventi imprevedibili), è molto difficile poter invocare la sopravvenuta eccessiva onerosità, che consente di rinegoziare il prezzo oppure di risolvere il contratto.
È consigliabile, per evitare l’incertezza che si genera in caso di fluttuazioni dei prezzi, concordare nel contratto sia i meccanismi per la revisione del prezzo (ad esempio l’indicizzazione automatica seguendo la quotazione di una certa materia prima), sia la cosiddetta clausola di Hardship o Sopravvenuta Eccessiva Onerosità, stabilendo quali sono i limiti di oscillazione dei prezzi accettati dalle parti e cosa accade se le variazioni oltrepassano questi limiti, prevedendo l’obbligo di rinegoziare il prezzo, o lo scioglimento del contratto se non viene trovato l’accordo entro un certo termine.
Come gestire i termini di consegna in un rapporto di fornitura?
Un altro patto chiave in un rapporto di fornitura di medio / lungo termine riguarda i termini di consegna: in questo caso occorre conciliare l’interesse dell’acquirente al rispetto delle date convenute con quello del fornitore ad evitare richieste di danni in caso di ritardo, soprattutto in caso di vendite che richiedano trasporti intercontinentali.
La prima cosa da chiarire in proposito riguarda la natura dei termini di consegna: si tratta di termini essenziali oppure indicativi? Nel primo caso la parte interessata ha diritto a risolvere (ossia sciogliere) il contratto in caso di mancato rispetto del termine, nel secondo invece si possono prevedere oneri di diligenza, di informazione e di notifica tempestiva dei ritardi, mentre la risoluzione non è un rimedio che può essere automaticamente azionato in caso di ritardo.
Uno strumento utile, a questo proposito, è quello della clausola penale: con questo patto si concorda che per ogni giorno / settimana / mese di ritardo sia dovuta una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno a favore della parte danneggiata dal ritardo.
La penale, se quantificata in modo corretto e non eccessivo, è utile per entrambe le parti, perché consente di predeterminare i danni che possono essere invocati per il ritardo, liquidandoli in una somma equa e determinata: di conseguenza, il venditore non è esposto a domande di risarcimento legate a fattori fuori dal suo controllo, mentre il compratore può agevolmente calcolare l’indennizzo legato al ritardo, senza necessità di altre prove.
Lo stesso meccanismo, tra l’altro, si può adottare per disciplinare il ritardo del compratore nel prendere in consegna i beni messi a disposizione dal venditore.
Occorre tenere a mente, infine, che è buona prassi specificare il tetto massimo della penale (ad esempio il 10% del prezzo del prodotto) e un periodo massimo di tolleranza del ritardo, oltre il quale la parte interessata ha diritto di sciogliere il contratto, trattenendo la penale.
La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
Una situazione che viene spesso confusa con l’eccessiva onerosità, ma in realtà è molto diversa, è quella relativa alla Forza Maggiore, ossia alla impossibilità sopravvenuta di adempiere all’obbligazione contrattuale, a causa di un evento fuori dal ragionevole controllo della parte colpita, che non avrebbe potuto ragionevolmente essere previsto e i cui effetti non possano essere superati con un ragionevole sforzo.
La funzione di questa clausola è quella di stabilire in modo chiaro quando le parti ritengono che possa essere invocata la Forza Maggiore, quali eventi specifici vengono compresi (ad esempio un lock-down dello stabilimento produttivo per ordine dell’autorità) e quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle parti (ad esempio la sospensione dell’obbligazione per un certo periodo, finché dura la causa di impossibilità ad adempiere, oltre il quale è possibile che la parte interessata all’adempimento dichiari di voler sciogliere il contratto).
Occorre prestare grande attenzione alla redazione di questa clausola, perché se la formulazione è generica (come spesso accade) il rischio è che sia di poca utilità; è bene verificare, inoltre, che la regolamentazione della forza maggiore sia conforme a quanto prevedere la legge applicabile al contratto (v. punto successivo – qui un approfondimento con indicazione del regime previsto da 42 leggi nazionali).
Legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Se il cliente o il fornitore ha sede all’estero occorre tenere presente alcune importanti differenze: la prima è la lingua del contratto, che deve essere comprensibile alla controparte straniera, e sarà quindi solitamente in inglese, o in un’altra lingua comune alle parti, eventualmente anche in doppia lingua con testo a fronte.
La seconda questione da tenere a mente riguarda la legge applicabile, che è bene sia espressamente indicata nel contratto: l’argomento è molto vasto e in questa sede ci limitiamo a dire che la decisione sulla legge applicabile va presa caso per caso, in modo consapevole: non sempre, infatti, è utile richiamare l’applicazione della legge italiana.
Va poi ricordato che nella maggioranza dei contratti di vendita internazionale si applica la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (“CISG”), che è una legge comune alle parti del contratto, equilibrata, molto chiara e facile da consultare: la CISG si applica automaticamente ed è bene non escluderla.
Infine, in un contratto quadro di fornitura internazionale è consigliabile prestare attenzione all’individuazione delle modalità di risoluzione delle controversie: non esiste una soluzione che vada bene per tutti i contratti, ci limitiamo a ricordare che, anche in questo caso, non sempre la scelta della giurisdizione italiana è quella giusta (anzi, spesso può rivelarsi controproducente): chi fosse interessato ad un approfondimento può leggere questo articolo sul blog di Legalmondo.
Riassunto
Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina?
Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.
Di cosa parlo in questo articolo:
- La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
- La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione
- Il contratto di vendita internazionale in Cina
- Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
- L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese
- Il patto di non concorrenza
- La distribuzione Omnichannel
- Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
- Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
- Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
- Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto
- La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
- Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)
Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina?
Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina.
Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.
Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.
Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.
Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali.
Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6).
Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti.
Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali, solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.
La forma del contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici.
È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.
Il contratto di vendita internazionale in Cina
Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).
Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.
Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”).
Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.
Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.
Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.
Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci.
E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere.
L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.
Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA)
Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari.
Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.
Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.
Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi, che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.
Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.
Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.
Accordi di distribuzione esclusiva in Cina
Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore?
Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.
Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.
Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato.
Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto.
I patti sui minimi di fatturato, specie in relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.
Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori.
Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina
Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore.
È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto.
Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.
Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto, motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.
La Distribuzione Omnichannel in Cina
Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B.
Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.
Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue
Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva.
Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.
La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi.
Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.
Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina
Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.
Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate.
Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina
Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore.
Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza.
Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.
Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.
La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).
E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto.
Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale.
La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni).
Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore, dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.
È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.
Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso.
Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione
Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio.
Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale.
Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina
Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.
Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.
Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.
Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina
Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero.
Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale.
La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato.
Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi). Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.
Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.
Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.
Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.
I vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.
Riassunto – Quando l’emergenza Coronavirus può essere invocata come evento di Forza Maggiore per escludere la responsabilità contrattuale e il risarcimento dei danni? Quali sono gli effetti nella supply chain internazionale del mancato adempimento di un’impresa cinese ai propri obblighi di fornitura o di acquisto di materie prime, componenti o prodotti? Quali comportamenti deve adottare l’imprenditore straniero per limitare i rischi derivanti dall’interruzione di forniture o acquisti nella catena di fornitura?
Argomenti trattati
- L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
- Cos’è la Forza Maggiore (Force Majeure)?
- La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
- Cos’è l’Hardship?
- Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
- Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
- Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Come limitare i rischi nella supply chain?
L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
Il Coronavirus / Covid 19 ha creato in Cina una terribile emergenza sanitaria e sociale, che ha reso necessarie eccezionali misure di ordine pubblico per il contenimento del virus, come la quarantena, divieti di viaggio, la sospensione di eventi pubblici e privati e la chiusura di stabilimenti industriali e attività commerciali per un certo periodo di tempo.
Una volta autorizzata la riapertura degli stabilimenti, il ritorno alla normalità è stato fortemente rallentato poiché molti lavoratori, che si erano spostati in altre zone della Cina per le festività del capodanno lunare, non sono rientrati sul posto di lavoro.
I dati oggi disponibili sulla riapertura delle fabbriche e sul numero del personale presente non sono univoci ed è legittimo dubitare della loro attendibilità, quindi non si può prevedere quando l’emergenza potrà definirsi conclusa e se e come le imprese cinesi riusciranno a colmare i ritardi e il gap di produzione che si è creato.
Di certo è molto probabile che nei prossimi mesi l’imprenditore straniero si veda eccepire dalla propria controparte cinese l’impossibilità di adempiere al contratto, motivata con il Coronavirus.
Per comprendere la dimensione del problema, basti considerare che nel solo mese di Febbraio 2020 il China Council for the Promotion of International Trade (la Camera di Commercio cinese che ha il compito di promuovere il commercio internazionale) ha già rilasciato a favore di imprese cinesi che ne hanno fatto richiesta 3.325 certificati attestanti l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali a causa dell’epidemia Coronavirus, per un valore totale di oltre 270 miliardi di yuan (US$38.4 bln), secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua.
Quali rischi pone questa situazione per l’imprenditore straniero e quali ricadute può avere oltre i confini cinesi?
I rischi sono molti e i potenziali danni ingenti: la Cina è la fabbrica del mondo e vale oggi circa il 15% del PIL mondiale, quindi è difficile che una filiera produttiva in qualsiasi settore industriale non coinvolga una o più imprese cinesi come fornitori di materie prime, semi-lavorati o componenti (nel caso dell’Italia i settori più integrati con catene di fornitura in Cina sono automotive, chimica, farmaceutica, tessile, elettronica e macchinari).
Il mancato adempimento del fornitore cinese può quindi comportare, a cascata, l’inadempimento dell’imprenditore straniero verso il cliente finale o verso il successivo anello della supply chain.
Il fatto che il contagio stia viaggiando rapidamente (al momento di pubblicazione di questo articolo la situazione è già critica in alcune regioni italiane e in Corea del Sud ed Iran e iniziano ad essere segnalati casi negli USA) inoltre, rende possibile che fermate di produzione e situazioni di quarantena simili a quelle descritte debbano essere adottate anche in regioni e settori industriali di altri paesi.
Semplificando il quadro, consideriamo il caso di un fornitore cinese (Parte A) che fornisce un componente o presta un servizio a favore dell’impresa straniera (Parte B), che a sua volta assembla (in Cina o all’estero) il componente in un prodotto finito o semilavorato, che poi viene rivenduto a terzi (Parte C).
Se la Parte A ritarda o non consegna i prodotti o servizi alla Parte B, questa rischia di trovarsi esposta al rischio di inadempimento verso la Parte C, e così via lungo la catena di forniture/acquisti.
Vediamo dunque come gestire il caso in cui la Parte A comunichi che è divenuto impossibile adempiere al contratto per motivi riconducibili all’emergenza Coronavirus, come un provvedimento amministrativo di chiusura dello stabilimento, la mancanza di personale in fabbrica alla riapertura, l’impossibilità di approvvigionarsi di certe materie prime o componenti, il blocco di certi servizi logistici, etc.
Nel commercio internazionale questa situazione, ossia l’esonero dalla responsabilità per il mancato adempimento alla prestazione contrattuale, divenuta impossibile a causa di eventi sopravvenuti che sono al di fuori della sfera di controllo della Parte, è generalmente definita “Forza Maggiore” o “Force Majeure”.
Per capire quando è legittimo che un fornitore eccepisca l’impossibilità ad adempiere al contratto a causa del Coronavirus e quando invece questi comportamenti siano infondati o pretestuosi, occorre chiedersi quando la Parte A può invocare una situazione di Force Majeure e cosa può fare la Parte B per limitare i danni ed evitare di essere a sua volta considerata inadempiente verso la Parte C.
Cos’è la Forza Maggiore – Force Majeure?
Non esiste, a livello internazionale, un concetto unitario di Force Majeure, perché ogni ordinamento statale prevede una disciplina specifica.
Un riferimento utile è dato dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili (“CISG”), ratificata da 93 paesi (tra cui Italia, Cina, USA, Germania, Francia, Spagna, Australia, Giappone, Messico) e automaticamente applicabile alle vendite tra società con sede in diversi paesi contraenti, salvo espressa esclusione.
L’art. 79 della CISG, intitolato nella versione italiana “Cause di Esonero”, prevede che “Una parte non è responsabile dell’inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”.
Le caratteristiche della causa di esonero dalla responsabilità per inadempimento sono dunque la sua imprevedibilità, il fatto che sia al fuori della sfera di controllo della parte che lo subisce e l’impossibilità di evitarlo o di porre rimedio alle sue conseguenze compiendo ragionevoli sforzi.
Per stabilire, in concreto, se ricorrano i presupposti di un evento di Force Majeure, quali siano le sue conseguenze e quale comportamento debbano tenere le parti, occorre in primo luogo analizzare il contenuto della (eventuale) clausola di Force Majeure inserita nel contratto.
La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
Il modello di clausola di Force Majeure di riferimento nel commercio internazionale è quello predisposto dalla International Chamber of Commerce, la ICC Force Majeure Clause 2003, che prevede quali sono i requisiti che la parte che invoca la forza maggiore ha l’onere di provare (in sostanza sono quelli previsti dall’art. 79 della CISG) e indica una serie di eventi in cui si presume che tali requisiti ricorrano (tra i quali situazioni di guerra, embargo, atti di terrorismo, pirateria, calamità naturali, scioperi generali, provvedimenti delle autorità).
La ICC Force Majeure Clause 2003 indica poi anche quali siano i comportamenti da tenere da parte di chi invoca l’evento:
- Dare pronta notizia all’altra parte dell’impedimento;
- Nel caso in cui l’impedimento sia temporaneo, comunicare prontamente all’altra parte la sua cessazione;
- Fare tutto quanto ragionevolmente possibile per limitare gli effetti dell’evento sulla propria prestazione contrattuale;
- Nel caso in cui l’impossibilità della prestazione derivi dal mancato adempimento di un terzo (come nel caso di un subfornitore) fornire la prova che i presupposti della Force Majeure si applichino anche al terzo fornitore;
- Nel caso in cui l’evento comporti il venir meno dell’interesse alla prestazione, comunicare prontamente la decisione di risolvere il contratto;
- Nel caso di risoluzione del contratto, restituire la prestazione eventualmente ricevuta o una somma di valore equivalente.
Posto che le parti sono libere di inserire nel contratto ICC Force Majeure Clause 2003 oppure altra clausola di contenuto diverso, a fronte di una notifica di un evento di Forza Maggiore occorrerà dunque, come prima cosa, analizzare cosa preveda la clausola contrattuale nel caso specifico.
Il secondo passaggio (oppure il primo, nel caso in cui nel contratto non fosse presente una clausola di Force Majeure) sarà poi quello di verificare che cosa preveda la legge applicabile all’accordo contrattuale (ne parliamo in seguito).
Può anche accadere che l’evento invocato dalla parte inadempiente non comporti l’impossibilità della prestazione contrattuale, ma la renda eccessivamente onerosa: in questi casi non si può applicare il regime della Force Majeure, ma potrebbero ricorrere i presupposti della cosiddetta Hardship.
Cos’è l’Hardship?
L’Hardship (in italiano: eccessiva onerosità sopravvenuta) è un’altra clausola che ricorre spesso nei contratti internazionali di durata: essa disciplina i casi in cui, dopo la conclusione del contratto, la prestazione di una delle parti divenga eccessivamente onerosa o complicata a causa di fatti sopravvenuti, indipendenti dalla volontà della parte.
Il risultato di un evento di Hardship è quello di sbilanciare fortemente l’equilibrio del contratto a favore di una parte: esempi di scuola sono l’imprevedibile forte rialzo del prezzo di una materia prima, l’imposizione di dazi sull’importazione di un certo prodotto, l’oscillazione della valuta oltre un certo range concordato tra le parti.
A differenza della Force Majeure, dunque, nel caso di Hardship la prestazione è ancora realizzabile, ma è divenuta eccessivamente onerosa.
La clausola modello anche in questo caso è la ICC Hardship Clause 2003, che prevede che l’eccessiva onerosità sia conseguenza di un evento al di fuori della ragionevole sfera di controllo della parte, che non poteva essere preso in considerazione prima della conclusione dell’accordo e le cui conseguenze non possano essere ragionevolmente gestite.
La ICC Hardship Clause stabilisce cosa accade dopo che una parte abbia provato la ricorrenza di un evento di Hardship, ossia:
- L’obbligo delle parti, entro un termine ragionevole, di negoziare una soluzione alternativa per mitigare gli effetti dell’evento e riportare l’accordo in equilibrio (estensione del termine di consegna, revisione del prezzo, etc.);
- La risoluzione del contratto, nel caso in cui le parti non raggiungano un accordo alternativo per mitigare gli effetti dell’Hardship.
Anche nel caso in cui una parte eccepisca un evento di Hardship, come visto in precedenza per la Forza Maggiore, è necessario verificare se l’evento sia stato previsto nel contratto, quale sia il contenuto della clausola e/o cosa preveda la normativa applicabile all’accordo.
Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
Torniamo ora al caso visto all’inizio di questo articolo e cerchiamo di vedere come gestire il caso dell’inadempimento del fornitore all’interno di una supply chain internazionale, quando venga invocata l’emergenza del Coronavirus come causa di esonero della responsabilità.
Premettiamo che non esiste una risposta valida per tutti i casi, essendo necessario esaminare i fatti, gli accordi contrattuali tra le parti e la legge applicabile al contratto. Quello che possiamo fare è indicare il metodo che può essere utilizzato in questi casi, ossia rispondere alle seguenti domande:
- La situazione di fatto: qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- La parte che invoca la Force Majeure ha provato la sussistenza dei requisiti?
- Cosa prevede il Contratto (e/o le Condizioni Generali di contratto)?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle Parti?
Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
Come visto la situazione di forza maggiore è tale se la prestazione, dopo la conclusione del contratto, diviene impossibile per eventi imprevedibili, al di fuori del controllo della parte obbligata, le cui conseguenze non possano essere superate con uno sforzo ragionevole.
La prima verifica da fare è se l’evento per il quale la parte invoca la Force Majeure fosse o meno al di fuori del controllo della Parte e se fosse tale da rendere la prestazione impossibile (e non solo più complessa od onerosa) senza che la Parte potesse porvi rimedio.
Facciamo un esempio: nel contratto si prevede che la Parte A debba consegnare alla Parte B un prodotto o effettuare un servizio entro un certo termine essenziale (ossia tassativo, non derogabile), scaduto il quale non vi sarebbe più interesse di Parte B a ricevere la prestazione (pensiamo, ad esempio, alla consegna di alcuni materiali necessari per la costruzione di un’infrastruttura per le Olimpiadi).
Se la consegna non potesse avvenire perché lo stabilimento di Parte A è stato chiuso per provvedimento amministrativo o perché il personale di Parte A non può viaggiare e recarsi presso Parte B per effettuare il servizio di installazione, si potrebbe rientrare nel novero dei casi di Force Majeure.
Se invece la prestazione di Parte A restasse comunque possibile (ad esempio con spedizione dei prodotti da altro stabilimento sito in altra zona della Cina o in altro paese) e potesse essere realizzata, anche se a condizioni più onerose o in modo inesatto o incompleto, o in ritardo, non si potrebbe invocare la Force Majeure e andrebbe verificato se si sia, eventualmente, prodotta quell’eccessiva onerosità sopravvenuta che è il presupposto dell’Hardship, con le relative conseguenze.
Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
Il passo successivo è quello di determinare se il Fornitore / Parte A abbia fornito la prova dei fatti che sono il presupposto della Force Majeure, ossia di non aver potuto evitare la situazione né che fosse ragionevolmente possibile porvi rimedio.
