La tutela delle partecipazioni di minoranza

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Partiamo da una situazione in cui maggioranza e minoranza si trovino già tra di loro in società per eventi etero determinati, quali ad esempio una successione mortis causa. Caso frequente quest’ultimo soprattutto nell’ambito di società ad impronta e stampo prettamente familiari. Si prenderà in esame, in prima battuta, una situazione per così dire neutra, dove non si applichino né norme statutarie particolari, né patti parasociali. In altri termini, si tratterà di esaminare una situazione in cui si applichino puramente e semplicemente le norme del codice civile. Ora, per passare all’esame dei diritti che possono essere esercitati dalla minoranza, si tratterà prima del diritto ad esercitare il controllo (anche attraverso il diritto a ricevere informazioni) e poi del diritto di exit. Un’ulteriore precisazione riguarda il perimetro della presente analisi che riguarda solamente le S.p.A. così dette chiuse, ovvero che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Il diritto di ispezione dei libri sociali ed il controllo sulla gestione

Nelle S.p.A. l’azionista non ha un diritto di controllo diretto come invece stabilito per le S.r.l. (art. 2476 c.c.). Nelle S.p.A., infatti, la funzione di controllo sulla gestione spetta preminentemente al Collegio Sindacale (artt. 2397 e ss. c.c.) che vigila sull’osservanza della legge e dello statuto da parte degli amministratori e sulla regolarità della vita societaria anche nell’interesse della minoranza. In ogni caso, la legge prevede, a tutela della minoranza, alcuni diritti in capo ai soci e, tra questi, il diritto di ispezione dei libri sociali ed il diritto di informazione. Essi sono tuttavia, limitati ad ipotesi specifiche e ben individuate, dimodoché il socio, con le sue istanze, non possa nuocere alla gestione sociale attribuita esclusivamente agli amministratori.

