Danni Punitivi – La Corte di Cassazione apre la porta in Italia

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Con la recente sentenza 16601/2017 la Suprema Corte – dopo svariate pronunce contrarie – ha aperto alla possibilità di riconoscere in Italia i provvedimenti stranieri contenenti punitive damages. In questo breve post vedremo in cosa consistono i punitive damages, a che condizioni potranno essere riconosciuti ed eseguiti in Italia e, soprattutto, che contromisure conviene adottare per affrontare questo nuovo rischio.

I danni puntivi, in inglese punitive damages, sono un istituto giuridico originario degli ordinamenti di common law che prevede la possibilità di riconoscere al danneggiato un risarcimento ulteriore rispetto alla compensazione del pregiudizio subito, nel caso in cui il danneggiante abbia agito con dolo o la colpa grave (rispettivamente “malice” e “gross negligence”).

Con i danni puntivi, cioè, oltre alla funzione compensatoria, il risarcimento del danno assume anche una finalità sanzionatoria, tipica del diritto penale, fungendo anche da deterrente nei confronti di ulteriori potenziali trasgressori.

Negli ordinamenti che prevedono i danni punitivi, il riconoscimento e la quantificazione del maggior risarcimento sono rimessi per lo più alla discrezionalità del giudice.

Negli Stati Uniti d’America i danni punitivi sono previsti dai principi di common law, ma disciplinati in maniera diversa in ogni Stato. Generalmente, tuttavia, si applicano ove la condotta del danneggiante sia intenzionalmente diretta a causare un danno o sia posta in essere senza avere riguardo delle norme a tutela della sicurezza. Solitamente non possono essere concessi per l’inadempimento di un contratto, salvo che non determini anche un illecito (tort) autonomo.

In alcuni Stati sono previsti dei limiti massimi ai punitive damages, a volte sotto forma di rapporto con i danni compensativi, a volte come tetto massimo. Inoltre, la Suprema Corte degli Stati Uniti è intervenuta in diversi casi per limitare le somme di condanna. Si consideri, ad esempio, il caso relativo all’azienda produttrice di automobili BMW, nel quale, a fronte di un danno compensativo di 4.000 USD, la Suprema Corte dell’Alabama aveva condannato BMW a 2.000.000 USD a titolo di danno punitivo. La Corte Suprema ha ritenuto tale condanna manifestamente eccessiva (“grossly excessive”) e ha rimesso nuovamente il caso alla Corte Suprema dell’Alabama, che ha in seguito ridotto a 50.000 USD i punitive damages (BMW of North America, Inc. v. Gore, 517 U.S. 559, 1996).

Non sempre, però, i punitive damages vengono ridotti. Nel 2011 i giudici del Montana hanno condannato il produttore di automobili Hyundai al pagamento della somma di 72 milioni di USD a titolo di danni punitivi per un incidente causato dal difetto allo sterzo di una vettura, che aveva causato il decesso di due giovani.

Negli ordinamenti di civil law, tra i quali l’Italia, l’istituto dei danni punitivi non viene tradizionalmente riconosciuto, in quanto la sanzione del danneggiante viene generalmente ritenuta estranea ai principi del diritto civile, ancorati alla concezione del risarcimento danni come mera restaurazione della sfera patrimoniale del danneggiato.

Di conseguenza, il riconoscimento dei danni punitivi statuiti in una pronuncia straniera era ostacolato dal limite dell’ordine pubblico e le sentenze che li prevedevano non avevano accesso allo spazio giuridico italiano.

La sentenza a Sezioni Unite n. 16601/2017 del 5 luglio 2017 della Suprema Corte di Cassazione, però, ha cambiato le carte in tavola.

Nel caso di specie veniva richiesto alla Corte di Appello di Venezia il riconoscimento (ex art. 64, legge 218/1995) di tre sentenze della District Court of Appeal of the State of Florida che, accogliendo una domanda di garanzia azionata da un rivenditore americano di caschi nei confronti della società italiana produttrice, avevano condannato quest’ultima al pagamento di 1.436.136,87 USD (oltre spese e interessi) a titolo di risarcimento dei danni causati da un difetto del casco utilizzato in occasione di un sinistro stradale.

La Corte d’Appello di Venezia aveva riconosciuto l’efficacia del provvedimento del giudice straniero considerando la somma meramente risarcitoria e non punitiva. La decisione era stata impugnata in Cassazione dalla parte soccombente, che sosteneva la contrarietà all’ordine pubblico della sentenza statunitense, in forza dell’orientamento giurisprudenziale sino a quel momento costante.