A tal fine la sola produzione di un certificato del CCPIT attestante l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali, per i motivi spiegati in precedenza, non può considerarsi sufficiente a provare l’effettiva sussistenza, nel caso specifico, di una situazione di Force Majeure.
La verifica dei fatti dedotti e delle relative prove è particolarmente importante perché, nel caso in cui si ritenga sussistere una causa di esonero in capo alla Parte A, queste prove possono poi essere utilizzate dalla Parte B per documentare, a sua volta, di trovarsi nell’impossibilità di adempiere verso la Parte C, e così via lungo la catena di fornitura.
Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
Il passaggio successivo è quello di vedere se il contratto tra le parti, o le condizioni generali di vendita o acquisto (se esistenti e applicabili) prevedano, o meno, una clausola di Force Majeure e/o Hardship.
In caso positivo occorre verificare se l’evento denunciato dalla Parte che invoca la Force Majeure rientri o meno tra quelli previsti dalla clausola contrattuale.
Ad esempio, se l’evento denunciato fosse la chiusura dello stabilimento per ordine delle autorità e la clausola contrattuale fosse la ICC Force Majeure Clause 2003, si potrebbe sostenere che l’evento rientri quelli indicati al punto 3 [d] ovvero “act of authority … compliance with any law or governmental order, rule, regulation or direction, curfew restriction” oppure al punto 3 [e] “epidemic” o 3 [g] “general labour disturbance “.
Andrà poi esaminato quali siano le conseguenze previste dalla Clausola: generalmente si prevede un onere di tempestiva notifica dell’evento, che la parte sia esonerata dall’esecuzione della prestazione per tutta la durata dell’evento di Force Majeure e un termine massimo di sospensione dell’obbligazione, decorso il quale le parti possono comunicare la risoluzione del contratto.
Nel caso in cui l’evento non rientrasse tra quelli previsti nella Clausola di Force Majeure, o non vi fosse tale clausola nel contratto, andrebbe verificato se esista una Clausola di Hardship e se l’evento possa essere ricondotto a tale previsione.
Infine, in ogni caso è comunque necessario verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto.
Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
Ultimo passaggio è quello di verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto, sia nel caso in cui l’evento rientri in una clausola di Force Majeure o Hardship, sia nel caso in cui tale clausola non sia presente o non ricomprenda l’evento.
I presupposti e le conseguenze della Forza Maggiore o dell’Hardship, infatti, possono essere regolati in modo molto diverso a seconda della legge applicabile al contratto.
Se Parte A e Parte B avessero entrambe sede in Cina, al contratto di vendita si applicherebbe la legge della Repubblica Popolare Cinese, e la possibilità di invocare con successo la Force Majeure andrebbe valutata applicando queste norme.
Se Parte B avesse invece sede in Italia, nella maggioranza dei casi al contratto di vendita si applicherebbe la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (e quindi l’art. 79 sulle Cause di Esonero visto in precedenza) e per quanto non coperto dalla CISG si applicherebbe la legge indicata dalle parti nel contratto (o in mancanza identificata tramite i meccanismi di diritto internazionale privato).
Analogo ragionamento andrebbe fatto per determinare quale sia la legge applicabile al contratto tra Parte B e Parte C e cosa preveda tale legge, e così via lungo la supply chain internazionale.
Nel caso in cui i diversi rapporti siano regolati dalla stessa normativa (ad esempio la CISG) ciò non comporta problemi, ma se – come è probabile – le leggi applicabili fossero diverse la situazione si complica parecchio perché lo stesso evento potrebbe essere considerato causa di esonero da responsabilità contrattuale per la Parte A nei confronti della Parte B, ma non nel passaggio successivo della supply Chain, da Parte B a parte C.
Come limitare i rischi nella supply chain?
Il modo migliore di limitare il rischio di richieste di risarcimento del danno da parte delle altre imprese della catena di fornitura è quello di richiedere per tempo al proprio Fornitore conferma della disponibilità ad effettuare la prestazione contrattuale secondo i termini stabiliti, e condividere le informazioni ricevute con le altre aziende che fanno parte della supply chain.
Nel caso di inadempimento motivato con l’emergenza Coronavirus, è fondamentale verificare se l’evento denunciato rientri tra quelli che possono essere causa di esonero da responsabilità contrattuale, ed esigere che il fornitore fornisca le prove relative. Tali prove, se confermano l’impossibilità della prestazione del fornitore, potranno essere utilizzate dall’acquirente, a sua volta, per invocare la situazione di Force Majeure nei confronti delle altre aziende della Supply Chain.
Se nei contratti (di acquisto e vendita) sono presenti clausole di Force Majeure / Hardship, andrà visto cosa prevedono come modalità di denuncia, tempi di sospensione della prestazione o risoluzione del contratto, nonché cosa preveda la legge applicabile ai contratti.
Infine, è bene ricordare che la maggior parte delle normative prevedono un onere di mitigare i danni derivanti dall’eventuale inadempimento dell’altra parte: ciò significa che se è probabile, o anche solo possibile, che il Fornitore cinese si renda inadempiente ad una fornitura, la parte acquirente dovrà fare tutto il possibile per essere in grado di porvi rimedio ed adempiere comunque alle proprie obbligazioni verso le altre aziende che formano parte della supply chain, ad esempio procurandosi il prodotto da altri fornitori anche a condizioni molto più onerose.
Come cambiano i contratti di distribuzione dopo Covid19?
Ne ho parlato in un webinar il 20.11.2020, offrendo il mio punto di vista sulle lezioni apprese durante la pandemia e sulle clausole che è opportuno verificare e aggiornare: clicca qui sotto per vedere la registrazione dell’intervento.
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On December 30, 2018, the Comprehensive and Progressive Agreement For Trans-Pacific Partnership (“CPTPP”) entered into force
This Treaty is considered the third largest global trade agreement, positioned after the Comprehensive Economic and Trade Agreement between Canada and the EU (“CETA”) and the United States–Mexico–Canada Agreement (“USMCA”). The CPTPP sets forth a model of trade liberalization, aiming to maintain the markets open, increase world trade and create new economic opportunities for the member countries.
The CPTPP reaffirms and materializes a major part of the provisions of the Trans-Pacific Economic Cooperation Agreement (“TPP”), which had been originally signed by 12 countries, subsequently the United States of America (“USA”) announced its withdrawal.
As a result, this Treaty is the agreement reached by the remaining 11 countries of the TPP (Australia, Brunei, Canada, Chile, Japan, Malaysia, Mexico, New Zealand, Peru, Singapore and Vietnam) in an effort to enact its provisions, since the original text is incorporated, except for 22 provisions related to rules presented by the USA, which were suspended.
The Agreement has four main characteristics:
- Improves the access to the markets of the participating countries, eliminating and reducing tariff barriers amongst them. It also increases the pre-existing benefits between countries which had already entered into an agreement.
- Promotes innovation, productivity and competition;
- Encourages inclusive commerce, by incorporating new elements to ensure economic development, such as regulating the activities of state-owned companies, intellectual property, regulatory coherence, electronic commerce and support to Small and Medium Enterprises (“SMEs“) in order to streamline and simplify trade.
- Through a regional integration platform, it aims to enhance the production chain and the possibility of including different and future economies.
To estimate the relevance of the Agreement, the Mexican Ministry of Economy stated that, although the absence of the USA reduced the economic dimensions of the market delimited by this instrument (from 40% to 13% of the world economy), future prospects are favorable since: i) the participation of the 11 countries, creates a market of 500 million consumers, ii) 13.5% of the world’s Gross Domestic Product (GDP) will enter in to this market and iii) the likelihood of incorporation of other countries is probable, which could compensate the absence of the USA.
With the CPTPP, Mexico intends to broaden its trade openness in the most dynamic zone in the world (Asia-Pacific), allowing Mexican products to enter into 6 new countries: Australia, Brunei, Malaysia, New Zealand, Singapore and Vietnam. The aforementioned will promote the diversification of the trade economic activity, bolstering sectors such as agriculture, automotive, aerospace and products such as medical devices, electrical equipment, dairy products, tuna, sardines, cosmetics, tequila, mezcal, beer, etc.
This Agreement will also deepen the access to the Japanese market and will consolidate tariff preferences with countries with which a free trade agreement had already been signed, such as Canada, Chile and Peru.
The main motivation of the Mexican government in the negotiation of the CPTPP is to continue with a trade liberalization policy that began in 1989. Currently, Mexico has a network of 12 free trade agreements with 46 countries; 33 agreements for the reciprocal promotion of investments; and 9 agreements of limited scope (Economic Complementation Agreements and Partial Scope Agreements) within the framework of the Latin American Integration Association.
Riassunto – Si tratta di un accordo di riservatezza, spesso utilizzato nel commercio internazionale, con il quale le parti si obbligano a mantenere riservate le informazioni confidenziali o sensibili scambiate durante i negoziati. Il modello di contratto è abbastanza standard, ma per la sua validità ed efficacia è fondamentale che il contenuto sia adattato al caso concreto, come la clausola di legge applicabile, il foro competente o arbitrato, le clausole penali, la durata, la lingua del contratto.
Accade molto spesso che in differenti contesti di business venga proposta la sottoscrizione di un Non Disclosure Agreement (“NDA”) e di un Memorandum of Understanding (“MoU”) o di una Letter of Intent (“LoI”), tanto che questi tre acronimi – NDA, MoU e LoI – sono ormai diventati di uso corrente, soprattutto in occasione di negoziati internazionali.
Spesso, però, questi contratti vengono utilizzati in modo improprio e con finalità diverse da quelle con le quali si sono affermati nella prassi del commercio internazionale, con il risultato di non essere utili perché non tutelano in modo efficace gli interessi delle parti, o addirittura di essere controproducenti.
Iniziamo vedendo quali sono le caratteristiche del Non Disclosure Agreement – NDA – e come è consigliabile utilizzarlo.
Di cosa parlo in questo articolo
- Cos’è il NDA – Accordo di riservatezza
- Chi sono le parti del NDA – Accordo di riservatezza
- Quali sono le Informazioni riservate?
- La condivisione delle Informazioni riservate con terzi
- Non Disclose and Non Use Agreement
- Il divieto di concorrenza
- La durata del NDA
- Inadempimenti del NDA e clausola penale
- NDA modello e standard
- Quale legge applicabile e giudice in un NDA internazionale?
- La lingua del NDA
- Conclusioni
- Come possiamo aiutarti
NDA – Cosa significa
Il NDA è un accordo che ha la funzione di tutelare la riservatezza delle informazioni che le parti (generalmente identificate, rispettivamente, come “Disclosing Party” e “Receiving Party”) intendono condividere, in diversi possibili scenari: la trasmissione d’informazioni per una due diligence preliminare a un investimento, la valutazione di dati commerciali per un contratto di distribuzione, le specifiche tecniche di un certo prodotto oggetto di trasferimento di tecnologia, etc.
Il primo step del negoziato, infatti, richiede spesso la messa a disposizione di informazioni di diverso tipo, tecniche, finanziarie o commerciali, da parte di una o di entrambe le parti, che è necessario che rimangano riservate (di seguito le “Informazioni Riservate”) durante e dopo la conclusione del negoziato.
Chi sono le parti dell’accordo di riservatezza?
Fondamentale, partendo dalle premesse dell’accordo, è la corretta individuazione delle parti obbligate alla protezione delle informazioni e al mantenimento della riservatezza, specie quando sono coinvolti gruppi societari, in cui gli interlocutori possono essere molteplici e situati in diversi paesi. In casi simili è consigliabile obbligare la Receiving Party a garantire il mantenimento della riservatezza da parte di tutte le società del gruppo.
È inoltre importante che l’accordo individui esattamente quali persone facenti parte dell’organizzazione della Receiving Party (si pensi a: dipendenti, consulenti tecnici, professionisti, collaboratori, etc.) hanno diritto di accedere alle Informazioni, se possibile con sottoscrizione dell’accordo di riservatezza da parte di tutte le persone coinvolte.
E’ anche importante prevedere se la Receiving Party possa o meno condividere le Informazioni Riservate con soggetti terzi, ad esempio consulenti tecnici o propri collaboratori esterni. In caso positivo la tutela migliore è quella di obbligare anche tali terzi a sottoscrivere il NDA e prevedere che la Receiving Party sia responsabile (“obbligata in solido”) insieme al terzo per il rispetto delle obbligazioni del NDA.
Spesso la richiesta di far firmare a terze parti il NDA e di essere responsabile per la gestione delle Informazioni Riservate da parte dei terzi viene contestata dalla Receiving Party, solitamente con la motivazione che sarebbe troppo complessa la gestione delle attività necessarie.
Ciò è sintomo di una scarsa predisposizione al rispetto dell’obbligo di riservatezza, che va valutato con attenzione. Se la parte ricevente non intende impegnarsi affinchè terzi rispettino gli obblighi di confidenzialità e non vuole essere responsabile dei loro eventuali inadempimenti ciò espone il Titolare ad un evidente rischio di divulgazione delle informazioni, senza che sia possibile agire in modo efficace per rimediare il danno.
Suggerisco, in questi casi, di essere molto rigorosi.
Il NDA deve prevedere che:
- l’accesso alle Informazioni Riservate da parte di terzi è possibile solo se preventivamente autorizzato per iscritto dalla Disclosing Party
- il terzo autorizzato deve firmare un allegato al NDA nel quale dichiara di aver preso visione degli obblighi di riservatezza e di obbligarsi al loro rispetto
- il terzo non possa condividere le Informazioni Riservate con altri soggetti non vincolati dal NDA, salvo espressa autorizzazione del Titolare
- la Disclosing Party sia responsabile in solido del rispetto delle obbligazioni del NDA da parte dei Terzi autorizzati
Identificazione delle Informazioni Riservate
L’utilizzo di modelli di NDA riciclati, reperiti su formulari o proposti dalla controparte è prassi certamente non raccomandabile, ma purtroppo molto diffusa.
Questi modelli, molto spesso, sono generici e contengono definizioni ampie delle Informazioni Riservate ed elenchi estremamente dettagliati, che comprendono, di fatto, tutto il contenuto dell’attività societaria, includendo spesso ambiti che non sono rilevanti per l’attività oggetto di negoziato, o informazioni che non sono riservate.
Un problema di questi modelli è che è difficile, ex post, verificare se un certo dato fosse o meno compreso nelle Informazioni, ad esempio perché non si sa se fosse già in possesso della Receiving Party prima della firma del NDA.
Un’altra criticità è rappresentata dal fatto che l’elenco molto dettagliato non includa proprio la singola informazione che interessa, oppure non lo faccia in modo chiaro.
Infine accade spesso che sia difficile ricostruire quali Informazioni, dopo la firma del NDA, sono state trasmesse alla Receiving Party, e quando è avvenuta la trasmissione (ad esempio perché sono state inviate in modalità non sicura e non tracciabile, è il caso delle Informazioni spedite come allegati da una email).
Come condividere le Informazioni Riservate
Il modo migliore di procedere è quello di identificare in modo preciso solo le informazioni che è necessario condividere, indicando i documenti da trasmettere in un elenco allegato al NDA.
Ad esempio, se si condivide un certo segreto industriale (“Know-how”) la cosa migliore è limitare l’oggetto dell’accordo solo alle informazioni sensibili relative a tale segreto e specificare in quale formato (cartaceo, digitale, software, hardware) verrà condiviso.
Il passo successivo è quello di metterli a disposizione in un formato che non consenta dubbi sul fatto che sono protette dal NDA, ad esempio marchiandole con un timbro “Confidential under NDA” seguito dalla data di invio.
Altra buona prassi è prevedere che l’accesso alle Informazioni avvenga con modalità sicura e tracciabile (come un’area riservata in cloud o sul server della Disclosing Party, accessibile solo con user name e password individuali assegnati alle persone autorizzate).
Il Divieto di uso delle Informazioni
Un errore abbastanza ricorrente nei modelli di NDA è la previsione dell’obbligo per la Receiving Party del solo mantenimento della riservatezza delle Informazioni, senza impedirgliene espressamente l’utilizzo.
Soprattutto nel caso di imprese concorrenti, però, l’utilizzo è più pericoloso della divulgazione: basti pensare alla possibilità che la Receiving Party sviluppi tecnologie o brevetti basati proprio sui segreti industriali acquisiti.
E’ importante prevedere, quindi, che l’obbligo non è solo di riservatezza ma anche di non uso, evidenziando tale patto anche nel titolo dell’accordo che può diventare “Non Disclosure and Non Use Agreement”.
Non Compete Agreement – Divieto di concorrenza
Altra situazione delicata è quella il cui una Parte condivida elenchi di clienti o di agenti o di fornitori o altre informazioni commerciali sensibili.
In questo caso oltre alle obbligazioni di riservatezza e di non utilizzo al di fuori di quanto previsto nel NDA, è bene prevedere espressamente clausole di Non Concorrenza.
Ad esempio, se viene condiviso un elenco di agenti o di fornitori, l’accordo può prevedere un obbligo di astensione dal contattare direttamente certi soggetti individuati negli elenchi condivisi (questo patto è anche noto come “Non Circumvention Agreement”).
La Durata dell’obbligo di riservatezza
La funzione del NDA è proteggere le Informazioni Riservate per tutto il tempo necessario alla loro condivisione tra le Parti.
È bene, quindi, che sia indicato in modo chiaro qual è il momento finale della condivisione e – nel caso in cui la Receiving Party sia in possesso di copia delle Informazioni Riservate – prevedere l’obbligo di restituzione o distruzione dei documenti.
E’ anche fondamentale indicare per quanto tempo la Receiving Party sia tenuta a mantenere la riservatezza e non utilizzare le Informazioni dopo il periodo necessario al loro esame, ad esempio 24 mesi.
NDA – Inadempimenti
Provare e quantificare i danni derivanti una violazione dell’obbligo di riservatezza è generalmente molto complesso, perché si traduce in vantaggio / danno intangibile, come ad esempio la possibilità di sviluppare un certo prodotto concorrente in tempi rapidi proprio grazie alle Informazioni apprese.
Può essere allora utile prevedere una clausola penale, che predetermini in una certa somma il danno derivante dall’inadempimento contrattuale.
A tal fine è importante considerare che la quantificazione della penale deve essere ragionevole in relazione al danno che si presume possa scaturire dalla violazione della segretezza o dall’utilizzo delle Informazioni.
E’ consigliabile prevedere diversi importi a titolo di penale in relazione a diverse ipotesi di inadempimento (ad esempio, la registrazione o la contraffazione di un brevetto utilizzando le informazioni tecniche condivise, oppure il contatto con certi partner commerciali).
In ogni caso, prima di inserire clausole penali è opportuno valutare cosa preveda la legge applicabile all’accordo per la validità di questo patto, in particolare per la quantificazione massima della penale (si veda il punto successivo).
Il rischio, se non si conosce la legge applicabile all’accordo di non riservatezza, è che in caso di contenzioso il Giudice ritenga la clausola invalida o che la penale sia di importo eccessivo in relazione all’inadempimento e quindi la riduca ad una somma equa.
Oppure, al contrario, una parte possa essere condannata al pagamento di una penale addirittura superiore al valore del contratto (è il caso di una recente decisione della Suprema Corte Russa).
La clausola penale, infine, può essere anche utilizzata in modo tattico. Se in sede di negoziato la Receiving Party si oppone fermamente all’inserimento della penale o ne chiede la riduzione ciò può essere un indizio di una riserva mentale di inadempimento.