A ben vedere, infatti, il diritto di ispezione, disciplinato all’art. 2422 c.c., riconosce agli azionisti il diritto di verificare il libro soci ed il libro dei verbali delle assemblee, anche a mezzo di un proprio delegato, nonché di estrarre copia di detti libri, a proprie spese. Tale diritto, però, è limitato esclusivamente ai libri sociali sopra menzionati, senza possibilità di esaminare gli altri libri indicati dall’art. 2421 c.c. (verbali del C.d.A., verbali delle adunanze del Collegio Sindacale, etc.) e limitatamente a quei dati che costituiscono il contenuto obbligatorio dei libri oggetto del diritto di ispezione. Tali ulteriori libri sociali possono essere ispezionati solamente dal soggetto del quale si documenta l’attività: singoli amministratori, componenti del consiglio di gestione, ogni sindaco, etc. Fermo restando che gli amministratori, i sindaci e gli altri soggetti incaricati del controllo, non soffrono limitazioni nell’esercizio del diritto generale di ispezione, poiché tale esame costituisce lo strumento necessario per l’esercizio del potere di vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull’adeguatezza del sistema organizzativo, amministrativo e contabile della società. Ciò premesso, si evidenzia che il singolo azionista ha altresì il diritto di esercitare un controllo attraverso i seguenti strumenti che il legislatore gli mette a disposizione. (i) Denuncia, in qualsiasi modo e con la forma ritenuta più adeguata, di fatti censurabili attinenti la gestione all’organo di controllo ex art. 2408 c.c., il quale deve tenerne obbligatoriamente conto, indagando senza ritardo sui fatti oggetto della denuncia e facendone menzione nelle conclusioni della relazione all’assemblea, se tale denunzia è fatta nelle S.p.A. chiuse da tanti soci che rappresentino un ventesimo del capitale sociale (5% ) – per le S.p.A. che facciano ricorso al mercato del capitale di rischio la soglia è del 2 %. – nonché convocare l’assemblea se ricorrano le ipotesi indicate dall’art. 2406 c.c. secondo comma ovvero (a) in caso di omissione o di ingiustificato ritardo da parte degli amministratori ovvero (b) qualora ravvisi fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere (potere/dovere questo non necessariamente ricollegato alla denuncia dei soci ma piuttosto alla gravità dei fatti da essi denunziati ed all’urgenza di dovere provvedere. (ii) Denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c., da notificare anche alla società, in caso di fondato sospetto, in ipotesi di violazione dei relativi doveri da parte degli amministratori (e dei sindaci) di commissione di gravi irregolarità nella gestione che siano potenzialmente foriere di danno alla società stessa o a una o più società controllate.  In questo caso, il diritto può essere esercitato da tanti soci che rappresentino il decimo del capitale sociale (10%), tale procedimento può dare luogo ad una ispezione, a spese dei soci instanti, ordinata dal Tribunale e subordinata, se del caso, alla prestazione di una cauzione. L’ispezione può essere evitata ed il procedimento è sospeso a tempo determinato, nell’ipotesi di così detta autotutela ovvero in caso di sostituzione degli amministratori e dei sindaci in carica con altri di comprovata professionalità. Tali professionisti debbono, senza indugio attivarsi per accertare se effettivamente sussistano le gravi irregolarità denunciate e, se del caso, attivarsi per eliminarle. Il Tribunale può altresì prendere i provvedimenti ritenuti più opportuni e convocare l’assemblea perché assuma le relative deliberazioni nelle ipotesi in cui le gravi irregolarità effettivamente siano state commesse ovvero le cautele e le azioni adottate per eleminarle si siano rilevate inefficaci.  Nei casi più gravi, il Tribunale può revocare gli amministratori e, eventualmente, anche i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata. Costui è, in tesi, legittimato all’esercizio dell’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2393 c.c. ultimo comma. La norma prevede infine che prima della scadenza del suo incarico l’amministratore giudiziario debba rendere il conto al tribunale che lo ha nominato; convocare e presiedere l’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale. Infine, è previsto che i provvedimenti di cui all’art. 2409 c.c.  possano essere adottati anche su richiesta del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione, nonché, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, del pubblico ministero; in questi casi le spese per l’ispezione sono a carico della società. (iii) Esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro l’organo amministrativo od il collegio sindacale (art. 2393 bis c.c.). In questo caso, l’azione è esercitata dai soci che detengano almeno un quinto del capitale sociale ossia il 20% (lo statuto può prevedere che sia prevista una soglia maggiore ma mai superiore ad un terzo). L’art. 2393 c.c. prevede altresì che l’azione di responsabilità non possa formare oggetto di transazione se vi è il voto contrario di tanti soci che rappresentino un quinto del capitale sociale (20%). Se approvata da almeno tanti soci che rappresentino un quinto del capitale sociale (20%) l’azione sociale di responsabilità comporta la revoca di diritto degli amministratori interessati. (iv) Impugnazione delle delibere assembleari (ivi inclusa quella relativa all’approvazione del bilancio art. 2434 bis c.c.) che siano contrarie alle legge ovvero allo statuto ex art. 2377 c.c. Per l’esercizio di tale diritto è necessario detenere il 5% del capitale sociale. Tale diritto può essere accompagnato con l’esercizio dell’azione risarcitoria per ottenere eventualmente il ristoro dei danni subiti per effetto dell’assunzione della delibera impugnata. (v) Diritto di prendere visione, negli orari d’ufficio, del progetto di bilancio, della relazione sulla gestione, di quella dell’organo amministrativo, di quella dell’organo di controllo, di quella del revisore, di un progetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio delle società collegate nei 15 giorni che precedono l’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio stesso ex art. 2429 c.c. (vi) Diritto di partecipare alle delibere dell’organo assembleare ed esercitare il diritto di veto in assemblea straordinaria ex art. 2365 c.c.(modificazioni dello statuto, nomina, sostituzione dei liquidatori e altre materie di competenza espressamente attribuite dalla legge) diritto che può essere esercitato da tanti soci che rappresentino più di un terzo del capitale sociale solo in seconda convocazione  ex. 2369 c.c. (vii) Diritto di chiedere la convocazione senza ritardo dell’assemblea ex art. 2367 c.c., diritto che può essere esercitato da tanti soci che rappresentino almeno il decimo del capitale sociale (10%). (viii) Diritto di chiedere il rinvio dell’assemblea se non sufficientemente informati diritto che può essere esercitato da tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale ovvero il 33% ex art. 2374 c.c.