La Cassazione ha confermato la valutazione della Corte d’Appello, ritenendo la somma non punitiva, e ha dichiarato il riconoscimento della pronuncia statunitense in Italia.

Le Sezioni Unite, però, hanno colto l’occasione per affrontare la questione inerente l’ammissibilità dei danni punitivi in Italia, cambiando l’orientamento storico della Suprema Corte (si veda Cass. 1781/2012).

Secondo la Corte, la nozione di responsabilità civile intesa come mera riparazione dei danni subiti è da considerarsi ormai desueta, data l’evoluzione di tale istituto attraverso interventi legislativi e giurisprudenziali nazionali ed europei che hanno introdotto mezzi risarcitori a funzione sanzionatoria e deterrente. Nel nostro ordinamento, infatti, è possibile trovare diversi casi di risarcimenti danni con funzione sanzionatoria: in materia di diffamazione a mezzo di stampa (art. 12 L.47/48), diritto d’autore (art. 158 L. 633/41), proprietà industriale (art. 125 D. Lgs 30/2005), abuso del processo (art. 96 comma 3 c.p.c. e art. 26 comma 2 c.p.a.), diritto del lavoro (art. 18, comma 14), diritto di famiglia (art. 709-ter c.p.c.) e altri.

La Corte di Cassazione ha, quindi, affermato il seguente principio di diritto: “Nel vigente ordinamento italiano, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, perché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria della responsabilità civile. Non è, perciò, ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi”.

La conseguenza, molto importante, è che la pronuncia apre la porta alla possibile delibazione di sentenze straniere che condannano una parte al pagamento di una somma superiore rispetto quella sufficiente a compensare il pregiudizio subito in seguito al danno.

A tale scopo, tuttavia, la Suprema Corte ha disposto alcune condizioni affinché la sentenza straniera possa essere delibata, ossia che la decisione sia resa nell’ordinamento straniero su basi normative che:

  1. garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna;
  2. la prevedibilità della stessa; e
  3. i limiti quantitativi.

I possibili effetti della Sentenza nell’ordinamento italiano

In primo luogo, va chiarito che la Sentenza non ha modificato il sistema risarcitorio interno dell’ordinamento italiano. In altre parole, la Sentenza non permetterà ai giudici nazionali di comminare danni punitivi all’interno di procedimenti italiani.

Per quanto riguarda invece le sentenze straniere, invece, sarà ora possibile ottenere il risarcimento dei danni punitivi attraverso il riconoscimento e l’esecuzione nel sistema italiano di una decisione straniera che prevede la condanna a tale tipologia di danno, a condizione che siano rispettati i presupposti sopra indicati.

In considerazione di ciò, le imprese italiane che hanno investito o fanno affari in paesi che prevedono i danni punitivi dovranno tenere in considerazione questo nuovo rischio.

Gli strumenti per tutelarsi

L’imprenditore italiano che opera su mercati stranieri nei quali sono previsti i danni punitivi deve considerare con attenzione questo rischio, che sino ad oggi, come visto, non aveva accesso allo spazio giuridico italiano.

L’ottica deve essere necessariamente quella di prevenzione e gli strumenti a disposizione in tal senso sono diversi: in primo luogo l’adozione di clausole contrattuali che prevedano la rinuncia del danneggiato a questo tipo di danno o pongano un limite alla risarcibilità dei danni contrattuali, ad esempio ancorandola al valore dei prodotti o servizi forniti.

E’ poi fondamentale che si abbia conoscenza della legislazione e della giurisprudenza dei mercati in cui si opera, anche indirettamente (ad esempio, con la distribuzione commerciale dei prodotti) al fine di scegliere in modo consapevole la legge applicabile al contratto e la modalità di risoluzione delle controversie (ad esempio, con previsione dell’esclusiva giurisdizione del foro di un paese  che non preveda i danni punitivi.

Infine, questo tipo di responsabilità e di rischio può essere oggetto di valutazione con polizze assicurative che offrano una copertura specifica rispetto ad eventuali condanne al risarcimento di danni punitivi.

Roberto Luzi Crivellini
  • Arbitrato
  • Distribuzione
  • e-commerce
  • Commercio internazionale
  • Contenzioso

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