NDA template e Smart Contract
E’ molto agevole, oggi, procurarsi un modello di NDA: template o standard possono essere reperiti gratuitamente su vari siti come bozze generiche da completare, o essere costruiti online rispondendo ad una serie di domande per personalizzare il contratto per il caso specifico.
Il mio consiglio è di procedere con grande attenzione: per i motivi che spiego in questo post, il NDA è un accordo che deve essere redatto con grande attenzione e con l’aiuto di un consulente esperto.
Un buon modello (template) di NDA può essere una base di partenza utile, dopo di che una revisione di un esperto è un passaggio fondamentale, soprattutto per verificare che il contenuto del NDA sia conforme a quanto prevede la legge che si applica all’accordo e che le modalità di risoluzione delle controversie previste siano efficaci.
Legge applicabile e foro competente
Una cattiva abitudine è anche quella di relegare le clausole su legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie alla fine dell’accordo (tanto che vengono definite “Midnight Clauses”, per un approfondimento si veda questo post su Legalmondo) e di non prestare particolare attenzione al loro contenuto.
Ciò porta spesso alla previsione di clausole del tutto sbagliate (o addirittura nulle) che in caso di contenzioso vanificano la possibilità di ottenere tutela in giudizio.
La clausola che prevede la legge applicabile e la giurisdizione è fondamentale, perché da essa dipende la possibilità di far rispettare l’accordo e/o di ottenere un provvedimento giudiziario che possa essere eseguito in modo rapido ed efficace.
La questione è molto delicata perché non esiste una soluzione valida per tutti i casi e occorre considerare le specificità del singolo accordo di riservatezza.
Ci sono le Parti e dove hanno sede? Quali sono le informazioni riservate e dove possono essere utilizzate? Cosa prevede la legge del paese in cui ha sede la controparte? La modalità di risoluzione delle controversie più efficace deve essere individuata dando risposta a queste domande.
Facciamo un esempio: in un NDA con una controparte cinese è spesso controproducente scegliere di applicare la giurisdizione e la legge italiana, visto che in caso di inadempimento è solitamente necessario agire rapidamente in Cina (anche in via d’urgenza) e non presso un giudice italiano. In tal caso è consigliabile redigere il NDA con testo bilingue inglese/cinese e prevedere un arbitrato in Cina, applicando la legge cinese.
NDA in inglese, cinese o doppia lingua
Accade spesso che il modello di NDA venga proposto dalla controparte straniera e sia in inglese, o in doppia lingua (es. inglese e cinese).
E’ anche frequente che sia la parte italiana che richieda che i contratti internazionali siano in doppia lingua: ad esempio italiano e inglese o spagnolo.
In alcuni casi, per fortuna eccezionali, ho anche visto contratti in 3 lingue: italiano, inglese e cinese.
Ciò si verifica di solito perché, nonostante l’inglese sia la lingua franca del commercio internazionale, le parti sono più a loro agio nel negoziare e firmare un accordo che sia anche nella loro lingua.
La previsione di una seconda lingua può poi essere importante per essere certi che non vi siano fraintendimenti sul contenuto dell’accordo (una parte cinese non potrà invocare di non aver compreso il significato di un patto in inglese, se è disponibile una versione anche in cinese).
Infine, se necessario, una versione bilingue è immediatamente ed agevolmente utilizzabile in caso di azione legale, per rimanere sullo stesso esempio, davanti ad un giudice cinese, senza che sia necessario procedere a traduzioni (non sempre di buona qualità) nel corso del giudizio.
Qualche consiglio pratico:
- se non si conosce la seconda lingua del NDA, verificare sempre che il contenuto sia completo e conforme a quello della prima (accade spesso che nei vari passaggi di negoziato di un accordo qualcuno si dimentichi di riportare una modifica nell’altra lingua)
- se possibile richiedere una revisione del testo anche da parte di un legale madrelingua, per escludere l’utilizzo di termini impropri o non corretti
- stabilire quale versione prevale in caso di incongruenze tra una lingua e l’altra
In conclusione
Il NDA – Accordo di riservatezza è un contratto che spesso è concluso in modo frettoloso, sottovalutandone l’importanza e la complessità.
Il mio consiglio è di evitare il fai da te e affidarsi ad un legale specializzato, che sappia negoziare e redigere il NDA tenendo conto di tutte le particolarità del caso (tipo di negoziato, informazioni riservate condivise, sede delle parti e paesi in cui andrà eseguito il NDA, contenuto della legge straniera eventualmente applicabile, modalità di risoluzione delle controversie più conveniente, etc.).
Possiamo aiutarti?
Legalmondo offre la possibilità di lavorare online con un avvocato specializzato per redigere il tuo NDA, revisionare il contratto proposto dalla controparte o negoziare un NDA con partner italiani o stranieri.
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Dopo una lunga attesa dei fornitori di prodotti di marca, dei distributori al dettaglio di negozi fisici, dei rivenditori via internet, incluse piattaforme come Amazon, eBay, Zalando, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha appena deciso (6 dicembre 2017) – nella decisione già ribattezzata di “San Niccolò” – che i fornitori di beni di lusso possono legittimamente proibire vendite tramite piattaforme di terze parti.
In un precedente post di Legalmondo (“the Coty Case”, in lingua inglese) avevamo analizzato la vertenza appena decisa dai giudici europei. Secondo la CGUE, tale divieto di usare piattaforme non costituisce necessariamente una restrizione illegittima della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”): la Corte ha confermato il fatto che i sistemi di distribuzione selettiva per beni di lusso, volti primariamente a preservare l’immagine di lusso dei prodotti, possono essere ritenuti compatibili con le limitazioni comunitarie in tema di accordi verticali.
Più specificamente, la Corte ha deciso che le limitazioni alla rivendita dei beni attraverso piattaforme online sono legittime perché il diritto europeo permette la restrizione alle vendite online grazie a
“una clausola contrattuale, come quella di cui trattasi, che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo Internet dei prodotti interessati, qualora siano rispettate le seguenti condizioni: (i) tale clausola deve essere diretta a salvaguardare l’immagine di lusso dei prodotti interessati, (ii) deve essere stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio e (iii) deve essere proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito. Spetterà all’Oberlandesgericht verificare se ciò avvenga nel caso di specie.”
(cfr. la rassegna stampa della CGUE No. 132/2017 e il testo completo della decisone).
Spetta ora alla Corte d’Appello di Francoforte applicare tali requisiti al caso Coty.
La storia del caso Coty è estremamente interessante: la filiale tedesca del fornitore di profumi di lusso Coty, la Coty Germany GmbH (“Coty”) ha creato una rete di distribuzione selettiva per la quale i suoi distributori possono effettuare vendite via internet, ma è loro proibito di vendere tramite piattaforme di terze parti, le quali appaiano tali anche dall’esterno, come ad esempio Amazon, eBay, Zalando etc. La corte di primo grado aveva deciso che l’imposizione di tale divieto di vendere tramite piattaforme di terze parti costituisse un’illegittima restrizione della concorrenza. La Corte di secondo grado, invece, non aveva ravvisato una risposta altrettanto chiara e aveva chiesto alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi sull’interpretazione della normativa europea antitrust e, più specificamente, dell’art. 101 TFUE e dell’art. 4 lett. b e c del regolamento generale di esenzione per categoria per gli accordi verticali o “VBER” (decisione del 19.04.2016, per dettagli, si veda il post precedente “eCommerce: restrizioni per i distributori in Germania”). Il 30 marzo 2017 ha avuto luogo l’udienza dinnanzi alla CGUE. In tale sede Coty ha difeso il proprio divieto di vendere su piattaforme terze, sostenendo che lo stesso è volto a proteggere l’immagine di lusso di marchi come Marc Jacobs, Calvin Klein o Chloé. Il distributore Parfümerie Akzente GmbH, viceversa, sosteneva che piattaforme conosciute come Amazon e eBay già vendessero prodotti di marca, (ad es: L’Oréal) e di conseguenza non v’era motivo, per Coty, di proibire la rivendita tramite tali piattaforme. Inoltre, ha sostenuto Parfümerie Akzente, le piattaforme online sono importanti per le piccole e le medie imprese. Possibili indicazioni su come la Corte avrebbe potuto decidere sono apparse il 26 luglio 2017, allorché l’Avvocato Generale ha fornito le proprie conclusioni, concludendo che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile, purché “tale clausola contrattuale sia condizionata dalla natura del prodotto, se essa sia stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e se essa non vada oltre il necessario” (paragrafo 122 delle conclusioni dell’Avvocato Generale; vedi il post precedente “Distribuzione online – Divieti di vendite su piattaforme online nella distribuzione selettiva (il caso Coty perdura)”).
Conclusioni pratiche
- Questa sentenza del 6 dicembre 2017 è molto importante per tutti i fornitori di prodotti di marca, per distributori al dettaglio in negozi fisici, per i rivenditori via internet e per i fornitori di piattaforme online, in quanto chiarisce che i fornitori di prodotti di marca possono vietare le vendite tramite piattaforme di terze parti (Amazon, eBay, Zalando & Co.) al fine di assicurare il medesimo livello di qualità della distribuzione su tutti i canali di distribuzione, sia offline che online.
- Un piccolo passo indietro: la Corte distrettuale di Amsterdam già il 4 ottobre 2017 aveva deciso che il divieto imposto da Nike ai propri distributori selettivi di usare piattaforme online costituiva un criterio di distribuzione legittimo al fine di salvaguardare l’immagine del marchio di lusso Nike (caso Nike European Operations Netherlands B.V. contro il rivenditore sito in Italia, Action Sport Soc. Coop, A.R.L., fasc. n. C/13/615474 / HA ZA 16-959).
- Il divieto generale di usare strumenti di comparazione di prezzi, così come stipulato dal fornitore di articoli sportivi Asics nel proprio “Distribution System 1.0“, dovrebbe invece essere anticoncorrenziale – ciò secondo il Bundeskartellamt e come confermato dalla Corte d’Appello di Düsseldorf il 5 aprile 2017. L’ultima parola, tuttavia, non è stata ancora detta – vedi il post “Distribuzione online – Nullo il divieto di strumenti di comparazione di prezzi?”. Sarà interessante vedere come la conclusione del caso Coty influenzerà tali strumenti di comparazione di prezzi.
- Per ulteriori evoluzioni della distribuzione online, si veda la Relazione finale sull’indagine conoscitiva sull’E-commerce della Commissione UE e i dettagli nel Documento di lavoro, „Relazione finale sull’indagine conoscitiva sul settore E-commerce“.
- Per dettagli sulle reti di distribuzione e sulla distribuzione online, consulta i miei articoli:
- “Internetvertrieb in der EU 2018 ff. – Online-Vertriebsvorgaben von Asics über BMW bis Coty”, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht2017, 274-281; e
- „Plattformverbote im Selektivvertrieb – der EuGH-Vorlagebeschluss des OLG Frankfurt vom 19.4.2016“, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht 2016,278–283.
Il caso Coty è estremamente rilevante per la distribuzione in Europa perché più del 70% degli oggetti di lusso del mondo sono venduti qui, e molti di essi vengono venduti online. Per maggiori implicazioni sulle reti di distribuzione esistenti e future e sui rispettivi accordi, restate in contatto, continueremo ad aggiornarvi su Legalmondo!
Based on our experience in many years advising and representing companies in the commercial distribution (in Spanish jurisdiction but with foreign manufacturers or distributors), the following are the six key essential elements for manufacturers (suppliers) and retailers (distributors) when establishing a distribution relationship.
These ideas are relevant when companies intend to start their commercial relationship but they should not be neglected and verified even when there are already existing contacts.
The signature of the contract
Although it could seem obvious, the signature of a distribution agreement is less common than it might seem. It often happens that along the extended relationship, the corporate structures change and what once was signed with an entity, has not been renewed, adapted, modified or replaced when the situation has been transformed. It is very convenient to have well documented the relationship at every moment of its existence and to be sure that what has been covered legally is also enforceable y the day-to-day commercial relationship. It is advisable this work to be carried out by legal specialists closely with the commercial department of the company. Perfectly drafted clauses from a legal standpoint will be useless if overtaken or not understood by the day-to-day activity. And, of course, no contract is signed as a “mere formality” and then modified by verbal agreements or practices.
The proper choice of contract
If the signature of the distribution contract is important, the choice of the correct type is essential. Many of the conflicts that occur, especially in long-term relationships, begin with the interpretation of the type of relationship that has been signed. Even with a written text (and with an express title), the intention of the parties remains often unclear (and so the agreement). Is the “distributor” really so? Does he buy and resell or there are only sporadic supply relationships? Is there just a representative activity (ie, the distributor is actually an “agent“)? Is there a mixed relationship (sometimes represents, sometimes buys and resells)? The list could continue indefinitely. Even in many of the relationships that currently exist I am sure that the interpretation given by the Supplier and the Distributor could be different.
Monitoring of legal and business relations
If it is quite frequent not to have a clear written contract, it happens in almost all the distribution relationships than once the agreement has been signed, the day-to-day commercial activity modifies what has been agreed. Why commercial relations seem to neglect what has been written in an agreement? It is quite frequent contracts in which certain obligations for distributors are included (reporting on the market, customers, minimum purchases), but which in practice are not respected (it seems complicated, there is a good relationship between the parties, and nobody remembers what was agreed by people no longer working at the company…). However, it is also quite frequent to try to use these (real?) defaults later on when the relationship starts having problems. At that moment, parties try to hide behind these violations to terminate the contracts although these practices were, in a sort of way, accepted as a new procedure. Of course no agreement can last forever and for that reason is highly recommendable a joint and periodical monitoring between the legal adviser (preferably an independent one with the support of the general managers) and the commercial department to take into account new practices and to have a provision in the contractual documents.
Evidences about customers
In distribution contracts, evidences about customers will be essential in case of termination. Parties (mainly the supplier) are quite interested in showing evidences on who (supplier or distributor) procured the customers. Are they a result of the distributor activity or are they obtained as a consequence of the reputation of the trademark? Evidences on customers could simplify or even avoid future conflicts. The importance of the clientele and its possible future activity will be a key element to define the compensation to which the distributor will pretend to be eligible.
Evidences on purchases and sales
Another essential element and quite often forgotten is the justification of purchases to the supplier and subsequent sales by distributors. In any distribution agreement distributors acquire the products and resell them to the final customers. A future compensation to the distributor will consider the difference between the purchase prices and resale prices (the margin). It is therefore advisable to be able to establish the correspondent evidence on such information in order to better prepare a possible claim.
Damages in case of termination of contracts
Similarly, it would be convenient to justify what damages have been suffered as a result of the termination of a contract: has the distributor made investments by indication of the supplier that are still to be amortized? Has the distributor hired new employees for a line of business that have to be dismissed because of the termination of the contract (costs of compensation)? Has the distributor rented new premises signing long-term contracts due to the expectations on the agreement? Please, take into account that the Distributor is an independent trader and, as such, he assumes the risks of his activity. But to the extent he is acting on a distribution network he shall be subject to the directions, suggestions and expectations created by the supplier. These may be relevant to later determine the damages caused by the termination of the contract.
Scrivi a Fare affari all’estero: avvocato straniero o italiano?
NDA – Non disclosure Agreement
6 Gennaio 2019
- Italia
- Commercio internazionale
- Distribuzione
“Può aiutami, avvocato”?
(Ovviamente è urgente).
“Mi mette in contatto con un legale in [Paese straniero]? Poi ci pensiamo noi.”
Lo faccio volentieri, ci mancherebbe.
Specie se posso mettere il cliente in contatto con un avvocato esperto di Legalmondo.
Lavorare direttamente con un legale all’estero, però, comporta una serie di complessità che vengono regolarmente sottovalutate dal cliente.
Le principali sono le seguenti
- identificare il legale giusto, che sia specializzato e abbia una specifica esperienza nella materia di interesse dell’azienda
- la difficoltà di dialogare in una lingua che solitamente è straniera sia per il cliente, sia per il legale all’estero
- comprendere le tematiche giuridiche oggetto dell’incarico, molto spesso regolate da una legge diversa da quella italiana
- concordare i termini dell’incarico professionale e monitorare l’andamento delle spese, specie se si tratta di attività lunghe e complesse, in paesi nei quali i costi legali sono molto alti
Nel caso di contenziosi
- individuare i fatti importanti e i documenti necessari
- definire la strategia di causa, valutare la possibilità di una definizione amichevole della vertenza e ragionare sulle possibili soluzioni alternative in base agli interessi delle parti
- gestire istruzioni e comunicazioni al legale in tempi molto stretti e lavorando in fusi orari diversi
Nel caso di negoziati commerciali
- condividere interessi e obiettivi della trattativa
- preparare e partecipare a call conference frequenti ed impegnative
- seguire le varie fasi delle revisioni dei testi contrattuali
Se si tratta di operazioni straordinarie
- impostare l’attività e condividerla con i legali delle controparti
- allineare le risorse aziendali e i vari professionisti coinvolti per assistere il cliente
- coordinare le diverse fasi dell’attività
Tutti passaggi nei quali il legale italiano, se è specializzato nella materia ed ha esperienza nell’assistere la clientela all’estero, può essere di grande aiuto, diventando l’interfaccia tra il cliente e i vari professionisti coinvolti nell’attività, su entrambi i lati.
È una risorsa preziosa, che consente di impostare il lavoro in modo chiaro, dialogare e ottenere risposte in tempi rapidi, assicurarsi che le informazioni, anche complesse, vengano riportate e comprese in modo corretto.
Esperienza, facilità di dialogo e rapporto di fiducia
Infine, è importante valorizzare la possibilità di confronto diretto con una persona di fiducia, esperta e che conosce l’imprenditore e l’azienda, cosa che generalmente non è possibile lavorando direttamente con uno studio all’estero, specie se di grandi dimensioni.
Il risultato è generalmente quello di lavorare in modo più consapevole, rapido, ordinato ed efficace, il che si traduce generalmente in un risparmio di tempo e denaro.
Prima di lavorare direttamente con un legale in Costa Rica, Macedonia o USA, è bene considerare l’importanza e il valore dell’incarico e pensare al legale italiano come una risorsa, non come un costo aggiuntivo.
Riassunto
Il contratto quadro di fornitura è un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore) che si svolgono nel corso di un certo arco temporale. Questo accordo determina gli elementi principali dei futuri contratti come il prezzo, i volumi di prodotto, i termini di consegna, le specifiche tecniche o di qualità e la durata dell’accordo.
Il contratto quadro è utile per assicurare la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare l’attività industriale o commerciale. Mentre le condizioni generali di acquisto o vendita sono le regole che si applicano a tutti i fornitori o clienti della società. Il contratto quadro è consigliabile concluderlo con i fornitori essenziali per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
Di cosa parlo in questo articolo:
- Che cosa è il contratto quadro di fornitura?
- Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
- La differenza con le condizioni generali di vendita o acquisto
- Quando concludere un contratto quadro di acquisto?
- Quando è utile concludere un contratto quadro di vendita?
- Il contenuto del contratto quadro di fornitura
- Clausola di revisione dei prezzi ed eccessiva onerosità sopravvenuta
- I termini di consegna nel contratto quadro di fornitura
- La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
- Vendita internazionale: legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Che cos’è il contratto quadro di fornitura?
Si tratta di un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore), che si svolgono nel corso di un certo arco temporale.