Esaminando nuovamente le percentuali sopra individuate, per riassumere, si possono certamente individuare delle soglie per così dire critiche di partecipazione in una S.p.A. chiusa: al di sotto del limite del 5%, la minoranza poco o nulla può fare non avendo nemmeno la possibilità di impugnare le delibere assembleari e rimanendo ad essa, se vi sono i presupposti, la sola azione risarcitoria prevista dall’art. 2377, 4 comma, c.c. Quindi, per ricapitolare, perché una minoranza possa essere considerata “qualificata” e possa fare valere la propria voce come tale all’interno di una compagine societaria di una S.p.A. chiusa, è necessario che essa detenga: a) il 5% per efficacemente denunciare fatti censurabili attinenti la gestione all’organo di controllo (art. 2408 c.c.) e poter impugnare le delibere dell’assemblea (art. 2377 c.c.); b) il 10% per la denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c. e per richiedere la convocazione senza indugio dell’assemblea ex art. 2367 c.c.; c) il 20% per esercitare l’azione di responsabilità nei confronti dell’organo amministrativo o del collegio sindacale ex art. 2393 bis c.c. ovvero per opporsi alla transazione in punto all’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2393 c.c.; d) il 33% (+ 1%) per l’esercizio del diritto di veto nell’assemblea straordinaria in seconda convocazione ex art. 2369 c.c. e per la richiesta di rinvio dell’assemblea ex art. 2374 c.c.

Il dirito di uscita

In principio si accennava anche del diritto di exit. Il diritto di exit o di uscita altro non è che il diritto della minoranza di uscire dalla compagine sociale. La modalità naturale di exit è l’alienazione della partecipazione sociale. Quale alternativa principale alla vendita, in concomitanza di determinati eventi che determinino un mutamento significativo delle condizioni di rischio, il disinvestimento, in tutto o in parte, per il socio che non concorri a determinare tali cambiamenti, può realizzarsi tramite l’esercizio del diritto di recesso. È necessario avere esatta contezza delle cause che riconoscono al socio il diritto di uscita tramite recesso per due motivi: da una parte, perché la maggioranza potrà così, in maniera consapevole, ponderare determinate decisioni che potrebbero incidere tanto sulla vita sociale che sull’andamento gestionale, dall’altra, perché una minoranza attenta che si dovesse sentire “prigioniera” all’interno della compagine sociale, potrà avere uno strumento utile per superare la impasse.  Il recesso diventa dunque, all’occorrenza, strumento di pressione da esercitare sulla maggioranza oltre che di contrattazione allorquando mutano i presupposti di ingaggio inizialmente stabiliti dai soci ad esempio con l’introduzione di specifici motivi di recesso. Il diritto di recesso è disciplinato dall’art. 2437 c.c.  ed è esercitabile in occasione del verificarsi di determinate circostanze: a) modifica dell’oggetto sociale che incide in maniera significativa sull’attività della società; b) trasformazione della società; c) trasferimento della sede sociale all’estero; d) revoca dello stato di liquidazione; e) eliminazione di una o più cause di recesso previste dallo statuto; f) modifica dello statuto che incida sul valore da attribuire alla partecipazione in caso di recesso; g) modifiche dello statuto concernenti i diritti di voto o partecipazione; h) proroga del termine; i) introduzione o rimozione dei vincoli alla circolazione dei titoli azionari; l) se la società è costituita a tempo indeterminato il socio può recedere con un preavviso di 180 giorni; m) in caso di assoggettamento a direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 e ss. c.c. Relativamente alle circostanze sopracitate, è di fondamentale importanza ricordare come alcune di esse e più precisamente quelle indicate alle lettere da a) a g), siano cause di recesso classificate come inderogabili, vale a dire insuscettibili di modifica anche per concorde volontà delle parti, mentre, quelle indicate alle lettere h) e i) siano invece derogabili. L’art. 2437, 2 comma, prima parte, c.c., infatti, espressamente indica la dizione “salvo che lo statuto disponga diversamente” riconoscendo in questo modo implicitamente quanto appena sostenuto. Si configura pertanto una tripartizione delle cause di recesso in legali inderogabili, legali derogabili e statutarie. Per l’esercizio del diritto di recesso è necessario rispettare le modalità previste dall’art. 2437 bis c.c. e l’esercizio del diritto comporta la liquidazione della partecipazione secondo i criteri di determinazione di cui all’art. 2437 ter c.c.

Giuseppe Scotti
  • Arbitrato
  • Diritto societario
  • Recupero credito
  • Contenzioso

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