Si parla dunque di contratto “quadro” (framework agreement, in inglese) perché è un accordo che stabilisce le regole di una futura serie di contratti di compravendita, determinandone gli elementi principali, come il prezzo, i volumi di prodotto che si prevedono di vendere e acquistare, i termini di consegna dei prodotti, le specifiche tecniche o di qualità, la durata dell’accordo.
Dopo avere concluso il contratto quadro le Parti si limiteranno a scambiarsi gli ordinativi e le conferme d’ordine, concludendo una serie di autonomi contratti di vendita, senza dover ridiscutere i patti già definiti nell’accordo quadro.
A seconda dei punti di vista, questo contratto è anche denominato contratto quadro di vendita (se lo utilizza il venditore/fornitore con i propri clienti) o contratto quadro di acquisto (se lo propone il cliente ai suoi fornitori).
Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
È utile prevedere un contratto quadro in tutti i casi in cui le Parti intendono procedere ad una serie di acquisti / vendite di prodotti continuata nel tempo e hanno interesse a dare stabilità all’accordo commerciale, determinandone gli elementi principali.
In particolare, l’accordo quadro di acquisto è utile all’impresa che vuole assicurarsi la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare la sua attività industriale o commerciale (materie prime, semilavorati, componenti).
Concludendo il contratto quadro l’impresa può ottenere, ad esempio, un impegno del fornitore a fornire un certo volume minimo di prodotti, ad un certo prezzo, con modalità e specifiche tecniche già condivise, per un certo periodo temporale.
Questo accordo è utile anche, specularmente, al venditore/fornitore, che può programmare le vendite del periodo e organizzare, a sua volta, la catena di fornitura che gli consente l’approvvigionamento delle materie prime e dei componenti necessari alla produzione dei prodotti.
Qual è la differenza tra contratto quadro di acquisto o vendita e condizioni generali?
Mentre Il contratto quadro è un accordo che si utilizza con uno o più fornitori particolari, per un certo prodotto e per un certo arco temporale, determinando gli elementi essenziali dei futuri contratti, le condizioni generali di acquisto (o vendita) sono le regole che si applicano a tutti i fornitori (o clienti) della società.
Il primo accordo, dunque, viene negoziato e definito caso per caso in relazione ad un rapporto commerciale con un certo fornitore, mentre le condizioni generali sono predisposte unilateralmente dall’impresa, e i clienti o i fornitori (a seconda che si tratti di condizioni di vendita o di acquisto) si limitano ad aderire e ad accettare che le condizioni generali si applichino al singolo ordine e/o ai futuri contratti.
Può accadere che i due accordi coesistano: in tal caso è bene specificare quale contratto debba prevalere in caso di discrepanza tra le diverse previsioni (solitamente si prevede questa gerarchia, che va dallo speciale al generale: ordine – conferma d’ordine / contratto quadro / condizioni generali di acquisto).
Quando è importante concludere un contratto quadro di acquisto?
È consigliabile concludere un contratto quadro con il fornitore / i fornitori essenziale / i per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
È particolarmente importante concludere questo accordo quando si ha a che fare con un mono-fornitore o con un fornitore che sarebbe molto difficile sostituire se cessasse di vendere i prodotti all’impresa acquirente.
I rischi che si mira ad evitare o diminuire sono le cosiddette rotture di stock, ossia le interruzioni di fornitura per la mancanza della disponibilità dei prodotti da parte del fornitore, o perché i prodotti sono disponibili ma le parti non trovano l’accordo sui tempi di consegna o sul prezzo di vendita.
Un altro risultato che si può conseguire è quello di vincolare un fornitore strategico per un certo periodo, concordando che riservi una certa quota della produzione a favore del compratore a condizioni predeterminate evitando, per la durata dell’accordo, la concorrenza con offerte di terzi interessati ai prodotti.
Quando è importante concludere un contratto quadro di vendita?
Questo accordo consente al venditore / fornitore di pianificare le vendite verso un certo cliente e quindi di programmare ed organizzare la propria capacità produttiva e logistica per il periodo concordato, evitando costi extra o ritardi.
Pianificare le vendite consente anche di gestire correttamente le incombenze finanziarie e i flussi di cassa con una visione di medio termine, armonizzando gli impegni e gli investimenti con le vendite ai propri clienti.
Qual è il contenuto del contratto quadro di fornitura?
Non esiste un modello standard di questo contratto, che è nato dalla prassi commerciale per rispondere alle esigenze indicate in precedenza.
Generalmente l’accordo prevede un arco temporale determinato (ad esempio 12 mesi) nel quale le parti si impegnano a concludere una serie di compravendite di prodotti, determinando il prezzo e le modalità di fornitura e i principali patti dei futuri contratti di vendita.
Le clausole più importanti sono:
- l’identificazione dei prodotti e delle specifiche tecniche (spesso individuate in un allegato)
- il volume minimo / massimo di forniture
- l’eventuale obbligo di acquisto / vendita di un minimo-massimo volume di prodotti
- il calendario degli ordinativi
- i tempi di consegna
- la determinazione del prezzo e le condizioni per la sua eventuale modifica (si veda anche il prossimo paragrafo)
- i casi di impedimento alla prestazione (Forza Maggiore)
- i casi di eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship)
- le penali per il ritardo o per l’inadempimento o per il mancato raggiungimento dei volumi concordati
- la gerarchia tra il contratto quadro e gli ordinativi ed eventuali altri contratti tra le parti
- la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie (specialmente in contratti internazionali)
Come gestire la revisione dei prezzi in un contratto di fornitura?
Una clausola molto importante, specie in tempi di forti oscillazioni dei prezzi delle materie prime, dei trasporti e dell’energia, è quella relativa alla revisione dei prezzi.
In mancanza di un accordo su questo tema, infatti, le parti si accollano il rischio dell’aumento del prezzo impegnandosi a rispettare le condizioni originariamente pattuite e, salvi casi eccezionali (in cui la fluttuazione è forte, interessa un arco temporale ristretto ed è causata da eventi imprevedibili), è molto difficile poter invocare la sopravvenuta eccessiva onerosità, che consente di rinegoziare il prezzo oppure di risolvere il contratto.
È consigliabile, per evitare l’incertezza che si genera in caso di fluttuazioni dei prezzi, concordare nel contratto sia i meccanismi per la revisione del prezzo (ad esempio l’indicizzazione automatica seguendo la quotazione di una certa materia prima), sia la cosiddetta clausola di Hardship o Sopravvenuta Eccessiva Onerosità, stabilendo quali sono i limiti di oscillazione dei prezzi accettati dalle parti e cosa accade se le variazioni oltrepassano questi limiti, prevedendo l’obbligo di rinegoziare il prezzo, o lo scioglimento del contratto se non viene trovato l’accordo entro un certo termine.
Come gestire i termini di consegna in un rapporto di fornitura?
Un altro patto chiave in un rapporto di fornitura di medio / lungo termine riguarda i termini di consegna: in questo caso occorre conciliare l’interesse dell’acquirente al rispetto delle date convenute con quello del fornitore ad evitare richieste di danni in caso di ritardo, soprattutto in caso di vendite che richiedano trasporti intercontinentali.
La prima cosa da chiarire in proposito riguarda la natura dei termini di consegna: si tratta di termini essenziali oppure indicativi? Nel primo caso la parte interessata ha diritto a risolvere (ossia sciogliere) il contratto in caso di mancato rispetto del termine, nel secondo invece si possono prevedere oneri di diligenza, di informazione e di notifica tempestiva dei ritardi, mentre la risoluzione non è un rimedio che può essere automaticamente azionato in caso di ritardo.
Uno strumento utile, a questo proposito, è quello della clausola penale: con questo patto si concorda che per ogni giorno / settimana / mese di ritardo sia dovuta una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno a favore della parte danneggiata dal ritardo.
La penale, se quantificata in modo corretto e non eccessivo, è utile per entrambe le parti, perché consente di predeterminare i danni che possono essere invocati per il ritardo, liquidandoli in una somma equa e determinata: di conseguenza, il venditore non è esposto a domande di risarcimento legate a fattori fuori dal suo controllo, mentre il compratore può agevolmente calcolare l’indennizzo legato al ritardo, senza necessità di altre prove.
Lo stesso meccanismo, tra l’altro, si può adottare per disciplinare il ritardo del compratore nel prendere in consegna i beni messi a disposizione dal venditore.
Occorre tenere a mente, infine, che è buona prassi specificare il tetto massimo della penale (ad esempio il 10% del prezzo del prodotto) e un periodo massimo di tolleranza del ritardo, oltre il quale la parte interessata ha diritto di sciogliere il contratto, trattenendo la penale.
La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
Una situazione che viene spesso confusa con l’eccessiva onerosità, ma in realtà è molto diversa, è quella relativa alla Forza Maggiore, ossia alla impossibilità sopravvenuta di adempiere all’obbligazione contrattuale, a causa di un evento fuori dal ragionevole controllo della parte colpita, che non avrebbe potuto ragionevolmente essere previsto e i cui effetti non possano essere superati con un ragionevole sforzo.
La funzione di questa clausola è quella di stabilire in modo chiaro quando le parti ritengono che possa essere invocata la Forza Maggiore, quali eventi specifici vengono compresi (ad esempio un lock-down dello stabilimento produttivo per ordine dell’autorità) e quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle parti (ad esempio la sospensione dell’obbligazione per un certo periodo, finché dura la causa di impossibilità ad adempiere, oltre il quale è possibile che la parte interessata all’adempimento dichiari di voler sciogliere il contratto).
Occorre prestare grande attenzione alla redazione di questa clausola, perché se la formulazione è generica (come spesso accade) il rischio è che sia di poca utilità; è bene verificare, inoltre, che la regolamentazione della forza maggiore sia conforme a quanto prevedere la legge applicabile al contratto (v. punto successivo – qui un approfondimento con indicazione del regime previsto da 42 leggi nazionali).
Legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Se il cliente o il fornitore ha sede all’estero occorre tenere presente alcune importanti differenze: la prima è la lingua del contratto, che deve essere comprensibile alla controparte straniera, e sarà quindi solitamente in inglese, o in un’altra lingua comune alle parti, eventualmente anche in doppia lingua con testo a fronte.
La seconda questione da tenere a mente riguarda la legge applicabile, che è bene sia espressamente indicata nel contratto: l’argomento è molto vasto e in questa sede ci limitiamo a dire che la decisione sulla legge applicabile va presa caso per caso, in modo consapevole: non sempre, infatti, è utile richiamare l’applicazione della legge italiana.
Va poi ricordato che nella maggioranza dei contratti di vendita internazionale si applica la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (“CISG”), che è una legge comune alle parti del contratto, equilibrata, molto chiara e facile da consultare: la CISG si applica automaticamente ed è bene non escluderla.
Infine, in un contratto quadro di fornitura internazionale è consigliabile prestare attenzione all’individuazione delle modalità di risoluzione delle controversie: non esiste una soluzione che vada bene per tutti i contratti, ci limitiamo a ricordare che, anche in questo caso, non sempre la scelta della giurisdizione italiana è quella giusta (anzi, spesso può rivelarsi controproducente): chi fosse interessato ad un approfondimento può leggere questo articolo sul blog di Legalmondo.
Riassunto
Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina?
Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.
Di cosa parlo in questo articolo:
- La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
- La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione
- Il contratto di vendita internazionale in Cina
- Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
- L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese
- Il patto di non concorrenza
- La distribuzione Omnichannel
- Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
- Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
- Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
- Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto
- La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
- Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)
Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina?
Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina.
Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.
Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.
Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.
Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali.
Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6).
Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti.
Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali, solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.
La forma del contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici.
È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.
Il contratto di vendita internazionale in Cina
Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).
Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.
Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”).
Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.
Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.
Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.
Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci.
E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere.
L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.
Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA)
Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari.
Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.
Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.
Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi, che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.
Il MoU può anche prevedere diverse fasi del progetto commerciale, stabilendo obiettivi e tempistiche e condizioni al raggiungimento delle quali le parti concordano di negoziare altri step del rapporto, come la costituzione di una Joint Venture con il distributore cinese o l’inizio della produzione in Cina di certi componenti del prodotto.
Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dei negoziati contrattuali e sull’utilità del MoU rimando a questo post su Legalmondo.
Accordi di distribuzione esclusiva in Cina
Esclusiva o non esclusiva a favore del distributore?
Durante le trattative contrattuali questo è spesso il principale punto di discussione.
Il distributore generalmente insiste per ottenere il diritto esclusivo di promozione e vendita su tutto il territorio cinese, mentre il produttore vuole evitare la concentrazione di tutte le vendite in un solo soggetto, specie se si tratta di un nuovo rapporto contrattuale e vi è incertezza sulle reali capacità commerciali del distributore.
Bisogna tener presente, a questo proposito, che la Cina è un paese di dimensioni continentali e le infrastrutture in molte zone sono ancora limitate: è quindi consigliabile, quantomeno in una prima fase, limitare l’esclusiva geografica a una o più province e prevedere, eventualmente, che il territorio concesso in esclusiva possa essere esteso nel caso in cui il distributore raggiunga determinati obiettivi commerciali che le parti hanno concordato.
Nel caso in cui l’esclusiva venga concessa, un’altra buona pratica è quella di prevedere dei target (“Minimum Turnover”), cioè stabilire degli obiettivi commerciali minimi da raggiungere in un certo periodo di tempo, con l’accordo espresso che in caso di mancato raggiungimento di questi obiettivi il produttore abbia facoltà di revocare l’esclusiva o terminare il contratto.
I patti sui minimi di fatturato, specie in relazione ad anni futuri, e le conseguenze della loro violazione sono clausole delicate, che vanno strutturate e gestite con attenzione: per chi fosse interessato ad approfondire questo argomento rimando a questo articolo su Legalmondo.
Infine, anche se Hong Kong e Macao sono sotto la sovranità cinese, è consigliabile prevedere espressamente se il contratto concede al distributore il diritto di vendere i prodotti anche in questi territori.
Il Patto di Non Concorrenza in un contratto di distribuzione in Cina
Un’altra clausola importante in un accordo di distribuzione in Cina riguarda la non concorrenza, specialmente in quei casi in cui il distributore già rappresenta e vende prodotti simili a quelli del produttore.
È consigliabile allegare al contratto una lista di prodotti di altre aziende che sono ammessi alla vendita da parte del distributore e chiarire quali sono i prodotti che il distributore non può vendere, con espressa previsione che qualsiasi cambiamento debba essere concordato per iscritto.
Nel caso di gruppi societari la previsione va estesa anche alle società controllate facenti parte del gruppo del distributore.
Questa è una disposizione chiave per l’inizio e la continuazione di un rapporto commerciale chiaro e corretto, motivo per il quale è necessario anche prevedere che il produttore sia autorizzato ad accedere alla contabilità del distributore e ad ispezionarne i magazzini e stabilire il diritto di risolvere l’accordo in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del distributore o di soggetti ad esso riconducibili.
La Distribuzione Omnichannel in Cina
Le vendite su Internet in Cina sono cresciute esponenzialmente negli ultimi venti anni: la Cina è oggi di gran lunga il più grande mercato per l’e-commerce e le vendite digitali giocano un ruolo importante anche nelle transazioni B2B.
Fino a qualche anno fa un contratto di distribuzione poteva essere strutturato in modo abbastanza semplice, cioè con la nomina da parte del produttore di uno o più distributori, responsabili dell’import dei prodotti in Cina e della loro vendita ai clienti finali in determinate aree geografiche.
Schematicamente, il quadro di un rapporto di distribuzione commerciale “tradizionale” può essere dunque raffigurato come segue
Oggi non si può non tenere in considerazione l’esistenza dei canali digitali, sui quali possono promuovere le vendite diversi soggetti, anche estranei alla rete distributiva.
Ci sono molti modi di vendere i prodotti tramite il commercio elettronico in Cina (Marketplace on-shore e off-shore, siti di e-commerce transfrontalieri e on-shore, social network) e il sistema, per essere efficace e per evitare conflitti tra i diversi attori del sistema di distribuzione, deve essere senza soluzione di continuità online/offline.
La possibilità di vendere tramite piattaforme di e-commerce può essere esclusa in un accordo di distribuzione, ma i prodotti spesso finiscono comunque in vendita sui marketplace: meglio focalizzare l’attenzione, quindi, sulla costruzione di un sistema di distribuzione equilibrato e ben integrato, dove ai distributori vengono assegnati specifici canali di vendita online e/o offline e il produttore abbia modo di monitorare il funzionamento del sistema di distribuzione e il rispetto degli accordi.
Nella stesura di un accordo di distribuzione è importante che gli obblighi di promozione, i budget, gli investimenti, le attività di sviluppo commerciale e la gestione dei social media cinesi siano coerenti con la strategia omnichannel complessiva e siano coordinati tra i diversi attori.
Diritto di uso e protezione del marchio negli accordi di distribuzione in Cina
Il diritto del distributore di usare i marchi del produttore in Cina è bene che sia disciplinato in modo specifico, indicando quali siano gli usi autorizzati dei marchi e con l’obbligo di cessare l’utilizzo al termine dell’accordo.
Bisogna tener presente che la contraffazione è ancora oggi un grosso problema in Cina: prima di entrare nel mercato cinese è fondamentale assicurarsi che tutti i marchi siano registrati in Cina (maggiori informazioni su questo argomento in questo articolo su Legalmondo) ed è importante che l’accordo vieti espressamente la registrazione dei marchi, o di marchi simili (anche in caratteri cinesi) da parte del distributore, di suoi amministratori e dipendenti e delle sue aziende controllate o associate.
Licenza di marchio, flagship stores e Franchising in Cina
Può accadere che l’accordo di distribuzione commerciale preveda il diritto del distributore di aprire punti vendita (mono brand, flagship stores, corner, etc.) utilizzando l’insegna, il marchio e ed altri elementi distintivi del brand del produttore.
Questi accordi sono abbastanza frequenti, ad esempio, nel settore della moda: l’attenzione, in questi casi, deve essere posta sulle modalità di gestione del marchio e degli altri elementi di proprietà del produttore, che spesso sono disciplinate in un separato accordo di licenza.
Se si concludo più accordi, come distribuzione e licenza di marchio o licenza di apertura di punti vendita, è importante che le previsioni dei contratti siano coerenti e collegate: ad esempio un inadempimento che comporti la risoluzione di un accordo deve essere menzionato tra gli eventi che danno diritto a risolvere anche il contratto collegato, etc.
Particolare attenzione, inoltre, va prestata alla distinzione tra contratto di distribuzione / licenza di marchio e Franchising: mentre i primi, come dicevo inizialmente, sono contratti atipici, che trovano la loro regolamentazione principalmente negli accordi tra le parti, il Franchising è regolato da una legge speciale (The Commercial Franchise Administration Regulation (商业特许经营管理条例, 2007) e da alcune normative di dettaglio che disciplinano i presupposti per lo sviluppo di un sistema di franchising in Cina (il principale è l’esistenza di almeno due esercizi in franchising per un anno), la necessità di depositare e mantenere aggiornato il contratto (in lingua cinese), il franchising manual, il marketing plan e una serie di documenti di supporto.
La normativa sul Franchising stabilisce anche le obbligazioni delle parti durante i negoziati e nel corso del rapporto commerciale, tra le quali il dovere di mettere a disposizione del potenziale franchisee informazioni dettagliate sul progetto di franchising almeno 30 giorni prima della conclusione dell’accordo e la durata minima del contratto (3 anni, derogabili con l’accordo espresso del franchisee).
E’ necessario, per questo motivo, esaminare attentamente se l’accordo commerciale possa essere qualificato come un contratto di distribuzione con licenza di marchio e di apertura di punti vendita, oppure se rientri nel campo del franchising perchè, in quest’ultimo caso, l’inosservanza della normativa speciale può portare sanzioni amministrative e anche dare diritto al franchisee di risolvere il contratto.
Durata e cessazione di un contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione possono essere a tempo determinato o a tempo indeterminato ed è possibile stabilire un rinnovo automatico nel caso in cui il contratto continui ad essere eseguito dopo il termine iniziale.
La legge non prevede un termine minimo per il recesso: è consigliabile, comunque, concordare un ragionevole preavviso prima della disdetta (generalmente 6 mesi, ma è preferibile un periodo più lungo in caso di relazioni in corso da diversi anni).
Il periodo di preavviso di solito è il momento in cui è più probabile che tra le parti insorgano controversie: nella maggior parte dei casi accade che il distributore aumenti l’esposizione finanziaria o il volume degli ordini e che il produttore non sia d’accordo nel fornire i prodotti, perchè teme insoluti al termine del contratto, o perchè vuole evitare che il distributore, dopo la cessazione del contratto, sia in possesso di uno stock di prodotti troppo grande.
È opportuno, per questi motivi, prevedere nell’accordo regole speciali applicabili dopo la comunicazione dell’intenzione di una parte di recedere.
Per esempio, il contratto può stabilire termini di pagamento diversi durante il periodo di preavviso, la consegna di una garanzia bancaria a copertura degli ordinativi durante il periodo, un tetto massimo di valore per gli ordini del distributore, o il diritto di esigere immediatamente il pagamento di tutte le fatture ancora pendenti al termine del periodo di preavviso.
Come gestire lo stock di prodotti dopo la fine di un contratto di distribuzione
Il fatto che il vecchio distributore continui a vendere i prodotti dopo la fine del contratto può essere problematico per il produttore e/o per il nuovo distributore cinese, ad esempio perché il distributore disdettato può vendere lo stock a prezzi scontati o con modalità che danneggiano l’immagine e la reputazione del marchio.
Le clausole che stabiliscono il diritto (non l’obbligo) del produttore di riacquistare lo stock esistente al termine del contratto, a prezzi predeterminati, sono valide in Cina e rappresentano una buona opzione per evitare futuri conflitti di interesse all’interno della rete commerciale.
Quale legge si applica ad un Contratto di distribuzione in Cina
Le parti sono libere di applicare una legge straniera al contratto tra un produttore straniero e un distributore cinese: tuttavia, la scelta della legge deve essere coerente con il meccanismo di risoluzione delle controversie.
Se il contratto viene eseguito in Cina, è consigliabile prevedere che le leggi della Repubblica Popolare Cinese si applichino all’accordo e stabilire che qualsiasi controversia relativa al contratto sia decisa da un tribunale cinese o da un’istituzione arbitrale cinese.
Va ricordato che Hong Kong ha un sistema amministrativo e giudiziario autonomo rispetto a quello della Repubblica Popolare Cinese: ad un accordo di distribuzione che debba eseguirsi ad Hong Kong, per i motivi sopra menzionati, è opportuno quindi che si applichi la legge di Hong Kong (la common law, sistema molto diverso della Cina continentale, che è di civil law) e si preveda un meccanismo di risoluzione delle controversie coerente: ne parlo al punto successivo.
Le clausole di risoluzione delle controversie nei contratti di distribuzione in Cina
Le parti di un accordo di distribuzione sono libere di determinare se vogliono che qualsiasi controversia sia decisa da un giudice cinese o straniero, o da un arbitrato con sede in Cina o all’estero.
Questa è una clausola molto importante di qualsiasi contratto sino-straniero, e dei contratti internazionali in generale.
La scelta del giudice italiano, spesso presente in questi contratti, è generalmente una decisione sbagliata: nonostante esista un accordo per il riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra Italia e Cina, infatti, il processo di riconoscimento ed esecuzione di una sentenza straniera in Cina è lungo, costoso e complicato.
Inoltre, la previsione di un foro straniero non è una soluzione efficace in tutti qui casi in cui il contratto viene eseguito in Cina e le parti hanno interesse a ottenere una decisione rapida, che sia immediatamente esecutiva in Cina, in alcuni casi anche misure provvisorie urgenti per rimediare situazioni di grave inadempimento contrattuale (come un ordine di inibizione della vendita di prodotti falsi). Tutto ciò non è possibile se è necessario rivolgersi ad un giudice italiano, attendere i tempi lunghi della giustizia nostrana e poi procedere al riconoscimento della sentenza in Cina, processo che può richiedere tempi molto lunghi.
Per chi fosse interessato ad un approfondimento sul tema della scelta tra Giudice italiano e giudice straniero rimando a questo post su Legalmondo.
Per gli accordi di distribuzione tra Italia e Cina è consigliabile considerare la previsione di una clausola arbitrale, gestita da una delle principali camere di arbitrato in Cina o a Hong Kong: le più importanti sono è la China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) in Cina e l’Hong Kong International Arbitration Centre.
Un’altra opzione che può essere considerata è la mediazione: si tratta di una procedura volontaria, che può essere esperita prima o durante una causa o un arbitrato, che ha la finalità di aiutare le parti a raggiungere un accordo bonario, evitando (o chiudendo) un contenzioso.
I vantaggi della mediazione sono molteplici: la possibilità di trovare un accordo che soddisfi gli interessi delle parti, riservatezza e rapidità della procedura, costi contenuti: tra Italia e Cina l’organismo al quale ci si può rivolgere è il ICBMC, costituito dalla Camera Arbitrale di Milano e il Centro di Mediazione del CCPIT di Pechino.
Riassunto – Quando l’emergenza Coronavirus può essere invocata come evento di Forza Maggiore per escludere la responsabilità contrattuale e il risarcimento dei danni? Quali sono gli effetti nella supply chain internazionale del mancato adempimento di un’impresa cinese ai propri obblighi di fornitura o di acquisto di materie prime, componenti o prodotti? Quali comportamenti deve adottare l’imprenditore straniero per limitare i rischi derivanti dall’interruzione di forniture o acquisti nella catena di fornitura?
Argomenti trattati
- L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
- Cos’è la Forza Maggiore (Force Majeure)?
- La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
- Cos’è l’Hardship?
- Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
- Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
- Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Come limitare i rischi nella supply chain?
L’impatto del Coronavirus (Covid-19) sulla Supply Chain internazionale
Il Coronavirus / Covid 19 ha creato in Cina una terribile emergenza sanitaria e sociale, che ha reso necessarie eccezionali misure di ordine pubblico per il contenimento del virus, come la quarantena, divieti di viaggio, la sospensione di eventi pubblici e privati e la chiusura di stabilimenti industriali e attività commerciali per un certo periodo di tempo.
Una volta autorizzata la riapertura degli stabilimenti, il ritorno alla normalità è stato fortemente rallentato poiché molti lavoratori, che si erano spostati in altre zone della Cina per le festività del capodanno lunare, non sono rientrati sul posto di lavoro.
I dati oggi disponibili sulla riapertura delle fabbriche e sul numero del personale presente non sono univoci ed è legittimo dubitare della loro attendibilità, quindi non si può prevedere quando l’emergenza potrà definirsi conclusa e se e come le imprese cinesi riusciranno a colmare i ritardi e il gap di produzione che si è creato.
Di certo è molto probabile che nei prossimi mesi l’imprenditore straniero si veda eccepire dalla propria controparte cinese l’impossibilità di adempiere al contratto, motivata con il Coronavirus.
Per comprendere la dimensione del problema, basti considerare che nel solo mese di Febbraio 2020 il China Council for the Promotion of International Trade (la Camera di Commercio cinese che ha il compito di promuovere il commercio internazionale) ha già rilasciato a favore di imprese cinesi che ne hanno fatto richiesta 3.325 certificati attestanti l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali a causa dell’epidemia Coronavirus, per un valore totale di oltre 270 miliardi di yuan (US$38.4 bln), secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua.
Quali rischi pone questa situazione per l’imprenditore straniero e quali ricadute può avere oltre i confini cinesi?
I rischi sono molti e i potenziali danni ingenti: la Cina è la fabbrica del mondo e vale oggi circa il 15% del PIL mondiale, quindi è difficile che una filiera produttiva in qualsiasi settore industriale non coinvolga una o più imprese cinesi come fornitori di materie prime, semi-lavorati o componenti (nel caso dell’Italia i settori più integrati con catene di fornitura in Cina sono automotive, chimica, farmaceutica, tessile, elettronica e macchinari).
Il mancato adempimento del fornitore cinese può quindi comportare, a cascata, l’inadempimento dell’imprenditore straniero verso il cliente finale o verso il successivo anello della supply chain.
Il fatto che il contagio stia viaggiando rapidamente (al momento di pubblicazione di questo articolo la situazione è già critica in alcune regioni italiane e in Corea del Sud ed Iran e iniziano ad essere segnalati casi negli USA) inoltre, rende possibile che fermate di produzione e situazioni di quarantena simili a quelle descritte debbano essere adottate anche in regioni e settori industriali di altri paesi.
Semplificando il quadro, consideriamo il caso di un fornitore cinese (Parte A) che fornisce un componente o presta un servizio a favore dell’impresa straniera (Parte B), che a sua volta assembla (in Cina o all’estero) il componente in un prodotto finito o semilavorato, che poi viene rivenduto a terzi (Parte C).
Se la Parte A ritarda o non consegna i prodotti o servizi alla Parte B, questa rischia di trovarsi esposta al rischio di inadempimento verso la Parte C, e così via lungo la catena di forniture/acquisti.
Vediamo dunque come gestire il caso in cui la Parte A comunichi che è divenuto impossibile adempiere al contratto per motivi riconducibili all’emergenza Coronavirus, come un provvedimento amministrativo di chiusura dello stabilimento, la mancanza di personale in fabbrica alla riapertura, l’impossibilità di approvvigionarsi di certe materie prime o componenti, il blocco di certi servizi logistici, etc.
Nel commercio internazionale questa situazione, ossia l’esonero dalla responsabilità per il mancato adempimento alla prestazione contrattuale, divenuta impossibile a causa di eventi sopravvenuti che sono al di fuori della sfera di controllo della Parte, è generalmente definita “Forza Maggiore” o “Force Majeure”.
Per capire quando è legittimo che un fornitore eccepisca l’impossibilità ad adempiere al contratto a causa del Coronavirus e quando invece questi comportamenti siano infondati o pretestuosi, occorre chiedersi quando la Parte A può invocare una situazione di Force Majeure e cosa può fare la Parte B per limitare i danni ed evitare di essere a sua volta considerata inadempiente verso la Parte C.
Cos’è la Forza Maggiore – Force Majeure?
Non esiste, a livello internazionale, un concetto unitario di Force Majeure, perché ogni ordinamento statale prevede una disciplina specifica.
Un riferimento utile è dato dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili (“CISG”), ratificata da 93 paesi (tra cui Italia, Cina, USA, Germania, Francia, Spagna, Australia, Giappone, Messico) e automaticamente applicabile alle vendite tra società con sede in diversi paesi contraenti, salvo espressa esclusione.
L’art. 79 della CISG, intitolato nella versione italiana “Cause di Esonero”, prevede che “Una parte non è responsabile dell’inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta ad un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”.
Le caratteristiche della causa di esonero dalla responsabilità per inadempimento sono dunque la sua imprevedibilità, il fatto che sia al fuori della sfera di controllo della parte che lo subisce e l’impossibilità di evitarlo o di porre rimedio alle sue conseguenze compiendo ragionevoli sforzi.
Per stabilire, in concreto, se ricorrano i presupposti di un evento di Force Majeure, quali siano le sue conseguenze e quale comportamento debbano tenere le parti, occorre in primo luogo analizzare il contenuto della (eventuale) clausola di Force Majeure inserita nel contratto.
La Clausola contrattuale di Forza Maggiore – Force Majeure
Il modello di clausola di Force Majeure di riferimento nel commercio internazionale è quello predisposto dalla International Chamber of Commerce, la ICC Force Majeure Clause 2003, che prevede quali sono i requisiti che la parte che invoca la forza maggiore ha l’onere di provare (in sostanza sono quelli previsti dall’art. 79 della CISG) e indica una serie di eventi in cui si presume che tali requisiti ricorrano (tra i quali situazioni di guerra, embargo, atti di terrorismo, pirateria, calamità naturali, scioperi generali, provvedimenti delle autorità).
La ICC Force Majeure Clause 2003 indica poi anche quali siano i comportamenti da tenere da parte di chi invoca l’evento:
- Dare pronta notizia all’altra parte dell’impedimento;
- Nel caso in cui l’impedimento sia temporaneo, comunicare prontamente all’altra parte la sua cessazione;
- Fare tutto quanto ragionevolmente possibile per limitare gli effetti dell’evento sulla propria prestazione contrattuale;
- Nel caso in cui l’impossibilità della prestazione derivi dal mancato adempimento di un terzo (come nel caso di un subfornitore) fornire la prova che i presupposti della Force Majeure si applichino anche al terzo fornitore;
- Nel caso in cui l’evento comporti il venir meno dell’interesse alla prestazione, comunicare prontamente la decisione di risolvere il contratto;
- Nel caso di risoluzione del contratto, restituire la prestazione eventualmente ricevuta o una somma di valore equivalente.
Posto che le parti sono libere di inserire nel contratto ICC Force Majeure Clause 2003 oppure altra clausola di contenuto diverso, a fronte di una notifica di un evento di Forza Maggiore occorrerà dunque, come prima cosa, analizzare cosa preveda la clausola contrattuale nel caso specifico.
Il secondo passaggio (oppure il primo, nel caso in cui nel contratto non fosse presente una clausola di Force Majeure) sarà poi quello di verificare che cosa preveda la legge applicabile all’accordo contrattuale (ne parliamo in seguito).
Può anche accadere che l’evento invocato dalla parte inadempiente non comporti l’impossibilità della prestazione contrattuale, ma la renda eccessivamente onerosa: in questi casi non si può applicare il regime della Force Majeure, ma potrebbero ricorrere i presupposti della cosiddetta Hardship.
Cos’è l’Hardship?
L’Hardship (in italiano: eccessiva onerosità sopravvenuta) è un’altra clausola che ricorre spesso nei contratti internazionali di durata: essa disciplina i casi in cui, dopo la conclusione del contratto, la prestazione di una delle parti divenga eccessivamente onerosa o complicata a causa di fatti sopravvenuti, indipendenti dalla volontà della parte.
Il risultato di un evento di Hardship è quello di sbilanciare fortemente l’equilibrio del contratto a favore di una parte: esempi di scuola sono l’imprevedibile forte rialzo del prezzo di una materia prima, l’imposizione di dazi sull’importazione di un certo prodotto, l’oscillazione della valuta oltre un certo range concordato tra le parti.
A differenza della Force Majeure, dunque, nel caso di Hardship la prestazione è ancora realizzabile, ma è divenuta eccessivamente onerosa.
La clausola modello anche in questo caso è la ICC Hardship Clause 2003, che prevede che l’eccessiva onerosità sia conseguenza di un evento al di fuori della ragionevole sfera di controllo della parte, che non poteva essere preso in considerazione prima della conclusione dell’accordo e le cui conseguenze non possano essere ragionevolmente gestite.
La ICC Hardship Clause stabilisce cosa accade dopo che una parte abbia provato la ricorrenza di un evento di Hardship, ossia:
- L’obbligo delle parti, entro un termine ragionevole, di negoziare una soluzione alternativa per mitigare gli effetti dell’evento e riportare l’accordo in equilibrio (estensione del termine di consegna, revisione del prezzo, etc.);
- La risoluzione del contratto, nel caso in cui le parti non raggiungano un accordo alternativo per mitigare gli effetti dell’Hardship.
Anche nel caso in cui una parte eccepisca un evento di Hardship, come visto in precedenza per la Forza Maggiore, è necessario verificare se l’evento sia stato previsto nel contratto, quale sia il contenuto della clausola e/o cosa preveda la normativa applicabile all’accordo.
Il Coronavirus è un evento di Force Majeure o Hardship?
Torniamo ora al caso visto all’inizio di questo articolo e cerchiamo di vedere come gestire il caso dell’inadempimento del fornitore all’interno di una supply chain internazionale, quando venga invocata l’emergenza del Coronavirus come causa di esonero della responsabilità.
Premettiamo che non esiste una risposta valida per tutti i casi, essendo necessario esaminare i fatti, gli accordi contrattuali tra le parti e la legge applicabile al contratto. Quello che possiamo fare è indicare il metodo che può essere utilizzato in questi casi, ossia rispondere alle seguenti domande:
- La situazione di fatto: qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
- La parte che invoca la Force Majeure ha provato la sussistenza dei requisiti?
- Cosa prevede il Contratto (e/o le Condizioni Generali di contratto)?
- Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
- Quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle Parti?
Qual è l’evento denunciato dal Fornitore?
Come visto la situazione di forza maggiore è tale se la prestazione, dopo la conclusione del contratto, diviene impossibile per eventi imprevedibili, al di fuori del controllo della parte obbligata, le cui conseguenze non possano essere superate con uno sforzo ragionevole.
La prima verifica da fare è se l’evento per il quale la parte invoca la Force Majeure fosse o meno al di fuori del controllo della Parte e se fosse tale da rendere la prestazione impossibile (e non solo più complessa od onerosa) senza che la Parte potesse porvi rimedio.
Facciamo un esempio: nel contratto si prevede che la Parte A debba consegnare alla Parte B un prodotto o effettuare un servizio entro un certo termine essenziale (ossia tassativo, non derogabile), scaduto il quale non vi sarebbe più interesse di Parte B a ricevere la prestazione (pensiamo, ad esempio, alla consegna di alcuni materiali necessari per la costruzione di un’infrastruttura per le Olimpiadi).
Se la consegna non potesse avvenire perché lo stabilimento di Parte A è stato chiuso per provvedimento amministrativo o perché il personale di Parte A non può viaggiare e recarsi presso Parte B per effettuare il servizio di installazione, si potrebbe rientrare nel novero dei casi di Force Majeure.
Se invece la prestazione di Parte A restasse comunque possibile (ad esempio con spedizione dei prodotti da altro stabilimento sito in altra zona della Cina o in altro paese) e potesse essere realizzata, anche se a condizioni più onerose o in modo inesatto o incompleto, o in ritardo, non si potrebbe invocare la Force Majeure e andrebbe verificato se si sia, eventualmente, prodotta quell’eccessiva onerosità sopravvenuta che è il presupposto dell’Hardship, con le relative conseguenze.
Il Fornitore ha fornito la prova dei fatti invocati come Force Majeure?
Il passo successivo è quello di determinare se il Fornitore / Parte A abbia fornito la prova dei fatti che sono il presupposto della Force Majeure, ossia di non aver potuto evitare la situazione né che fosse ragionevolmente possibile porvi rimedio.
A tal fine la sola produzione di un certificato del CCPIT attestante l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni contrattuali, per i motivi spiegati in precedenza, non può considerarsi sufficiente a provare l’effettiva sussistenza, nel caso specifico, di una situazione di Force Majeure.
La verifica dei fatti dedotti e delle relative prove è particolarmente importante perché, nel caso in cui si ritenga sussistere una causa di esonero in capo alla Parte A, queste prove possono poi essere utilizzate dalla Parte B per documentare, a sua volta, di trovarsi nell’impossibilità di adempiere verso la Parte C, e così via lungo la catena di fornitura.
Il Contratto prevede una Clausola di Force Majeure o di Hardship?
Il passaggio successivo è quello di vedere se il contratto tra le parti, o le condizioni generali di vendita o acquisto (se esistenti e applicabili) prevedano, o meno, una clausola di Force Majeure e/o Hardship.
In caso positivo occorre verificare se l’evento denunciato dalla Parte che invoca la Force Majeure rientri o meno tra quelli previsti dalla clausola contrattuale.
Ad esempio, se l’evento denunciato fosse la chiusura dello stabilimento per ordine delle autorità e la clausola contrattuale fosse la ICC Force Majeure Clause 2003, si potrebbe sostenere che l’evento rientri quelli indicati al punto 3 [d] ovvero “act of authority … compliance with any law or governmental order, rule, regulation or direction, curfew restriction” oppure al punto 3 [e] “epidemic” o 3 [g] “general labour disturbance “.
Andrà poi esaminato quali siano le conseguenze previste dalla Clausola: generalmente si prevede un onere di tempestiva notifica dell’evento, che la parte sia esonerata dall’esecuzione della prestazione per tutta la durata dell’evento di Force Majeure e un termine massimo di sospensione dell’obbligazione, decorso il quale le parti possono comunicare la risoluzione del contratto.
Nel caso in cui l’evento non rientrasse tra quelli previsti nella Clausola di Force Majeure, o non vi fosse tale clausola nel contratto, andrebbe verificato se esista una Clausola di Hardship e se l’evento possa essere ricondotto a tale previsione.
Infine, in ogni caso è comunque necessario verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto.
Cosa stabilisce la legge applicabile al Contratto?
Ultimo passaggio è quello di verificare cosa preveda la legge applicabile al contratto, sia nel caso in cui l’evento rientri in una clausola di Force Majeure o Hardship, sia nel caso in cui tale clausola non sia presente o non ricomprenda l’evento.
I presupposti e le conseguenze della Forza Maggiore o dell’Hardship, infatti, possono essere regolati in modo molto diverso a seconda della legge applicabile al contratto.
Se Parte A e Parte B avessero entrambe sede in Cina, al contratto di vendita si applicherebbe la legge della Repubblica Popolare Cinese, e la possibilità di invocare con successo la Force Majeure andrebbe valutata applicando queste norme.
Se Parte B avesse invece sede in Italia, nella maggioranza dei casi al contratto di vendita si applicherebbe la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (e quindi l’art. 79 sulle Cause di Esonero visto in precedenza) e per quanto non coperto dalla CISG si applicherebbe la legge indicata dalle parti nel contratto (o in mancanza identificata tramite i meccanismi di diritto internazionale privato).
Analogo ragionamento andrebbe fatto per determinare quale sia la legge applicabile al contratto tra Parte B e Parte C e cosa preveda tale legge, e così via lungo la supply chain internazionale.
Nel caso in cui i diversi rapporti siano regolati dalla stessa normativa (ad esempio la CISG) ciò non comporta problemi, ma se – come è probabile – le leggi applicabili fossero diverse la situazione si complica parecchio perché lo stesso evento potrebbe essere considerato causa di esonero da responsabilità contrattuale per la Parte A nei confronti della Parte B, ma non nel passaggio successivo della supply Chain, da Parte B a parte C.
Come limitare i rischi nella supply chain?
Il modo migliore di limitare il rischio di richieste di risarcimento del danno da parte delle altre imprese della catena di fornitura è quello di richiedere per tempo al proprio Fornitore conferma della disponibilità ad effettuare la prestazione contrattuale secondo i termini stabiliti, e condividere le informazioni ricevute con le altre aziende che fanno parte della supply chain.
Nel caso di inadempimento motivato con l’emergenza Coronavirus, è fondamentale verificare se l’evento denunciato rientri tra quelli che possono essere causa di esonero da responsabilità contrattuale, ed esigere che il fornitore fornisca le prove relative. Tali prove, se confermano l’impossibilità della prestazione del fornitore, potranno essere utilizzate dall’acquirente, a sua volta, per invocare la situazione di Force Majeure nei confronti delle altre aziende della Supply Chain.
Se nei contratti (di acquisto e vendita) sono presenti clausole di Force Majeure / Hardship, andrà visto cosa prevedono come modalità di denuncia, tempi di sospensione della prestazione o risoluzione del contratto, nonché cosa preveda la legge applicabile ai contratti.
Infine, è bene ricordare che la maggior parte delle normative prevedono un onere di mitigare i danni derivanti dall’eventuale inadempimento dell’altra parte: ciò significa che se è probabile, o anche solo possibile, che il Fornitore cinese si renda inadempiente ad una fornitura, la parte acquirente dovrà fare tutto il possibile per essere in grado di porvi rimedio ed adempiere comunque alle proprie obbligazioni verso le altre aziende che formano parte della supply chain, ad esempio procurandosi il prodotto da altri fornitori anche a condizioni molto più onerose.
Come cambiano i contratti di distribuzione dopo Covid19?
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On December 30, 2018, the Comprehensive and Progressive Agreement For Trans-Pacific Partnership (“CPTPP”) entered into force
This Treaty is considered the third largest global trade agreement, positioned after the Comprehensive Economic and Trade Agreement between Canada and the EU (“CETA”) and the United States–Mexico–Canada Agreement (“USMCA”). The CPTPP sets forth a model of trade liberalization, aiming to maintain the markets open, increase world trade and create new economic opportunities for the member countries.
The CPTPP reaffirms and materializes a major part of the provisions of the Trans-Pacific Economic Cooperation Agreement (“TPP”), which had been originally signed by 12 countries, subsequently the United States of America (“USA”) announced its withdrawal.
As a result, this Treaty is the agreement reached by the remaining 11 countries of the TPP (Australia, Brunei, Canada, Chile, Japan, Malaysia, Mexico, New Zealand, Peru, Singapore and Vietnam) in an effort to enact its provisions, since the original text is incorporated, except for 22 provisions related to rules presented by the USA, which were suspended.
The Agreement has four main characteristics:
- Improves the access to the markets of the participating countries, eliminating and reducing tariff barriers amongst them. It also increases the pre-existing benefits between countries which had already entered into an agreement.
- Promotes innovation, productivity and competition;
- Encourages inclusive commerce, by incorporating new elements to ensure economic development, such as regulating the activities of state-owned companies, intellectual property, regulatory coherence, electronic commerce and support to Small and Medium Enterprises (“SMEs“) in order to streamline and simplify trade.
- Through a regional integration platform, it aims to enhance the production chain and the possibility of including different and future economies.
To estimate the relevance of the Agreement, the Mexican Ministry of Economy stated that, although the absence of the USA reduced the economic dimensions of the market delimited by this instrument (from 40% to 13% of the world economy), future prospects are favorable since: i) the participation of the 11 countries, creates a market of 500 million consumers, ii) 13.5% of the world’s Gross Domestic Product (GDP) will enter in to this market and iii) the likelihood of incorporation of other countries is probable, which could compensate the absence of the USA.
With the CPTPP, Mexico intends to broaden its trade openness in the most dynamic zone in the world (Asia-Pacific), allowing Mexican products to enter into 6 new countries: Australia, Brunei, Malaysia, New Zealand, Singapore and Vietnam. The aforementioned will promote the diversification of the trade economic activity, bolstering sectors such as agriculture, automotive, aerospace and products such as medical devices, electrical equipment, dairy products, tuna, sardines, cosmetics, tequila, mezcal, beer, etc.
This Agreement will also deepen the access to the Japanese market and will consolidate tariff preferences with countries with which a free trade agreement had already been signed, such as Canada, Chile and Peru.
The main motivation of the Mexican government in the negotiation of the CPTPP is to continue with a trade liberalization policy that began in 1989. Currently, Mexico has a network of 12 free trade agreements with 46 countries; 33 agreements for the reciprocal promotion of investments; and 9 agreements of limited scope (Economic Complementation Agreements and Partial Scope Agreements) within the framework of the Latin American Integration Association.
Riassunto – Si tratta di un accordo di riservatezza, spesso utilizzato nel commercio internazionale, con il quale le parti si obbligano a mantenere riservate le informazioni confidenziali o sensibili scambiate durante i negoziati. Il modello di contratto è abbastanza standard, ma per la sua validità ed efficacia è fondamentale che il contenuto sia adattato al caso concreto, come la clausola di legge applicabile, il foro competente o arbitrato, le clausole penali, la durata, la lingua del contratto.
Accade molto spesso che in differenti contesti di business venga proposta la sottoscrizione di un Non Disclosure Agreement (“NDA”) e di un Memorandum of Understanding (“MoU”) o di una Letter of Intent (“LoI”), tanto che questi tre acronimi – NDA, MoU e LoI – sono ormai diventati di uso corrente, soprattutto in occasione di negoziati internazionali.
Spesso, però, questi contratti vengono utilizzati in modo improprio e con finalità diverse da quelle con le quali si sono affermati nella prassi del commercio internazionale, con il risultato di non essere utili perché non tutelano in modo efficace gli interessi delle parti, o addirittura di essere controproducenti.
Iniziamo vedendo quali sono le caratteristiche del Non Disclosure Agreement – NDA – e come è consigliabile utilizzarlo.
Di cosa parlo in questo articolo
- Cos’è il NDA – Accordo di riservatezza
- Chi sono le parti del NDA – Accordo di riservatezza
- Quali sono le Informazioni riservate?
- La condivisione delle Informazioni riservate con terzi
- Non Disclose and Non Use Agreement
- Il divieto di concorrenza
- La durata del NDA
- Inadempimenti del NDA e clausola penale
- NDA modello e standard
- Quale legge applicabile e giudice in un NDA internazionale?
- La lingua del NDA
- Conclusioni
- Come possiamo aiutarti
NDA – Cosa significa
Il NDA è un accordo che ha la funzione di tutelare la riservatezza delle informazioni che le parti (generalmente identificate, rispettivamente, come “Disclosing Party” e “Receiving Party”) intendono condividere, in diversi possibili scenari: la trasmissione d’informazioni per una due diligence preliminare a un investimento, la valutazione di dati commerciali per un contratto di distribuzione, le specifiche tecniche di un certo prodotto oggetto di trasferimento di tecnologia, etc.
Il primo step del negoziato, infatti, richiede spesso la messa a disposizione di informazioni di diverso tipo, tecniche, finanziarie o commerciali, da parte di una o di entrambe le parti, che è necessario che rimangano riservate (di seguito le “Informazioni Riservate”) durante e dopo la conclusione del negoziato.
Chi sono le parti dell’accordo di riservatezza?
Fondamentale, partendo dalle premesse dell’accordo, è la corretta individuazione delle parti obbligate alla protezione delle informazioni e al mantenimento della riservatezza, specie quando sono coinvolti gruppi societari, in cui gli interlocutori possono essere molteplici e situati in diversi paesi. In casi simili è consigliabile obbligare la Receiving Party a garantire il mantenimento della riservatezza da parte di tutte le società del gruppo.
È inoltre importante che l’accordo individui esattamente quali persone facenti parte dell’organizzazione della Receiving Party (si pensi a: dipendenti, consulenti tecnici, professionisti, collaboratori, etc.) hanno diritto di accedere alle Informazioni, se possibile con sottoscrizione dell’accordo di riservatezza da parte di tutte le persone coinvolte.
E’ anche importante prevedere se la Receiving Party possa o meno condividere le Informazioni Riservate con soggetti terzi, ad esempio consulenti tecnici o propri collaboratori esterni. In caso positivo la tutela migliore è quella di obbligare anche tali terzi a sottoscrivere il NDA e prevedere che la Receiving Party sia responsabile (“obbligata in solido”) insieme al terzo per il rispetto delle obbligazioni del NDA.
Spesso la richiesta di far firmare a terze parti il NDA e di essere responsabile per la gestione delle Informazioni Riservate da parte dei terzi viene contestata dalla Receiving Party, solitamente con la motivazione che sarebbe troppo complessa la gestione delle attività necessarie.
Ciò è sintomo di una scarsa predisposizione al rispetto dell’obbligo di riservatezza, che va valutato con attenzione. Se la parte ricevente non intende impegnarsi affinchè terzi rispettino gli obblighi di confidenzialità e non vuole essere responsabile dei loro eventuali inadempimenti ciò espone il Titolare ad un evidente rischio di divulgazione delle informazioni, senza che sia possibile agire in modo efficace per rimediare il danno.
Suggerisco, in questi casi, di essere molto rigorosi.
Il NDA deve prevedere che:
- l’accesso alle Informazioni Riservate da parte di terzi è possibile solo se preventivamente autorizzato per iscritto dalla Disclosing Party
- il terzo autorizzato deve firmare un allegato al NDA nel quale dichiara di aver preso visione degli obblighi di riservatezza e di obbligarsi al loro rispetto
- il terzo non possa condividere le Informazioni Riservate con altri soggetti non vincolati dal NDA, salvo espressa autorizzazione del Titolare
- la Disclosing Party sia responsabile in solido del rispetto delle obbligazioni del NDA da parte dei Terzi autorizzati
Identificazione delle Informazioni Riservate
L’utilizzo di modelli di NDA riciclati, reperiti su formulari o proposti dalla controparte è prassi certamente non raccomandabile, ma purtroppo molto diffusa.
Questi modelli, molto spesso, sono generici e contengono definizioni ampie delle Informazioni Riservate ed elenchi estremamente dettagliati, che comprendono, di fatto, tutto il contenuto dell’attività societaria, includendo spesso ambiti che non sono rilevanti per l’attività oggetto di negoziato, o informazioni che non sono riservate.
Un problema di questi modelli è che è difficile, ex post, verificare se un certo dato fosse o meno compreso nelle Informazioni, ad esempio perché non si sa se fosse già in possesso della Receiving Party prima della firma del NDA.
Un’altra criticità è rappresentata dal fatto che l’elenco molto dettagliato non includa proprio la singola informazione che interessa, oppure non lo faccia in modo chiaro.
Infine accade spesso che sia difficile ricostruire quali Informazioni, dopo la firma del NDA, sono state trasmesse alla Receiving Party, e quando è avvenuta la trasmissione (ad esempio perché sono state inviate in modalità non sicura e non tracciabile, è il caso delle Informazioni spedite come allegati da una email).
Come condividere le Informazioni Riservate
Il modo migliore di procedere è quello di identificare in modo preciso solo le informazioni che è necessario condividere, indicando i documenti da trasmettere in un elenco allegato al NDA.
Ad esempio, se si condivide un certo segreto industriale (“Know-how”) la cosa migliore è limitare l’oggetto dell’accordo solo alle informazioni sensibili relative a tale segreto e specificare in quale formato (cartaceo, digitale, software, hardware) verrà condiviso.
Il passo successivo è quello di metterli a disposizione in un formato che non consenta dubbi sul fatto che sono protette dal NDA, ad esempio marchiandole con un timbro “Confidential under NDA” seguito dalla data di invio.
Altra buona prassi è prevedere che l’accesso alle Informazioni avvenga con modalità sicura e tracciabile (come un’area riservata in cloud o sul server della Disclosing Party, accessibile solo con user name e password individuali assegnati alle persone autorizzate).
Il Divieto di uso delle Informazioni
Un errore abbastanza ricorrente nei modelli di NDA è la previsione dell’obbligo per la Receiving Party del solo mantenimento della riservatezza delle Informazioni, senza impedirgliene espressamente l’utilizzo.
Soprattutto nel caso di imprese concorrenti, però, l’utilizzo è più pericoloso della divulgazione: basti pensare alla possibilità che la Receiving Party sviluppi tecnologie o brevetti basati proprio sui segreti industriali acquisiti.
E’ importante prevedere, quindi, che l’obbligo non è solo di riservatezza ma anche di non uso, evidenziando tale patto anche nel titolo dell’accordo che può diventare “Non Disclosure and Non Use Agreement”.
Non Compete Agreement – Divieto di concorrenza
Altra situazione delicata è quella il cui una Parte condivida elenchi di clienti o di agenti o di fornitori o altre informazioni commerciali sensibili.
In questo caso oltre alle obbligazioni di riservatezza e di non utilizzo al di fuori di quanto previsto nel NDA, è bene prevedere espressamente clausole di Non Concorrenza.
Ad esempio, se viene condiviso un elenco di agenti o di fornitori, l’accordo può prevedere un obbligo di astensione dal contattare direttamente certi soggetti individuati negli elenchi condivisi (questo patto è anche noto come “Non Circumvention Agreement”).
La Durata dell’obbligo di riservatezza
La funzione del NDA è proteggere le Informazioni Riservate per tutto il tempo necessario alla loro condivisione tra le Parti.
È bene, quindi, che sia indicato in modo chiaro qual è il momento finale della condivisione e – nel caso in cui la Receiving Party sia in possesso di copia delle Informazioni Riservate – prevedere l’obbligo di restituzione o distruzione dei documenti.
E’ anche fondamentale indicare per quanto tempo la Receiving Party sia tenuta a mantenere la riservatezza e non utilizzare le Informazioni dopo il periodo necessario al loro esame, ad esempio 24 mesi.
NDA – Inadempimenti
Provare e quantificare i danni derivanti una violazione dell’obbligo di riservatezza è generalmente molto complesso, perché si traduce in vantaggio / danno intangibile, come ad esempio la possibilità di sviluppare un certo prodotto concorrente in tempi rapidi proprio grazie alle Informazioni apprese.
Può essere allora utile prevedere una clausola penale, che predetermini in una certa somma il danno derivante dall’inadempimento contrattuale.
A tal fine è importante considerare che la quantificazione della penale deve essere ragionevole in relazione al danno che si presume possa scaturire dalla violazione della segretezza o dall’utilizzo delle Informazioni.
E’ consigliabile prevedere diversi importi a titolo di penale in relazione a diverse ipotesi di inadempimento (ad esempio, la registrazione o la contraffazione di un brevetto utilizzando le informazioni tecniche condivise, oppure il contatto con certi partner commerciali).
In ogni caso, prima di inserire clausole penali è opportuno valutare cosa preveda la legge applicabile all’accordo per la validità di questo patto, in particolare per la quantificazione massima della penale (si veda il punto successivo).
Il rischio, se non si conosce la legge applicabile all’accordo di non riservatezza, è che in caso di contenzioso il Giudice ritenga la clausola invalida o che la penale sia di importo eccessivo in relazione all’inadempimento e quindi la riduca ad una somma equa.
Oppure, al contrario, una parte possa essere condannata al pagamento di una penale addirittura superiore al valore del contratto (è il caso di una recente decisione della Suprema Corte Russa).
La clausola penale, infine, può essere anche utilizzata in modo tattico. Se in sede di negoziato la Receiving Party si oppone fermamente all’inserimento della penale o ne chiede la riduzione ciò può essere un indizio di una riserva mentale di inadempimento.
NDA template e Smart Contract
E’ molto agevole, oggi, procurarsi un modello di NDA: template o standard possono essere reperiti gratuitamente su vari siti come bozze generiche da completare, o essere costruiti online rispondendo ad una serie di domande per personalizzare il contratto per il caso specifico.
Il mio consiglio è di procedere con grande attenzione: per i motivi che spiego in questo post, il NDA è un accordo che deve essere redatto con grande attenzione e con l’aiuto di un consulente esperto.
Un buon modello (template) di NDA può essere una base di partenza utile, dopo di che una revisione di un esperto è un passaggio fondamentale, soprattutto per verificare che il contenuto del NDA sia conforme a quanto prevede la legge che si applica all’accordo e che le modalità di risoluzione delle controversie previste siano efficaci.
Legge applicabile e foro competente
Una cattiva abitudine è anche quella di relegare le clausole su legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie alla fine dell’accordo (tanto che vengono definite “Midnight Clauses”, per un approfondimento si veda questo post su Legalmondo) e di non prestare particolare attenzione al loro contenuto.
Ciò porta spesso alla previsione di clausole del tutto sbagliate (o addirittura nulle) che in caso di contenzioso vanificano la possibilità di ottenere tutela in giudizio.
La clausola che prevede la legge applicabile e la giurisdizione è fondamentale, perché da essa dipende la possibilità di far rispettare l’accordo e/o di ottenere un provvedimento giudiziario che possa essere eseguito in modo rapido ed efficace.
La questione è molto delicata perché non esiste una soluzione valida per tutti i casi e occorre considerare le specificità del singolo accordo di riservatezza.
Ci sono le Parti e dove hanno sede? Quali sono le informazioni riservate e dove possono essere utilizzate? Cosa prevede la legge del paese in cui ha sede la controparte? La modalità di risoluzione delle controversie più efficace deve essere individuata dando risposta a queste domande.
Facciamo un esempio: in un NDA con una controparte cinese è spesso controproducente scegliere di applicare la giurisdizione e la legge italiana, visto che in caso di inadempimento è solitamente necessario agire rapidamente in Cina (anche in via d’urgenza) e non presso un giudice italiano. In tal caso è consigliabile redigere il NDA con testo bilingue inglese/cinese e prevedere un arbitrato in Cina, applicando la legge cinese.
NDA in inglese, cinese o doppia lingua
Accade spesso che il modello di NDA venga proposto dalla controparte straniera e sia in inglese, o in doppia lingua (es. inglese e cinese).
E’ anche frequente che sia la parte italiana che richieda che i contratti internazionali siano in doppia lingua: ad esempio italiano e inglese o spagnolo.
In alcuni casi, per fortuna eccezionali, ho anche visto contratti in 3 lingue: italiano, inglese e cinese.
Ciò si verifica di solito perché, nonostante l’inglese sia la lingua franca del commercio internazionale, le parti sono più a loro agio nel negoziare e firmare un accordo che sia anche nella loro lingua.
La previsione di una seconda lingua può poi essere importante per essere certi che non vi siano fraintendimenti sul contenuto dell’accordo (una parte cinese non potrà invocare di non aver compreso il significato di un patto in inglese, se è disponibile una versione anche in cinese).
Infine, se necessario, una versione bilingue è immediatamente ed agevolmente utilizzabile in caso di azione legale, per rimanere sullo stesso esempio, davanti ad un giudice cinese, senza che sia necessario procedere a traduzioni (non sempre di buona qualità) nel corso del giudizio.
Qualche consiglio pratico:
- se non si conosce la seconda lingua del NDA, verificare sempre che il contenuto sia completo e conforme a quello della prima (accade spesso che nei vari passaggi di negoziato di un accordo qualcuno si dimentichi di riportare una modifica nell’altra lingua)
- se possibile richiedere una revisione del testo anche da parte di un legale madrelingua, per escludere l’utilizzo di termini impropri o non corretti
- stabilire quale versione prevale in caso di incongruenze tra una lingua e l’altra
In conclusione
Il NDA – Accordo di riservatezza è un contratto che spesso è concluso in modo frettoloso, sottovalutandone l’importanza e la complessità.
Il mio consiglio è di evitare il fai da te e affidarsi ad un legale specializzato, che sappia negoziare e redigere il NDA tenendo conto di tutte le particolarità del caso (tipo di negoziato, informazioni riservate condivise, sede delle parti e paesi in cui andrà eseguito il NDA, contenuto della legge straniera eventualmente applicabile, modalità di risoluzione delle controversie più conveniente, etc.).
Possiamo aiutarti?
Legalmondo offre la possibilità di lavorare online con un avvocato specializzato per redigere il tuo NDA, revisionare il contratto proposto dalla controparte o negoziare un NDA con partner italiani o stranieri.
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Dopo una lunga attesa dei fornitori di prodotti di marca, dei distributori al dettaglio di negozi fisici, dei rivenditori via internet, incluse piattaforme come Amazon, eBay, Zalando, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha appena deciso (6 dicembre 2017) – nella decisione già ribattezzata di “San Niccolò” – che i fornitori di beni di lusso possono legittimamente proibire vendite tramite piattaforme di terze parti.
In un precedente post di Legalmondo (“the Coty Case”, in lingua inglese) avevamo analizzato la vertenza appena decisa dai giudici europei. Secondo la CGUE, tale divieto di usare piattaforme non costituisce necessariamente una restrizione illegittima della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”): la Corte ha confermato il fatto che i sistemi di distribuzione selettiva per beni di lusso, volti primariamente a preservare l’immagine di lusso dei prodotti, possono essere ritenuti compatibili con le limitazioni comunitarie in tema di accordi verticali.
Più specificamente, la Corte ha deciso che le limitazioni alla rivendita dei beni attraverso piattaforme online sono legittime perché il diritto europeo permette la restrizione alle vendite online grazie a
“una clausola contrattuale, come quella di cui trattasi, che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo Internet dei prodotti interessati, qualora siano rispettate le seguenti condizioni: (i) tale clausola deve essere diretta a salvaguardare l’immagine di lusso dei prodotti interessati, (ii) deve essere stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio e (iii) deve essere proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito. Spetterà all’Oberlandesgericht verificare se ciò avvenga nel caso di specie.”
(cfr. la rassegna stampa della CGUE No. 132/2017 e il testo completo della decisone).
Spetta ora alla Corte d’Appello di Francoforte applicare tali requisiti al caso Coty.
La storia del caso Coty è estremamente interessante: la filiale tedesca del fornitore di profumi di lusso Coty, la Coty Germany GmbH (“Coty”) ha creato una rete di distribuzione selettiva per la quale i suoi distributori possono effettuare vendite via internet, ma è loro proibito di vendere tramite piattaforme di terze parti, le quali appaiano tali anche dall’esterno, come ad esempio Amazon, eBay, Zalando etc. La corte di primo grado aveva deciso che l’imposizione di tale divieto di vendere tramite piattaforme di terze parti costituisse un’illegittima restrizione della concorrenza. La Corte di secondo grado, invece, non aveva ravvisato una risposta altrettanto chiara e aveva chiesto alla Corte di Giustizia Europea di pronunciarsi sull’interpretazione della normativa europea antitrust e, più specificamente, dell’art. 101 TFUE e dell’art. 4 lett. b e c del regolamento generale di esenzione per categoria per gli accordi verticali o “VBER” (decisione del 19.04.2016, per dettagli, si veda il post precedente “eCommerce: restrizioni per i distributori in Germania”). Il 30 marzo 2017 ha avuto luogo l’udienza dinnanzi alla CGUE. In tale sede Coty ha difeso il proprio divieto di vendere su piattaforme terze, sostenendo che lo stesso è volto a proteggere l’immagine di lusso di marchi come Marc Jacobs, Calvin Klein o Chloé. Il distributore Parfümerie Akzente GmbH, viceversa, sosteneva che piattaforme conosciute come Amazon e eBay già vendessero prodotti di marca, (ad es: L’Oréal) e di conseguenza non v’era motivo, per Coty, di proibire la rivendita tramite tali piattaforme. Inoltre, ha sostenuto Parfümerie Akzente, le piattaforme online sono importanti per le piccole e le medie imprese. Possibili indicazioni su come la Corte avrebbe potuto decidere sono apparse il 26 luglio 2017, allorché l’Avvocato Generale ha fornito le proprie conclusioni, concludendo che il divieto di usare piattaforme fosse ammissibile, purché “tale clausola contrattuale sia condizionata dalla natura del prodotto, se essa sia stabilita in modo uniforme e applicata indifferentemente e se essa non vada oltre il necessario” (paragrafo 122 delle conclusioni dell’Avvocato Generale; vedi il post precedente “Distribuzione online – Divieti di vendite su piattaforme online nella distribuzione selettiva (il caso Coty perdura)”).
Conclusioni pratiche
- Questa sentenza del 6 dicembre 2017 è molto importante per tutti i fornitori di prodotti di marca, per distributori al dettaglio in negozi fisici, per i rivenditori via internet e per i fornitori di piattaforme online, in quanto chiarisce che i fornitori di prodotti di marca possono vietare le vendite tramite piattaforme di terze parti (Amazon, eBay, Zalando & Co.) al fine di assicurare il medesimo livello di qualità della distribuzione su tutti i canali di distribuzione, sia offline che online.
- Un piccolo passo indietro: la Corte distrettuale di Amsterdam già il 4 ottobre 2017 aveva deciso che il divieto imposto da Nike ai propri distributori selettivi di usare piattaforme online costituiva un criterio di distribuzione legittimo al fine di salvaguardare l’immagine del marchio di lusso Nike (caso Nike European Operations Netherlands B.V. contro il rivenditore sito in Italia, Action Sport Soc. Coop, A.R.L., fasc. n. C/13/615474 / HA ZA 16-959).
- Il divieto generale di usare strumenti di comparazione di prezzi, così come stipulato dal fornitore di articoli sportivi Asics nel proprio “Distribution System 1.0“, dovrebbe invece essere anticoncorrenziale – ciò secondo il Bundeskartellamt e come confermato dalla Corte d’Appello di Düsseldorf il 5 aprile 2017. L’ultima parola, tuttavia, non è stata ancora detta – vedi il post “Distribuzione online – Nullo il divieto di strumenti di comparazione di prezzi?”. Sarà interessante vedere come la conclusione del caso Coty influenzerà tali strumenti di comparazione di prezzi.
- Per ulteriori evoluzioni della distribuzione online, si veda la Relazione finale sull’indagine conoscitiva sull’E-commerce della Commissione UE e i dettagli nel Documento di lavoro, „Relazione finale sull’indagine conoscitiva sul settore E-commerce“.
- Per dettagli sulle reti di distribuzione e sulla distribuzione online, consulta i miei articoli:
- “Internetvertrieb in der EU 2018 ff. – Online-Vertriebsvorgaben von Asics über BMW bis Coty”, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht2017, 274-281; e
- „Plattformverbote im Selektivvertrieb – der EuGH-Vorlagebeschluss des OLG Frankfurt vom 19.4.2016“, in: Zeitschrift für Vertriebsrecht 2016,278–283.
Il caso Coty è estremamente rilevante per la distribuzione in Europa perché più del 70% degli oggetti di lusso del mondo sono venduti qui, e molti di essi vengono venduti online. Per maggiori implicazioni sulle reti di distribuzione esistenti e future e sui rispettivi accordi, restate in contatto, continueremo ad aggiornarvi su Legalmondo!
Based on our experience in many years advising and representing companies in the commercial distribution (in Spanish jurisdiction but with foreign manufacturers or distributors), the following are the six key essential elements for manufacturers (suppliers) and retailers (distributors) when establishing a distribution relationship.
These ideas are relevant when companies intend to start their commercial relationship but they should not be neglected and verified even when there are already existing contacts.
The signature of the contract
Although it could seem obvious, the signature of a distribution agreement is less common than it might seem. It often happens that along the extended relationship, the corporate structures change and what once was signed with an entity, has not been renewed, adapted, modified or replaced when the situation has been transformed. It is very convenient to have well documented the relationship at every moment of its existence and to be sure that what has been covered legally is also enforceable y the day-to-day commercial relationship. It is advisable this work to be carried out by legal specialists closely with the commercial department of the company. Perfectly drafted clauses from a legal standpoint will be useless if overtaken or not understood by the day-to-day activity. And, of course, no contract is signed as a “mere formality” and then modified by verbal agreements or practices.
The proper choice of contract
If the signature of the distribution contract is important, the choice of the correct type is essential. Many of the conflicts that occur, especially in long-term relationships, begin with the interpretation of the type of relationship that has been signed. Even with a written text (and with an express title), the intention of the parties remains often unclear (and so the agreement). Is the “distributor” really so? Does he buy and resell or there are only sporadic supply relationships? Is there just a representative activity (ie, the distributor is actually an “agent“)? Is there a mixed relationship (sometimes represents, sometimes buys and resells)? The list could continue indefinitely. Even in many of the relationships that currently exist I am sure that the interpretation given by the Supplier and the Distributor could be different.
Monitoring of legal and business relations
If it is quite frequent not to have a clear written contract, it happens in almost all the distribution relationships than once the agreement has been signed, the day-to-day commercial activity modifies what has been agreed. Why commercial relations seem to neglect what has been written in an agreement? It is quite frequent contracts in which certain obligations for distributors are included (reporting on the market, customers, minimum purchases), but which in practice are not respected (it seems complicated, there is a good relationship between the parties, and nobody remembers what was agreed by people no longer working at the company…). However, it is also quite frequent to try to use these (real?) defaults later on when the relationship starts having problems. At that moment, parties try to hide behind these violations to terminate the contracts although these practices were, in a sort of way, accepted as a new procedure. Of course no agreement can last forever and for that reason is highly recommendable a joint and periodical monitoring between the legal adviser (preferably an independent one with the support of the general managers) and the commercial department to take into account new practices and to have a provision in the contractual documents.
Evidences about customers
In distribution contracts, evidences about customers will be essential in case of termination. Parties (mainly the supplier) are quite interested in showing evidences on who (supplier or distributor) procured the customers. Are they a result of the distributor activity or are they obtained as a consequence of the reputation of the trademark? Evidences on customers could simplify or even avoid future conflicts. The importance of the clientele and its possible future activity will be a key element to define the compensation to which the distributor will pretend to be eligible.
Evidences on purchases and sales
Another essential element and quite often forgotten is the justification of purchases to the supplier and subsequent sales by distributors. In any distribution agreement distributors acquire the products and resell them to the final customers. A future compensation to the distributor will consider the difference between the purchase prices and resale prices (the margin). It is therefore advisable to be able to establish the correspondent evidence on such information in order to better prepare a possible claim.
Damages in case of termination of contracts
Similarly, it would be convenient to justify what damages have been suffered as a result of the termination of a contract: has the distributor made investments by indication of the supplier that are still to be amortized? Has the distributor hired new employees for a line of business that have to be dismissed because of the termination of the contract (costs of compensation)? Has the distributor rented new premises signing long-term contracts due to the expectations on the agreement? Please, take into account that the Distributor is an independent trader and, as such, he assumes the risks of his activity. But to the extent he is acting on a distribution network he shall be subject to the directions, suggestions and expectations created by the supplier. These may be relevant to later determine the damages caused by the termination of the contract.
Scrivi a Fare affari all’estero: avvocato straniero o italiano?
Corte di Giustizia UE ammette la restrizione alle vendite online (sentenza Coty)
19 Dicembre 2017
- Germania
- Commercio internazionale
- Distribuzione
- eCommerce
“Può aiutami, avvocato”?
(Ovviamente è urgente).
“Mi mette in contatto con un legale in [Paese straniero]? Poi ci pensiamo noi.”
Lo faccio volentieri, ci mancherebbe.
Specie se posso mettere il cliente in contatto con un avvocato esperto di Legalmondo.
Lavorare direttamente con un legale all’estero, però, comporta una serie di complessità che vengono regolarmente sottovalutate dal cliente.
Le principali sono le seguenti
- identificare il legale giusto, che sia specializzato e abbia una specifica esperienza nella materia di interesse dell’azienda
- la difficoltà di dialogare in una lingua che solitamente è straniera sia per il cliente, sia per il legale all’estero
- comprendere le tematiche giuridiche oggetto dell’incarico, molto spesso regolate da una legge diversa da quella italiana
- concordare i termini dell’incarico professionale e monitorare l’andamento delle spese, specie se si tratta di attività lunghe e complesse, in paesi nei quali i costi legali sono molto alti
Nel caso di contenziosi
- individuare i fatti importanti e i documenti necessari
- definire la strategia di causa, valutare la possibilità di una definizione amichevole della vertenza e ragionare sulle possibili soluzioni alternative in base agli interessi delle parti
- gestire istruzioni e comunicazioni al legale in tempi molto stretti e lavorando in fusi orari diversi
Nel caso di negoziati commerciali
- condividere interessi e obiettivi della trattativa
- preparare e partecipare a call conference frequenti ed impegnative
- seguire le varie fasi delle revisioni dei testi contrattuali
Se si tratta di operazioni straordinarie
- impostare l’attività e condividerla con i legali delle controparti
- allineare le risorse aziendali e i vari professionisti coinvolti per assistere il cliente
- coordinare le diverse fasi dell’attività
Tutti passaggi nei quali il legale italiano, se è specializzato nella materia ed ha esperienza nell’assistere la clientela all’estero, può essere di grande aiuto, diventando l’interfaccia tra il cliente e i vari professionisti coinvolti nell’attività, su entrambi i lati.
È una risorsa preziosa, che consente di impostare il lavoro in modo chiaro, dialogare e ottenere risposte in tempi rapidi, assicurarsi che le informazioni, anche complesse, vengano riportate e comprese in modo corretto.
Esperienza, facilità di dialogo e rapporto di fiducia
Infine, è importante valorizzare la possibilità di confronto diretto con una persona di fiducia, esperta e che conosce l’imprenditore e l’azienda, cosa che generalmente non è possibile lavorando direttamente con uno studio all’estero, specie se di grandi dimensioni.
Il risultato è generalmente quello di lavorare in modo più consapevole, rapido, ordinato ed efficace, il che si traduce generalmente in un risparmio di tempo e denaro.
Prima di lavorare direttamente con un legale in Costa Rica, Macedonia o USA, è bene considerare l’importanza e il valore dell’incarico e pensare al legale italiano come una risorsa, non come un costo aggiuntivo.
Riassunto
Il contratto quadro di fornitura è un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore) che si svolgono nel corso di un certo arco temporale. Questo accordo determina gli elementi principali dei futuri contratti come il prezzo, i volumi di prodotto, i termini di consegna, le specifiche tecniche o di qualità e la durata dell’accordo.
Il contratto quadro è utile per assicurare la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare l’attività industriale o commerciale. Mentre le condizioni generali di acquisto o vendita sono le regole che si applicano a tutti i fornitori o clienti della società. Il contratto quadro è consigliabile concluderlo con i fornitori essenziali per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
Di cosa parlo in questo articolo:
- Che cosa è il contratto quadro di fornitura?
- Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
- La differenza con le condizioni generali di vendita o acquisto
- Quando concludere un contratto quadro di acquisto?
- Quando è utile concludere un contratto quadro di vendita?
- Il contenuto del contratto quadro di fornitura
- Clausola di revisione dei prezzi ed eccessiva onerosità sopravvenuta
- I termini di consegna nel contratto quadro di fornitura
- La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
- Vendita internazionale: legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Che cos’è il contratto quadro di fornitura?
Si tratta di un accordo che regola una serie di future vendite e acquisti tra due soggetti (cliente e fornitore), che si svolgono nel corso di un certo arco temporale.
Si parla dunque di contratto “quadro” (framework agreement, in inglese) perché è un accordo che stabilisce le regole di una futura serie di contratti di compravendita, determinandone gli elementi principali, come il prezzo, i volumi di prodotto che si prevedono di vendere e acquistare, i termini di consegna dei prodotti, le specifiche tecniche o di qualità, la durata dell’accordo.
Dopo avere concluso il contratto quadro le Parti si limiteranno a scambiarsi gli ordinativi e le conferme d’ordine, concludendo una serie di autonomi contratti di vendita, senza dover ridiscutere i patti già definiti nell’accordo quadro.
A seconda dei punti di vista, questo contratto è anche denominato contratto quadro di vendita (se lo utilizza il venditore/fornitore con i propri clienti) o contratto quadro di acquisto (se lo propone il cliente ai suoi fornitori).
Qual è la funzione del contratto quadro di fornitura?
È utile prevedere un contratto quadro in tutti i casi in cui le Parti intendono procedere ad una serie di acquisti / vendite di prodotti continuata nel tempo e hanno interesse a dare stabilità all’accordo commerciale, determinandone gli elementi principali.
In particolare, l’accordo quadro di acquisto è utile all’impresa che vuole assicurarsi la continuità di fornitura da parte di uno o più fornitori di un certo prodotto che è essenziale per pianificare la sua attività industriale o commerciale (materie prime, semilavorati, componenti).
Concludendo il contratto quadro l’impresa può ottenere, ad esempio, un impegno del fornitore a fornire un certo volume minimo di prodotti, ad un certo prezzo, con modalità e specifiche tecniche già condivise, per un certo periodo temporale.
Questo accordo è utile anche, specularmente, al venditore/fornitore, che può programmare le vendite del periodo e organizzare, a sua volta, la catena di fornitura che gli consente l’approvvigionamento delle materie prime e dei componenti necessari alla produzione dei prodotti.
Qual è la differenza tra contratto quadro di acquisto o vendita e condizioni generali?
Mentre Il contratto quadro è un accordo che si utilizza con uno o più fornitori particolari, per un certo prodotto e per un certo arco temporale, determinando gli elementi essenziali dei futuri contratti, le condizioni generali di acquisto (o vendita) sono le regole che si applicano a tutti i fornitori (o clienti) della società.
Il primo accordo, dunque, viene negoziato e definito caso per caso in relazione ad un rapporto commerciale con un certo fornitore, mentre le condizioni generali sono predisposte unilateralmente dall’impresa, e i clienti o i fornitori (a seconda che si tratti di condizioni di vendita o di acquisto) si limitano ad aderire e ad accettare che le condizioni generali si applichino al singolo ordine e/o ai futuri contratti.
Può accadere che i due accordi coesistano: in tal caso è bene specificare quale contratto debba prevalere in caso di discrepanza tra le diverse previsioni (solitamente si prevede questa gerarchia, che va dallo speciale al generale: ordine – conferma d’ordine / contratto quadro / condizioni generali di acquisto).
Quando è importante concludere un contratto quadro di acquisto?
È consigliabile concludere un contratto quadro con il fornitore / i fornitori essenziale / i per la continuità dell’attività di impresa, in generale o in relazione ad un particolare progetto.
È particolarmente importante concludere questo accordo quando si ha a che fare con un mono-fornitore o con un fornitore che sarebbe molto difficile sostituire se cessasse di vendere i prodotti all’impresa acquirente.
I rischi che si mira ad evitare o diminuire sono le cosiddette rotture di stock, ossia le interruzioni di fornitura per la mancanza della disponibilità dei prodotti da parte del fornitore, o perché i prodotti sono disponibili ma le parti non trovano l’accordo sui tempi di consegna o sul prezzo di vendita.
Un altro risultato che si può conseguire è quello di vincolare un fornitore strategico per un certo periodo, concordando che riservi una certa quota della produzione a favore del compratore a condizioni predeterminate evitando, per la durata dell’accordo, la concorrenza con offerte di terzi interessati ai prodotti.
Quando è importante concludere un contratto quadro di vendita?
Questo accordo consente al venditore / fornitore di pianificare le vendite verso un certo cliente e quindi di programmare ed organizzare la propria capacità produttiva e logistica per il periodo concordato, evitando costi extra o ritardi.
Pianificare le vendite consente anche di gestire correttamente le incombenze finanziarie e i flussi di cassa con una visione di medio termine, armonizzando gli impegni e gli investimenti con le vendite ai propri clienti.
Qual è il contenuto del contratto quadro di fornitura?
Non esiste un modello standard di questo contratto, che è nato dalla prassi commerciale per rispondere alle esigenze indicate in precedenza.
Generalmente l’accordo prevede un arco temporale determinato (ad esempio 12 mesi) nel quale le parti si impegnano a concludere una serie di compravendite di prodotti, determinando il prezzo e le modalità di fornitura e i principali patti dei futuri contratti di vendita.
Le clausole più importanti sono:
- l’identificazione dei prodotti e delle specifiche tecniche (spesso individuate in un allegato)
- il volume minimo / massimo di forniture
- l’eventuale obbligo di acquisto / vendita di un minimo-massimo volume di prodotti
- il calendario degli ordinativi
- i tempi di consegna
- la determinazione del prezzo e le condizioni per la sua eventuale modifica (si veda anche il prossimo paragrafo)
- i casi di impedimento alla prestazione (Forza Maggiore)
- i casi di eccessiva onerosità sopravvenuta (Hardship)
- le penali per il ritardo o per l’inadempimento o per il mancato raggiungimento dei volumi concordati
- la gerarchia tra il contratto quadro e gli ordinativi ed eventuali altri contratti tra le parti
- la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie (specialmente in contratti internazionali)
Come gestire la revisione dei prezzi in un contratto di fornitura?
Una clausola molto importante, specie in tempi di forti oscillazioni dei prezzi delle materie prime, dei trasporti e dell’energia, è quella relativa alla revisione dei prezzi.
In mancanza di un accordo su questo tema, infatti, le parti si accollano il rischio dell’aumento del prezzo impegnandosi a rispettare le condizioni originariamente pattuite e, salvi casi eccezionali (in cui la fluttuazione è forte, interessa un arco temporale ristretto ed è causata da eventi imprevedibili), è molto difficile poter invocare la sopravvenuta eccessiva onerosità, che consente di rinegoziare il prezzo oppure di risolvere il contratto.
È consigliabile, per evitare l’incertezza che si genera in caso di fluttuazioni dei prezzi, concordare nel contratto sia i meccanismi per la revisione del prezzo (ad esempio l’indicizzazione automatica seguendo la quotazione di una certa materia prima), sia la cosiddetta clausola di Hardship o Sopravvenuta Eccessiva Onerosità, stabilendo quali sono i limiti di oscillazione dei prezzi accettati dalle parti e cosa accade se le variazioni oltrepassano questi limiti, prevedendo l’obbligo di rinegoziare il prezzo, o lo scioglimento del contratto se non viene trovato l’accordo entro un certo termine.
Come gestire i termini di consegna in un rapporto di fornitura?
Un altro patto chiave in un rapporto di fornitura di medio / lungo termine riguarda i termini di consegna: in questo caso occorre conciliare l’interesse dell’acquirente al rispetto delle date convenute con quello del fornitore ad evitare richieste di danni in caso di ritardo, soprattutto in caso di vendite che richiedano trasporti intercontinentali.
La prima cosa da chiarire in proposito riguarda la natura dei termini di consegna: si tratta di termini essenziali oppure indicativi? Nel primo caso la parte interessata ha diritto a risolvere (ossia sciogliere) il contratto in caso di mancato rispetto del termine, nel secondo invece si possono prevedere oneri di diligenza, di informazione e di notifica tempestiva dei ritardi, mentre la risoluzione non è un rimedio che può essere automaticamente azionato in caso di ritardo.
Uno strumento utile, a questo proposito, è quello della clausola penale: con questo patto si concorda che per ogni giorno / settimana / mese di ritardo sia dovuta una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno a favore della parte danneggiata dal ritardo.
La penale, se quantificata in modo corretto e non eccessivo, è utile per entrambe le parti, perché consente di predeterminare i danni che possono essere invocati per il ritardo, liquidandoli in una somma equa e determinata: di conseguenza, il venditore non è esposto a domande di risarcimento legate a fattori fuori dal suo controllo, mentre il compratore può agevolmente calcolare l’indennizzo legato al ritardo, senza necessità di altre prove.
Lo stesso meccanismo, tra l’altro, si può adottare per disciplinare il ritardo del compratore nel prendere in consegna i beni messi a disposizione dal venditore.
Occorre tenere a mente, infine, che è buona prassi specificare il tetto massimo della penale (ad esempio il 10% del prezzo del prodotto) e un periodo massimo di tolleranza del ritardo, oltre il quale la parte interessata ha diritto di sciogliere il contratto, trattenendo la penale.
La clausola di Forza Maggiore nei contratti di vendita internazionale
Una situazione che viene spesso confusa con l’eccessiva onerosità, ma in realtà è molto diversa, è quella relativa alla Forza Maggiore, ossia alla impossibilità sopravvenuta di adempiere all’obbligazione contrattuale, a causa di un evento fuori dal ragionevole controllo della parte colpita, che non avrebbe potuto ragionevolmente essere previsto e i cui effetti non possano essere superati con un ragionevole sforzo.
La funzione di questa clausola è quella di stabilire in modo chiaro quando le parti ritengono che possa essere invocata la Forza Maggiore, quali eventi specifici vengono compresi (ad esempio un lock-down dello stabilimento produttivo per ordine dell’autorità) e quali sono le conseguenze sulle obbligazioni delle parti (ad esempio la sospensione dell’obbligazione per un certo periodo, finché dura la causa di impossibilità ad adempiere, oltre il quale è possibile che la parte interessata all’adempimento dichiari di voler sciogliere il contratto).
Occorre prestare grande attenzione alla redazione di questa clausola, perché se la formulazione è generica (come spesso accade) il rischio è che sia di poca utilità; è bene verificare, inoltre, che la regolamentazione della forza maggiore sia conforme a quanto prevedere la legge applicabile al contratto (v. punto successivo – qui un approfondimento con indicazione del regime previsto da 42 leggi nazionali).
Legge applicabile e modalità di risoluzione delle controversie
Se il cliente o il fornitore ha sede all’estero occorre tenere presente alcune importanti differenze: la prima è la lingua del contratto, che deve essere comprensibile alla controparte straniera, e sarà quindi solitamente in inglese, o in un’altra lingua comune alle parti, eventualmente anche in doppia lingua con testo a fronte.
La seconda questione da tenere a mente riguarda la legge applicabile, che è bene sia espressamente indicata nel contratto: l’argomento è molto vasto e in questa sede ci limitiamo a dire che la decisione sulla legge applicabile va presa caso per caso, in modo consapevole: non sempre, infatti, è utile richiamare l’applicazione della legge italiana.
Va poi ricordato che nella maggioranza dei contratti di vendita internazionale si applica la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili (“CISG”), che è una legge comune alle parti del contratto, equilibrata, molto chiara e facile da consultare: la CISG si applica automaticamente ed è bene non escluderla.
Infine, in un contratto quadro di fornitura internazionale è consigliabile prestare attenzione all’individuazione delle modalità di risoluzione delle controversie: non esiste una soluzione che vada bene per tutti i contratti, ci limitiamo a ricordare che, anche in questo caso, non sempre la scelta della giurisdizione italiana è quella giusta (anzi, spesso può rivelarsi controproducente): chi fosse interessato ad un approfondimento può leggere questo articolo sul blog di Legalmondo.
Riassunto
Come è regolato il contratto di distribuzione commerciale in Cina?
Vediamo quali sono le clausole importanti, come negoziare gli accordi di distribuzione e concessione di vendita e quali sono gli aspetti della relazione commerciale ai quali prestare più attenzione: esclusiva, durata e periodo di preavviso, patto di non concorrenza, gestione del marchio e della proprietà intellettuale, vendite via e-commerce e modalità di risoluzione delle controversie.
Di cosa parlo in questo articolo:
- La normativa applicabile ai contratti di distribuzione in Cina
- La forma del contratto di distribuzione e la sua conclusione
- Il contratto di vendita internazionale in Cina
- Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
- L’esclusiva territoriale in un accordo di distribuzione sul mercato cinese
- Il patto di non concorrenza
- La distribuzione Omnichannel
- Come proteggere la proprietà intellettuale in Cina
- Licenza di marchio, flagship stores e Franchising sul mercato cinese
- Durata e cessazione dell’accordo di distribuzione
- Come gestire lo stock di prodotti dopo il termine del contratto
- La legge applicabile al contratto di distribuzione in Cina
- Le clausole per la risoluzione delle controversie (giudice cinese o italiano e arbitrato)
Come sono regolati gli accordi di distribuzione commerciale in Cina?
Non esiste una normativa specifica applicabile ai contratti di distribuzione in Cina.
Per contratto di distribuzione internazionale si intende il contratto con il quale un soggetto (il produttore, nel nostro caso con sede in Italia) affida ad un altro soggetto (distributore, con sede in Cina) il diritto di acquistare determinati prodotti, per poi rivenderli sul mercato cinese.
Quando si parla di contratto di concessione di vendita si fa riferimento ad un contratto di distribuzione nel quale il produttore- concedente affida al distributore-concessionario non solo il diritto di acquistare e vendere i prodotti, ma anche l’obbligo di promuovere le vendite secondo modalità concordate tra le parti, spesso con la contropartita di un’esclusiva territoriale.
Esistono poi forme miste di accordi di distribuzione, nei quali il distributore cinese può anche agire in forma di agente commerciale: in questo post non ne parlo, ma chi fosse interessato ad approfondire il tema degli accordi di agenzia in Cina può leggere questo report su Legalmondo.
Gli accordi di distribuzione in Cina sono regolati dalla legge sui contratti (1999) che è un ibrido con elementi dei sistemi socialista, romano, tedesco e di convenzioni internazionali.
Principi importanti, da tenere a mente quando si redigono accordi di distribuzione con un partner cinese, sono l’uguaglianza (“pingdeng” – art. 3) la libera volontà (“ziyuan” – art. 4) l’equità (“gongping” – art. 5) e la buona fede (“chengshixinyong” – art. 6).
Per questo motivo, anche se un contratto di distribuzione è validamente concluso verbalmente o con comportamenti concludenti, è importante redigere un contratto scritto che sia chiaro, equilibrato e completo, poiché questo documento sarà la principale fonte di disciplina degli obblighi delle parti.
Chi preferisce che il rapporto commerciale sia regolato da accordi verbali solitamente giustifica questa scelta con la convinzione che ciò sia preferibile perché lascia le parti più libere: ciò è sbagliato e sconsigliato, perché un accordo verbale non consente di avere certezza su elementi fondamentali del rapporto di distribuzione, tra i quali, solo per citare i principali: il territorio assegnato al distributore, l’esclusiva, la durata, il periodo di preavviso per il recesso, il contenuto dell’attività di promozione dei prodotti, il diritto di utilizzo dei marchi e di altri elementi di proprietà intellettuale del produttore, la legge applicabile e le modalità di risoluzione delle controversie.
La forma del contratto di distribuzione in Cina
I contratti di distribuzione e di vendita sono validi anche solo in lingua inglese, ma è consigliabile negoziare e firmare un accordo bilingue (inglese-cinese): prevedere anche una versione cinese, infatti, evita incomprensioni sul contenuto dell’accordo ed è importante in tutti i casi in cui il contratto debba essere utilizzato avanti a qualche ente amministrativo o in caso di contenziosi giudiziari in Cina, poiché il cinese è l’unica lingua ufficiale ammessa nei tribunali e davanti agli enti pubblici.
È bene sapere poi che è prassi in Cina non solo firmare il contratto ma anche apporre il timbro della società: il timbro in Cina è un unico esemplare di legno, realizzato quando la società è costituita, che è tenuto dalla persona che ha il potere di rappresentare la società ed è dunque un’indicazione importante che il firmatario è un rappresentante autorizzato della società.
Il contratto di vendita internazionale in Cina
Per quanto riguarda i singoli contratti di vendita all’interno dell’accordo di distribuzione, va ricordato che, come l’Italia, la Cina è membro della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni del 1980 (CISG).
Al fine di applicare questa normativa sulla vendita internazionale ai contratti con il distributore con sede in Cina è sufficiente non escludere l’applicazione della CISG, che si applica automaticamente ed è una normativa bilanciata, chiara, comune alle parti e facilmente reperibile.
Non è del tutto chiaro, invece, se Hong Kong e Macao debbano essere considerati Stati contraenti dopo il trasferimento di sovranità alla Cina: è consigliabile, quindi, quando si contratta con aziende con sede in tali territori, prevedere espressamente l’applicazione della CISG (“opt in”).
Escludere l’applicazione della CISG ai contratti di vendita è un errore abbastanza frequente, basato sulla convinzione che la legge italiana offra un maggior grado di tutela al venditore: ciò non è vero (anche perchè la CISG può essere derogata da patti tra le parti) e comporta complicazioni non necessarie.
Quanto alla forma e al contenuto del contratto di vendita o delle condizioni generali di vendita, anche questi contratti è bene che siano redatti nelle due lingue: le principali clausole riguardano le modalità di invio e accettazione degli ordini, i termini di pagamento e consegna, le modalità e i termini di denuncia dei vizi e la loro conseguenza, eventuali limitazioni di responsabilità del venditore, la durata e il contenuto della garanzia di buon funzionamento.
Le trattative contrattuali con clienti e distributori in Cina
La prima accortezza da osservare nel caso in cui il potenziale distributore non sia una società già nota al produttore è verificare la bontà delle informazioni commerciali ricevute.
Per procedere in tal senso è necessario richiedere copia della business license della società (l’equivalente della visura camerale italiana) e accedere poi al portale della State Administration of Industry and Commerce (SAIC), nel quale si possono verificare i principali dati societari: denominazione, oggetto sociale, capitale registrato, sede, compagine dei soci.
E’ consigliabile anche verificare le referenze commerciali del distributore, specie se ha già lavorato con società straniere, e chiedere una presentazione con il piano di sviluppo del mercato e gli obiettivi che intende raggiungere.
L’ultima raccomandazione è quella di essere molto cauti nel caso di ricezione di candidature spontanee per l’acquisto o la distribuzione dei prodotti in Cina: queste manifestazioni di interesse, che spesso giungono attraverso il sito web della società italiana, possono nascondere piccole o grandi truffe: ne parlo in maniera diffusa in questo post su Legalmondo.
Negoziati e accordi pre-contrattuali in Cina: Memorandum of Understanding e Non Disclosure Agreement (NDA)
Il negoziato con una controparte cinese è generalmente difficile, per una serie di fattori, tra i quali i principali sono le differenze linguistiche, culturali e nella modalità di fare affari.
Un consiglio per svolgere le trattative nel modo più ordinato, sicuro ed efficace possibile è quello di utilizzare alcuni strumenti contrattuali che sono molto utili.
Il primo è il Non Disclosure Agreement (NDA) o Accordo di riservatezza, che è bene utilizzare nel caso in cui si condividano informazioni riservate, di natura tecnica o commerciale: è importante che questo accordo venga redatto in modo che possa essere valido in Cina e se ne possa ottenere il rispetto in caso di violazioni da parte del potenziale partner cinese: ne parlo in maniera approfondita in questo post su Legalmondo.
Il secondo accordo è il Memorandum of Understanding (MoU) o Letter of Intent (LoI), che è una road map del negoziato nella quale le parti condividono gli obiettivi della trattativa, la durata dei negoziati, l’eventuale obbligo a negoziare in esclusiva e in modo riservato, i punti salienti dei futuri accordi, che si impegnano a negoziare in buona fede, la modalità di risoluzione delle eventuali controversie.
Il MoU può anche pr